Il testo che segue è la copia di una mia recensione sul film La forma dell’acqua, pubblicata il 10 marzo 2018 sul sito web di riferimento per il cinema di serie Z, Il Zinefilo di Lucius Etruscus. È lì che ogni tanto mi diverto a recensire “film brutti”, niente a che vedere con doppiaggi e adattamenti.
Se lo scriverai, lui verrà. Rimaneggiando la celebre frase de “L’uomo dei sogni” (1989) presento con orgoglio un guest post davvero particolare. Ieri ho evocato Evit il cui commento mi ha spinto a vedere un film che non avrei mai visto di mia spontanea volontà, “La forma dell’acqua“, tanto che non ho resistito a recensirlo in modo dissacrante. Non mi ero reso conto che mentre scrivevo la recensione ho sfregato le dita sulla tastiera fino a comporre una Lament Configuration: la scatola di Lemarchand ha fatto sì che evocassi Evit in persona, atterrato su questo blog appositamente per dare la sua versione dei fatti.
Spero sia solo il primo di tanti altri chiodi con cui il nostro Pinhead sevizierà il cinema!
Lucius
The Shame of Water (2017)
La rivincita di Roger Corman
di Evit
del blog Doppiaggi Italioti
Nel 1741, lo scrittore inglese Henry Fielding pubblicò, sotto falso nome e senza mai ammetterne la paternità, una parodia dichiarata di Pamela (si legge “Pàmela”) di Samuel Richardson, di appena un anno prima, che era un romanzo sulle virtù della modestia, della pazienza e della castità femminile, tanto popolare quanto moralista e ipocrita.
Fielding fece quello che facciamo frequentemente anche io e i miei collaboratori di Doppiaggi italioti quando guardiamo “film brutti” per la nostra serie di intrattenimento i videocommentatori, si inventò una nuova chiave di lettura (comica) con cui reinterpretare l’intera storia di quella virtuosa Pamela di Richardson. Così nel romanzo-parodia di Fielding scopriamo che Pamela non era poi questa umile, casta e cortese giovane donna di servizio che cercava di resistere alle molestie del padrone (che comunque desiderava), bensì una perfida e libidinosa ex-prostituta con un ingannevole piano in testa: “incastrare” il suo padrone e alla fine farsi sposare da lui.
Tra i tanti dettagli comici, nella storia parodistica si scopre che il vero nome di Pamela era in realtà Shamela (che è anche il titolo del romanzo), una comica fusione tra “shame” (vergogna), “sham” (imbroglio) e “Pamela”; quindi era letteralmente la versione scandalosa di quella Pamela di Richardson che Fielding vedeva come simbolo dell’ipocrisia della morale del tempo.
Pensavate che la letteratura di secoli passati fosse soltanto tediosa? Come vedete, i “Mel Brooks” esistevano anche prima del cinematografo, invece dello Sforzo che sostituisce la Forza, qui abbiamo Shamela al posto di Pamela ma il principio è lo stesso.
Cosa c’entra con La forma dell’acqua? Per ora mettete questo aneddoto da parte che ci torniamo.
Andiamo avanti di qualche secolo, anno 2018, pochi minuti dall’inizio della visione di La forma dell’acqua ed è già possibile tirare, senza troppi sforzi, dei parallelismi con Il favoloso mondo di Amélie.
Entrambe le storie sono al limite del genere fantastico, ambientate nel XX secolo con una protagonista femminile inusuale che ben rappresenta gli spettatori romantici, introversi, un po’ stravaganti (chi non lo è in fondo) ma che nel corso della storia si porrà contro le ingiustizie, in difesa di persone più deboli, magari innamorandosene. Entrambe sono mute o quasi.
Una premessa che può risultare adorabile e largamente condivisibile (il successo di entrambi i film ne è una riprova) e ci può anche piacere l’evoluzione moderna della figura del cattivo, quella rivisitazione dell’eroe di una volta, l'”uomo vero”, che con gli occhi di oggi si rivela essere in realtà nient’altro che uno xenofobo, pervertito e molestatore. In più non si lava le mani dopo aver fatto pipì, ricamandoci sopra una spiegazione degna di Tarantino e Sergio Leone messi insieme sul mondo che si divide in due tipi di uomini, quelli che si lavano le mani prima di fare la pipì e quelli che si lavano le mani dopo aver fatto la pipì. Il colpo di scena sulla sottotrama delle mani non lavate arriva con il suo ritorno a casa, quando scopriamo che la moglie ha il feticcio di odorare le mani pisciose. Un omaggio inverso al rapporto tra Napoleone e Giuseppina? Non ci è dato sapere. Mi piace pensare di sì.
Peccato che il cattivo con le mani che puzzano di pipì non abbia altro da offrire oltre all’usuale ottima recitazione di Michael Shannon e anche l’aggiornamento del suo personaggio a tempi più moderni non aiuta a nascondere il fatto che si tratti di un cattivo monodimensionale (parola abusata ma qui necessaria), l’equivalente moderno di quelli che in Kenshiro dicevano continuamente “tu adesso morirai!” per 25 minuti di fila, cattivo per il gusto di essere cattivo.
Aggiungiamoci che le musiche (già premiate con ricchi premi e cotillon) non fanno altro che ricalcare uno stile già proposto da Yann Tiersen nel 2001 per l’universalmente adorato Amélie (e a Tiersen non andò neanche una candidatura, mondo boia!), a sottolineare l’aspetto favolistico della storia vista dagli occhi della protagonista. Sono passati 17 anni da Amélie, chi lo ricorderà mai?
La storia ripropone cose già viste letteralmente in dozzine di altri film famosissimi ma Del Toro è protetto dalla sua fama di regista “visionario” (calcio in bocca al primo che usa questo false friend in modo serio), inattaccabilmente buono e sempre in difesa di quelli che la società considera “mostri”. Da questo punto di vista l’appoggio della comunità LGBT+ a questo film è assolutamente comprensibile in un epoca dove il maschilismo, l’intolleranza e l’omofobia sono ancora valori molto comuni.
Tutto questo però non mi fa dimenticare che alla fin fine rimane comunque la storia di una donna che si scopa letteralmente un pesce.
Il modello è quello stravisto della ragazza che si innamora del mostro, portato però a nuovi estremi e addobbato come un brillante film alla francese. Chapeau.
La premiata sceneggiatura poi è quanto di meno meritevole mai visto, nel suo essere controtendenza e dalla parte dei “losers” Del Toro finisce inavvertitamente per cascare in stereotipi vecchi quanto il cucco come l’uomo in là con gli anni che vive da solo, indossa golfini ed ha la passione per i musical e il tip-tap, il suo migliore amico è una donna. Sarà per caso un omosessuale in una società omofoba??? Davvero? Mai visto niente di simile. Che, per caso è pure artista? (Lo è.)
Quando capite (a pochi minuti dall’inizio e in virtù delle dozzine di storie simili già viste) che la nostra protagonista finirà per accoppiarsi con il pesce, il film diventa da subito un gran macinato di coglioni da mettere in forno a fuoco lento. Infatti, sappiamo ancor prima di vederle che dovremo sorbirci tutte le lente e prevedibilissime fasi del loro incontrarsi e cominciare a conoscersi, che mai per un solo istante sembrano plausibili o sensate, e scene simili dovranno essere necessariamente lente perché se se lo fosse scopato quasi subito nessuno lo avrebbe ritenuto plausibile.
Le insensatezze non si fermano al rapporto tra donna e anfibio perché quando la nostra protagonista non porta uova sode in dono al mostro (e non mi dilungherò su queste scene mortali) vive in un mondo ancora più assurdo.
Siamo negli anni ’50 dieselpunk dove i laboratori super-segreti della CIA vengono puliti da comuni donne delle pulizie che con mocio e secchio hanno libero accesso ovunque e a piacimento. A richiesta puliscono il sangue dei torturati e all’occorrenza possono anche organizzare una tipica fuga con il camion della lavanderia. Ci sono momenti in cui sembra davvero scritto da un bambino di 8 anni.
Eppure una certa dose di consapevolezza ce l’ha Del Toro visto che non si esime dallo scherzarci sopra quando mostra la donna delle pulizie che toglie la polvere da un enorme camera del vento con l’ausilio di un piccolo piumino.
Ma del resto quando fai un film in cui ci deve essere una storia sessuale tra donna ed anfibio con cazzo a scomparsa è chiaro che devi forzare un po’ la mano qua e là pur di arrivare a quei momenti clou. Il “bello” è che il film delude anche nel momento clou perché per essere il più possibile accettabile dal grande pubblico non mostra l’amplesso con il mostro, in compenso però ce lo descrive bene, a gesti.
La scena che rimarrà più impressa è certamente quella dell’unione amorosa in apnea in una stanza da bagno riempita d’acqua fino al soffitto (basta tappare gli scarichi dei sanitari, no?). È una fiaba, quindi la scena non deve avere letteralmente senso, e neanche la sceneggiatura.
Quando dissi su Twitter che La forma dell’acqua meritava di vincere l’Oscar lo dissi a scherzo, perché mi faceva ridere l’idea che potesse vincere un film sulla zoofilia in cui una donna scopa un anfibio antropomorfo (o mostro della laguna se preferite ma per me rimane un pesce inchiavabile, inutile che gli mettete gli addominali scolpiti per rendere la cosa il più possibile “accettabile”).
Mi felicito della sua vittoria perché la vedo come una sorta di rivincita post-mortem di Roger Corman. Fatti da parte Il pianeta del terrore, adesso le unioni abominevoli sono roba ad alto budget e degna del tappeto rosso, l’importante è che siano consensuali e che le giri Del Toro in modo fiabesco con musiche in stile Amélie ed anche tua nonna potrà finalmente godersi l’accoppiamento donna-bestia pensando di avere davanti a sé un bel film d’autore, attuale e sicuramente importante.
Vi state ancora chiedendo che cosa c’entri La forma dell’acqua con Shamela di Henry Fielding? Non lo avete ancora capito? Guillermo Del Toro è il nostro Henry Fielding cinematografico! Però ignaro. Ha creato inavvertitamente una parodia di film migliori ma nessuno ha il coraggio di dirglielo. Invece di Amélie abbiamo una sorta di Shamélie e, se Amélie a stento sfiorava il tema della sessualità, la nostra Shamélie si masturba nella vasca da bagno nel tempo necessario a bollire delle uova. Quando poi scopre l’esistenza di un mostro acquatico subito cerca di adescarlo (con suddette uova) e alla fine riesce a “farselo”, così come Shamela era riuscita a farsi sposare dal padrone coronando il suo sogno.
Anche il romanzo Shamela ebbe i suoi seguiti quindi spero che questo The Shame of Water non sia il primo ed ultimo di una nuova serie parodistica d’autore firmata Del Toro. Noi amanti dei film di serie Z ci aspettiamo che dopo il mostro della laguna possa arrivare anche un seguito col mostro di Frankenstein che si scopa una donna delle pulizie sorda (ma che parla a volume altissimo) oppure l’uomo lupo che si fa la cieca, augurandoci però che ci sia sempre un personaggio omosessuale stereotipatissimo che dica banalità tipo: “sono nato troppo presto o troppo tardi”.
Non dite a Del Toro che Camilleri ha anche scritto Il cane di terracotta. Temo quello che ci potrebbe fare.
P.S.
Ringrazio Evit per la disponibilità e spero torni ancora a regalarci chiodi!
L.
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