Piraña (1978) – Piccoli morsi ad un buon adattamento

     

    Locandina italiana del film Pirana, di Joe Dante, 1978.

    Lo dirò sempre: Piraña (1978) di Joe Dante è probabilmente il miglior clone de’ Lo squalo di Spielberg. Prodotto da Roger Corman e distribuito al cinema dalla United Artists, si becca un bel visto censura VM14 datato dicembre 1978, pronto all’uscita italiana nel 1979. Da bambino adoravo questo film tanto quanto Lo squalo, ma a causa di scarsi passaggi televisivi negli anni 2000, non l’ho più rivisto da allora. Una recente rivisitazione è stata un’ottima scusa per analizzare anche l’adattamento, che non è privo di stranezze ed incomprensioni. Ecco dunque alcune curiosità che potrete trovare nei dialoghi italiani di Piraña o, come lo scrivono gli americani (e a ruota anche tutti gli italiani su internet), Piranha.

    ‘Brrrbrrbrrbrrbrrrb’ (il suono dei piraña, chi lo ha visto lo sa)

    “NO TRESPASSING”

    Il film, come tutti gli emuli di Lo squalo, si apre con una nuotata notturna nelle acque dove si nascondono i mostri. In questo film la premessa diventa involontariamente comica perché pur di creare un parallelo con la ragazza che nuota di notte nel mare di Amity, in Piraña abbiamo due escursionisti che trovano un’area militare di “ricerche sperimentali” e decidono di farsi una nuotata in quelle che a prima vista sembrano delle vasche di un impianto industriale. Anche senza la presenza di pesci letali mutati geneticamente, mi sembra già un horror decidere di buttarsi in vasconi industriali ignoti, che nella migliore delle ipotesi potrebbero essere semplici impianti di depurazione fognaria. L’ingresso dei due avviene attraverso un buco nella rete. Il ragazzo vede il cartello e dice:

    “C’è scritto “vietato il transito“, ma chi diavolo vuoi che ci sia?”

    cartello dal film Pirana che legge Military Test Site, restricted area, no trespassing. Erroneamente tradotto come divieto di transito

    La battuta “c’è scritto vietato il transito” è stata aggiunta per spiegare al pubblico italiano quel NO TRESPASSING, cioè “vietato oltrepassare” o semplicemente VIETATO L’ACCESSO. Il “transito” è una cosa un po’ diversa. Difatti il divieto di transito viene dal codice stradale e vale per i veicoli “anche sprovvisti motore (es. le biciclette), ma non per i pedoni” (cit. dal codice stradale). Dunque “Divieto di transito” non è la traduzione adeguata per quel tipo di cartelli che si appendono alle recinzioni, destinati nello specifico alle persone e non ai veicoli. In Italia per le persone abbiamo tipicamente divieti di scavalcare, di oltrepassare, di accesso, di ingresso. Non di transito.

    Trovo forse comico che il film inizi come Quarto potere di Orson Welles? Sì, certamente. Particolare che non è sfuggito neanche al mio collega blogger Lucius Etruscus del blog Il zinefilo nel suo articolo sul film. Ma questi dettagli rendono Piraña ancora più divertente. Siamo nelle mani di Joe Dante dopotutto, il futuro regista di Gremlins 2.

    Ué, la vampira subacquea!

    Scena dal film Pirana, ragazzi nuotano nella piscina del centro di ricerche militari

    – Mi hai morso, pizzicato, vedi di piantarla!
    – Ué, dico, non mi avrai presa per una vampira subacquea!

    Sì, dice proprio “ué”, l’interiezione regionale che oggi sarebbe vietata da qualsiasi doppiaggio. E invece di una “vampira subacquea”, in originale parla di “creature from the Black Lagoon”, il mostro della Laguna Nera, della Universal, che evidentemente non era così familiare per il pubblico italiano del 1978, nonostante fosse uscito nel 1954 anche in Italia. Non tutti i film lasciano lo stesso impatto culturale in tutti i paesi evidentemente. Aggiungo che ci vedo una somiglianza tra la faccia del mostro della Laguna Nera degli anni ’50 e i buffi pesci killer che vediamo in questo film. La scelta di menzionarlo nel copione originale non dev’essere stata casuale. L’anno dopo, sempre Corman produce Monster (1980) dove il mostro del titolo è palesemente ispirato al mostro della Laguna Nera.

    Premio Nobel o premio ratto?

    I protagonisti di Pirana di Joe Dante che osservano il laboratorio

    Originale: Looks like it’s for laboratory rats. You know, where they had to make it through an obstacle course to get a reward.
    Doppiato: È il classico ambiente di laboratorio dove si fanno quelle strane ricerche per cui alla fine ti danno il premio Nobel.

    Qui ci dev’essere stata un’incomprensione bella e buona su quel “reward”. Nel laboratorio di esperimenti dove sono stati creati i piraña mutati geneticamente, i protagonisti incappano in un piccolo labirinto che la giornalista descrive dicendo che sembra un labirinto per ratti in cui l’animale che trova la via d’uscita viene PREMIATO con del cibo. Il “reward” (premio) non è il Nobel per la ricerca svolta, ma è il cibo che i ricercatori danno agli animali che raggiungono l’uscita del labirinto.

    Robinson Crusoe al posto di Huckleberry Finn

    Il protagonista racconta che la zattera l’aveva costruita per la figlia che aveva letto Robinson Crusoe e voleva andare a cercarsi un’isola deserta tutta sua. In originale invece la figlia aveva letto Huckleberry Finn e voleva andare ad esplorare nuovi territori, il che ovviamente ha più senso con la zattera lungo un fiume.

    Scena dal film Pirana di Joe Dante. I protagonisti salgono su una zattera.

    Originale: I read my daughter Huckleberry Finn last summer. Wanted to light out for the territories so we settled on this as a compromise.
    Doppiato: Mia figlia dopo aver letto Robinson Crusoe pretendeva di procurarsi un’isola deserta. Alla fine si è accontentata di questo.

    Omissione di “gay”: censura o parola ancora troppo sconosciuta?

    Scena dal film Pirana. Donna che seduce il soldato di guardia

    Quando il protagonista chiede alla sua compagna d’avventure di distrarre la guardia che piantona la loro tenda suggerendo “fagli le moine” (come on to him, ovvero “provaci con lui”), lei risponde “e se non ci riesco?“. In originale: “what if he’s gay?“. Per una volta, il copione italiano è invecchiato decisamente meglio, ma il mancato “e se poi è gay?” ammazza un po’ la gag della contro-risposta: “allora lo distrarrò io!”.

    Dopo lei chiederà “Senti, tu sei un — ?” abbassando la voce sulla parola finale volutamente omessa. In originale invece la domanda è un chiarissimo “Listen, are you gay?” (Senti, tu sei gay?). L’omissione della parola “gay” sembra dunque del tutto intenzionale e si potrebbe pensare ad una forma di censura ma è ipotizzabile che nel 1978 fosse ancora ritenuta poco diffusa e quindi non necessariamente comprensibile a tutti. L’adattatore potrebbe averla omessa per questo motivo.

    Grafico da ngram viewer che mostra l'incidenza della parola gay nella carta stampata in Italia

    Incidenza della parola “gay” in Italia.

    La risposta del soldato, “che???” (What???) ovviamente assume una una valenza diversa in italiano e in inglese, ma il resto della scena funziona allo stesso modo.

    Una chiesa che diventa castello

    Un’altra apparente censura religiosa è presente nella storia di streghe che viene raccontata ai ragazzi del campo estivo di notte davanti ad un falò. Invece di una chiesa, il racconto di terrore è ambientato in un castello. Ho parlato di “apparente censura” perché sono più propenso a credere in una scelta di adattamento: in una storia di paura con streghe e demoni, l’ambientazione più sensata è quella del castello.

    Pappone!

    Dick Miller dice pappone al posto di schmuck

    L’offesa del sindaco al colonnello dopo aver attaccato il telefono è comica e forse fin troppo romanesca: “Pappone!“.

    Originale: Schmuck!
    Doppiato: Pappone!

    Un semplice “imbecille!” avrebbe soddisfatto i criteri dell’adattamento audiovisivo, ma come non amare questa improvvisa offesa forse un po’ troppo regionale ma decisamente italiana. Schmuck è una di quelle offese americane derivanti dalla lingua yiddish. Traducibile semplicemente come stupido, idiota, o sinonimi. Come sia venuto in mente “pappone!” non lo so, forse leggendo l’espressione facciale di Dick Miller e pensando a cosa avrebbero detto in Italia i contemporanei? Non lo so, ma fa ridere.

    I doppiatori di Piraña

    Un’altra cosa buffa ma decisamente meno insolita è che Piraña è stato doppiato dalla stessa CD – Cooperativa Doppiatori che aveva doppiato Lo squalo nel 1975, quindi il film “originale” e il suo clone hanno essenzialmente lo stesso cast vocale. Alla lista di doppiatori di Piraña presa dal sito antoniogenna.net aggiungo anche una nota sui doppiatori in comune con Lo squalo.


    Pino Colizzi: Paul Grogan (Bradford Dillman) — Matt Hooper (Richard Dreyfuss) ne’ Lo squalo
    Flaminia Jandolo: Maggie McKeown (Heather Menzies) — Ellen Brody (Lorraine Gary) ne’ Lo squalo
    Renato Mori: Dott. Robert Hoak (Kevin McCarthy) — Quint (Robert Shaw) ne’ Lo squalo
    Aldo Barberito: Jack (Keenan Wynn)
    Manlio De Angelis: Buck Gardner (Dick Miller) — Martin Brody (Roy Scheider) ne’ Lo squalo
    Anna Miserocchi: Dott.ssa Mengers (Barbara Steele)
    Micaela Esdra: Betsy (Belinda Balaski)
    Anna Rita Pasanisi: Laura Dickinson (Melody Thomas) — presente nel doppiaggio de’ Lo squalo
    Arturo Dominici: Col. Waxman Bruce gordon — presente nel doppiaggio de’ Lo squalo
    Sergio Fiorentini: Sig. Dumont Paul bartel — presente nel doppiaggio de’ Lo squalo
    [????]: Suzie Grogan (Shannon Collins)
    Massimo Giuliani: Whitney (Shawn Nelson)
    Alessandro Sperlì: Earl Lyon (Richard Deacon)
    Maria Grazia Dominici: Barbara Randolph (Janie Squire)
    Sandro Acerbo: David (Roger Richman)
    Alessandro Sperlì: Guardia carceraria (Bill Smillie)
    Franco Aloisi: Agente (Barry Brown)
    Massimo Giuliani: Giornalista TV (Guich Koock)

    Direttore di doppiaggio: [ignoto]

    Adattamento dialoghi: Giacomo Magagnini

    Studio di doppiaggio: C.D.


    L’adattamento italiano di Piraña e il film stesso è uno di quelli che invito a scoprire o a riscoprire come ho fatto io. Come in qualsiasi paese che doppia, abbiamo avuto negli anni ’80 il vantaggio non indifferente di trovare recitazioni di alto livello sia nei film di Spielberg sia nei rip-off di Roger Corman, all’orecchio indistinguibili. Questo Giacomo Magagnini ai dialoghi forse non sarà stato all’altezza di Alberto Piferi, ma rimane un bel copione con poche sviste, alcune buffe, ma comunque poche. La trama del “mostro” in acqua rubata a Spielberg (anche qui c’è qualcuno che non vuole chiudere “le spiagge” e mille altre similitudini)  si condisce di fantascienza con l’idea dello scienziato che ha creato per l’Esercito una specie di piraña geneticamente modificati da inviare in scenari di guerra come gli acquitrini del Vietnam. E nel laboratorio vediamo anche un mostriciattolo in stop-motion. Come non adorarlo? Chiaramente il film ha lasciato qualche segno nella cultura pop italiana dell’epoca visto che neanche un anno dopo ci ha regalato questa battuta di Un sacco bello di Carlo Verdone con cui chiudo l’articolo.

    Scena da Un sacco bello, l'infermiere che dice: mo ar fiume ce so pure i piranas

  • Il cagnaccio dei Baskervilles (1978) – Un film indegno di nota

    Locandina italiana del film Il cagnaccio dei Baskervilles di Paul Morrissey (1978)

    Se il “cagnaccio” del titolo vi fa ridere, sarà la prima e ultima risata che questo film vi strapperà, perché Il cagnaccio dei Baskervilles di Paul Morrissey è una delle peggiori commedie/parodie mai concepite, soprattutto considerato il suo cast di comici stranoti nel panorama inglese di fine anni ’70. E neppure il doppiaggio italiano, nonostante gli interpreti eccellenti di quegli anni, riesce a salvare il film. Perché ne parlo dunque? Perché nessun altro lo farebbe mai. Non ha neanche una lista di doppiatori su Wikipedia, né una pagina su Antoniogenna.net. Sarà un articoletto brevissimo per al serie “commedie troppo brutte per far ridere”, degno compagno di 2001: Un’astronave spuntata nello spazio.

    Il cagnaccio dei Baskervilles è un titolo migliore dell’originale

    Il titolo originale è identico al titolo del romanzo di Arthur Conan Doyle di cui il film vorrebbe essere una parodia, “The Hound of the Baskervilles“. Questo rende la parodia di Paul Morrissey indistinguibile dalla miriade di altri adattamenti cinematografici (seri) della stessa storia. Quindi la versione originale del film toppa già dal titolo, non riuscendo a spiccare in un’oceano affollato di “veri” mastini dei Baskerville. In Italia invece si è voluto far capire il genere già dal titolo con quel divertente “Il cagnaccio dei Barskervilles“, una scelta sensata. Questa però sarà l’unica cosa buffa del film, che invece non riesce a strappare un sorriso neanche per sbaglio. Gli italiani che nel ’78 sono entrati al cinema ispirati dal titolo avranno sicuramente perso ogni fiducia nel genere umano, o almeno nei distributori cinematografici italiani.

    All’arrivo in Italia in realtà il film è stato presentato alla censura come “Il cagnaccio dei Baskerville” [ottenendo il visto “senza limiti di età” in data 11 ottobre 1978 distribuito dalla “Stefano Film”, già distributore di vari film erotici], senza quella esse finale – che è errata in italiano perché dei cognomi non facciamo il plurale (ricordate: “I Simpson” e non “I Simpsons”) – ma all’arrivo nelle sale il titolo in locandina acquista una “esse” facendo diventare Il cagnaccio dei Baskervilles (con esse finale) il titolo ufficiale del film. Attualmente su Internet lo potete trovare con e senza esse.

    Ed è l’unico titolo italiano ispirato al romanzo di Doyle che usa la “esse” in coda a “Baskerville”. Nessuno alla distribuzione cinematografica italiana era mai stato così ignorante prima del cagnaccio, tanto da mettere una esse alla fine del cognome, né lo sarà mai dopo Ecco tutte le traduzioni del titolo The Hound of the Baskervilles al cinema: Il cane di Baskerville (1914, 1915, 1921, 1929), Il mastino dei Baskerville (1939), La furia di Baskerville (1959) a volte riportato come “dei Baskerville”, Il mastino di Baskerville (1983), Il mastino dei Baskerville (1988), Sherlock Holmes – Il mastino di Baskerville (2000), Il mastino dei Baskerville (2002), I mastini di Baskerville (episodio della serie TV Sherlock, 2012).
    Insomma, 100 anni di film senza esse alla fine di Baskerville, tranne per il cagnaccio.

    E non si può neanche dire che venga dall’editoria: le uniche due edizioni con la “esse” nel titolo non erano assolutamente contemporanee al “cagnaccio”: La maledizione dei Baskervilles (1902-3, traduttore anonimo), Il mastino dei Baskervilles (ed. ridotta 1991, trad. di Raymond Sibley). Vorrei tanto sapere che scuse hanno Raymond Sibley e i distributori del “cagnaccio” per aver aggiunto quella esse.

    Degni di nota sono i titoli italiani di altri due film di Paul Morrissey, storico collaboratore di Andy Warhol: Flesh for Frankenstein arrivato in Italia come Il mostro è in tavola… Barone Frankenstein e Blood for Dracula distribuito da noi come Dracula cerca sangue di vergine e… morì di sete.

     

    L’adattamento italiano: niente da dichiarare

    Il film inizia con un errore chiaramente intenzionale, lo spelling errato di Baker Street italianizzato in Bacher Street.

    Baker street italianizzato in bacher street nella versione italiana di Il cagnaccio dei Baskervilles

     

    Mi direte: ma lo spelling errato/italianizzato di Baker Street non fa ridere! Concordo pienamente. Ma deridere chi sbaglia a scrivere una parola o commette un errore di grammatica (un qualcosa che viene automaticamente percepito come riflesso dell’ignoranza di chi si esprime) non è qualcosa di inedito nella commedia  in Italia, anzi! Con “Bacher Street” il film, diciamo, si prende in giro da solo, sapendo che il pubblico avrebbe notato l’errore e lo avrebbe trovato divertente, perché chi mai scriverebbe la famosa Baker street in quel modo? Così è spiegato il meccanismo di questa gag da poco.

    Ma potrebbe anche essere una scritta aggiunta a posteriori per la versione home video o per la televisione, in questo caso ci troveremmo davanti ad un caso di plateale ignoranza. Difficile saperlo senza il copione alla mano o la pellicola 35mm.

    Andando oltre, la prima battuta del film colloca subito i dialoghi negli anni ’70 quando Watson rivela alle suddette tre suore francesi che Sherlock Holmes “è prima di tutto un intellettuale, e non si sa mai bene cosa stia facendo un intellettuale.“. In originale ovviamente manca la parola “intellettuale” che andava tanto di moda nell’Italia degli anni ’70, Sherlock Holmes era semplicemente “a very busy man” (un uomo molto occupato), detto con il più ridicolo accento gallese che io abbia mai sentito. Tanto che inizialmente lo avevo scambiato per scozzese.

    Quando Sherlock Holmes cerca di ricordare a quale caso si riferiscano le tre suore francesi, cita “the engineer’s thumb” (in riferimento ad una storia di Conan Doyle “L’avventura del pollice dell’ingegnere”) che nel doppiaggio italiano diventa “Il caso della mano morta scomparsa alla fermata”, seguito poi da un ironico “caso del piede dell’atleta” (identico in originale). Disperati tentativi di rendere divertente un film non divertente. Giuro che le differenze degne di nota si fermano qui, nei primi tre minuti di film. Altro non ho trovato o forse la mia mente si è completamente spenta davanti a questo disastro di film.

    Curioso l’uso di parole inglesi (stranote) come ad esempio “please” al posto di “la prego” o “per favore”, è quasi un costante promemoria ma lo sappiamo benissimo che la storia si svolge in Gran Bretagna! Non c’era davvero bisogno di ribadirlo con queste intrusioni linguistiche.

     

    La scheda di doppiaggio di Il cagnaccio dei Baskervilles

    Dato che nessuno ha mai visto questo film, non mi sorprende la totale assenza di informazioni sul suo doppiaggio, quindi ecco una parziale scheda con i doppiatori stilata con l’aiuto del mio collaboratore Leo e Francesco Finarolli. E se volete contribuire al riconoscimento dei doppiatori, ho inserito nel primo commento in fondo a questo articolo una lista con il minutaggio di alcuni interpreti da verificare.


    Doppiatori

    Pino Locchi: Watson / Madre di Sherlock Holmes (Dudley Moore)
    Luciano De Ambrosis: Sherlock Holmes (Peter Cook)
    Maria Pia Di Meo: suora (Josephine Tewson)
    Sergio Fiorentini: Dottor Mortimer (Terry-Thomas)
    Glauco Onorato: Stapleton (Denholm Elliott)
    Gianni Marzocchi: Henry Baskerville (Kenneth Williams)
    Rosetta Calavetta: anziana signora alla seduta spiritica (???)
    Paila Pavese: receptionist sala massaggi (Penelope Keith)
    Arturo Dominici: Arthur Barrymore (Max Wall)
    Franca Dominici: Signora Barrymore (Irene Handl)
    Anna Miserocchi: Beryl Stapleton (Joan Greenwood)
    Alessandro Sperlì [???]: Signor Frankland (Hugh Griffith)
    Deddi Savagnone: Iris (Lucy Griffiths)
    Rita Savagnone [?]: Glynis (Prunella Scales)
    Vinicio Sofia: Perkins (Geoffrey Moon)
    Pietro Tiberi: Signor Spiggot (Dudley Moore) [stranamente non è la voce di Pino Locchi, forse non hanno notato che era sempre Dudley More ad interpretarlo?]

     

    Direttore di doppiaggio: [ignoto]

    Adattamento dialoghi: Giorgio Stegani Casorati

    Studio di doppiaggio: C.D.


    Un cast vocale anni ’70, tanto perfetto quanto sprecato. L’intero film è uno spreco di talenti, sia in lingua originale sia doppiato.

    Nel film Pino Locchi sfoggia la stessa voce buffa che dava anche al meccanico di Un maggiolino tutto matto, solo che qui la fa sul protagonista (Watson) per l’intera durata del film… e 85 minuti in compagnia di quella voce nasale in un film che non ha neanche una battuta divertente vi assicuro che possono dare sui nervi a chiunque. Tuttavia non affrettiamoci a puntare il dito! Pino Locchi fa solo il suo mestiere, difatti è l’attore stesso che in lingua originale parla con una voce scema, e Locchi ne fa semplicemente una perfetta imitazione. Insomma, il film nasce fastidioso e il doppiaggio italiano ne fa una “copia” fedele, per nostra sfortuna.

    L’autore dei dialoghi, il regista e sceneggiatore Giorgio Stegani Casorati, nello stesso decennio in cui si buttò sul genere erotico è stato anche dialoghista del film australiano Picnic a Hanging Rock (1975), di La montagna sacra (1973) di Jodorowsky e di un film praticamente introvabile in italiano, Pop Lemon (1978) di Boaz Davidson, che poi sarebbe stato rifatto dalla Cannon Films in America negli anni ’80 con il titolo L’ultima vergine americana (1982), e chi segue la mia serie su YouTube I videocommentatori lo conosce già.

    Il cagnaccio dei Baskervilles, scena del film, personaggio che fa l'occhiolino


    Dove vedere Il cagnaccio dei Baskerville?

    Premesso che nessuno dovrebbe mai vederlo, per anni è stato disponibile solo in VHS (edita dalla AvoFilm), dal 2018 Il cagnaccio arriva per la prima volta in DVD grazie alla sinistra Sinister Film ed è attualmente disponibile anche su Prime Video. Non che vi stia invitando a guardarlo, anzi. È un film insalvabile che se fosse rimasto disponibile soltanto in VHS nessuno lo avrebbe comunque reclamato in formati più moderni.

    Qui i primi 15 minuti, per i più coraggiosi.

  • Titoli SBALLATI! Film di ballo con titoli italiani completamente alterati

    Blog doppiaggi italioti presenta i qualcosa dance, film di ballo con titoli italiani completamente alterati

    La titolazione italiana dei film americani può essere molto ballerina, come abbiamo avuto modo di scoprire in questa mia storica rubrica “titoli italioti“. Spesso i distributori facevano leva su precedenti titoli di grande successo dello stesso genere per orientare o talvolta per gabbare il pubblico italiano (Balle spaziali 2 ce l’ho con te). Nel settembre 1983 arriva nelle sale italiane Flashdance in un’epoca in cui i film sul ballo andavano già alla grande. Dopo il suo grande successo, come è facile prevedere, la parola chiave per il resto del decennio sarebbe stata “DANCE” e i derivativi qualcosa-dance! Ma quanti di questi titoli… saranno famosi? [Dovevo farla questa battuta.]

    Flashdance e i “qualcosa-dance”: lista dei titoli alterati per il mercato italiano

    Ecco la lista dei film di ballo usciti in Italia successivamente a Flashdance, con il loro titolo italiano messo a confronto con il titolo originale. L’anno è quello di uscita nelle sale italiane e la fame di qualcosa-dance era tanta! Il primo e più lampante è CRAZY DANCE. Che in originale si chiama semplicemente… Sandy.

     

    Crazy Dance (titolo originale: Sandy, 1983)

    Locandina del film Crazy Dance del 1983, il titolo originale è Sandy

    Visto del 16 dicembre 1983, distribuzione CINEDAF. Film francese con interprete la cantante Sandy Stevenson. VM 14 “con il divieto della visione a minori degli anni quattordici per il turpiloquio di cui ridondano i dialoghi.“. Già solo per questo vorrei sapere cosa dicevano nell’adattamento italiano. Non penso di aver mai sentito di un divieto ai minori di 14 affibbiato per il solo turpiloquio!

    Immaginiamo di essere nell’anno 1983, Flashdance è già un successo conclamato e arriva questo film su una donna che canta e balla… ed è presto fatto: Crazy Dance. Ma perché “crazy”? Non c’è niente di “folle” nelle scene di questo film francese. Probabilmente voleva essere un richiamo alla parola “Maniac”, della famosa canzone della colonna sonora di Flashdance. Forse chiamarlo Maniac Dance era troppo “sgamato”.

    Locandina originale del film Sandy del 1983, con la foto della cantante sul palco

    La locandina originale di “Sandy” dà tutt’altra sensazione, ma è innegabile che gli artisti italiani fossero imbattibili in quanto a locandine cinematografiche in quei decenni. Delle vere e proprie opere d’arte pop.

     

    Breakdance (titolo originale: Breakin’, 1984)

    Locandina di Breakdance, film del 1984. Titolo originale: Breakin'

    La Cannon Film si butta a pesce sul genere del momento, incassando anche un discreto successo. “Breaking” è il verbo associato alla breakdance (traducibile con “fare/ballare la breakdance”), il titolo arriva in Italia più semplicemente (e sensatamente) come “Breakdance”, che è anche un bel richiamo alla formula qualcosa-dance iniziato da Flashdance. Si sono dovuti allontanare poco in questo caso. Del resto è la Cannon dei cugini Golan e Globus che per prima generava titoli “furbi”. Visto censura 13 luglio 1984.

     

    In punta di piedi – Street Dance (1984)

    Locandina di In punta di piedi - Street Dance, del 1984

    Il 20 luglio 1984 viene concesso il nullaosta al film italiano di Giampiero Mele “In punta di piedi“, ed è una mia teoria (basata sulla grafica della locandina) che il sottotitolo STREET DANCE sia stato aggiunto solo in un secondo momento, durante la post-produzione, dopo essersi assicurati l’uso della canzone Street Dance del gruppo Break Machine. Un’ottima occasione per inserire un qualcosa-dance da qualche parte e sfruttare la parola chiave del momento. In un programma di Paolo Pecora dell’epoca vengono mostrate clip del film, presumibilmente in anteprima. In queste il film viene chiamato semplicemente “In punta di piedi”, questo ad avvalorare la mia ipotesi che la dicitura “STREET DANCE” possa essere stata aggiunta soltanto nelle fasi finali. Compare nel poster e nei titoli di inizio del film.

    Titoli di inizio di In punta di piedi - street dance, registrati dal canale TV Iris

    E nonostante non sia un film importato dagli Stati Uniti, anche questo qualcosa-dance ce lo siamo portati a casa.

     

    Breakin’ – Electric Boogaloo (tit. originale: Breakin’ 2: Electric Boogaloo, 1985)

    Poster locandina di Breakin Electric Boogaloo

    8 marzo 1985, il seguito di Breakin’ arriva sul tavolo della censura italiana. Anche se il distributore è lo stesso, ignora volutamente che il primo film fosse intitolato Breakdance e sfrutta il titolo originale: Breakin’, rimuovendo quel “2”, spacciandolo a prima vista come un film totalmente slegato, almeno per lo spettatore più disattento. Quello che alla vista di un 2 potrebbe dire “ma io non ho visto il primo” e sceglierebbe di vedere altro in sala.

    Parlando del titolo, non posso non menzionare che in America, dopo l’immenso flop che fu questo film, la dicitura in rima “…two, electric boogaloo” divenne quasi da subito uno sfottò per i sequel pessimi. Allo stesso modo in Italia bastava aggiungere “la vendetta” ad un qualsiasi titolo per denigrare il seguito o anche la sola idea di un seguito. Nel nostro paese questo è accaduto grazie a due casi esemplari: Rambo 2 – La vendetta (1985) e Lo squalo 4 – La vendetta (1987). Dopo questi due film (e per tutti gli anni ’90 a seguire) è bastato aggiungere “la vendetta” ad un qualsiasi titolo per fare lo stesso sfottò di “electric boogaloo”. Era un meme dell’epoca, prima ancora che esistesse la parola “meme”.

     

    Scratch Dance (titolo originale: Heavenly Bodies, 1985)

    Locandina del film Scratch Dance, titolo originale Heavenly Bodies

    Il film canadese Heavenly Bodies (=corpi celestiali) dopo aver ottenuto il nullaosta il 30 marzo 1985 arriva nelle sale italiane distribuito da Medusa per poi scomparire PER SEMPRE! Nessuna uscita in VHS, nessun passaggio televisivo a me noto. Scomparso insieme al suo doppiaggio. “Spazzato via dalla furia di Dio” (cit.). Ne conservo una locandina originale (del grande illustratore Enzo Sciotti) e la voglia di ritrovarlo in pellicola 35mm perché casca tra i film bizzarri/divertenti con un doppiaggio perduto. Di nessun valore collezionistico, solo valore “trashistico”.

    Trama: tre donne lasciano il loro impiego per aprire una palestra di aerobica. Ma dopo aver sistemato il locale per la loro attività arriva un avviso di sfratto, è il capitalismo che vuole trasformare tutto in un centro commerciale (o qualcosa del genere) e in qualche modo c’entra una palestra avversaria. Una particolare sfida di aerobica con la palestra avversaria sarà l’unico modo per annullare lo sfratto (???) e chi sviene per ultimo in questa maratona di ballo si tiene l’edificio!

    Non penso serva altro per farvi desiderare la visione di questo film che purtroppo è difficile da recuperare persino in lingua originale! La scelta di intitolarlo “scratch dance” in italiano rimane a me oscura, ma capisco che per i distributori italiani fosse da inserire a tutti i costi nel filone del “qualcosa-dance” in quel momento molto in voga. Lo “scratch” è la tecnica di “graffiare” i dischi di vinile adottata dai DJ per generare suoni ritmici tipici del genere hip hop. Quindi il titolo farebbe ripensare ad una danza hip hop e alla breakdance. Ignoro però se sia mai esistito davvero il termine “scratch dance” del parlare comune del 1985. Anche perché nella (splendida) colonna sonora del film, non c’è una singola canzone hip hop.

    Il titolo tedesco forse rende più chiara questa bizzarra sfida di “ballo”: Himmlische Körper – Aerobic nonstop.

     

    Dance – Voglia di successo (titolo originale: Fast Forward, 1985)

    Dance - voglia di successo. Locandina italiana del film di Sidney Poitier

    Con il nullaosta del 1 agosto 1985 il film Fast Forward di Sidney Poitier viene distribuito nelle sale italiane dalla Columbia Pictures con il titolo Dance – Voglia di successo. Difficile non pensare al più celebre “Saranno famosi”(Fame) di soli cinque anni prima, il sottotitolo “voglia di successo” è concettualmente identico. Non a caso Mario Guidorizzi nella sua guida al cinema americano lo definisce “un Saranno famosi in tono più dimesso”. Paolo Mereghetti nel suo dizionario si esprime così: non si sa se saranno famosi. Di sicuro sono già visti e stravisti. La Stinkers Bad Movie Awards quell’anno lo candida come “film peggiore”, il primo premio tuttavia andò al produttore Irwin Winkler per il suo Revolution (1985) con Al Pacino.

    Questo film segna l’insorgere di un nuovo titolo, quello in cui basta anche solo la parola “dance” e così nella seconda metà degli anni ’80 ai titoli “qualcosa-dance” si aggiungono anche i “dance qualcosa”.

     

    Dance Academy (1987?)

    A proposito di film oscuri! Questa insospettabile produzione RAI del 1987 co-sceneggiata dai fratelli De Angelis (anche noti in campo musicale come Oliver Onions) ottiene il visto censura il 9 ottobre 1987 con il titolo “Dance Academy” e titolo alternativo: “Dance Academy (Scuola di ballo)“. Dunque nel 1987 è pronto per la distribuzione, ma la dicitura “anno edizione 1988” unita all’irreperibilità di una qualsiasi locandina cinematografica e a una documentata VHS RCA Columbia praticamente introvabile mi fanno sospettare che questo film sia andato poco lontano in Italia. Al momento è visionabile su YouTube in lingua inglese, in qualità VHS. Un suo titolo alternativo per l’estero è Body Beat.

    Nel 1989 lo stesso regista (Ted Mather) realizza un seguito inedito in Italia, Dance to Win, prodotto dai De Angelis. Prima di sparire dalla faccia della Terra, Ted Mather dirigerà anche un altro film di ballo, sempre prodotto dai De Angelis, Faith (1990), anche questo inedito in Italia.

     

    Dance Party (The In Crowd, 1988)

    Locandina italiana del film Dance Party del 1988

    Trama: Nel 1965 per i giovani di Philadelphia la massima aspirazione è entrare a far parte del gruppo di danzatori che Perry Parker addestra, guida e presenta in televisione.

    Il titolo italiano Dance Party (titolo originale: The In Crowd) è un’invenzione per alcuni mercati esteri (Italia, Brasile, Grecia, Spagna, Germania). La parola “in” del titolo originale è stata certamente scelta pescando dai colloquialismi nati dai giovani degli anni ’60 e lo stesso si può dire della parola “party” del titolo italiano (ricordate Hollywood Party del 1968?), a patto però di sapere a priori che il film è ambientato in quegli anni, altrimenti è facile che il titolo Dance Party possa “scomparire” tra i tanti titoli dance-qualcosa o qualcosa-dance che hanno riempito le sale italiane per un decennio.

    Esiste in VHS e in qualche sito illegale è addirittura acquistabile anche in DVD (non ufficiale), ma se lo acquistate fate piangere mamma SIAE.

     

    L’originale Erotic Dance (Lambada, 1990)

    L’unica immagine esistente. Sì, quella in locandina è Jan di The Office

    Dopo il “divorzio” dei due cugini fondatori della Cannon Film, Golan e Globus, in una mossa poco lungimirante e per niente infantile, decidono di competere l’uno contro l’altro nella produzione di due film di ballo che sfruttassero il successo della canzone “Lambada” dei Keoma del 1989. Yoran Globus produrrà il film intitolato Lambada, che però non aveva i diritti di usare la canzone Lambada, mentre il cugino Menahem Golan produrrà e farà uscire in contemporanea The Forbidden Dance che invece aveva la ambita canzone ‘Lambada’ nella colonna sonora ma non il diritto di usare la parola ‘Lambada’ nel titolo del film. Problema ovviato da un comico adesivo riportante un avviso di questo tipo: “con la veramente vera canzone dei Kaoma”.
    Entrambi i film andarono malissimo al botteghino.

    L’arrivo di Lambada in Italia si fa inutilmente complicato.

    Il film Lambada prodotto da Globus arriva in Italia (visto censura 30 marzo 1990) con un titolo che forse un giorno qualcuno ci spiegherà: L’originale Erotic Dance. Di questo esistono solo le locandine cinematografiche perché successivamente la versione italiana sembra sparire dalla faccia della Terra. A complicare le cose, in anni più recenti ci si mettono anche i siti web che lo riportano un po’ ovunque con un titolo alternativo: Il ballo proibito. Questo non può che generare confusione nell’utente che cerca informazioni sui due film, visto che The Forbidden Dance prodotto da Golan è arrivato nelle sale italiane e in VHS come… Il ballo proibito.

    Locandina del film Il ballo proibito, del 1990

    Vi fa male la testa? Lo capisco. Che io sappia, Lambada prodotto da Globus non si è MAI chiamato Il ballo proibito. È solo un errore propagatosi ai tempi di internet che sarà partito da un singolo utente comprensibilmente confuso dai due film usciti in contemporanea sullo stesso tema.

    Voglio aggiungere ulteriore confusione avvisando che questi film non sono da confondere poi né con Salsa (1988), prodotto quando ancora i cugini lavoravano insieme sotto il marchio Cannon Films, né con Lambada (1990) di Giandomenico Curi, con visto censura datato 22 marzo 1990, quindi precedente a quelli di Golan e di Globus. Il sospetto è che “L’originale Erotic Dance” abbia questo titolo italiano proprio perché Giandomenico Curi gli aveva “soffiato” il titolo “Lambada” neanche 8 giorni prima. Il che sarebbe una specie di giustizia poetica visto il modo di lavorare dei cugini Golan-Globus.

    Ma la scelta del titolo “ballo proibito” c’entra qualcosa con Dirty Dancing – Balli proibiti del 1987? Di sicuro ha aiutato il fatto che già in originale ci fosse la parola “forbidden” (proibito) nel titolo, questa coincidenza deve aver dato ai distributori italiani una sorta di lasciapassare morale. “È come se fosse una licenza di rubareè la licenza di fare qualsiasi cosa”. Se avete capito la mia sottile citazione da Quei bravi ragazzi siete miei amici.

    Tra i film pornografici di quello stesso anno, menziono Lambada bestiale (visto censura giugno 1990). Decisamente un anno caldo per la lambada.

     

    Combat Dance – A colpi di musica (Rooftops, 1990)

    Combat Dance - A colpi di musica

    Dopo 10 anni dal primo film di Star Trek (1979), il regista di West Side Story, Robert Wise, torna alla regia con Rooftops (1989), film presumibilmente danzereccio su gang di New York che si sfidano a colpi di ballo (dai tetti? Per questo si chiama rooftops? Boh). Rooftops arriva in Italia un anno dopo (visto censura del 3 giugno 1990, uscito al cinema l’11 agosto), ottenendo lo stesso successo che aveva avuto in patria. Nessuno.

    La Cecchigori lo distribuisce con il titolo “qualcosa-dancesco” di Combat Dance – A colpi di musica. Il ballo da combattimento a cui si riferisce il titolo italiano è il capoeira brasiliano, quindi più che ballare in questo film se menano. Il blog amico Il Zinefilo di Lucius Etruscus, nell’articolo Combat Dance (1989) Amore e capoeira, lo definisce “la prima ed unica vera storia che parla davvero di amore e capoeira.” ma anche “una noia mortale”. E se lo dice l’esperto di film di serie Z, vi dovete spaventare. Come documentato da Lucius, la storia home video di Combat dance inizia al cinema e termina in VHS, che comunque è molto più di quanto abbiano avuto altri film di questa lista.

    Lucius, ti rubo la schermata del titolo italiano, per cultura!

    Andatevi a leggere l’articolo di Lucius sull’unico film di amore e capoeira.

     

    Sesso supersexy in Fleshdance (Fleshdance, 1990)

    Locandina del film pornografico Sesso Supersexy in Fleshdance

    Devo chiudere con un film per adulti quindi mandate a letto i bambini. Sto parlando di Fleshdance, un film porno del 1985 arrivato in Italia nel 1990. A chi ha familiarità con la lingua inglese non sfuggirà l’ironia di essere stato distribuito dalla D.I.C. (si pronuncia esattamente come dick, “cazzo” in inglese). Non posso esimermi dallo spiegare che la parola “flesh”, cioè “carne”, è sempre stata associata ai titoli pornografici di lingua inglese. Quelle piccole storpiature comiche che esistono sicuramente in tutte le lingue (“casalinga – casalinGUE!” cit.). Il titolo più famoso tra questi flash trasformati in flesh è sicuramente Flesh Gordon – Andata e ritorno… dal pianeta porno, ma qui divaghiamo. In Italia arriva con il comico scioglilingua Sesso Supersexy in Fleshdance di cui mi sfugge un po’ il senso ma forse non doveva averne. Di sicuro la sua forza sta nelle allitterazioni.

    La locandina di Sesso Supersexy in Fleshdance (tre secondi di orologio per dirlo per intero) l’ho trovata in un servizio giornalistico su uno dei pochi cinema pornografici ancora esistenti. Reliquie non facili da trovare evidentemente.


    Con gli anni 90 finisce la mania dei titoli qualcosa-dance. Sarebbero ritornati copiosi negli anni 2000, ma solo perché il genere è tornato di moda (almeno per i più giovani) in un’epoca in cui non si traducono più i titoli, quindi una qualsiasi “qualcosa dance” originale rimarrebbe tale e quale in italiano.

    I qualcosa-dance omessi

    I titoli volutamente ignorati quando ho stilato questa lista sono: Dance Music (1984) di Vittorio De Sisti, i documentaristici Dance Craze (1981) e Dance Factory (1982); poi ho ignorato Slamdance – Il delitto di mezzanotte (1987) che, come suggerisce il sottotitolo, è un thriller e non un film “di ballo” (titolo originale: Slam Dance); Boogie Dance (1988) perché il titolo originale è identico, sebbene in italiano si aggiunga un secondo titolo “Nome di una figura”. Square Dance – Ritorno a casa (1988) è un altro qualcosa-dance che però non casca nel filone di ballo, si tratta invece di un drammatico-sentimentale con Winona Ryder, parla di una ragazza di campagna e dei suoi problemi ad adattarsi alla vita in città. Lo “Square dance” del titolo originale (e di quello italiano) non è altro che la quadriglia, ballo adorato dai campagnoli americani di origine europea.

    Abbiamo finito.

    Scena di flashdance con il gabibbo che dice splash

  • Indiana Jones e l’ultima crociata… questo doppiaggio dovrebbe stare in un museo!

    Locandina italiana di Indiana Jones e l'ultima crociata

    Per Indiana Jones quella del 1989 sarà stata anche l’ultima crociata, ma per me è stata la prima introduzione alla trilogia e il primo film posseduto in VHS (alla modica cifra di 49,900 lire dei primi anni ’90, facciamo come se fossero 50 euro oggi) ed è uno di quei film imparati ovviamente a memoria – battute, modo di recitare, voci, tutto! – così come successe pochi anni dopo con un altro film di Spielberg, Jurassic Park (di cui ho già parlato). L’adattamento e il doppiaggio di Indiana Jones e l’ultima crociata giocano nello stesso campionato di film come Jurassic Park e Batman (sempre del 1989), anche questo già approfondito da queste parti con grande apprezzamento degli addetti ai lavori. Riscoprire il terzo Indiana Jones oggi, dopo più di un decennio, ora che tra l’altro lavoro come dialoghista insieme ad alcuni dei protagonisti di questo stesso film (!), mi ha fatto riscoprire un doppiaggio che, senza esagerazioni, “dovrebbe stare in un museo“. E non lo dico per nostalgia, è un dato di fatto, doppiaggi così non si fanno più. Non perché oggi non ci siano doppiatori capaci, semplicemente non viene dato loro lo stesso tempo di lavorazione di 30 anni fa. Questa infatti è una delle rivendicazioni del recente sciopero dei doppiatori che dovrebbe interessare chiunque guardi film doppiati, soprattutto coloro che dicono “non ci sono più i doppiaggi di una volta”.

    L’adattamento italiano di Indiana Jones e l’ultima crociata

    Nel 1989 c’era ancora modo di lavorare come si deve e il terzo capitolo di Indiana Jones ne è l’ennesima riprova. Anche il suo adattamento è così ben fatto da rimanere invisibile ai più. Gli adattamenti buoni, come ho sempre detto su questo blog, restano invisibili. Sono l’ultima cosa che il pubblico nota e sono l’ultima cosa dovrebbe notare. Chi conosce questo film potrebbe non aver mai neanche pensato a Indiana Jones e l’ultima crociata come esempio di alcunché se non di un ottimo capitolo finale di un’amata trilogia scritto in modo brillante, tanto che per alcuni fan è diventato il capitolo preferito. Quanti terzi film di una trilogia possono dire lo stesso? Ebbene il copione italiano e la recitazione accompagnano alla perfezione la brillantezza del film.

    Le battute memorabili si sprecano, ma qui approfondirò invece alcune delle curiosità sull’adattamento italiano che ho notato in questa recente rivisitazione. Tra queste, anche qualche svista ed errori che rimangono comunque marginali, perché quando abbiamo tra le mani la perfezione si può solo guardare al pelo nell’uovo. E in questo terzo Indiana Jones pure i peli sono buoni.

    Il “mi arrangerò” di Indiana Jones (ricorrente solo in italiano)

    L’intero prologo del film ruota intorno ad un Indiana Jones adolescente – interpretato dal compianto River Phoenix – che durante un’escursione con gli scout nel deserto dello Utah incappa in uno scavo illecito di un gruppo di tombaroli e tenta di impedire il furto di un prezioso artefatto, la croce di Coronado (inventata per il film). Gli sceneggiatori qui si divertono con la premessa di un giovane Indiana Jones, e fanno divertire anche i fan creando una serie di situazioni che spiegano come Indiana Jones sia diventato l’eroe che conosciamo dai precedenti due film: la caduta in un contenitore pieno di serpenti che dà origine alla sua ofidiofobia, il primo uso maldestro della frusta che porta alla ferita sul mento, l’abbigliamento di uno dei tombaroli (quello chiamato Garth o “Fedora”) che fa da prototipo per l’abbigliamento di Indiana Jones adulto, incluso il cappello di feltro che Indy riceve come premio di consolazione. Oggi questa cosa viene chiamata “origin story” ed è uno stratagemma narrativo abusatissimo di tanti “prequel” non richiesti, ma per l’epoca era ancora innovativo e con un precedente affine di pochi anni prima: il film Piramide di paura (Young Sherlock Holmes, 1985), che in maniera simile inventava un’apocrifa storia delle origini di Sherlock Holmes (autorizzata dai discendenti di Arthur Conan Doyle). Anche quel film è stato prodotto da Steven Spielberg e non credo che sia un caso.

    Nella mini-storia delle origini con cui apre Indiana Jones e l’ultima crociata abbiamo una battuta che è un rimando a I predatori dell’arca perduta, ma è un rimando solo nella versione italiana. Viene fuori quando il giovane Indy dà istruzioni al compagno scout, Herman, di tornare in città ad avvertire lo sceriffo:

    Herman: Tu cosa pensi di fare?
    Indy: Non lo so, ma mi arrangerò.

    Scena da Indiana Jones e l'ultima crociata, Indy dice: in qualche modo mi arrangerò

    Il rimando è al dialogo tra Sallah e Indy nei I predatori dell’arca perduta:

    Indy: Io inseguo quel camion.
    Sallah. Come?
    Indy: Non lo so, in qualche modo mi arrangerò.

    Ma come accennavo, è un rimando solo nel copione italiano, perché le due frasi in lingua originale sono diverse:

    Herman: What are you gonna do?
    Indy: I don’t know, I’ll think of something.
    (Indiana Jones e l’ultima crociata, 1989)

    Sallah: How?
    Indy: I don’t know, I’m making this up as I go.
    (I predatori dell’arca perduta, 1981)

    Scena da I predatori dell'arca perduta in cui Indiana Jones dice: mi arrangerò

    I predatori dell’arca perduta (1981)

    Non ci è dato sapere se la battuta nel terzo Indiana Jones sia un omaggio intenzionale al primo film oppure la semplice coincidenza di due frasi differenti che in fase di adattamento sono state tradotte con la stessa espressione italiana da dialoghisti diversi (Alberto Piferi nei Predatori, Roberto Rizzi nell’Ultima crociata). Ma certamente fa piacere constatare che in italiano questa battuta richiami il primo film più di quanto non faccia in lingua originale. Chi lo ha visto sempre in italiano potrebbe non aver mai notato che in origine non si trattava della stessa battuta, o magari questo rimando al primo film (voluto o no) è sfuggito completamente. Essere appassionato della trilogia di Indiana Jones in aggiunta all’essere esperto di adattamenti qui aiuta molto.

    Il “son of a…” rimasto in inglese

    Sembra che in italiano manchi una piccola battuta nel prologo del film e non se n’è mai accorto nessuno, bisogna avere l’orecchio per la lingua inglese per farci caso. La scena è quella del giovane Indiana Jones che, a bordo di un treno del circo, fugge dai tombaroli. Arrivato all’ultimo vagone, quello con l’insegna “Magic” (“Magico!”, cit.). Indy si nasconde nel baule da illusionista e quando il personaggio di Garth (doppiato da Marco Mete) si avvicina intimando a Indiana Jones di venir fuori, il baule si smonta rivelandosi vuoto. Indy in qualche modo è sfuggito. È qui che Garth esclama: “Son of a…!” (cioè “figlio di…!”). E questo “son of a…” lo sentiamo anche nella traccia italiana.

    Scena da Indiana Jones e l'ultima crociata. Garth doppiato da Marco Mete. Nel doppiaggio italiano rimane l'espressione inglese "son of a" non doppiata.

    “Son of a…!”

    Si tratta per caso dell’ennesimo caso di frammento audio perso in una riedizione moderna del film? Del resto, abbiamo già trovato casi simili in film altrettanto famosi come Batman, Dracula di Bram Stoker, Terminator…, tutti film che in DVD e Blu-Ray si perdono dei pezzi di audio del doppiaggio italiano, quindi non sarebbe una sorpresa. Avendo visto L’ultima crociata nella sua versione più recente, l’edizione 4k, sono andato a verificare la stessa scena sulla piattaforma di streaming Disney+ trovando anche lì lo stesso “son of a…” nella traccia italiana. Sono poi passato alla prima edizione DVD, e anche lì la battuta rimane in inglese. Per completezza ho tirato fuori la mia VHS da 49,900 lire – solitamente l’ultimo formato ad avere l’audio cinematografico inalterato – e anche in VHS ho sentito il “son of a…!”. Era mia ipotesi che la battuta fosse semplicemente sfuggita a chi ha trascritto i dialoghi in inglese e che di conseguenza fosse sfuggita anche al dialoghista, scambiata per una reazione di rabbia (per gli addetti ai lavori: un “verso”).

    Ma si tratta davvero di una battuta che non è mai stata doppiata? L’amico Andrea Ciaffaroni — che ha accesso ad una copia del copione italiano destinato ai doppiatori — conferma la presenza della battuta “Figlio di puttana!”. Quindi è molto probabile che sia stata doppiata e che al cinema questa battuta fosse presente. Non è chiaro perché sia andata perduta già ai tempi della prima VHS. Ad oggi non è presente in alcuna edizione home video e si tratta a tutti gli effetti di un pezzo di doppiaggio perduto per sempre che potrà essere ritrovato soltanto recuperando la pellicola 35mm.

    Una mancanza che non ha portato alcun danno, visto che finora nessuno aveva mai notato questa battuta lasciata in inglese, scambiata probabilmente per verso di stizza dallo spettatore italiano. Ma adesso che sapete cosa sentire ce lo sentirete anche voi.

    “Allora, piccolo, esci dal baule, avanti! Son of a…”

    Dal labiale si può anche notare che sul set l’attore aveva esclamato “son of a bitch!” per intero. Ma in fase di missaggio audio hanno coperto con la musica quel “buona donna” finale. 😉
    Un grazie ad Andrea che nei commenti a questo articolo ha gettato un po’ di luce sui dietro le quinte e su questo buco audio.

    Doctor Jones diventa Professor Jones

    Si può notare in questo terzo capitolo una scelta deliberata del dialoghista di tradurre sempre “Doctor Jones” come “Professor Jones”, mentre in tutti i precedenti film era sempre stato “dottor Jones”. Per quanto accurato (di fatto Indiana Jones è un professore di archeologia), mi sfugge la logica di questa scelta. Ho pensato inizialmente che potesse essere dettata dell’esigenza di non rovinare la sorpresa del “professor Schneider” (“doctor Schneider” in inglese) che si rivela poi essere una donna, perché avrebbe dovuto chiamarsi “dottoressa” e non “dottore”, ma non potremmo dire lo stesso di “professor”? Questa non può essere la spiegazione. Dunque posso solo arrivare alla conclusione che la scelta di cambiare dottore con professore sia una preferenza personale del dialoghista.

    Questo cambio da “doctor” a “professore” però porta a far scomparire in italiano la piccolissima battuta che Donovan fa all’ufficiale delle S.S. in riferimento alla professoressa Schneider: “Always do what the doctor orders.“, che in inglese suona come un invito a seguire “gli ordini del dottore”, quindi come si dice per le indicazioni di un medico (es. nelle frasi tipiche come “non te l’ha mica ordinato il dottore…”). Nel doppiaggio italiano diventa “Faccia sempre quello che ordina il professore.“, quindi una traduzione che non tiene conto di questo doppio senso ironico, perché avendo sostituito tutti i “doctor” con “professore”, la battuta in questione non può funzionare allo stesso modo.

     

    “Sto sorvegliando il tavolo”, una svista nella traduzione

    Tutti gli scambi di battute tra Indiana Jones e il padre, Henry Jones (Sean Connery doppiato da Pino Locchi), sono spassosi in entrambe le lingue, con alcune frasi di Sean Connery recitate in modo più divertente in italiano ed altre che restano più divertenti in inglese, e per questo vi esorto almeno una volta a guardarlo anche in lingua originale. Tra le mie preferite c’è quel “Magnifico!” di Pino Locchi su Henry Jones quando Indy dice al padre di usare l’accendino per bruciare le corde con cui sono stati legati alla sedia nel castello di Brunwald.

    Sean Connery in Indiana Jones e l'ultima crociata che sorride e dice "magnifico".

    “Magnifico!”

    Questo è l’inizio di una delle sequenze più comiche del film, in cui la totale inadeguatezza del padre di Indy per qualsiasi impresa avventurosa porta alla caduta dell’accendino, all’incendio del tappeto e poi dell’intero salone. Quindi complicando ulteriormente situazioni già critiche.
    La scena è resa comica dalla reazione diametralmente opposta dei due personaggi: il padre che con estrema calma esclama: “Devo dirti una cosa. Il pavimento brucia. Vedi? E anche la sedia.” e la reazione di immediato panico di Indiana “Moviti! Muoviti! Forza!“.

    Indiana Jones e suo padre legati a una sedia mentre la sala del castello brucia intorno a loro.

    È qui che Henry Jones, guardando l’incendio che si propaga, aggiunge:

    Sto sorvegliando il tavolo.

    Frase che ho sempre trovato comica ma un po’ inspiegabile, o almeno, lo è stata fino all’uscita di Indiana Jones in DVD nel 2003, quando finalmente ebbi modo di vederlo in inglese per la prima volta. Nessuno ne ha mai parlato prima d’ora quindi lo faccio io. La frase originale è:

    It’s scorching the table.

    Letteralmente “(il fuoco) sta bruciando il tavolo”, ma nel contesto di questa scena potrebbe essere tradotto semplicemente come “sta arrivando al tavolo”. Allora perché è diventato “sto sorvegliando il tavolo”? È una modifica strana in un copione che per il resto viene adattato sempre alla perfezione. La mia spiegazione (inedita) è che sia dovuto ad un errore di trascrizione, a monte del processo di adattamento in italiano. Nella scena in lingua originale infatti, per via dei tanti rumori e della musica, potrebbe sembrare che Henry Jones dica effettivamente: I’m watching the table, che per l’appunto si traduce molto bene con “sto sorvegliando il tavolo”. Questa svista in fase di trascrizione dei dialoghi originali (di solito fatta da persone che hanno questo specifico incarico, e non dal dialoghista) ha plausibilmente portato a quel “sto sorvegliando il tavolo”.

    Un errore che però regala una battuta in più nel copione italiano. È una battuta comunque fedele al personaggio del padre impacciato che sentendosi impotente davanti all’incendio da lui stesso creato risponde all’esortazione a muoversi con un “sto sorvegliando il tavolo”, come a dire “anche io sto facendo qualcosa” e giustificare il perché non si muovesse celermente. Così almeno ho sempre interpretato questa battuta che rimane tra le mie preferite in italiano, anche se completamente inventata a derivante da un (umanissimo) errore di ascolto.

    Ancora una volta potreste chiedermi: ma ai dialoghisti non viene fornito il copione originale? Ce lo eravamo già chiesti per uno dei seguiti di Halloween dove il “festival di Samhain” diventava “la festa di Lussawan” e la risposta che vi posso dare è sempre la stessa: magari ci fornissero i copioni originali! Da dialoghista confermo che non è mai il caso. Non lo è adesso come non lo era nel 1989. Piuttosto ci sono delle figure “intermedie”, diciamo così, che trascrivono le battute sentite nel film e ricreano il copione in inglese che poi qualcun altro (il dialoghista) adatterà in italiano. Capite dunque che, per quanto sia raro che sviste simili arrivino fino all’adattamento, l’errore umano è sempre dietro l’angolo, soprattutto in scene molto rumorose. E può succedere che il dialoghista si fidi un po’ troppo dell’orecchio di chi ha trascritto i dialoghi originali. Ed è così che un fuoco che “sta arrivando al tavolo” diventa un “sto sorvegliando il tavolo”. Se non ve le racconto io queste cose…

    Sean Connery durante la scena dell'incendio in Indiana Jones e l'ultima crociata

    “Aaaand the chair!” (battuta da ascoltare in inglese)

    “Ehi, torna indietro!”

    Durante il prologo c’è una frase urlata a pieni polmoni da Vittorio Stagni, il doppiatore del giovane tombarolo chiamato Roscoe che grida: “Ehi, torna indietro!” (Hey, come back here!). In quel momento però né Roscoe né nessun altro dei tombaroli apre bocca.

    Tombaroli in Indiana Jones e l'ultima crociata

    I tombaroli chiamati: ‘Half Breed’, Garth alias ‘Fedora’ e Roscoe

    E questi sono problemi che emergono soltanto ad una visione in alta definizione UltraHD perché chi cavolo l’ha mai vista la bocca di personaggi ripresi così da lontano in VHS o in DVD?!? Ma neanche in sala nel 1989 godevano della definizione che oggi possiamo avere in tutta comodità nel nostro salotto di casa. Anche in inglese quella battuta è aggiunta fuori campo, ma non si nota perché casca proprio su un cambio di inquadratura. In italiano invece arriva molto prima, rendendo questa aggiunta posticcia ancora più palese, ma solo oggi, in 4k e più di 30 anni dopo!

    “Più vicini di così, si muore!”

    Scena da Indiana Jones e l'ultima crociata aeroplano nazista che spara all'auto con Indy e il padre

    Un altro di quei momenti che non possono non strappare una risata, soprattutto nella versione italiana, arriva durante la fuga dei due Jones, padre e figlio, a bordo di un’auto mentre due caccia della Luftwaffe cercano di sforacchiarli. Dopo lo scambio di battute “Tutto ciò è intollerabile!” / “E anche molto vicino!“, uno dei caccia all’inseguimento finisce per imboccare un tunnel insieme all’auto, diventando così un bolide in fiamme che sorpassa l’auto a pochi centimetri di distanza per poi esplodere poco dopo.

    Sequenza dell'aeroplano nella galleria in Indiana Jones e l'ultima crociata

    Scampato questo pericolo, Henry Jones ride dicendo “well, they don’t come any closer than that!” (essenzialmente un “più vicini di così è impossibile”), adattata alle perfezione con “più vicini di così, si muore!“. Quasi in risposta a questa battuta, l’altro caccia di cui ci eravamo temporaneamente dimenticati sgancia una bomba che emette il classico fischio da cartone animato ed esplode sulla strada davanti a loro, aprendo una voragine in cui si schianta l’auto dei due Jones.

    Più vicini di così si muore, una battuta dai dialoghi dell'adattamento italiano di Indiana Jones e l'ultima crociata

    Originale: Well, they don’t come any closer than that!
    Doppiaggio: Più vicini di così, si muore!

    Scena della bomba sganciata sull'automobile in Indiana Jones e l'ultima crociata

    E quanto è familiare in italiano questa espressione che, seguita dal comico sgancio della bomba, rende quel “si muore” (assente nell’espressione inglese) ancora più comico. Motivo per cui funziona molto meglio in italiano. È simpatica in inglese, divertente in italiano.

    E carro tanke! / Ah, bitte!” – Adattare anche l’impossibile… con stile

    Sultano di Hatay nel film Indiana Jones e l'ultima crociata

    Sultano: …desert vehicles and tanks!
    Donovan: You’re welcome.

    Sultano: …veicolo di deserto e carro tanke!
    Donovan: Ah, bitte!

    In cambio di un’automobile di lusso, il sultano della Repubblica di Hatay offre ai nazisti provviste, rifornimenti, auto e addirittura un carro armato. In inglese Donovan lo prende un po’ in giro con un “you’re welcome” (ovvero “prego” in inglese) in risposta a quel “tanks“, cioè carro armato detto con una esse di troppo di una pronuncia imperfetta che lo fa sembrare “thanks” (=grazie). È una risposta scema come tutte quelle di Donovan, ma fa capire il personaggio e in italiano è stata adattata, perché ovviamente non avrebbe avuto senso sentire “prego” in risposta a “carro armato”.

    Quindi hanno lasciato la parola “tank” con l’aggiunta di una “e” finale per renderlo simile al “danke” (grazie) tedesco – e hanno usato “bitte!” (prego) come risposta per far capire la battuta. Ci ricorda e sottolinea inconsciamente che l’americano Donovan è un collaborazionista dei nazisti. Alla fin fine, in entrambe le lingue risponde con un “prego” preservando la battuta. Per chi fa questo mestiere, queste gag basate sulla lingua sono delle trappole mortali e il dialoghista qui se l’è cavata nel migliore dei modi e con stile. La bravura dei dialoghisti sta anche nel farsi venire in mente questo genere di soluzioni.

    “Dovrebbe stare in un museo!”

    Quanti terzi film di una serie possono dire di aver generato frasi che rimarranno nella cultura popolare per sempre? Indy dice “dovrebbe stare in un museo” (it belongs in a museum) per la prima volta solo nell’Ultima crociata. Eppure è tra le frasi più memorabili quando si ripensa al personaggio. Chi conosce il film a memoria come me, sa anche la risposta che segue:

    il personaggio chiamato Panama, da Indiana Jones e l'ultima crociata

    E così lei!!!

    E così lei!” risponde l’odioso personaggio chiamato “Panama”, doppiato da un bellissimo Sandro Sardone. Pochi istanti dopo urlerà comicamente “uaargh!” quando viene menato da Indiana Jones [nota: l’urlo che sentiamo in italiano è quello dell’attore in lingua originale, ma la sua voce è identica a Sandro Sardone che infatti è perfetto su quel ruolo ]. Questo film regala gioie anche nelle piccole cose.

    Ma bando alle ciance, ché di citazioni da questo film si potrebbe scrivere un intero articolo. Veniamo alla scheda di doppiaggio e concludiamo questa esplorazione nelle curiosità dell’adattamento italiano di Indiana Jones e l’ultima crociata.

    Scheda di doppiaggio di Indiana Jones e l’ultima crociata

    Direttore di doppiaggio: Manlio De Angelis

    Dialoghista: Roberto Rizzi

    Studio di doppiaggio: C.D.C.

    Supervisione all’edizione italiana: Claudia Gvirtzman Dichter

    Il cast di doppiatori

    Michele Gammino: Henry Jones Jr. alias Indiana Jones (Harrison Ford)
    Pino Locchi: Henry Jones (Sean Connery)
    Sergio Tedesco: Marcus Brody (Denholm Elliot)
    Fabio Boccanera: Indiana Jones da giovane (River Phoenix)
    Isabella Pasanisi: Elsa Schneider (Alison Doody)
    Renato Mori: Sallah (John Rhys-Davies)
    Cesare Barbetti: Walter Donovan (Julian Glover)
    Francesco Vairano: Colonnello Vogel (Michael Byrne)
    Nino Prester: Kazim (Kevork Malikyam)
    Giorgio Piazza: il cavaliere del Graal (Robert Eddison)
    Marco Mete: Garth alias ‘Fedora’ (Richard Young)
    Vittorio Stagni: Roscoe (Bradley Gregg)
    Franco Chillemi: Sultano di Hatay (Alexei Sayle)
    Max Turilli: Ufficiale delle SS (Luke Hanson)
    Sandro Sardone: “Panama” (Paul Maxwell / Tim Hiser)
    Cristina Boraschi: Irene (Julie Eccles)
    Lucio Saccone: Signor Havelock (Larry Sanders)
    Claudio Fattoretto: “Half-breed” (Jeff O’Haco)
    Vittorio De Angelis: agente tedesco a Iskenderun (Wayne Michaels)

    Titoli di coda di Indiana Jones e l'ultima crociata con la scheda di doppiaggio. Dialoghi di Roberto Rizzi, doppiaggio eseguito presso la International Recording, direttore del doppiaggio Manlio De Angelis e la lista dei doppiatori è identica a quella pubblicata sul sito antoniogenna.net

    La scheda di doppiaggio dei titoli di coda di Indiana Jones e l’ultima crociata. Dalla mia copia VHS.

    Alcune note sui doppiatori

    Rispetto ai predatori dell’arca perduta è da notare il cambio di “Sergio” su Marcus Brody, da Sergio Rossi che lo doppiava nei Predatori a Sergio Tedesco nell’Ultima crociata. Ritorna invece Renato Mori su Sallah, un abbinamento che rimarrà indiscusso anche decenni dopo, con il nano Gimli nel Signore degli Anelli e praticamente fino alla scomparsa di Mori. Ovviamente torna Michele Gammino su Harrison Ford, dopo quella parentesi di Indiana Jones e il tempio maledetto in cui era doppiato da Luigi La Monica e che dopo cinque capitoli possiamo dire essere stata l’anomalia della serie. Ma questo lo potevamo dire già al terzo capitolo. Il pubblico italiano associa Harrison Ford alla voce di Michele Gammino, difficile negarlo. Con tutto il rispetto per Luigi La Monica, che secondo me ha fatto comunque un ottimo lavoro sul Tempio maledetto, l’abbinamento Ford-Gammino è una di quelle combinazioni riuscitissime nel mondo del doppiaggio italiano che viene da domandarsi: perché pensare di cambiarlo?
    Ultima nota curiosa: Vittorio Stagni (voce di Lord Casco in Balle spaziali, Dennis Nedry in Jurassic Park, etc) all’età di 52 anni doppia il tombarolo adolescente Roscoe, interpretato da un attore 23enne. Quell’uomo poteva tutto.

    In conclusione

    I fan più arditi dei Predatori dell’arca perduta forse non hanno mai amato la svolta “comica” dei seguiti di Indiana Jones, in particolare di questo terzo capitolo che trasforma Marcus in un buffone che si perde nel suo stesso museo. È anche il capitolo che dà a Indy il nome di un cane, non dimentichiamolo. La locandina stessa avrà fatto storcere qualche naso all’epoca con quello slogan “questa volta si porta papà” [perfetta traduzione di This time, he’s bringing his Dad], ma non si può negare che questo film sia puro divertimento dall’inizio alla fine. Ed è divertimento voluto, a differenza delle cose imbarazzanti che sarebbero arrivate 20 anni dopo e che fanno ridere non intenzionalmente. Che sia del tutto intenzionale lo sa Spielberg, che mette in scena una perfetta “buddy comedy” con due personaggi agli antipodi come l’avventuriero Indy e il padre-topo di biblioteca, lo sa lo sceneggiatore che scrive loro le battute – una più memorabile dell’altra – e lo sa persino l’effettista dei suoni, che in questo film monta più volte effetti sonori presi dai cartoni animati (e forse non ci avevate neanche mai fatto caso).

    In questa armonia di intenzioni, che oggigiorno sembra essere diventata dannatamente impossibile da ottenere dai film di Hollywood, l’adattamento italiano lavora in concerto con gli autori e lo stesso fa anche il doppiaggio che – porcaccia la miseria – è perfetto in ogni battuta, intonazione, appoggio, accento… con i migliori doppiatori per quei personaggi; è un altro di quei doppiaggi che oggi sarebbero impossibili da replicare, per i motivi già detti all’inizio. Il miglior epilogo possibile della saga di Indiana Jones, adattato e doppiato al meglio delle possibilità, con piccole sviste perdonabili.

    Scena finale di Indiana Jones e l'ultima crociata, cavalcata verso il tramonto

    Non è bello quando le TRILOGIE… finiscono??