Un articolo di dicembre su un film di Natale? Qui? Sul blog Doppiaggi italioti?! Ma è proprio un miracolo di Natale che sia riuscito a pubblicare qualcosa di vagamente attinente al periodo. Approfittando di una rara pausa, sono andato a scavare nei doppiaggi anni ’70, quando trovare dialoghi italiani “identici” a quelli originali era praticamente impossibile, ma a vantaggio di una naturalezza oggi non ben accetta nel settore (colpa degli americani che esigono che non si inventi proprio niente). E i dialoghi inventati qui non mancano. Vi parlo di Black Christmas (Un natale rosso sangue), del 1974, portato in Italia col titolo inglese e un sottotitolo italiano tra parentesi. Fu approvato dalla censura a fine novembre del 1975, ma uscì in Italia a feste ormai concluse il 20 febbraio 1976 (come documentato da Italian Pulp Movie Posters). Se aspettavano un altro po’ diventava un film di Pasqua.
“Divieto per i minori degli 18 anni e tanto perché, specie all’inizio, contiene un frasario con numerose battute volgari ed oscene; contiene inoltre numerose scene di violenza efferata contro persone, culminanti in un susseguirsi di omicidi” (Visto Censura)
La trama in breve del “primo” slasher della storia
Un assassino ha preso di mira le ragazze dell’associazione studentesca femminile Kappa Sigma di un campus universitario, rimaste sole per le vacanze di Natale. Dalle minacce telefoniche però l’assassino passa all’azione e comincia a uccidere.
Black Christmas è un precursore del genere slasher, avendo anticipato Halloweendi Carpenter (che alla sua uscita fu addirittura accusato di essere derivativo di Black Christmas) ed è stato un film seminale per tematiche reazionarie come quella delle ragazze promiscue che finiscono malissimo (nonostante la prima vittima sia una ragazza vergine). Venerdì 13 ci camperà per trent’anni col punire le ragazze che bevono, fumano, dicono parolacce e, cosa peggiore di tutte, sono delle zozzone dedite ai piaceri sessuali. Che schifo, i piaceri sessuali! (cit. di una grande battuta ironica del blogger Lucius Etruscus)
Insomma, Black Christmas non è solo “uno di quei film”, è il primo di quei film. Così almeno si dice in giro. E Psyco di Hitchcock MUUUUTO!!! E Mario Bava con Sei donne per l’assassino? MUUUUTISSIMO!!!
Foto di una locandina italiana tutta stropicciata
Chi doppia l’assassino?
Black Christmas è anche uno di quei film dove gli amanti del doppiaggio scoprono subito l’identità dell’assassino dalla prima telefonata: èElio Pandolfi! Fino ad oggi l’identità del doppiatore dell’assassino non era nota ma finalmente ho potuto dargli un nome (grazie alle orecchie del mio collaboratore Leo e successive conferme). Per i non esperti di doppiatori Pandolfi doppiava Zio Fester nei film anni ’90 della famiglia Addams, ma nella sua carriera ha interpretato anche antagonisti, qui ne cito alcuni: il clown in Spawn (1997), Bela Lugosi nel Dracula del 1931 (doppiato per la Rai nel 1986), Gollum nel film animato del Signore degli anelli.
L’idea di fargli doppiare l’assassino potrebbe venire da un film di 10 anni prima, I tre volti della paura (1963) di Mario Bava, dove Elio Pandolfi interpretava proprio la voce al telefono.
Elio Pandolfi voce al telefono nel film I tre volti della paura (1963)
Sulla voce dell’assassino in Black Christmas c’è una curiosità tutta americana: in originale la voce dell’assassino al telefono è di almeno 4 persone diverse. Mi sono domandato se non avessero fatto qualcosa di simile anche per la versione italiana, ma sembra essere Elio Pandolfi in tutte le telefonate. Anche nella prima dove ricorda Carlo Valli.
A proposito di Carlo Valli (qui una piccola nota che non c’entra con Black Christmas), è stato la voce dell’assassino al telefono da Scream 1996 fino a Scream 2022 e a questi possiamo anche aggiungere Insomnia (2002), altro film che durante la visione si meritò la mia battuta “l’assassino è Carlo Valli!”. Potrei quasi dedicare un’intera rubrica ai “film in cui Carlo Valli è la voce dell’assassino al telefono”. Anche se non ci aveva mai pensato prima nessuno, Carlo Valli è LA voce italiana degli assassini al telefono. Come sempre a Doppiaggi italioti tiriamo fuori primati sul doppiaggio che neanche sospettavate. Ma prima di Carlo Valli c’è stato Elio Pandolfi. Chiusa parentesi.
Elio, sei tu?
L’adattamento italiano di Black Christmas
Il film inizia proprio con una telefonata con molte battute inventate in italiano come riempitivo. Qui i due copioni a confronto. Anche chi non conosce l’inglese potrà notare le battute aggiunte in italiano.
Battute originali
Adattamento italiano
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Sì.
—
Sì.
Oh, come on. You gotta be kidding!
Uno chalet in montagna?
—
Mica male l’idea. Prendo un bel maschione e vi raggiungo.
Why can’t I come too?
“Meglio di no”? Perché “meglio di no”?
Well, who the hell is he?
Ce n’hai un altro nuovo lì con te?
You’re a real gold-plated whore, Mother, you know that?
Però! Alla tua età riesci a reggere un bel ritmo.
I’ll just get a couple of my friends and we’ll go, uh, skiing.
E io me ne fotto! Accompagno [frase inudibile] a sciare.
Yeah, sure, mom. I’ll be fine. I’ll see you around.
Dai, mamma. Non rompere. Ci vediamo.
Questo è uno dei primi dialoghi del film e ci fa capire immediatamente lo spirito dell’intero adattamento: dialoghi che a un primo impatto sembrano inventare molto, ma che a ben guardare lasciano trasparire una comprensione del materiale, dei personaggi e una capacità di scrivere dialoghi che sembrano essere nati in italiano.
Un film di telefonate
Prendendo questa scena fuori contesto ad esempio potremmo chiederci da dove spuntino fuori lo “chalet di montagna”, il volersi portarsi dietro “un bel maschione” e le varie sboccataggini verso la propria madre al telefono. Ma a tutto c’è una risposta. Lo chalet viene nominato nella scena seguente, quando la protagonista dopo la telefonata chiede agli amici se vogliono andarci. La sboccataggine invece origina da quel “gold-plated whore” che la sboccata Barbara dice alla madre chiamandola letteralmente “una puttana placcata in oro” e dall’aver scoperto che la madre ha un nuovo uomo (Well, who the hell is he?, “E chi diavolo è?”) e che per colpa di questo nuovo compagno, la madre non vuole la figlia tra i piedi a Natale.
È uno di quei rari casi del doppiaggio italiano in cui un personaggio ha un “frasario sboccato” (cit. dal film) che supera l’originale, ma la scelta è certamente voluta dal dialoghista per far capire immediatamente il personaggio. Del resto, quando abbiamo un personaggio che chiama “puttana” (whore) la propria madre non sorprende più di tanto che possa risponderle “e io me ne fotto!”, anche se in originale questa espressione non esiste affatto.
Anche l’altra frase inventata in italiano “prendo un bel maschione e vi raggiungo” ha senso per quel personaggio che subito dopo denigrerà le “vergini di professione”, ovvero le ragazze troppo inibite. È inventata? Sì. È superflua? Forse. Fa ridere? Sì. E allora ci piace.
“Prondi?”
Black Christmas non sarà forse uno di quei film da prendere a modello per imparare a tradurre dall’inglese, ma potrebbe essere utile per imparare a scrivere dialoghi in italiano (per sceneggiature magari), che è tutt’altro campo di battaglia. Prendo una frase a caso di una conversazione telefonica per far capire di cosa parlo: “we’re just having a little party. No, I’ve had a couple.“, posso immaginare come oggi una battuta del genere possa diventare qualcosa come “Stiamo solo facendo un piccolo party. No, un paio di bicchieri…”. Nell’adattamento italiano di Black Christmas quella frase diventa invece: “No, abbiamo avuto un po’ d’amici in casa. Ma va’, giusto un goccetto“. E quanto è più familiare e naturale in quella specifica situazione! Questa è una frase presa letteralmente da un punto a caso del film (una delle tante) che ho deciso elevare a esempio, altrimenti sarebbe difficile parlare di qualcosa come dialoghi ben scritti visto che per loro stessa natura tendono a risultare invisibili. Ed è una delle tante frasi che sulla carta sembrano “alterate”, ma portano lo stesso senso nella lingua italiana. Sennò che lo chiamiamo a fare “adattamento”?
Tutto rose e fiori dunque? Che domande, no! Ma Black Christmas in italiano risulta diverso solo a una prima occhiata e tutto sommato, pur con tante scelte creative, il risultato se lo porta a casa. Vediamo quali sono stati i cambiamenti più grossi.
La signorina Mac
Un copione diverso… ma a ben guardare uguale
Il padre di una delle ragazze dice alla signorina Mac (una donna di una certa età responsabile per le studentesse) che non ha mandato la figlia al college perché bevesse e rimorchiasse ragazzi. Questo in inglese. In italiano invece dirà…
I didn’t send my daughter here to be drinking and… picking up boys. Mia figlia è venuta qui per studiare biologia, … non il kamasutra.
Un’alterazione niente male. Poi la signorina Mac in privato riprende le parole del padre della ragazza esprimendo quello che avrebbe voluto dirgli:
“I didn’t send my daughter here to be drinking and picking up boys.” Tough shit! Am I supposed to be responsible for the morals of every girl in this goddamn house? These broads would hump the Leaning Tower of Pisa, if they could get up there. I do my best. I don’t know what the bastards expect of me. Christ’s sake!
La signorina Mac praticamente sta dicendo: “Non ho mandato qui mia figlia per bere e rimorchiare ragazzi”, beh, ti attacchi al cazzo. Dovrei essere io responsabile per la moralità di tutte le ragazze in questa stramaledetta casa? Queste ragazze si chiaverebbero la Torre di Pisa se potessero montarci sopra. Io faccio del mio meglio. Non so che cosa si aspettano da me questi stronzi (gli stronzi sarebbero i genitori dei ragazzi).
Questa è una mia traduzione più o meno diretta per farlo capire anche a chi l’inglese non lo mastica. Non dico che dovrebbe essere tradotto così. Nel doppiaggio italiano non mi è chiaro se la parte sulla Torre di Pisa sia stata fraintesa o volutamente ignorata, ma è certamente usata… diversamente:
“Io ho mandato qui mia figlia a studiare biologia, non il kamasutra”. Che razza di discorsi. Ma che stronzo! Come se io fossi responsabile della moralità di tutte quelle che bazzicano questo mezzo bordello. Arriva un fesso e crede di poter raddrizzare la Torre di Pisa con una spintarella. Io faccio del mio meglio. Che cavolo si aspetteranno da me questi rompicoglioni. Che strazio!
Con “arriva un fesso e crede di poter raddrizzare la Torre di Pisa con una spintarella” in italiano non si allude più alle ragazze della sorority house (club per studentesse nel doppiaggio italiano) che si scoperebbero qualsiasi cosa (inclusa la Torre di Pisa se potessero), bensì parla del padre della ragazza in questione che pensa di fare l’impossibile: tenere a bada la figlia. Poco prima infatti, ispezionando la stanza della figlia (piena di poster erotici), il padre aveva detto “comunque non mi piace affatto l’atmosfera che circonda mia figlia. E intendo cambiarla al più presto“. A prima vista quindi la battuta alterata riguardante la Torre di Pisa sembrerebbe una sorta di censura che omette l’idea che le ragazze del “club” Kappa Sigma siano sessualmente disinibite. A ben guardare però, questa informazione non è omessa, ma solo spostata alla frase precedente quando la signorina Mac dice “tutte quelle che bazzicano questo mezzo bordello“. Un’aggiunta in italiano che porta lo stesso messaggio.
Barbara che imita “la lingua più veloce del west”
Continuando con le frasi alterate, la studentessa Barbara (Margot Kidder), che ci dà ampiamente modo di capire di non essere una ragazza “per bene” sin dalla prima scena del film, continua a scioccare i genitori impettiti della ragazza scomparsa narrando loro un aneddoto sulle tartarughe che si accoppiano per tre giorni senza mai fermarsi. Anche qui il dialoghista approfitta dell’occasione per inventarsi qualche battuta e invece di farle dire come in originale “non mi crede, vero? Come potrei inventarmi una cosa del genere?” opta per qualcosa di diverso:
There’s a certain species of turtles that can screw for three days without stopping. You don’t believe me, do you? Well, I mean, how could I make something like that up?
Ci sono certe tartarughe che possono scopare per tre giorni filati senza mai fermarsi. È un dato scientifico, sa? Come cazzo faranno, io non ci sono mai riuscita.
Anche qui potremmo dire che si inventa, è vero, ma sempre rimanendo fedeli al personaggio che fino a questo momento ha 1) sparlato delle ragazze vergini, 2) dato da bere alcolici a un bambino, 3) preso in giro un poliziotto dando un numero di telefono falso “FELLATIO 69-2-3” (in originale “Fellatio 2-0-8-8-0”), 4) bevuto birra in occasioni sconvenienti, 5) chiamato il pervertito al telefono “la lingua più veloce del west” facendo boccacce e allusioni sessuali. Il personaggio rimane immutato, anche con qualche battuta aggiunta. Poco dopo dirà sempre sull’accoppiamento delle tartarughe: “ma vi rendete conto, tre giorni! A me già mi va bene se duro tre minuti” (I’m lucky if I get three minutes), quindi ancora una volta la battuta aggiunta che apparentemente “stravolge”, in realtà pesca concetti da altre frasi della stessa scena. Il personaggio rimane identico, solo non dice le stesse cose nello stesso ordine come siamo abituati ad aspettarci oggigiorno.
Bevi che ti fa bene
In questo contesto, quando Barbara dice di aver visto le tartarughe farlo allo zoo, il suo “it was very boring” (era di una noia mortale) diventa “era quasi arrapante“, questo sì un cambiamento ma in un discorso comunque sconveniente (subito dopo dirà che le zebre dello zoo si accoppiano in 30 secondi e soffrono di “ejaculatio praecox”).
L’eccessiva sconvenienza di Barbara serve alla trama, in quanto sente che gli altri la giudichino responsabile della morte della compagna di “club”. E poi gli americani erano appena usciti dagli anni ’60, e dimostrare la degenerazione di tutta quella libertà ottenuta dai giovani è sempre stato un concetto ben accetto da quella società di bacchettoni che si chiama Stati Uniti d’America.
Insomma, tornando ai nostri dialoghi, i cambiamenti sembrano avere quasi tutti una loro giustificazione e non c’è nessuna censura o modifiche dovute a un qualche moralismo dell’adattatore, come avevo sospettato inizialmente quando questo film è stato portato alla mia attenzione.
Le cose belle: le parolacce
Essendo ormai abituato ai doppiaggi attuali dove il numero di parolacce si è ridotto a un pugno di offese sempre uguali, specchio della scarsità delle offese americane, non nego che rivisitare l’adattamento delle parolacce in un film anni ’70 come questo sia sempre una boccata d’aria fresca.
Look, she’s supposed to be going away with me for the weekend, goddammit! S’era detto di andare in montagna a passare un weekend, sì o no? Porco Giuda!
Quand’è l’ultima volta che abbiamo sentito un “porcoggiuda” in un doppiaggio? Nello stesso film altri goddammit diventano “maledizione!“, “e allora va’ a farti fottere!“, “che Dio ti fulmini!“, “della malora“, etc… ed è palese che l’adattamento presti attenzione alle intenzioni più che preoccuparsi di tenere un glossario coerente. Quelle sono preoccupazioni esclusivamente moderne che appiattiscono tutto. In un film così doppiato oggi avreste sentito soltanto una dozzina di “maledizione” al posto di goddammit.
Tra le battute spiritose aggiunte in italiano c’è l’accusa alla polizia che non sembra occuparsi del caso della studentessa scomparsa:
Invece di star lì come salami, non potreste darvi un po’ da fare?
Da “you guys can never get it together [incomprensibile]”.
E perché non approfittare di un “chiudi il becco” per dare del cornuto al poliziotto?
Poliziotto: You. Shut up! Poliziotto: Tu. Chiudi il becco!
Barb: You know, for a public servant, I think your attitude really sucks. Barb: Invece io parlo quanto mi pare e comunque becco ci sarai tu!
La battuta originale potrebbe essere tradotta come “Per essere un poliziotto, il tuo atteggiamento fa proprio schifo”. Ma c’era l’occasione di mettere in bocca a Barbara l’ennesima battuta/offesa ed è stata colta.
La canzone della signorina Mac
La signorina Mac sola in casa canta “io coi maschi non ci gioco, voglion tutto e danno poco, o un altro amor focoso che è molto spiritoso e riscalda il cuor.” In inglese canta invece “Alligators come through the gate, goodbye leg if ya get away late. Lollies always love to pop.“. Si tratta di una canzone del 1925 chiamata As a Porcupine Pines for Its Pork di Billy Jones & Ernest Hare, proveniente da una trasmissione radiofonica americana molto pulita chiamata The Happiness Boys. Non mi risulta che il testo della canzone abbia doppi significati, è stata solo l’occasione per inventarsi nuove parole. In questo caso adatte al personaggio della zitellona. Una nota simpatica da un’era in cui si potevano inventare anche le parole di una canzone (che niente ha a che fare con la trama del film quindi poco male se non parla di alligatori). Oggi probabilmente sarebbe rimasta in inglese e non doppiata.
Cambiamenti arbitrari
Se gran parte dei cambiamenti vanno ad arricchire il copione originale, non si può dire che siano TUTTI benvenuti o giustificati. Non sono tantissimi ma ci sono. Ne ho presi due più rappresentativi.
1) Rappresentante al posto di un camionista
Una madre dice alla polizia che il “marito fa il rappresentante ed è sempre fuori“. In originale il marito invece è un camionista (truck driver). Questo non cambia assolutamente niente nella trama del film perché è una frase buttata lì che non ha ripercussioni di alcun tipo, ma il motivo del cambiamento posso solo indovinarlo. Chiaramente il lavoro del camionista esisteva anche in Italia nel 1975, ma era il “rappresentante” il mestiere che tradizionalmente teneva i mariti lontani da casa per lunghi periodi. Negli Stati Uniti, che sono grandi quanto l’Europa intera, fare il camionista può tenere le persone lontane da casa anche per mesi, a differenza dell’immagine che abbiamo del camionista in Italia che può lavorare anche localmente o stare via per periodi limitati. Non riesco a pensare ad altre motivazioni. Oggi sembra un cambiamento del tutto arbitrario.
2) Billy e Agnes
L’assassino, che si identifica col nome di Billy, in originale nei suoi deliri nomina spesso una tale Agnes e chiama così tutte le sue vittime poco prima di ucciderle, ma questo nome viene completamente omesso nella versione italiana. In italiano diventa in alcuni casi “mammina”, quindi potremmo supporre che Agnes sia stata la madre dell’assassino, ma in realtà il film in lingua originale non spiega mai chi sia Agnes, possiamo solo sospettare che sia una parente diretta – madre o sorella – probabilmente la prima delle sue vittime. Ma le motivazioni del killer così come la sua “backstory” non ci vengono mai rivelate.
L’omonimo remake del 2006 ovviamente non poteva lasciare niente di misterioso e fornisce un’intera storia delle origini su Billy, ma si tratta appunto di un rifacimento quindi non ci aiuta. Curiosamente, Wikipedia in inglese ha un intero articolo dedicato a questo killer misterioso di nome Billy e sempre su Wikipedia scopro che negli anni è stato anche considerato uno dei più grandi “cattivi” di tutti i tempi. Ma da chi??? Le fonti citate sono articoli acchiappaclick su siti online come GamesRadar (nel 2017) e Bloody Disgusting (nel 2016), quindi da nessuno.
È possibile che il nome Agnes sia stato omesso per evitare di generare ancora più confusione durante le scene dei deliri telefonici dell’assassino, ma dubito che questo fosse davvero necessario. È chiaramente parte di un delirio che rievoca eventi passati del killer, e questo secondo me sarebbe stato comprensibile anche in italiano. Nel copione italiano le telefonate hanno un po’ più senso, essendo quasi sempre delle minacce dirette alle ragazze che rispondono al telefono, ma forse non era quello l’obiettivo degli sceneggiatori/regista.
Sia chiaro che sono piccole cose, in ogni caso tra inglese e italiano io probabilmente opterei per il doppiaggio italiano (soprattutto per le parolacce e le varie offese creative), se non fosse per la qualità audio della versione che circola in DVD, che fa veramente schifo. Sicuramente sono stati applicati pesanti filtri di riduzione rumore che però hanno reso il parlato poco comprensibile, tanto che spesso potreste aver bisogno dei sottotitoli in italiano per riuscire a capire cosa dicono nel doppiaggio italiano! Il colmo proprio. Ci sono anche un paio di scene dove l’audio italiano è assente per qualche secondo e non sembrano dovuti a tagli della censura, piuttosto saranno dovuti alla pellicola danneggiata in un paio di punti dalla quale hanno poi ricavato la traccia italiana che circola attualmente.
La mia espressione mentre cerco di capire i dialoghi filtrati di questo film
Scheda di doppiaggio di Black Christmas – Natale di sangue (1974)
Direttore di doppiaggio: [sconosciuto]
Dialoghista: Alberto Liberati (fonte SIAE)
Studio di doppiaggio: CVD
Il cast di doppiatori
Emanuela Fallini: Jessica Bradford (Olivia Hussey) Mirella Pace: Barbara Coard (Margot Kidder) Anna Rosa Garatti: Phyllis “Phyl” Carlson (Andrea Martin) Rino Bolognesi: Tenente Kenneth Fuller (John Saxton) Alina Moradei: Signorina Mac (Marian Waldman) Nino Dal Fabbro: Signor Harrison (James Edmond) Diego Michelotti: Sergente Nash (Doug McGrath) Simona Izzo: Clare Harrison (Lynne Griffin) Gino Pagnani (?) [fonte Antoniogenna.net]
Elio Pandolfi: voce dell’assassino [riconosciuto da Leo, conferma di Francesco Finarolli]
Qualche ricerca in più si è resa necessaria per il dialoghista invece.
Il dialoghista: Alberto Liberati
Alberto Liberati è uno di quei dialoghisti di epoche passate la cui attività è rimasta poco documentata nell’era di internet, comparendo in qualche decina di pagine del sito-archivio Antoniogenna.net, a fronte dei quasi 800 lavori registrati alla SIAE (anche se molti saranno probabilmente puntate di Capitol). Sappiamo qualcosa in più su di lui soltanto perché la sua carriera si è incrociata con quella del dialoghista Roberto De Leonardis, egli sì oggetto di numerose ricerche, in particolare da parte dell’esperto del mondo Disney Nunziante Valoroso il quale nel ripercorrere la vita di De Leonardis scrive:
Costituita legalmente la famosa CDC (Cooperativa Doppiatori Cinematografici), si ricomincia quindi a doppiare in Italia e Roberto, con le sue conoscenze linguistiche, si guadagna la stima del capo ufficio edizioni della RKO, Alberto Liberati, con il quale collabora alle edizioni italiane dei film Disney “Pinocchio”, “Bambi” e “I tre Caballeros”. Quando è il momento di doppiare “Dumbo”, che uscirà sugli schermi italiani per Natale 1948, Liberati affida tutto il lavoro al comandante de Leonardis e il risultato entusiasma Walt Disney stesso, che è particolarmente “Alice nel paese delle meraviglie” sorpreso dell’ottima riuscita delle canzoni, affidate al doppiaggio del famoso Quartetto Cetra. Da quel momento Walt affiderà al “Comandante”, come Roberto viene ormai affettuosamente chiamato nel mondo del doppiaggio, la versione italiana di tutte le opere, cinematografiche e televisive, che usciranno dagli studi di Burbank.
La firma di Alberto Liberati compare ai dialoghi di film e serie TV dall’immediato dopoguerra fino agli anni ’90 e quella che segue è la lista più completa possibile che io sia riuscito a stilare con nome della società di doppiaggio e anno accanto al titolo, se noti. La lista copre ben 45 anni di opere e potreste riconoscere qualche titolo noto:
Fantasia per la CDC nel 1946 (primo doppiaggio) Pinocchio per la CDC nel 1947 con la collaborazione di Roberto De Leonardis Quarto potere di Orson Welles per la CDC nel 1948 (primo doppiaggio) con la collaborazione di Roberto De Leonardis Bambi per la CDC nel 1948 (primo doppiaggio) Il miracolo della 34ª strada per la CDC nel 1948 (primo doppiaggio) I tre caballeros per la CDC nel 1949 Musica, maestro! per la CDC nel 1949 La vendetta del corsaro nel 1951 (come sceneggiatore insieme a Fede Arnaud) Ci troviamo in galleria nel 1953 (come soggettista insieme a Fede Arnaud) Una pelliccia di visone nel 1956 (come soggettista insieme a Fede Arnaud) [Nel 1958 è uno dei soci fondatori della SAS insieme a Fede Arnaud come riportato da Enciclopedia del doppiaggio] Il figlio del corsaro rosso nel 1959 (come sceneggiatore insieme a Fede Arnaud) Io Semiramide nel 1963 (come sceneggiatore insieme a Fede Arnaud) La caduta dell’impero romano per la SAS – Società Attori Sincronizzati nel 1964 Amleto di Grigori Kozintsev per la CDC nel 1965 (primo doppiaggio, diretto da Mario Maldesi) Belfagor – il fantasma del Louvre (miniserie) nel 1965 I coltelli del vendicatore, nel 1966 Dinamite Jim, nel 1966 Il disertore e i nomadi, nel 1969 Festa per il compleanno del caro amico Harold di William Friedkin per la SAS nel 1970 Ricatto di un commissario di polizia a un giovane indiziato di reato nel 1971 Caccia sadica nel per la C.D. nel 1971 Regolamento di conti di Daniel Vigne, nel 1973 L’isola del tesoro con Orson Welles, nel 1973 Chi sei? per la C.D. nel 1974 Bianchi cavalli d’agosto nel 1975 Black Christmas (Un Natale rosso sangue) per la Coop. Sincrovox nel 1975 Profezia di un delitto per la CDC nel 1976 Poliziotti in cilindro – I rivali di Sherlock Holmes per la CVD (datazione della prima TV incerta) Il boss del dollaro (miniserie) per la CVD, diretto da Maldesi (datazione della prima TV incerta) Matt Helm (serie TV) per la CVD nel 1977 Amore, piombo e furore, nel 1978 La banda dei cinque (serie TV) nel 1979 Radici – Le nuove generazioni (miniserie) per la CVD diretto da Maldesi (datazione della prima TV incerta) Doppia sentenza (serie TV) nel 1980 Capitol (soap opera) per la CVD dal 1983 al 1988 (episodi sconosciuti) Orwell 1984 per la SAS nel 1984 The Principal – Una classe violenta, per la CDC nel 1988 L’impero del sole di Spielberg, per la Kamoti Film di Maldesi, nel 1988 La guerra dei mondi (serie TV) trasmessa in Italia nel 1992, per la SEDIF con partecipazione della CVD.
Come evidenziato dalla lista che ho stilato, nella carriera di Alberto Liberati ci sono state anche incursioni nella sceneggiatura di diversi film (e chissà quanti altri non sono stati neanche accreditati). È possibile dunque intuire il perché nei suoi adattamenti ogni tanto sembra volerci mettere del “suo”. Del resto Liberati ha anche iniziato la carriera in un epoca in cui il concetto di tradurre quasi alla lettera era ancora inesistente.
Durante le mie ricerche sono incappato in questo commento sul primo adattamento di Bambi che, alla luce di quanto visto in Black Christmas, sembra più delineare un modus operandi che un caso isolato:
Il primo doppiaggio italiano del film [Bambi], eseguito nel 1948 negli stabilimenti Fono Roma dalla CDC e curato da Alberto Liberati, soffre di una traduzione primitiva e piuttosto libera, con alcune frasi mal tradotte e altre aggiunte.
Non ho familiarità con gran parte dei lavori di Liberati ma le parti in neretto che descrivono il lavoro su Bambi possono essere tranquillamente applicate anche Black Christmas di 27 anni dopo. Ma non mi sento di dire che in Black Christmas la traduzione sia primitiva e mal fatta, tutt’altro. Si nota invece una grande comprensione del copione originale e dei personaggi, oltre a un approccio un po’ diverso all’adattamento. Non sarà De Leonardis, ma neanche l’ultimo fesso!
Anzi, devo sottolineare (e con questo concludo) che NESSUN nome in Black Christmas è stato alterato, e per giunta sono tutti pronunciati correttamente! Negli ’70 questa cosa non era affatto ovvia, visto che in Halloween di neanche 4 anni dopo diversi nomi hanno subito modifiche e pronunce strane, come ho già avuto modo di sottolineare nel precedente articolo sull’intera saga di Halloween. Questi sono tutti punti a favore di un adattamento che sì, è vero, cambia molte battute, ma secondo me in meglio o se non altro lo fa dimostrando di aver capito i personaggi e il film. Ce ne fossero di più di doppiaggi così!
Halloween di John Carpenter, uno tra i film indipendenti di maggior successo di tutti i tempi, arriva nelle sale italiane nel 1979 con il titolo HALLOWEEN – LA NOTTE DELLE STREGHE e con un bel divieto V.M.14. Distribuito dalla P.I.C. – Produzione Intercontinentale Cinematografica e doppiato dalla CVD (fonte Antoniogenna). Il resto è diventato storia: seguiti su seguiti, con alcuni che ne ignorano altri, tanto da creare 4 possibili sequenze temporali, oltre a un terzo film non canonico e trame sempre più pazze che includono anche una setta incentrata sul culto di Michael Myers, dei ciottoli magici, e persino una diretta in streaming su internet dalla casa dell’assassino! E la serie continua ancora oggi.
Vista la longevità del franchise di Halloween, le inconsistenze interne alla serie stessa e i vari studi di doppiaggio coinvolti che coprono ben 5 decenni diversi, ho deciso che sarebbe stato interessante esplorarla TUTTA, per seguirne l’evoluzione dell’adattamento italiano con tutte le sue curiosità e perché no, ingenuità.
Scegli la tua avventura
In questa lunga lista ignorerò l’adattamento del reboot di Rob Zombie perché non essendo legato in alcun modo agli altri film, non si può parlare di incongruenze di adattamento anche se ce ne dovessero essere. Le date che troverete accanto a ciascun titolo sono quelle del doppiaggio italiano, perché in epoche passate i film non uscivano in contemporanea mondiale.
Halloween – La notte delle streghe (1979)
Titolo originale: HALLOWEEN (1978)
Forse è superfluo specificare che la festa di Halloween (nella sua versione carnevalesca americana) non era proprio la prima cosa che veniva in mente agli italiani pensando al 31 ottobre negli anni ’70. Infatti, il titolo italiano del film, dopo la parola “Halloween” include un sottotitolo (“la notte delle streghe“) che ne facesse capire la natura horror, ed è l’unico posto di tutto il film in cui troverete la parola “Halloween” perché nell’adattamento italiano non ce n’è traccia.
Digressione sui titoli horror lasciati in inglese: è una mia teoria che Halloween insieme ad Alien abbiano iniziato un fenomeno culturale italiano secondo il quale un film horror farebbe più paura se il titolo rimane in inglese, specialmente se composto da una sola parola (o al massimo dal suo articolo determinativo). Spiegherebbe perché oggi molti titoli horror rimangano in inglese come scelta di marketing dei distributori italiani anche quando non ce ne sarebbe bisogno (The Witch, Insidious, Sinister, The Nun, The Ring, Scream, The Visit, etc…) al punto che oggi ci risulta anche difficile immaginarli diversamente, mentre altri paesi “latini” non si fanno problemi a tradurli quasi tutti. Anche l’editoria ne è stata influenzata a ruota. La prima edizione del romanzo The Shining del 1978 ad esempio era intitolata Una splendida festa di morte, poi in ristampe successive al film di Kubrick (1980) è diventato prima Shining – Una splendida festa di morte e poi ufficialmente solo Shining, senza neanche l’articolo the. Considero Alien l’iniziatore del fenomeno, ma Halloween uscito pochi mesi prima avrà sicuramente aiutato ad associare al genere horror i titoli con parole inglesi. Per quanto in questo caso più che giustificabilmente.
Il primo film della serie iniziata da Carpenter ha avuto l’onore e onere di introdurre gli italiani alla festa di Halloween così come la festeggiano in America, anche se, per motivi di budget, in questo film la si vede assai poco, giusto tre bambini che vanno a bussare a una casa cantilenando “chi non paga presto piange“, che in questo film è la traduzione di “trick or treat“, ancora lontana dall’essere standardizzata in “dolcetto o scherzetto“.
I dialoghi italiani fanno di tutto per rendere accessibili tradizioni all’epoca poco note al proprio pubblico. E così, oltre a “i se-non-paghi-piangi” (detto dallo sceriffo), abbiamo “la vigilia di Ognissanti” che sostituisce ogni menzione di “Halloween” e abbiamo anche una traduzione di Jack-o’-Lantern (la famosa zucca con la candela dentro) che diventa la lanterna caccia-streghe (qualcuno ha fatto i compiti a casa sull’origine della zucca!), in tema con “la notte delle streghe” del titolo italiano, nominata anche nell’introduzione del film quando la filastrocca cantata dai bambini introduce l’idea che la notte di Ognissanti sia “la notte delle streghe“, questa è una specifica inserita con il doppiaggio al posto di trick or treat della cantilena originale. Infine, quando il bambino Tommy Doyle vede Michael Myers avvicinarsi alla casa (do per scontato che sappiate di quale scena parlo), invece di parlare di uomo nero (“the Boogeyman is coming”) fa continuamente riferimento a “l’ombra della strega” tranne in una singola battuta quando la protagonista chiede a chi somigliasse quell’ombra e il bambino risponde “all’uomo nero“.
L’ombra… della strega? A me sembra un omaccione.
Sono tutte alterazioni sensate per il 1979, ad esempio l’associare la celebrazione a qualcosa di universalmente noto anche in Italia, come le streghe, per ovviare al fatto che nel film molte tradizioni sono date per scontate e la sceneggiatura non si sofferma di certo a illustrarle per il pubblico non-americano. Ciononostante, in questo adattamento lo spirito del film viene rispettato, visto che le streghe fanno comunque parte dell’iconografia di Halloween. Non è un tradimento, è solo un “adattamento”. Magari oggi ci sembrano salti mortali superflui, ma potrei dire senza paura di smentite che senza il successo mondiale di questo film e della cornucopia di altri film a tema che sono seguiti, la parola ‘Halloween’ sarebbe rimasta quasi ignota ancora per molto tempo in Italia. Difatti, ‘Halloween’ comincia a comparire in modo rilevante anche nell’editoria soltanto a partire dagli anni ’80 (1983-1984), dopo ben tre film della serie. In E.T. – L’extraterrestre viene nominata e mostrata la festa di Halloween, uscita italiana del dicembre 1982, quindi a cavallo tra Halloween II e III.
Incidenza della parola Halloween nei testi in italiano. Probabilmente i primissimi erano tutti fumetti di Peanuts
Ciò che invece è invecchiata peggio è l’alterazione dei nomi, pratica comune fino agli anni ’80, dove alcuni nomi (e anche cognomi!) venivano cambiati, presumibilmente per renderli più comprensibili all’orecchio italiano. In questo caso senza neanche la scusa di essere una fiaba fantasy come Guerre stellari. E così la bambina Lindsey (pron. americana “linzi”) viene ribattezzata Lucy nel doppiaggio italiano. Richie diventa Ricky così come negli stessi anni veniva spesso chiamato anche Richie Cunningham di Happy Days. Solo pochi anni prima, del resto, un ispettore Callahan era diventato Callaghan per gli stessi motivi. Se accennavo anche ai cognomi è perché in Halloween un tale Mike Godfrey diventa Mike Griever o qualcosa del genere.
Tranne per il cambio di nomi, che era figlio del suo tempo, i dialoghi di Mario Russo non hanno praticamente pecche. Rimangono meno sensate solo le battute (inventate per l’adattamento italiano) che fanno riferimento allo Sceicco Bianco quando Michael Myers si presenta travestito da fantasma, coperto cioè da un lenzuolo bianco. Questo sarà certamente un riferimento datato per il pubblico italiano più giovane, rispetto invece ai dialoghi originali che risultano ancora oggi piuttosto moderni.
La rivisitazione di questo film, più che pecche mi ha fatto trovare delle curiosità.
A sorpresa in questo film compare anche la voce di un giovanotto di nome Fabrizio Mazzotta (all’epoca sedicenne, credo) su uno dei compagni di scuola che bullizzano il piccolo Tommy Doyle.
Scheda di doppiaggio di Halloween – La notte delle streghe
Direttore di doppiaggio: [sconosciuto]
Dialoghista: Mario Russo (fonte SIAE)
Studio di doppiaggio: CVD
Il cast di doppiatori
Gianni Bonagura: Dr. Sam Loomis (Donald Pleasence) Micaela Pignatelli: Laurie Strode (Jamie Lee Curtis) Emanuela Rossi: Annie Brackett (Nancy Loomis) Isabella Pasanisi: Lynda Van Der Klok (P.J. Soles) Vittorio Di Prima: sceriffo Leigh Brackett (Charles Cyphers) Loris Loddi: Bob Simms (John Michael Graham) Angiolina Quinterno: Marion Chambers (Nancy Stephens) Oreste Rizzini: Dr. Terence Wynn (Robert Phalen) Fabrizio Mazzotta: il bulletto Lonnie Elam (Brent La Page) Renato Cortesi: Morgan Strode (Peter Griffith) e Daniel Hodges (David Kyle) Livia Giampalmo: Judith Myers (Sandy Johnson) [fonte Antoniogenna.net]
Ne mancano molti altri all’appello, magari un giorno mi metterò di impegno per dare un nome a tutti. Per ora questi sono i doppiatori elencati sul sito Antoniogenna. Tra questi, le carenze maggiori sono sui due bambini, Tommy Doyle e Lucy Wallace (Lindsay Wallace in originale)
Qualche opinione assolutamente personale sul cast di doppiaggio. Gianni Bonagura l’ho sempre trovato una scelta un po’ strana per Donald Pleasence in questo film. Sarà forse che sono troppo abituato alla voce di Bonagura in ruoli comici, ma in molte battute del Dr. Loomis ci sento qualcosa di buffo, per un ruolo che di comico non ha niente. Non sarà poi un caso se lo stesso doppiatore è diventato una delle voci di Danny De Vito e di Mel Brooks, no? Per non parlare del giudice detto “il bisonte” in Ghostbusters II, del capitano di polizia in Danko, del padre in Gremlins, Igor in Frankenstein Junior. Questi per elencarne alcuni. Tutti con qualcosa di comico.
Un’altra sensazione personalissima è che il cast femminile di questo film sembra troppo “adulto” su attrici che interpretano delle adolescenti. Micaela Pignatelli, classe 1945, quindi a 35 anni, doppia la protagonista Jamie Lee Curtis (nata nel 1958, quindi 19enne durante le riprese). Le vere coetanee erano Emanuela Rossi, classe 1959, quindi diciannovenne, e Isabella Pasanisi (classe 1955) che ne aveva 23. Eppure anche loro hanno una voce già molto matura per quelle che dovrebbero essere in teoria “teenager”. Livia Giampalmo (classe 1941), trentottenne, doppia la sorella adolescente di Michael nel prologo del film. L’età in sé non significa niente, sia chiaro, ci sono doppiatori che anche in età pensionabile hanno una voce da ventenni e ventenni che hanno una voce matura. Eppure, impressione personale sia chiaro, le doppiatrici qui mi sembrano tutte troppo “adulte”.
Curiosità: nel film vediamo scene da La “cosa” da un altro mondo (1951), sono in italiano ma ridoppiate per l’occasione. Sotto alle voci italiane si sentono addirittura le voci in inglese. Evidentemente nella pista audio non erano mute e si sono dovuti arrangiare in qualche modo. Di sicuro non hanno usato il doppiaggio italiano del 1951, diversi anche i dialoghi. Stessa cosa per Il pianeta proibito (1956), uno degli horror che si guardavano i bambini nel film.
Il signore della morte (1982)
Titolo originale: HALLOWEEN II (1981)
Cambio di distributore, cambio di studio di doppiaggio e quindi cambio doppiatori per il film che palesemente si sarebbe dovuto chiamare Halloween II e invece in Italia arriva ufficialmente come Il signore della morte. Forse non volevano far pubblicità al primo film che era in mano a un altro distributore? Oppure una scelta di marketing per non escludere chi non avesse visto il precedente? Impossibile saperlo. Per legge però devono inserire anche il titolo originale in locandina, quindi in un sottotitolo microscopico si può intravedere anche la dicitura “Halloween II” sotto al titolone italiano generico in quella che, vi sfido a contraddirmi, è la locandina più brutta di tutti i tempi.
Con 20 mila lire il mio grafico pubblicitario la faceva meglio
Il titolo Il signore della morte trova “giustificazione” in una piccola (e onestamente insignificante) sequenza del film in cui il Dr. Loomis incappa in una scritta lasciata da Michael Myers, “SAMHAIN“, e ci spiega essere una parola celtica che significa “il signore della morte” appunto (the lord of death in inglese). Nei 15 anni passati in quell’ospedale psichiatrico, Michael zitto zitto s’è fatto una cultura su tutto, dalla guida delle automobili alla lingua celtica dei druidi. Aspettava giusto la sua terza laurea quando si è presentata l’occasione di evadere e non se l’è fatta sfuggire.
In questo film nessun nome è stato alterato e per fortuna nostra nessuno dei nomi alterati nel primo film viene menzionato nel secondo. Gli è andata di culo. Anche qui non si nomina mai ‘Halloween’ e quindi un “Halloween party” diventa una “festa d’Ognissanti” in concordanza col precedente. Per non farci mancare niente però, c’è il classico mustardche diventa mostarda invece di senape. Maledetti panini alla mostarda!
Lacrime di mostarda
Essendo questo “Halloween II” una continuazione diretta del precedente (si svolgono entrambi nella stessa notte), il film inizia con le ultime scene del primo film. Ma essendo cambiata la società di doppiaggio e quindi tutto il cast di doppiatori, queste scene sono state ridoppiate per l’occasione, e siccome l’adattamento precedente ha fatto un casino, lo hanno ignorato tosto! Quindi basta con le ombre delle streghe, cazzi e mazzi, the Boogeyman adesso non è più né l’ombra della strega, né l’uomo nero. È… “un mostro”. Okay.
— It was the boogeyman. — As a matter of fact, it was.
— Chi era quel mostro? — Già, proprio così: era un mostro.
Queste differenze nell’adattamento probabilmente sono dovute al fatto che chi ha adattato il 2 non ha visto il primo e ognuno fa la cosa sua nel proprio orticello. Un problema stranamente ancora attuale nel doppiaggio italiano, nonostante l’accesso a questo genere di informazioni sia diventato incredibilmente più facile e più rapido. Ma spesso non c’è né il tempo, la voglia, né soprattutto la cultura. Ma questo triste discorso me lo tengo per un’altra volta e per film più moderni.
Traduzione di “boogeyman” a parte, qualcuno si domanderà perché un’affermazione sia diventata una domanda nel secondo adattamento (It was the boogeyman. ⇒ Chi era quel mostro?). Sappiate dunque che tra i fan di lingua inglese è esistita per tanti anni una diatriba sulla frase finale di Laura Strode. Sissignore, pure le diatribe tra i fan! Per qualcuno la battuta finale era “it was the Boogeyman!” (trad.: “era l’uomo nero per davvero!”) mentre per altri diceva “it’s the Boogeyman” (trad.: è l’uomo nero), per altri ancora “what’s the Boogeyman?” (trad: “cos’è l’uomo nero?”) e questo capisco perché ce lo sentano, ma è la meno sensata tra tutte; poi ancora “was that the Boogeyman?” e “was it the Boogeyman?”, nella forma di domanda, che forse è la più lontana da quello che dice davvero, ma è comprensibile che qualcuno ci possa sentire una domanda simile perché davanti a una frase poco chiara il cervello si appiglia al contesto e queste varianti nella formula della domanda hanno più senso con la risposta affermativa del Dr. Loomis, che conferma che, sì, era davvero l’uomo nero. Tutta questa diatriba nell’era di Internet è storia morta perché alla fine è uscito fuori il copione ufficiale e Jamie Lee Curtis in persona ha anche confermato che ciò che troviamo scritto nel copione è la battuta che lei disse nel 1978: “it was the boogeyman!“, con enfasi su “was”, che in italiano è traducibile come “era davvero l’uomo nero!”. A difesa di tutti, il dialogo non è così chiaro perché l’attrice lo dice piangendo e con un filo di voce, quindi quel “it” si perde nel fiato. [Per chi capisce l’inglese qui c’è un video che analizza la questione delle tante interpretazioni. Non era così scontata come si poteva pensare]
Quindi non mi stupisco se il dialoghista che ha adattato il secondo film ci abbia sentito una di queste varianti e la battuta sia cambiata, addirittura in una domanda. Questo conferma la mia ipotesi che chi ha lavorato al doppiaggio del secondo film non ha neanche visto il primo e si è fidato del trascritto dei dialoghi fornito dagli americani. E quindi da uno di quei tanti americani che ci sentivano una delle tante varianti errate. La tipica catena dove il primo fa un errore e quelli che seguono si fidano e questo passa inosservato. In alternativa potrebbe essere stato trascritto da qualche italiano incaricato di fare proprio questo (una volta c’erano), ma l’errore umano è il medesimo, e non è una questione di essere incapaci, era una frase difficile da sentire. Vi sorprendereste di sapere che queste cose succedono ancora oggi nonostante l’esistenza di Internet e di ogni fonte possibile e immaginabile? 😉
Al contrario del precedente Halloween, le scene di un film alla TV (La notte dei morti viventi) non sono state doppiate e rimangono in inglese. Una scelta che trovo quasi sempre detestabile perché rompe momentaneamente l’illusione creata dal doppiaggio. Non ci dovrebbero mai ricordare che in realtà le persone nel film parlano un’altra lingua, neanche quando guardano la TV.
E al contrario dell’adattamento del primo film, in questo secondo sono presenti un paio di alterazioni dovute ad incomprensioni:
La prima arriva in una scena in strada. Dalla radio di un passante sentiamo il notiziario che parla di Laurie, la protagonista sopravvissuta agli eventi del primo film, che è stata portata all’ospedale: “il corpo della ragazza che è stata trasportata…“, a questo punto la musica del film copre le parole del notiziario radio per noi spettatori perché Michael Myers compare all’improvviso e non ci è dato sapere come continui la frase, quindi per lo spettatore italiano passa inosservata.
Abbassa la colonna sonora, stavo ascoltando il notiziario.
In lingua originale invece la musica dell’effetto sorpresa interrompe l’ascolto del notiziario solo dopo che questo ha specificato che la ragazza è stata portata all’Haddonfield Memorial Hospital. Pochi passi dopo, Michael vede un cartello che indica l’ospedale. È quello il momento in cui il pubblico capisce che Michael ha appena fatto “2+2”: ha sentito dalla radio che Laurie si trova all’Haddonfield Memorial Hospital, ha visto il cartello per l’ospedale e ora sa dove dirigersi. È un banalissimo stratagemma che fa parte del linguaggio del cinema, ma che invece in italiano non funziona visto che viene tagliata (o meglio, coperta con la musica) la menzione dell’ospedale e sembra che l’assassino sappia d’istinto dove andare. E invece lo aveva appena sentito in radio. Molto semplice.
Mi preme ricordare che fino a questo secondo capitolo, a prescindere dalle farneticazioni del dottor Loomis, Michael non ha ancora niente di palesemente soprannaturale. È un ragazzone molto forte che è riuscito a sopravvivere a svariati colpi di pistola, ma per il resto si comporta come un essere umano che pianifica, osserva, intuisce, uccide un meccanico per impossessarsi della sua tuta così da togliersi gli indumenti dell’ospedale psichiatrico, e anche la maschera (rubata in un negozio) è uno stratagemma per passare inosservato durante la giornata di Halloween. Nel primo film veniamo addirittura a sapere che si è nutrito di un cane, quindi che ha anche bisogni terreni come quello di mangiare. Possiamo supporre che debba pure cacare ogni tanto. Anche Michael Myers deve cacare, mi dispiace distruggervi un mito in questo modo, ma è vero. Quindi potremmo anche sospettare che sotto la tuta abbia messo qualcosa per proteggersi dai proiettili, perché no! Michael è spietato ma non è stupido, né si comporta da essere sovrannaturale. E nel finale di questo secondo film chiaramente muore in un’esplosione insieme al dottor Loomis, il peggior psichiatra del mondo. È opinabile che solo dal 5° film (il 4° “canonico”), per fare altri soldi, abbiano deciso di far tornare Michael come entità sovrannaturale. Ma per il momento mangia e caca.
Nella versione italiana di questo secondo capitolo invece veniamo portati a supporre che in qualche modo Michael sappia sempre dove andare, guidato dallo spirito di Samhaim forse.
La seconda incomprensione c’è stata in una scena all’ospedale dove Laurie è ricoverata. Jimmy, il giovane paramedico che ha trasportato Laurie all’ospedale, continua a farle visita anche fuori orario. La dottoressa di turno, trovandolo nella stanza di Laurie gli dice “esci fuori” ma poi lui rimane lì come se niente fosse. Questo viene da un frainteso “leave her alone“, che in questo caso dovrebbe essere un semplice “lasciala in pace”. L’invito a uscire dalla stanza arriva solo alla fine della scena. Sono sempre momenti strani quando un personaggio ignora completamente un chiaro ordine. Nell’adattamento di Abyss c’era una scena simile.
È comunque molestia, anche se la conosci. Non lo fare, Jimmy!
Per concludere l’argomento differenze tra originale e doppiato, sul finale c’è una troupe televisiva che riprende l’uscita di Laurie dall’ospedale e un giornalista commenta la diretta cercando di intervistarla. Questo avviene in un campo medio, non lontanissimo ma neanche in primo piano. La voce del reporter in lingua originale è appena udibile. Solitamente al doppiaggio questo genere di voci vengono sostituite da quello che viene chiamato un “brusio”, cioè una voce di sottofondo e non troppo importante. Nel doppiaggio italiano del film invece, questa diventa una voce dominante che fa quasi da narrazione finale.
La lontananza dell’attore però non aiuta subito a capire che la voce “narrante” proviene proprio da quel personaggio, soprattutto perché Laurie e il paramedico che la aiuta a salire sull’ambulanza sono quasi alla stessa distanza (anzi più vicini allo spettatore), eppure quello che dicono si sente molto meno distintamente. La voce con cui parla il reporter in italiano è quella che si darebbe a un personaggio che inizia a parlare in primo piano. Insomma, è un secondo momento del film in cui il linguaggio del cinema non ha molto senso.
Limitatamente a questi pochi momenti elencati, per il resto trovo che (opinione personale, nessuno se la prenda) il cast vocale sia migliore in questo film e il modo di recitare degli interpreti risulti più “moderno” e naturale (per un doppiaggio) rispetto al precedente, nonostante siano usciti a soli tre anni di distanza, non venticinque. Posso immaginare che queste differenze stilistiche dipendano esclusivamente dalle scelte del direttore di doppiaggio. Resta il fatto che Halloween 1 e 2 sembrano venire da ere completamente diverse del doppiaggio, e il primo è invecchiato peggio.
Per concludere, ecco la mia frase preferita in questo doppiaggio: “Sembra una stronza festa di paese!” (Looks like a goddamn homecoming). Mi mancano offese simili. Oggi sarebbe diventata una banalissima “dannata qualcosa” perché il vocabolario delle parolacce in epoca moderna si è ridotto a quelle due o tre offese in croce che sentiamo ovunque. Dannato qui, dannato là. Fottuto questo, fottuto quello. Cazzo sì, cazzo no. Eccheccazzo!
Scheda di doppiaggio di Halloween II – Il signore della morte
Direttore di doppiaggio: Leopoldo Machina
Dialoghista: Piero Natoli
Studio di doppiaggio: CDL
Il cast di doppiatori
Giancarlo Padoan: Dr. Loomis (Donald Pleasence) Daniela Igliozzi: Laurie Strode (Jamie Lee Curtis) Luca Dal Fabbro: Jimmy Lloyd (Lance Guest) Alba Cardilli: Marion Chambers (Nancy Stephens) Roberta Paladini: Karen Bailey (Pamela Susan Shoop) Sonia Scotti: Signora Alves (Gloria Gifford) Silvio Anselmo: Gary Hunt (Hunter von Leer) [fonte Antoniogenna.net] Rodolfo Bianchi: Vincent ‘Budd (Leo Rossi) [fonte Antoniogenna.net]
Halloween III – Il signore della notte (1983)
Titolo originale: HALLOWEEN III:Season of the Witch (1982)
Morta un’ombra della strega se ne fa un’altra. Così avranno pensato dopo Halloween 2, che sembrava la conclusione già molto stiracchiata delle vicende di Michael Myers e Laurie Strode. Se avete mai letto qualcosa sui dietro le quinte di Halloween saprete che l’idea dei produttori era quella di iniziare una serie “antologica” di film dove ogni nuovo capitolo avrebbe avuto un nuovo antagonista che porta orrore e morte in occasione della festa di Halloween, solo che si sono dati subito la zappa sui piedi andando a scegliere la più scema delle idee per questo primo “episodio” senza Michael Myers. Se non l’avete mai visto, questa è la trama. Tenetevi forte e, ehm, allerta spoiler:
La trama
Una setta di druidi travestiti da imprenditori capitalisti produce delle popolarissime maschere di Halloween in cui è contenuto un microchip fantascientifico che sfrutta poteri magici derivanti dalle schegge di un monolite di Stonehenge per trasformare i bambini che le indossano in un mucchio di serpenti e insetti se esposti a un segnale televisivo che verrà trasmesso allo scoccare della mezzanotte, ad Halloween. Per qualche motivo la cosa dovrebbe riguardare l’intero mondo (??) e quindi dovrebbe preoccuparci, quando sappiamo benissimo che la fetta di popolazione mondiale che festeggia Halloween all’americana era ridicola nel 1982. Ah e nel film ci sono anche dei Terminator, non scherzo. E il tutto è girato come un thriller investigativo anni ’70 alla Crichton, con un medico erotomane e ubriacone come protagonista, ma è interpretato da Tom Atkins quindi riusciamo a passarci sopra. Halloween III fu una delusione alla prima visione? Assolutamente sì. Gli voglio bene lo stesso a questo film? Tantissimo.
Non stare così vicino alla TV, ché poi mi diventi un bacherozzolo
L’adattamento italiano
Nel terzo film torna Mario Russo ai dialoghi (lo stesso del primo film) e stavolta rasentano la perfezione, quindi ci sarà davvero poco da dire in merito e ho deciso di parlare di questo film solo per completezza nonostante di Michael Myers qui non si veda nemmeno l’ombra (della strega). Ma le curiosità non mancano anche in un copione ben fatto come questo. I nomi delle attività commerciali ad esempio sono tutti adattati in italiano, dalla ditta Silver Shamrock che diventa IlTrifoglio d’Argento (perché non “la”?), al motel chiamato ‘Rosa di Shannon’ (‘The Rose of Shannon Motel’ in originale). Oggi è praticamente vietato prendersi tali libertà. Italianizzata anche la canzone di Halloween che i figli del protagonista cantano in italiano: “Otto giorni ad Halloween, Halloween; otto giorni ad Halloween col trifoglio d’argento” (eight more days to Halloween, silver shamrock). C’è da domandarsi se non fosse possibile tradurre anche lo spot pubblicitario/tormentone che sentiamo continuamente durante il film e che rimane sempre in inglese.
I “Jack-o’-lanterns” qui diventano “zucche illuminate” per far rima con “guardate” nella battuta del narratore in TV che chiama all’appello i bambini in possesso di uno dei tre tipi di maschere del Trifoglio d’Argento (una da strega, una da scheletro e una da zucca intagliata): “a tutte le streghe, a tutti i maghi, a tutte le zucche illuminate… riunitevi e guardate” (All witches, all skeletons, all jack-o’-lanterns). Perché lo “scheletro” sia diventato un “mago” non credo che lo sapremo mai.
Una cosa che mi ha sempre confuso di questo film sono i continui riferimenti a un “gran premio” delle ore 9, cioè un annuncio che sarebbe avvenuto alla fine della maratona di film horror per Halloween, quello che poi scopriremo contenere un segnale che innesca i microchip contenuti nelle maschere del Trifoglio d’Argento. In inglese è “the giveaway”, cioè un concorso in cui qualcuno avrebbe vinto qualcosa (non scopriremo mai come funzioni la cosa perché era solo un escamotage per far sintonizzare più bambini possibile a quell’orario e ucciderli). Sarà la mia mente moderna, ma ogni volta che nel film dicono “c’è il gran premio alle nove” penso al Gran Premio di Formula 1, e neanche mi è mai interessato il GP. Alle 9 non poteva esserci semplicemente “il concorso” o “l’estrazione”? No, “il gran premio”. Vabbè.
Tra le traduzioni curiose nomino “shopping malls” che nel film doppiato in italiano diventa “i centri acquisti“. Evidentemente “centri commerciali” ancora non era una definizione così diffusa nel 1983 quando il film uscì in Italia.
Per i cambiamenti arbitrari invece cito “La signora Tyler è attesa all’accettazione” che sentiamo provenire dagli altoparlanti dell’ospedale. In originale all’accettazione era atteso un tale ‘dottor Dr. Rusfield’. È l’unico nome cambiato (e su un brusio), per il resto nessun nome né cognome è stato alterato minimamente, a differenza del primo film.
Il mistero della festa di Lussawan (o Lusshall) risolto per la prima volta dopo 39 anni!
L’unica vera sorpresa nei dialoghi italiani arriva sul finale quando viene rivelata l’antica origine del culto druidico e al posto di “The festival of Samhain” (l’unico esile filo conduttore con il precedente film) sentiamo parlare di una certa festa di Lussawan (che i sottotitoli italiani del Blu-Ray trascrivono ‘Lusshall‘). Ci si domanda da dove possa venire questo nome bislacco che non trova riferimenti da nessuna parte su Internet. Se fosse inventato di sana pianta, perché cambiarlo così tanto con una parola che inizia per elle addirittura? Adesso vi risolvo io il mistero che nessun fan ha mai neanche menzionato prima d’ora in 39 lunghi anni.
Ebbene per capire questo cambiamento da Samhain a Lussawan bisogna andare a sentire la traccia originale, solo allora diventa palese (almeno per me) che chi ha trascritto i dialoghi ha semplicemente udito male: invece di “festival” devono averci sentito “fest of L-“, e il resto è stato un tentativo di trascrivere il suono di ‘Samhain’, che in inglese appunto si avvicina a ‘sàuan’. E così spiegata “la festa di Lussawan” che sentiamo nei dialoghi italiani.
Certo non sarà stato facile negli anni ’80 lavorare alla trascrizione dei dialoghi contenenti nomi celtici mai sentiti prima e senza l’ausilio di un copione originale né tantomeno di internet. Vi chiederete: ma non mandano ai dialoghisti il copione originale? La risposta è no. Solitamente no. E continuano a non farlo anche al giorno d’oggi, solo che oggi c’è internet, che è un potente alleato. [Nello specifico oggi ai dialoghisti inviano copioni che sono una trascrizione fatta da indiani o filippini per qualche ditta esterna, e non il copione che hanno avuto in mano gli attori, né tantomeno un suo derivato! No, c’è invece un poveraccio da qualche parte del mondo che deve ascoltare il film e trascrivere quello che sente.]
Il festival di Shyamalan
Il primo Halloween in cui si parla di Halloween
Nel terzo film nessun bambino dice mai “trick or treat” perché si svolge quasi interamente prima della notte di Halloween e prima quindi del tradizionale elemosinare. L’unico momento in cui compare la parola è nella forma “trick-or-treating” (verbo derivativo che oggi tradurremmo come “fare dolcetto o scherzetto”) durante la telefonata del dottore alla moglie, in cui lui le promette di tornare in tempo:
I’ll be back to take ‘em trick-or-treating, I promise.
Sarò di ritorno per portarli in giro la notte di Halloween, te lo prometto.
È anche il primo film in cui si parla di “festa di Halloween”, e non più di “festa della vigilia di Ognissanti”. Fino al secondo film infatti si era venuto a creare questo dualismo tra i titoli (scelti dalla distribuzione) che tenevano la parola ‘Halloween’, mentre l’adattamento italiano la evitava. Arrivati al terzo film la notorietà della parola ‘Halloween’ era tale da farsi strada anche nel copione. I tempi evidentemente erano ormai maturi e probabilmente proprio grazie al successo di quei primi due film che avevano sdoganato “Halloween” tenendolo nel titolo.
Presto, ché ci perdiamo la Festa di Lussawan!
Parlando del titolo italiano, o meglio, del suo sottotitolo (“Il signore della notte”), forse a qualcuno sarà sembrata una scelta obbligata dopo un secondo film intitolato “il signore della morte”, ma a me sembrerà sempre una presa in giro con quel sottotitolo “il signore della notte“, che sembra un nemico decisamente minore e meno preoccupante di un Signore della MORTE. Saranno le idee bacate di De Laurentiis che ci hanno regalato questi titoli ridicoli? L’allusione è al nuovo nemico: il vecchio Willy Wonka irlandese che usa il capitalismo per uccidere una generazione di bambini americani vendendo prodotti di sottomarca. Avrebbe avuto più senso slegarlo dai precedenti Halloween, come del resto il titolo italiano del secondo film aveva già fatto con “il signore della morte”. Ma la titolazione italiana, lo sappiamo, è tutto tranne che sensata.
A circa 1h30m ci ritroviamo con una battuta in inglese “Ellie, you all right?” anche sulla traccia italiana. Nel primo DVD della Pulp Video, che origina da una copia italiana in 35mm, questa battuta era invece presente (“tutto bene, Ellie?”) e veniva dopo un piccolo salto, sicuramente dovuto al cambio di rullo della pellicola. I cambi di rullo non di rado capitavano sempre negli stessi punti, quindi si spiega il perché copie diverse presentano un qualche problema nello stesso identico punto. Questo vuol dire che la Midnight ha avuto accesso a una copia d’archivio ancora più usurata. Ogni volta che le pellicole vengono rimontate in rulli per essere proiettate (o scansionate) infatti, alle estremità viene sempre tagliato un pezzo. Taglia oggi taglia domani, le pellicole finiscono per essere accorciate sempre più e le battute molto vicine alla fine e all’inizio di un rullo finiscono per essere tagliate.
Concludendo la nota tecnica, oserei dire che l’audio del primo DVD è leggermente migliore rispetto al moderno Blu-Ray. Battute come “100 milligrami di Torazin. Per endovena” nel DVD sembrano chiare, mentre nel Blu-Ray sembra che dica “100 milligrammi di Tòraz” (a 11 minuti circa). Sicuramente se l’è mangiato qualche filtro per ridurre il rumore di fondo. Da quello che ho sentito, il “danno” sarebbe limitato a questi due momenti, ma con quello che costa il cofanetto Blu-Ray, direi male, molto male. Fossi in voi il DVD me lo terrei stretto ancora per un bel po’.
Scheda di doppiaggio di Halloween III – Il signore della notte
Direttore di doppiaggio: Maura Vespini
Dialoghista: Mario Russo [fonte SIAE]
Studio di doppiaggio: SEDIF con la partecipazione della CVD
Il cast di doppiatori
Stefano Satta Flores: Dott. Daniel Challis (Tom Atkins) Maria Teresa Martino: Ellie Grimbridge (Stacy Nelkin) Gianni Bonagura: Conal Cochran (Dan O’Herlihy) Davide Lionello: Buddy Kupfer Jr. (Bradley Schachter) Roberta Greganti: Linda Challis (Nancy Kyes) [fonte Antoniogenna.net] Oreste Rizzini: Starker (Jonathan Terry) Renato Cortesi: Red (Norman Merrill) [fonte Antoniogenna.net]
Anche Roberto Rizzi e Silvio Anselmo sono nominati sulla scheda di doppiaggio su Antoniogenna, ignoti i ruoli. Mancano tanti altri personaggi all’appello, se qualcuno vuole divertirsi a identificarli è benvenuto. Spesso il film si trova per intero su YouTube.
Un paio di voci saltano facilmente all’orecchio per chi è cresciuto con i film anni ’80: il bambino la cui testa diventa una busta piena di insetti ha la voce di Chunk dei Goonies (Davide Lionello) mentre il protagonista Tom Atkins è il nostro Jan Solo dalla trilogia originale di Guerre stellari (Stefano Satta Flores). Gianni Bonagura, che non mi era piaciuto nel primo film come voce del dottor Loomis, qui sembra perfetto sul vecchio Willy Wonka irlandese. Questo a sottolineare che la scelta dei doppiatori nel primo film era sbagliata “sui personaggi”, non per i doppiatori in sé. Queste ovviamente sono opinioni personalissime. L’adattamento di questo terzo film è invece oggettivamente molto buono, se ignoriamo quella festa di Lussauan. L’adattamento infatti rimane pressoché invisibile, che è il miglior complimento che si possa fare a un adattamento. La direttrice del doppiaggio Maura Vespini, che qui era forse alla sua prima direzione (almeno secondo il suo CV su VixVocal), la ritroveremo nel decennio successivo a dirigere (e anche co-dialogare) quel capolavoro comico de La signora ammazzatutti di John Waters, quindi è automaticamente una mia amatissima e rispettatissima amica, anche se non ci conosciamo.
Halloween 4 – Il ritorno di Michael Myers (1992)
Titolo originale: HALLOWEEN 4: The Return of Michael Myers (1988)
A 10 anni esatti dal primo film e quindi dagli eventi dei primi due (che si svolgevano nella stessa notte), Michael Myers ritorna a Haddonfield. Questo se siete americani e avete visto il film al cinema negli Stati Uniti nel 1988, perché in Italia sarebbe uscito solo quattro anni dopo, senza fretta, nel 1992, distribuito da “Angiolo Stella per la ARTIMM”. Così almeno recita la locandina. Nello stesso mese (settembre ’92), lo stesso Angiolo Stella portava anche Il tagliaerbe nelle sale italiane. Pare proprio che i distributori italiani più grandi non abbiano voluto toccare Halloween 4 neanche con i guantoni da boxe (cit.), visto che praticamente ci ha dovuto pensare un indipendente. Nel frattempo in America era già uscito Halloween 5 (1989) che in Italia resterà inedito per altri 25 anni. Sicuri che questa serie aveva successo all’epoca?
Senza troppe spiegazioni, tranne l’avidità dei produttori del film, scopriamo che sia Michael sia il Dr. Loomis sono sopravvissuti alla devastante esplosione del finale di Halloween 2, giusto con un paio di ustioni superficiali, e Michael è tornato in stato catatonico per 10 anni nel caro vecchio ospedale psichiatrico. Questo almeno finché non sente una conversazione tra infermieri in cui scopre di avere una nipote, figlia di Laurie, la protagonista dei primi due film, che nel 2 avevamo scoperto essere la sorella di Michael. Sì, Halloween ha più colpi di scena e parentele incrociate di Beautiful. Appena sente parlare di una nipote, Michael dà di matto, si libera, uccide tutti e si dirige nella sua città natale di Haddonfield con l’intento di uccidere l’ennesima Myers, perché non può esistere alcun Myers tranne Michael. Nessuno ha mai pensato che ci possa essere un’eredità cospicua da qualche parte? Altrimenti non si spiega questo accanimento. Veniamo a sapere che la Laurie (Jamie Lee Curtis) dei primi due film è morta (la vedremo solo in foto) mentre la figlia, Jamie (capito? Jamie? Come Jamie Lee Curtis… eh? Eh?!), è orfana e viene accudita dalla famiglia Carruthers che nella versione italiana si chiamano Carter. Olé!
Sì, si torna alle pronunce strambe o alterate dei nomi che pensavamo di aver abbandonato col secondo film del 1982 e invece non si sta mai tranquilli. Se i Carruthers diventano i Carter, il nome della protagonista, Rachel, viene pronunciato all’italiana, cioè come una “Rachele” che ha perso la “e” finale. Era ancora troppo presto per “Récel” per le orecchie italiane? Friends evidentemente era ancora di là da venire. Il nome di Lindsey invece qui è pronunciato correttamente (linzi) ed è quella stessa Lindsey che il doppiaggio del primo film chiamava Lucy, quindi nessuno in Italia avrà capito che si trattava dello stesso personaggio, ma non è certo colpa del doppiaggio del quarto film. Chi è arrivato a leggere fin qui lo ha fatto con la mano sulla fronte, lo so. Continuate a leggere che state andando benissimo.
Lo psichiatra peggiore del mondo (o il migliore?)
Halloween 4 è il primo film del filone di Michael Myers dove i personaggi parlano di ‘Halloween’ invece della vigilia di Ognissanti e dove “boogeyman” viene tradotto correttamente come “l’uomo nero” (“tuo zio è l’uomo nero!”). La famosa domanda “trick or treat?” viene tradotta funzionalmente ma brutalmente come “ci dai i dolcetti?” senza nessun tentativo di farne una cantilena o una rima. Maleducati ‘sti ragazzini.
L’adattamento nel complesso è generalmente buono e ho notato un solo vero errore dovuto ad una grossa incomprensione, ovvero quando “troopers” diventa senza motivo “la polizia a cavallo“.
“Call the troopers and check his story out” detto dallo sceriffo di Haddonfield in italiano diventa “chiama la polizia a cavallo e fai fare un controllo“. Il ragazzo potrebbe avere del fieno nelle tasche! Con il nomignolo “troopers” lo sceriffo intendeva dire in realtà gli “State Troopers”, cioè gli agenti della Polizia di Stato, che negli Stati Uniti si occupa di tutto ciò che non cade nella giurisdizione degli sceriffi di contea e quindi della “polizia locale”. Da dove sia venuta l’idea che “troopers” sia nello specifico la polizia “a cavallo” posso immaginarlo, ma in questo caso è errato. Alla fine del film li vedremo arrivare, ovviamente non a cavallo.
I rinforzi a cavallo
Nella stessa sequenza citata, lo stesso sceriffo dice “we’ll call the State boys from there“, che viene correttamente tradotto come “chiameremo la Polizia di Stato da lì“. Quindi era solo la parola “troopers” che è stata fraintesa. Ma Troopers, State Troopers e State boys, sono tutti nomignoli per dire la stessa cosa.
Quando poi lo sceriffo riesce a contattare la Polizia di Stato via radio, insiste nel chiedere i rinforzi dei poliziotti a cavallo (“ci servono i rinforzi a cavallo!“). Ancora una volta è un’interpretazione errata della parola troopers che descrive semplicemente gli agenti della Polizia di Stato. Per confondere sempre di più le cose, alla radio la Polizia di Stato comunica che entro cinque minuti “partiranno delle auto”. Quindi dove stanno ‘sti cavalli? Se lo sceriffo avesse richiesto “la cavalleria” non avrei battuto ciglio. Invece no, voleva proprio la polizia “a cavallo”. Chiamare la cavalleria non è mai stato più letterale di così.
È l’unico vero errore di questo adattamento, facilmente intuibile anche senza conoscere l’inglese per il semplice fatto che non vediamo mai alcun cavallo in tutto il film, né ha senso che la polizia di Stato venga da chissà dove “a cavallo” in soccorso della polizia locale. Quindi posso dire che l’adattamento del 4 se la sia cavata meglio di tanti altri Halloween dopotutto.
La seconda che hai detto
Non posso non concludere con una nota più tecnica. Il Blu-Ray presente nel cofanetto della Midnight Factory ha un audio italiano distorto e “intubato” che è davvero pietoso e non fa per niente giustizia al buon cast di doppiatori di questo film. Di questo costoso cofanetto, il 4 è in assoluto la vergogna peggiore. Immagino che l’audio provenga da qualche vecchia copia d’archivio su nastro magnetico o addirittura da una registrazione televisiva perché a un certo punto c’è anche un buco audio che non può essere dovuto alla censura (era forse uno stacco pubblicitario?). Sto parlando della scena in cui la bambina protagonista riesce a scappare dalla casa per sfuggire a Michael e viene intercettata dal Dr. Loomis in giardino. Sul Blu-Ray le loro battute passano in inglese (circa a 1h12m del Blu-Ray) e dubito che fossero assenti nella versione arrivata nei cinema italiani. Chi possiede questo film in VHS controlli, sicuramente la ritroverà per intero.
Scheda di doppiaggio di Halloween 4 – Il ritorno di Michael Myers
Direttore di doppiaggio: [sconosciuto]
Dialoghista: Flavio De Flaviis (fonte SIAE)
Studio di doppiaggio: SAS – Società Attori Sincronizzati
Rimangono ignoti per il momento la doppiatrice di Jamie, la bambina protagonista interpretata da Danielle Harris, la doppiatrice di Lindsay Wallace (Leslie L. Rohland), il doppiatore del reverendo Jackson P. Sayer (Carmen Filpi) e quelli di altri personaggi minori. Di sicuro l’identità di chi doppia Jamie merita di essere scoperta perché è ridicolo che manchi all’appello proprio la protagonista del film.
Halloween 5 – La vendetta di Michael Myers (2014)
Titolo originale: HALLOWEEN 5: THE REVENGE OF MICHAEL MYERS (1989)
Se il numero 4 aveva richiesto l’intervento di indipendenti per distribuirlo in Italia con ben quattro anni di ritardo, questo quinto capitolo di Halloween fu ignorato completamente. E dopo averlo visto posso anche capire il perché: è una merdaccia che sciupa anche quel poco di buono fatto con Halloween 4 e introduce concetti bizzarri mai veramente spiegati, tipo un tatuaggio runico (si suppone di una setta di druidi visto quello che accadrà nel 6) e un misterioso uomo in nero che a metà film arriva a Haddonfield con una corriera e sul finale salva Michael Myers dalla gattabuia, così da titillare il pubblico con un possibile seguito. La setta è così potente che il loro capo non ha nemmeno una sua automobile, deve prendere l’autobus.
Nella loro testa, i produttori già immaginavano folle imploranti un sesto capitolo. Il sesto però non arrivò a ruota come previsto, dopo questa scottatura ci vollero ben sei anni prima che qualcuno si azzardasse a sfornarne un altro. E altri 25 perché arrivasse in Italia!
Donald guarda le rune sul polso o accenna un gesto dell’ombrello?
L’Halloween inedito per 25 anni
È curioso che in Italia, all’epoca dei videonoleggi, nessuna azienda lo abbia mai fatto doppiare per una fetentissima uscita VHS, visto che nella stessa epoca abbiamo visto in italiano film ben peggiori, magari doppiati da studi di Milano e destinati solo al mercato home video. Nemmeno la più scrausa delle etichette italiane credeva che qualcuno avrebbe noleggiato questo film? Per la cronaca, all’epoca avere serie di film che arrivavano oltre il terzo capitolo era già di per sé una barzelletta e il pubblico generalista non le vedeva di buon occhio. Infatti, la dicitura “La vendetta” in Italia era diventata uno sfottò abbastanza comune già dai tempi di Lo squalo 4 (1987) e Rambo III (1988) per indicare ironicamente sequel sempre più triti e ridicoli, quindi un Halloween 5 – La vendetta di Michael Myers per lo spettatore anni ’90 sarebbe stato un titolo che si prendeva in giro da solo.
Prime notizie di un doppiaggio di Halloween 5 spuntano fuori nel 2014 quando il film compare sulla piattaforma Infinity di Mediaset, ma solo dal 2019 esiste ufficialmente anche in home video nel cofanetto Blu-Ray della Midnight Factory. È il tipico doppiaggio moderno con alcuni buoni interpreti (Barbara De Bortoli, Perla Liberatori) e altri che avremmo preferito non sentire su certi ruoli. Di tutti i cambi di voce di Donald Pleasence (una diversa per film), quella che sentiamo nel quinto è la più improponibile e quella più “slegata” dal personaggio. A volte sembra che faccia il “vocione grosso” di proposito. Il personaggio del Dr. Loomis nel 5 è già caricaturale di suo, non c’era bisogno di calcare la mano. E pensare che nella mia maratona Halloween, prima di arrivare al 5°, avevo ingenuamente pensato che Gianni Bonagura del primo film fosse quello meno adatto al volto/ruolo di Pleasence!
E non sono neanche il solo ad averlo notato. Claudio Pofi nella rivista online AF Digitale scrive “nel quinto capitolo la voce del doppiatore di Donald Pleasance è radicalmente diversa“. A dir poco! La voce è diversa in ogni film, lo ribadisco, ma solo quella del 5 “si fa notare”. Purtroppo in questo caso non è un complimento.
Fantozzi, è lei?
L’adattamento italiano
Dal punto di vista dell’adattamento niente da riferire, tutto regolare. Ovviamente i “trick or treat” qui sono l’ormai standardizzato “dolcetto o scherzetto” (è pur sempre un adattamento del 2014) e il nome Rachel è giustamente pronunciato all’americana (Rècel), ignorando la precedente lettura “all’italiana” del quarto capitolo (che qualcuno nella scheda sul sito Antoniogenna ha anche cercato di giustificare trascrivendola come “Raquel”). In questo quinto film sono presenti membri della famiglia Carruthers ma il loro cognome non viene mai menzionato, quindi ci siamo evitati l’ennesima confusione con il precedente cognome inventato “Carter”.
Scheda di doppiaggio di Halloween 5 – La vendetta di Michael Myers
Direttore di doppiaggio: [sconosciuto]
Dialoghista: [sconosciuto]
Studio di doppiaggio: Studio Emme
Il cast di doppiatori
Massimo Milazzo: Dr. Loomis (Donald Pleasence) Monica Volpe: Jamie (Danielle Harris) Perla Liberatori: Tina Williams (Wendy Foxworth) Barbara De Bortoli: Rachel Carruthers (Ellie Cornell) Achille D’Aniello: Sceriffo Ben Meeker (Beau Starr) [fonte Antoniogenna.net]
Massimo Milazzo era già stato la voce di Donald Pleasance nel ridoppiaggio di L’uomo che fuggì dal futuro (THX-1138, 1971) di George Lucas, sempre eseguito dallo studio StudioEmme per l’edizione speciale in DVD del 2004. Una versione del film, un adattamento e un doppiaggio di cui non sono esattamente un appassionato. Anzi, che aborro proprio. Ma questa sarà una storia per un’altra volta.
Halloween 6 – La maledizione di Michael Myers (1996)
Titolo originale: HALLOWEEN: THE CURSE OF MICHAEL MYERS (1995)
Questo è il secondo Halloween che mi capitò di vedere da adolescente, in TV, nello stesso periodo in cui recuperai il terzo in videoteca. Quando si dice iniziare una serie col piede sbagliato. Halloween 6 deve essere nato sotto una cattiva stella e uscito durante un allineamento di pianeti particolarmente sfavorevole perché è venuto fuori come il più confusionario e il più ridicolo della serie. Ogni sequenza non può che lasciare basiti e pieni di domande. In più non ha un “vero” finale. Tutto sommato fa ridere nella sua insensatezza. In Italia i fan danno spesso la colpa della trama confusionaria al mancato arrivo in home video del precedente Halloween 5, ma dopo questa maratona che mi sono fatto posso assicurare a tutti che, anche guardandoli uno dietro l’altro, le insensatezze e la confusione restano. Mettiamo a tacere queste malelingue.
Con il 6 continua la trama della setta segreta degli adoratori di Michael Myers (forse una parodia dei fan), quella che controlla Michael grazie a un’antica runa dei druidi. È la runa che rappresenta “la maledizione del Thorn” ci dice il film (demone celtico di cui Michael parrebbe esserne l’incarnazione) e che a pensar male sembra essere piuttosto l’ideogramma primitivo di quella che a Firenze definiremmo una fava piccola.
Il simbolo ci raccontano essere anche una costellazione che appare e scompare ogni tot anni nel giorno di Halloween. E quando compare tocca sacrificare un bambino per evitare catastrofi e piaghe bibliche. Quindi tutto sommato la setta lavora per il bene dell’umanità. Ecco spiegato perché Michael torna un po’ quando cazzo pare a lui, e a volte passano anche 5-6 anni! Giusto il tempo di produrre un nuovo capitolo della serie e di giustificarlo con fantomatiche costellazioni a scomparsa. Già da questo si capisce che la sceneggiatura è sul demenziale andante. Ma gli sceneggiatori qui vanno ben oltre, suggerendo addirittura che nel DNA dei bambini da sacrificare si trovino le rune di Thorn. A cercare di dare un senso a questo film c’è da impazzire, prendere un coltello da cucina e mettersi a uccidere la gente per la vigilia di Ognissanti, quindi non ci proverò nemmeno. È un film scemo e fa ridere, tanto ci basta per il sesto capitolo della serie horror più famosa al mondo.
La trama
Il film è anche difficile da raccontare. Inizia nelle segrete di un ospedale dove la piccola Jamie Lloyd dei precedenti film è ora maggiorenne e partoriente, ma soprattutto è un’attrice diversa da quella dei precedenti due film. Quindi si inizia all’insegna del confusionario dalla primissima inquadratura. La setta vuole sacrificare il suo bambino (che non si sa di chi sia. Di Michael Myers forse? Cioè di suo zio? Brrr!) ma lei riesce a fuggire e nasconde il pargolo in tempo prima di essere uccisa da Michael. Siccome Michael a questo punto non sa che altro fare ed è la vigilia di Halloween, pensa bene di dirigersi verso Haddonfield per fare le sue solite bricconate, ma trova casa sua occupata da un altro ramo della famiglia Strode.
In questa famiglia allargata, dove convivono cinquantenni che sembrano settantenni, trentenni che sembrano quarantenni, adolescenti che sembrano ventenni e bambini che non sanno recitare, vive la protagonista di questo film, Kara Strode con suo figlio Danny, il peggiore degli attori-bambini disponibile in quel momento. Anche Danny ha una connessione magica con il prozio Michael Myers ma questa non verrà mai esplorata, né spiegata.
Nella casa di fronte invece vive Tommy Doyle, il bambino sopravvissuto dal primo film che ora è cresciuto per diventare Paul Rudd (sì, sì, quel Paul Rudd). Tommy passa la vita a studiare la runa di Thorn e dalla sua cameretta sorveglia l’ex-casa dei Myers in attesa che torni l’uomo nero. Il non-più-piccolo-Tommy si è trasformato in un complottista di Michael Myers, gli manca solo il cappellino di carta stagnola in testa e appena riuscirà a scattare una foto al mostro la manderà sicuramente a una di quelle riviste che pubblicano le foto di Bigfoot. Tommy diventa il nostro strambo co-protagonista e insieme a lui torna anche il personaggio del dottor Loomis, Donald Pleasence al suo ultimo ruolo (l’attore morì quasi a fine riprese).
Il film non ha un finale, lo dico subito. Tommy, Kara e Danny si salvano scappando dall’ospedale, il dottor Loomis muore con un urlo fuori campo e Michael è ancora in libertà. Questo sarà l’ultimo capitolo di questo filone narrativo. Quindi se non vi piacciono le storie incompiute e siete arrivati al sesto film vi potete pure attaccare.
Su, su, Paul Rudd, non comparirai mai in un film peggiore di questo.
La versione alternativa: two è pegg’ che one
Di Halloween 6 esiste una seconda versione alternativa chiamata “Producer’s Cut” (compresa nel cofanetto Blu-Ray della Midnight Factory) che, per via dei radicali cambiamenti alla trama e dell’uso di numerose scene e dialoghi nuovi o alternativi, non è mai stata doppiata, ma la troverete sottotitolata in italiano. Il montaggio della “Producer’s Cut” è meno frenetico, non ha “jumpscare” ridicoli inventati in sala di montaggio, e ricorda più un film di Michael Myers e meno un video di MTV. Si vocifera tra i fan che sia la versione migliore e la prima da vedere se siete nuovi alla serie. Purtroppo sento di dissentire. Anche se è curioso vedere le molte scene aggiunte (specialmente nella parte finale) e ritrovare un ritmo più familiare, nonché stare a vedere Paul Rudd che tira fuori i ciottoli magici per proteggersi da Michael, anche in questo caso la conclusione risulta affrettata, per non dire assente. Un’interessante variante, di sicuro, ma non la prima che consiglierei di vedere.
Nella recensione di Halloween 6 sul blog amico Il Zinefilo di Lucius Etruscus (a cui ho candidamente rubato la locandina) potete leggere anche che la versione italiana andata al cinema in Italia fu censurata di ben 13 minuti, e così è rimasta anche in VHS e DVD della CecchiGori, solo il Blu-Ray della Midnight Factory la ripristina per intero. Dal Zinefilo:
″Va be’, voi direte, avranno tolto un paio di scene… magari! Hanno tolto un secondo qua, un secondo là, una sforbiciata qua, una sforbiciata là, e il personaggio del dottor Wynn viene quasi del tutto tagliato via: quando si scopre che è lui l’uomo nero, chi lo riconoscerà?″
Nel Blu-Ray infatti c’è almeno una scena particolarmente truculenta in cui l’audio è solo in inglese con sottotitoli in italiano, arriva durante l’assassinio di Jamie Lloyd nel prologo del film. Si spiega dunque quel visto censura “per tutti” e senza tagli che ha ottenuto il film, l’avranno evirato prima ancora di presentarlo al tavolo della censura. Perché rischiare? L’importante è staccare più biglietti possibili, se nel film non si capisce un cazzo poco importa.
L’adattamento italiano
L’adattamento italiano di Halloween 6 continua la grande tradizione del cambio dei nomi. Infatti, Kara Strode diventa Sarah Strode nel doppiaggio italiano. La motivazione qui è facilmente intuibile: evitare che le frasi che iniziano con “Kara…” sembrino un paternalistico “cara…”, e ce ne sono diverse nel film. Una scelta più furba di quanto potrebbe sembrare sulla carta (e Supergirl muuuta!). L’adattamento italiano parrebbe non avere vere pecche. “Boogeyman” continua ad essere “l’uomo nero” e “Halloween” rimane “Halloween”. Un buon lavoro.
Se vogliamo, l’unico pelo nell’uovo che ho trovato è in una scena dove il padre di famiglia dice alla moglie di “smetterla di guardare quei dannati film dell’orrore alla TV” quando in inglese invece erano i “TV talkshows” (forse non si associava facilmente l’idea del Maurizio Costanzo Show alle storie di assassini?). Come variante non è male, la moglie aveva sentito parlare dell’assassinio di Jamie Lloyd ed era terrorizzata, ma il signor Strode non le crede e dà la colpa ai film horror. Ma trovo difficile da credere che la signora Strode fosse la tipica amante dei film horror. Semmai, ha proprio il phisique du role di quella che proibirebbe ai propri figli di guardarli.
Tipica appassionata di film horror in un film horror
Questo è davvero cercare il pelo nell’uovo, ma non travisiamo, l’adattamento è ottimo. Non ho scoperto chi lo abbia curato ma ha i miei complimenti per aver regalato alla serie il primo adattamento che si possa dire perfetto. Ci sono voluti solo vent’anni, che vuoi che sia. Peccato sia arrivato sul film più scemo di tutti. Al doppiaggio c’è la famiglia Ward quasi al completo.
Scheda di doppiaggio di Halloween 6 – La maledizione di Michael Myers
Direttore di doppiaggio: Marisa Ward
Dialoghista: [sconosciuto/a]
Studio di doppiaggio: Cineroma
Il cast di doppiatori
Giorgio Lopez: Dr. Loomis (Donald Pleasence) Andrea Ward: Tommy Toyle (Paul Rudd) Roberta Greganti: Sarah Strode (Marianne Hagan) Gianny Musy: Dottor Wynn (Mitch Ryan) Corrado Conforti: Tim Strode (Keith Bogart) Monica Ward: Jamie Lloyd (J.C. Brandy) [fonte: Wikipedia]
Con Halloween 6 si conclude il “filone della setta di Thorne”. Questo filone include Halloween (1978), Halloween II (1981), Halloween 4 – Il ritorno di Michael Myers (1988), Halloween 5 – La vendetta di Michael Myers (1989) e Halloween 6 – La maledizione di Michael Myers (1995). Per qualche anno abbiamo pensato che fosse la veramente-vera fine della serie e invece alla fine degli anni ’90 gli “slasher” tornano di moda e i possessori dei diritti su Michael Myers non stanno certo a guardare.
Halloween 20 anni dopo (1999)
Titolo originale: HALLOWEEN H20 (20 YEARS LATER) (1998)
Halloween 20 anni dopo, foto della locandina rubata da eBay
Spacciato all’epoca come la cosa migliore del mondo dall’invenzione del cinematografo, il “grande” ritorno alla serie originale arriva in Italia a fine estate deliziando il pubblico come una scoreggia in autobus affollato. Io c’ero in sala e me lo ricordo, puzzava da morire. E la delusione ancora mi perseguita. Il film resetta tutto ad Halloween II e ignora il 4, il 5 e il 6 lasciando così in sospeso la cosiddetta “trilogia di Thorn”, con la setta di Thorn, le pietre magiche e la costellazione della fava stiappona. Così com’era successo al sesto capitolo, anche il “grande” ritorno di Jamie Lee Curtis perde già in partenza uscendo in un mondo cinematografico post-Scream. Come atto di massima crudeltà verso gli spettatori paganti, all’interno del film (!!!) vediamo i protagonisti che si guardano Scream 2 in TV, ricordandoci così di essere entrati al cinema a vedere il franchise sbagliato. Io c’ero. Testimone oculare.
Sveglia! È il 31 ottobre e a Hollywood è ora di fare soldi!
Se è vero che ci siamo lasciati alle spalle Paul Rudd e i suoi ciottoli magici, questo è il film in cui Michael Myers viene fermato momentaneamente da una ginocchiata nelle palle e strabuzza pure gli occhi. Mi scuserete se arrivato al settimo film ancora non ci vedo poi molto di paranormale nel signor Myers. È anche il capitolo con la maschera più ridicola di sempre con quegli occhi costantemente a vista. Ma non contenti di questo primato, in una delle prime scene in cui la maschera compare da vicino, questa risulta addirittura comica. Sembra la spada canterina ACME di Chi ha incastrato Roger Rabbit. A quanto pare a riprese già inoltrate decisero di cambiare la maschera (cioè, quella di prima faceva ancora più schifo??) costringendo a rigirare tutti i primi piani, tranne quello della spada canterina, perché intanto il set era già stato smantellato e così dovettero letteralmente disegnarla al computer, in CGI. In CGI del 1998.
Non sono cattivo, è che mi disegnano così.
U G U A L E !
È una piccola tradizione della saga di Halloween quella di far vedere un film horror in TV ed è tradizione italiana ridoppiarli. Solitamente questo capita perché usare la clip audio italiana che viene da un altro film è complesso a livello legale e ci vuole del tempo anche solo per chiedere i permessi e ottenere il materiale, a maggior ragione se il film (o anche solo il doppiaggio) è in mano a un distributore diverso da quello che commissiona il doppiaggio. In questo caso, oltre a Scream 2 (che dovrebbe avere il suo doppiaggio originale ma odio troppo questo film e non ho voluto soffermarmi per verificare) compare anche Plan 9 from Outer Space (mai doppiato prima in Italia), ma lascio ad altri il piacere di fare i confronti audio/video di queste scene. Non chiedetemi di guardarlo mai più.
L’adattamento italiano e Myers pronunciato ‘meiers’
Un adattamento praticamente perfetto ci sorprende solo per un’inedita pronuncia di Myers come “meiers” invece di “maiers” e per una possibile svista che approfondirò a breve. Tutto il resto sono solo semplici curiosità. Ad esempio quando Laurie rimprovera la guardia per aver lasciato uscire il figlio dal campus, questo dirà “psycho!“, mentre in italiano è giustamente “che strazio!“, che ha senso nel contesto. L’espressione “Psycho!” è come il nostro “è una pazza!”. Nel copione originale questa battuta esiste solo come uno dei tanti e inutili espedienti per inserire riferimenti al film Psyco di Alfred Hitchcock. Tra questi ricordiamo la presenza della mamma di Jamie Lee Curtis, Janet Leigh, famosa vittima di accoltellamenti sotto la doccia, che in questo Halloween 20 anni dopo ha il suo momento di gloria quando dice un paio di battute e fa cinque passi stanchi verso l’automobile per non rivederla mai più. Ah, l’automobile era la stessa di Psycho ovviamente. E durante l’inquadratura statica dei cinque passi stentati, la colonna sonora ci “delizia” con le note della colonna sonora di Psycho. L’avevate capito che si omaggia Psycho in questo film? Il perché è ancora in dubbio e il collegamento con la serie di Halloween mi sfugge completamente. Sì, c’è la figlia di Janet Leigh e c’è il coltellone da cucina, ma ci avete messo 20 anni prima di fare un riferimento simile? Mah.
Ma perché scomodare Hitchcock?
Un altro dubbio eterno rimarrà sul perché abbiano voluto giocare sulla formula dell’acqua “H20”? Questo capitolo infatti è noto tra i fan di lingua inglese come “Halloween acca-due-o” (aitch-two-o), e non “acca-venti”, lo pronunciano cioè come la formula chimica dell’acqua. Non a caso, il documentario del 2013 dedicato a questo film (incluso anche nel Blu-Ray italiano) si intitola “Blood is Thicker Than Water: The Making of H20“, cioè “il sangue è più denso dell’acqua”. Che c’entra l’acqua con ‘sto film lo sanno solo loro. Mi viene solo da pensare al detto “dead in the water”, equivalente al nostro “morto e sepolto”, ma forse ci sto riflettendo troppo. Riguardando il film per scrivere questo articolo mi è venuta in mente solo “la tortura dell’acqua”, di gran lunga preferibile.
Classica gag della reazione al calcio nelle palle e le risate di Paperissima
[Nei commenti, la lettrice “Vasquez” suggerisce che venga dal modo in cui gli americani pronunciano i numeri, dove lo zero diventa “o” ed è certamente l’unica spiegazione sensata per questa “acqua” venuta dal nulla.]
Continuando con l’adattamento, carina la battuta “adesso che facciamo? / Chiudiamo il conto!” (in originale: try to live, cioè “proviamo a sopravvivere”) che è veramente l’unica alterazione del copione italiano ma rimane comunque fedele allo spirito del personaggio della Laurie incazzata col fratellone. Fratellone coltellone un po’ cojone.
La possibile svista a cui accennavo arriva durante i titoli di inizio del film, in lingua originale sentiamo il discorso di Donald Pleasence che è lo stesso discorso del primo film del 1978 ma recitato da un “voice actor” (Tom Kane) che imita Donald Pleasence. Questo perché quando sono andati a girare “H20” non avevano più gli elementi audio originali del ’78 e sono stati costretti a ri-registrare quelle battute in assenza di Pleasance (morto alla fine delle riprese del 6). Nella versione italiana, ritrovandoci per la settima volta con uno studio di doppiaggio diverso, ovviamente è stato riadattato e ridoppiato come da tradizione per TUTTI gli Halloween. Ecco dunque lo stesso dialogo a confronto.
Halloween (1978)
Halloween 20 anni dopo (1998)
“L’ho incontrato 15 anni fa, era come svuotato. Non capiva, non aveva coscienza, non sentiva – anche nel senso più rudimentale – né gioia, né dolore. Né male, né bene. Né caldo, né freddo. Spaventoso. Un ragazzo di 6 anni con la faccia atona, bianca, completamente spenta. E gli occhi neri. Gli occhi del diavolo.
Per 8 anni ho tentato di riportarlo a noi, ma poi per altri 7 l’ho tenuto chiuso, nascosto, perché mi sono reso conto con orrore che dietro quegli occhi viveva e cresceva il male.”
“Lo conobbi 15 anni fa. Avevo sentito dire che in lui non era rimasto nulla. Né ragione, né coscienza, né capacità di apprendimento. Non il più elementare senso della vita e della morte, del bene o del male, del giusto o dell’ingiusto. Era come un bambino di 6 anni dal volto anonimo, pallido, incapace di qualsiasi emozione. Con due occhi neri come la pece. Gli occhi del demonio.
Ho impiegato 8 anni per sapere dov’era finito e per altri 7 ho suggerito di tenerlo in isolamento, perché avevo capito che negli occhi di quel ragazzo non c’era altro che il male.”
Le differenze tra le due versioni sono spiegabili in un paio di modi: prima di tutto la seconda versione è una voce fuori campo, quindi senza i limiti del labiale in cui dover incastrare le battute che per esempio accorciavano “the blackest eyes” con dei semplici “occhi neri” (in questo senso è più corretta la seconda che parla di “occhi neri come la pece”) e in secondo luogo, la prima versione del 1978 era nel contesto di una “chiacchierata” dello psichiatra con lo sceriffo, là dove Michael era appena scappato dopo 15 anni di reclusione in un ospedale psichiatrico, quindi ad esempio quando parla degli 8 anni passati tentando “di riportarlo a noi” (“8 years trying to reach him”) e dei successivi 7 in cui ha praticamente gettato la spugna e lo ha tenuto a marcire in una cella, Loomis sta chiaramente parlando del lavoro di psichiatra svolto con Michael fino a quel momento.
Nella seconda versione di 20 anni dopo, la stessa frase diventa “8 anni per sapere dov’era finito” che potrebbe essere riferita allo stesso concetto (un bambino “svanito” dietro un volto senza emozioni), ma è facile che possa far pensare piuttosto a 8 anni in cui Michael Myers è stato in fuga con il dottor Loomis alle calcagna. Che è un po’ la trama dei precedenti capitoli della serie ma ricordiamoci che Halloween 20 anni dopo li ignorava, essendo un seguito diretto di Halloween II, che si svolgeva sempre nel 1978. Quindi i conti 8+7 non tornano per arrivare a 20 anni.
A parte questa frase (che potrebbe essere una svista oppure può essere semplicemente la stessa frase ma in una versione un po’ più ambigua) e tralasciando il cognome Myers pronunciato in modo inedito, ribadisco che l’adattamento e il doppiaggio sono ottimi. È il film che mi fa schifo, non vorrei che ci fossero dubbi su questo. Chiudiamo dunque con la scheda di doppiaggio.
Sono lontani gli anni di quel pidocchioso di De Laurentis e dei capitoli che nessuno voleva neanche distribuire! Per il “grande” ritorno alla serie, Cecchi Gori tira fuori lo studio di doppiaggio delle grandi occasioni: SEFIT-CDC, diretto da Michele Gammino che in quegli anni ci ha regalato anche quel Vampires di John Carpenter che abbiamo già avuto modo di apprezzare da queste parti.
Scheda di doppiaggio di Halloween 20 dopo
Direttore di doppiaggio: Michele Gammino
Dialoghista: Michele Gammino
Studio di doppiaggio: SEFIT-CDC
Il cast di doppiatori
Vittorio De Angelis: John Tate (Josh Hartnett) Antonio Sanna: Will Brennan (Adam Arkin) Rossella Acerbo: Molly Cartwell (Michelle Williams) Nino Prester: Ronny Jones (LL Cool J) Domitilla D’Amico: Sarah Wainthrope (Jodi Lyn O’Keefe) Anna Rita Pasanisi: Laurie Strode alias Keri Tate (Jamie Lee Curtis) Fabrizio Manfredi: Charlie Deveraux (Adam Hann-Byrd) Flaminia Jandolo: Norma Watson (Janet Leigh) Pinella Dragani: Shirl Jones (Lisa Gay Hamilton) Franca Lumachi: Marion Chambers-Wittington (Nancy Stephens) Corrardo Conforti: Jimmy Howell (Joseph Gordon-Levitt) Sandro Iovino: Detective Fitzsimmons (Beau Billingslea) Dario Penne: Dott. Loomis (Tom Kane) Bruno Conti: poliziotto 1 (John Cassini) Michele Gammino: poliziotto 2 (Jody Wood) [fonte Antoniogenna.net]
Halloween: La resurrezione (2003)
Titolo originale: HALLOWEEN: RESURRECTION (2003)
Dopo la scottatura che mi presi nel 1999 ad andare a vedere quella fetenzia di “Halloween 20 anni dopo”, la mia mente ha poi oscurato qualsiasi riferimento a questa serie per almeno 15 anni, quindi non sapevo nemmeno che esistesse un “La resurrezione” finché non ho comprato il cofanetto Blu-Ray. A dir la verità lo avrò pure sentito nominare pensando che si riferissero ad Halloween 20 anni dopo. Non sta sempre a resuscitare comunque? E poi, da quando è stato cancellato il filone di film sulla setta di Thorn e della costellazione della fava stiappona (capitoli 4 e 5), è lecito chiedersi che cazzo faccia Michael negli anni in cui non ricompare per il 31 ottobre. Avrà un lavoro qualunque da qualche parte? Una famiglia magari? Delle spese che lo tengono lontano da Haddonfield?
Michael: “Quest’anno ho messo un po’ di soldi da parte, finalmente posso andare a fare visita a mia sorella.” Moglie di Michael: “Ma Michael, avevi promesso di portare i bambini a Disneyland!” Michael: “Ogni anno ce n’è una, eh?”.
E così passano tre anni dal precedente.
Il bacio al mostro è tipico delle “resurrezioni”. Alien Resurrection docet. Non faccio io le regole.
La trama
Laurie ora quarantacinquenne è in un ospedale psichiatrico per gente coi soldi e nella sua camera doppia a uso singolo c’ha pure la bambola Annabelle, anche se non si sa perché. Con le infermiere fa la finta tonta catatonica in attesa che il fratello torni. Non si capisce chi dovrebbe ingannare ma Terminator 2 di James Cameron con la madre all’ospedale che faceva la finta tonta catatonica era fico quindi copiamo a caso da film migliori. Un giorno Michael si presenta davvero e siccome da contratto la Jamie Lee doveva durare poco, muore male quasi subito. Tolta di mezzo la Jamie Lee Curtis come da contratto, la trama, non avendo meglio da fare, si sposta sulla casa di Michael a Haddonfield, dove un rapper che si crede attore organizza un reality trasmesso via internet in cui degli adolescenti (con delle webcam in testa, stile Aliens di James Cameron?) passano la notte nella casa di Michael, senza sapere che proprio quella notte Michelino sarebbe tornato a casa. Non a caso il titolo originariamente sarebbe dovuto essere “homecoming”. Ma nessuno va lì e gliela demolisce quella casa demmerda?!
Personaggi scemi ne abbiamo? Ceeeerto che ne abbiamo.
Inutile dire che l’attesa carneficina avverrà in diretta internet dall’interno di un quadrilocale che ora sembra essere diventato una magione labirintica seguendo le regole dei film parodistici.
Questo tentativo di tenere la serie aggiornata alle ultime tendenze purtroppo non ha mai portato Michael nello spazio. Non ancora almeno. L’ottavo film viene distribuito in Italia dalla Buena Vista International, cioè dalla Disney. Quindi è il primo Halloween in mano alla Disney. Certo che ne ha fatta di strada questo franchise. E neanche siamo alla conclusione.
L’adattamento
Dell’adattamento di Alessandro Rossi non c’è davvero niente da dire, ormai gli ultimi capitoli sono in mano ad aziende di un certo calibro e i dialoghi non si inventano più niente. “Boogeyman” è “uomo nero”, c’è “dolcetto o scherzetto” (dolcetto o scherzetto, figlio di puttana! è l’unica frase famosa del film) e tutto il gergo internettiano legato al film è miracolosamente corretto (nel 2003 non era per niente ovvio!) e regge ancora oggi. Non cade neanche in cose tipo aggiungere “cyber-” a caso, cioè, che volete di più… un film buono??? Avete sbagliato serie. Le poche alterazioni del copione italiano hanno totalmente senso, con un “Miss Marple” al posto di “Nancy Drew” che nessuno in Italia conosceva (Rispondi a questo, Miss Marple!). Cosa gli si può dire se non “complimenti”? Ci sono solo voluti 24 anni per arrivarci. Se i dialoghi non sono particolarmente memorabili è solo perché è il film a non essere memorabile. In lingua originale non perdetevi però la battuta “trick or treat, motherfucker!” che rappresenta lo spirito del film… “giovine”.
Con questo filmsi conclude la linea temporale di Laurie Myers che include Halloween (1978), Halloween II (1981), Halloween 20 anni dopo (1998) e Halloween – La resurrezione (2003).
Scheda di doppiaggio di Halloween: la resurrezione
Direttore di doppiaggio: Alessandro Rossi
Dialoghista: Alessandro Rossi
Studio di doppiaggio: CDC-SEFIT GROUP
Il cast di doppiatori
Anna Rita Pasanisi: Laurie Strode (Jamie Lee Curtis) Massimo Corvo: Freddie Harris (Busta Rhymes) Fabrizio Vidale: Rudy Grimes (Sean Patrick Thomas) Eleonora De Angelis: Donna Chang (Daisy McCrackin) Rossella Acerbo: Jen Danzig (Katee Sachoff) Massimiliano Manfredi: Jim Morgan (Luke Kirby) Massimiliano Alto: Bill Woodlake (Thomas Ian Nicholas) Francesca Fiorentini: Nora Winston (Tyra Banks) Michele Gammino: Charley (Brad Sihvon) Davide Perino: Miles “Deckard” Burton (Ryan Merriman) Marco De Risi: Harold Trumble (Gus Lynch) Simone Mori: Willie Haines (Dan Joffre) Antonio Palumbo: Franklin Munroe (Brent Chapman) Luciano De Ambrosis: Prof. Mixter (Rick Rosenthal) Emiliano Coltorti: Aaron (Haig Sutherland) Giovanna Martinuzzi: coroner (Ananda Thorson) [fonte Antoniogenna.net]
Il nuovo filone: Halloween (2018), Halloween Kills e Halloween Ends
In questo articolo mancano all’appello i due film di Rob Zombie che ho deciso di ignorare in quanto completamente slegati dal primo film di Carpenter (essendo questi un reboot totale), quindi una qualsiasi scelta di adattamento “incoerente” con i capitoli storici della saga sarebbe del tutto irrilevante. Che vivano felici e indisturbati nella loro realtà parallela, alla larga da me.
Per quanto riguarda il nuovo filone (o ‘timeline’ che dir si voglia) non ricordavo balzane scelte di adattamento dalla prima visione e non ne ho trovate rivedendolo. Sto parlando dell’ultimissimo filone composto da Halloween (1978), Halloween (2018), Halloween Kills (2021) e Halloween Ends (2022), che (e qui qualcuno storcerà il naso) è quello che mi ha regalato più risate e divertimento. Del resto è questo che cerchiamo in una serie horror che dopo 44 anni va ancora avanti, no? Le grasse risate.
Nell’Halloween del 2018 l’intera filastrocca “trick or treat” è tradotta in italiano anche se viene affogata dalla musica e oltre il “dolcetto o scherzetto” non vi saprei dire come fa. “The Boogeyman” continua a essere “l’uomo nero” e non mi aspettavo che tenessero “l’ombra della strega” nonostante il film sia in continuità con la trama del 1978. A dare la voce al Dr. Loomis (la sentiamo in un nastro registrato) non poteva tornare Gianni Bonagura come nel primo film perché era già scomparso nel 2017. Loomis qui è doppiato Ambrogio Colombo. Direzione e dialoghi di Fabrizio Pucci, che ritornerà anche sul seguito (Halloween Kills).
Scelta demenziale quella di dare a questo Halloween lo stesso identico titolo del primo film (di cui è un seguito). Come avevo sospettato, la motivazione del regista è stata quella di voler attirare al cinema anche chi non ha mai visto i precedenti film (cioè spacciarlo allo spettatore ignaro come un altro reboot?):
“That was a weird discussion. You know, do we call it The Shape? Do we call it Halloween Returns? What do you call it? Technically, it’s the third Halloween II. It kind of got to the point where we were like, ‘Well, we don’t want to not invite anybody. We don’t want someone who is unfamiliar with the previous films to think, well, I need to catch up.’ So then we just thought, for simplicity, let’s just call it Halloween.”
Ve la traduco:
È stata una discussione bizzarra. Tipo: come lo chiamiamo, “The Shape”? “Halloween Returns”? Tecnicamente sarebbe il terzo Halloween II. Siamo arrivati al punto in cui ci siamo detti “beh, vorremmo invitare tutti [a vederlo], non vogliamo che lo spettatore che ha poca familiarità con i precedenti film pensi ‘accidenti, devo recuperarli tutti’. Quindi abbiamo pensato, facciamola semplice e chiamiamolo solo Halloween.
E bravo scemo. Halloween seguìto da Halloween. Dei veri geni del marketing.
Dell’adattamento Halloween Kills (2021) ricordo solo un “è ancora là fuori“, che è una tipica traduzione di “he’s still out there!“, a volte lecita altre volte no. Quando viene detta in un ambiente esterno (come in questo caso) non è proprio la più naturale delle espressioni in italiano. Insomma, anche se ci siamo abituati a sentirla dopo decenni di “è là fuori” (“la verità è là fuori”, ricordate X-Files?), molte volte non è altro che un calco dall’inglese appartenente al “doppiaggese”. Su questo argomento non posso che rimandare all’articolo della linguista Licia Corbolante intitolato Dov’è out there? Non è sempre là fuori dove viene spiegato molto chiaramente quando ha senso tradurlo più “alla lettera” e quando invece avrebbe più senso trovare alternative.
Per il resto non c’era assolutamente niente che mi sia saltato all’orecchio. Un adattamento in linea con i tempi moderni, con un cast di doppiaggio coerente con il precedente capitolo: ritorna Ambrogio Colombo su Loomis in un paio di scene ricostruite in modo tale da integrarsi al materiale d’archivio del primissimo film, e continuo a preferirlo al primo Loomis doppiato da Bonagura negli anni ’70. In questa nuova trilogia, Roberta Greganti doppia Jamie Lee Curtis, quindi la stessa voce che aveva in True Lies. Anche qui un’ottima scelta. Insomma la nuova trilogia è in buone mani. Ma sarà anche l’ultima?
Quando uscirà Halloween Ends aggiungerò un suo paragrafetto. Per ora la serie finisce qui.
Conclusione
Per concludere [se siete arrivati fin qui siete degli assoluti eroi], posso dire che la mia timeline preferita continua a essere quella in cui Halloween è seguito da Halloween, una scelta di titoli che ha costretto il pubblico di tutto il mondo ad adottare una titolazione informale, cioè quella di dire “Halloween del ’78” e “Halloween 2018” per distinguerli tra loro. Se una volta eravamo noi italiani a insegnare i titoli stupidi al mondo, adesso gli Stati Uniti ci pensano già da soli. Non dobbiamo “imparargli” proprio più niente.
Mappa delle linee temporali stilata da Adam Hlaváč (Twitter)
Se non ne avete avuto abbastanza di Halloween, non posso che lasciarvi i link a due blog fraterni che prima di me si sono fatti questa maratona di Ognissanti rivisitando ogni singolo film e recensendolo a modo loro, per cultura e per tortura personale. La bara volante di Cassidy, con il suo speciale Halloween, e ovviamente gli articoli di Lucius Etruscus sul blog Il Zinefilo che partono da qui.
Ciao e attenti all’ombra della strega!
Bu!
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La recente uscita al cinema di Minions 2 – Come Gru diventa cattivissimo ha portato l’amico ‘Cassidy’ del blog La bara volante a domandarsi quale sia il problema dei titolisti italiani nel tradurre il verbo “rise”. Senza conoscere il titolo originale ho indovinato subito che si trattava di Minions – Rise of Gru, letteralmente l’ascesa di Gru. Non che i titoli dei film debbano essere tradotti alla lettera, ci mancherebbe, e “Rise of” è una formula molto comune nei titoli americani che può essere adattata correttamente in tanti modi diversi. Nel caso di Minions 2 è comprensibile l’idea di volerci infilare la parola “cattivissimo”, essendo uno spin-off di Cattivissimo me, tuttavia, la domanda di Cassidy mi ha fatto involontariamente ripensare alle tante traduzioni italiane di quei titoli contenenti “rise of” che in un caso isolato hanno creato danni e ovviamente sto parlando del Pianeta delle scimmie (la serie di film iniziata nel 2011), dove il titolo italiano del primo capitolo va addirittura a confondere l’ordine dei film.
Iniziamo proprio da lì.
Casus belli: Rise of the Planet of the Apes
Nel 2011 arriva nei cinema di tutto il mondo Rise of the Planet of the Apes, il primo capitolo di una nuova saga che vuole ri-raccontare il Pianeta delle scimmie ma partendo da molto lontano. Questo primo capitolo infatti parla dello scienziato alla ricerca di una cura per l’Alzheimer che invece crea un virus in grado di uccidere gran parte della popolazione umana ma anche di far evolvere le scimmie fino a farle parlare.
È evidente che un'”ascesa” del pianeta delle scimmie non è il vocabolo ideale per tradurre in questo caso “rise of”. Francia e Spagna hanno optato per “le origini” (La Planète des singes: Les Origines e El origen del planeta de los simios) mentre la Germania è stata più creativa puntando ad una pre-evoluzione: Planet der Affen: Prevolution. In Italia il discorso sarà andato più o meno così: “ascesa” no, non c’entra niente “ascesa”. Allora a-, a-, a-? Parola con la a-?… alba!!! Genio! Non avremo mai a pentircene!
Destino beffardo vuole che il film seguente si chiamerà proprio Dawn of the Planet of the Apes, letteralmente traducibile come L’alba del pianeta delle scimmie. Ma la frittata ormai è fatta.
E mo? I titoli da qui in avanti cambiano stile e si fanno più… brutti, non c’è altro modo per descriverli. Insensati è un’altra parola che viene in mente. Composti rigorosamente dall’inusuale formula di un titolo in lingua inglese seguito dall’etichetta “Il pianeta delle scimmie”. Quindi Dawn of the Planet of the Apes (2014) diventa Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie e questo fa da stampo anche per il terzo (e per il momento ultimo) capitolo, War for the Planet of the Apes (2017), che invece di arrivare sensatamente come “La guerra per il pianeta delle scimmie”, in Italia verrà distribuito come The War – Il pianeta delle scimmie. “The War”? “The War”? La guerra? Cioè la guerra con la G maiuscola? La guerra di tutte le guerre? È vero che l’inglese in Italia allevia sempre tutte le pene e molti spettatori non ci avranno neanche badato, ma per capire quanto siano scemi questi titoli basta ritradurli nella propria testa: “La guerra – Il pianeta delle scimmie”? Che razza di titolo sarebbe? Come dire: Phantom Menace – Guerre stellari.
La “colpa” sicuramente risiede in quel primo “rise of” tradotto come “alba del” che all’arrivo del secondo film, cioè all’arrivo della “vera” alba, ha costretto la Fox ad adottare una soluzione draconiana insensata, quella di dare a tutti i successivi film un titolo formato da “parole in inglese + etichetta italiana invariabile”, così da evitare confusioni con futuri capitoli. Un metodo a prova di scimmie insomma.
L’ordine in cui guardare la nuova saga del Pianeta delle scimmie
Per praticità, questo è l’ordine di visione della nuova trilogia delle scimmie:
L’alba del pianeta delle scimmie (2011) [Rise of the Planet of the Apes]
Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie (2014) [Dawn of the Planet of the Apes]
The War – Il pianeta delle scimmie (2017) [War for the Planet of the Apes]
E quanto sarebbe stato più sensato avere una nascita o un’origine, seguita da un’alba del pianeta delle scimmie e poi da una guerra per il pianeta delle scimmie. Purtroppo con questa serie ci è andata male e in questi tempi di film pensati come brand e facenti parte di progetti molto più grandi, il caso del pianeta delle scimmie è certamente bizzarro. Davanti a prodotti pensati in serie, il dubbio “e se poi ci fanno un Dawn?” deve venire agli addetti ai lavori. Perché magari non succede, ma se succede che uno dei sequel te lo chiamano proprio “dawn of” poi dove vai a nasconderti? Con Planet of the Apes è successo l’improbabile (ma era poi così improbabile???) e la toppa è peggio del buco. E se in futuro arrivasse anche una “rivoluzione” delle scimmie!?! Allora sì che si ride.
Da qui la domanda provocatoria: che problemi hanno i distributori italiani con il verbo “rise” dei titoli americani? In realtà non molti, ma investigare sulla traduzione dei titoli di questo tipo mi ha fatto scoprire una piccola curiosità inedita: la loro origine “recente”.
L’origine recente di “rise of” nei titoli americani
In uso nei fumetti fin dagli anni ’50 e nei videogiochi dagli anni ’90, i titoli con “rise of” o “rising” sono cosa relativamente recente nel cinema, avendo avuto una vera e propria esplosione solo dagli anni 2000. È la formula adottata da chiunque voglia raccontare una storia delle origini e voglia farlo capire al pubblico già a partire dal titolo. Il primo caso più popolare è certamente Terminator 3: Rise of the Machines del 2003, il tanto atteso seguito di T2 nonché cocente delusione cinematografica ma che all’epoca fece parlare di sé.
L’idea di voler raccontare l’origine dell’insurrezione delle macchine di Terminator avrà sicuramente guidato la scelta di adottare la formula “rise of” che adesso, dopo vent’anni, ci fa ancora compagnia. Nella versione italiana di Terminator 3 questa insurrezione è stata resa con l’aggettivo “ribelli” del titolo: Terminator 3 – Le macchine ribelli.
Vediamo dunque come sono stati tradotti i tanti “rise of” e “rising” nel cinema importato in Italia. Ci interessano ovviamente i “rise of” o i “rising” nell’accezione di “origine di” o di “ascesa” (non letterale) di qualcuno o di qualcosa. Quindi niente accezioni astronomiche o astrologiche delle tante ascese di un qualche astro, come nel gioco di parole del titolo “Mercury Rising” (Codice Mercury in italiano) o in quello di “Black Moon Rising” (Il giorno della Luna Nera in italiano) e neanche nelle sue accezioni più letterali di “risalita” (es. Deep Rising – Presenze dal profondo, dove un mostro risaliva dalle profondità marine). Ci interessano solo i “rise of” delle origini.
Oltre 20 anni di ascese, origini, nascite, destini… e omissioni nella titolazione italiana
Dopo Terminator 3: Rise of the Machines (2003) i titoli contenenti un’ascesa intesa come storia delle origini non sono certo mancati, ne ho contati una media di almeno uno l’anno, che detto così sembra poco, ma considerando che prima del 2003 non esistevano proprio, possiamo dire che quel film scemo dove il terminator indossa occhiali buffi almeno in qualcosa ha lasciato il segno, iniziando un vero e proprio trend. Anche se nessuno ci ha mai fatto caso.
Che c’è?
Dello stesso anno di T-3 è Hitler: The Rise of Evil (2003) intitolato in Italia Il giovane Hitler (nel 2004), ma è tra il 2006 e il 2009 che arrivano i titoli che nel cinema americano consolideranno “rise of” e “rising” come titoli ideali per i racconti delle origini, anche se in italiano la formula non sarà mai univoca e il fenomeno è meno evidente.
Behind the Mask – Vita di un Serial Killer (Behind the Mask: The Rise of Leslie Vernon, 2006) Arrivato in Italia solo nel 2009 in home video e purtroppo quasi ignoto da queste parti, Behind the Mask è un film girato in stile documentaristico dove un troupe di studenti segue la routine quotidiana di un serial killer che vuole diventare il prossimo Jason Voorhees (il nome Leslie Vernon ne fa il verso). Questo spiega la scelta italiana di “vita di un serial killer” al posto di una traduzione più diretta come potrebbe essere “l’ascesa di Leslie Vernon”, che avrebbe anche fatto sorgere la lecita domanda: e chi ca**o è Leslie Vernon?
Hannibal Lecter – Le origini del male (Hannibal Rising, 2007) Come immaginabile dal titolo (sia in italiano che in inglese), il film parla dell’adolescenza di Hannibal Lecter. Là dove gli è saltato il grillo di cominciarsi a mangiare le persone.
I Fantastici 4 e Silver Surfer (Fantastic 4: Rise of the Silver Surfer, 2007) Sicuramente il film che ha più diritto di qualunque altro di usare “rise of” vista l’abbondanza di questa formula nei titoli dei fumetti americani. In Italia si opterà per un titolo più semplice e diretto che però potrebbe far pensare a Silver Surfer come un alleato e non un antagonista (del resto la formula con la congiunzione “e” è più comune per descrivere un’alleanza, come in Batman e Robin). Il film invece inizia proprio facendoci credere che Silver Surfer abbia intenzioni ostili verso il pianeta Terra, quindi possiamo forse dire che il titolo italiano è un po’… spoiler? [ROMBO DI TUONI]
Maial College 2 (Van Wilder 2: The Rise of Taj, 2006) Sequel incentrato su un personaggio secondario comparso nel primo film, di nome Taj per l’appunto. Maial College 2 arriva in Italia nel 2008 e, sebbene non sia una storia delle origini, è curioso come il titolo italiano (con effetto volutamente demenziale dato dal finto inglese di “maial”) si sia rivelato più flessibile del titolo originale Van Wilder, dal nome del protagonista interpretato da Ryan Reynolds. Ebbene, in Van Wilder 2 Van Wilder neanche compare! Esiste anche un terzo film, un prequel, intitolato Van Wilder: Freshman Year (2009) che in Italia esiste con il solo titolo Niente regole, siamo al college, perdendo totalmente il “maial college” che, nel bene o nel male, identificava chiaramente i primi due film. Ma quanti strati di scelte italiote ci sono in questi titoli?
Il re scorpione 2 – Il destino di un guerriero (The Scorpion King 2: Rise of a Warrior, 2008) Forse un po’ più chiaro in lingua originale che si tratta di un racconto delle origini. Destino è tuttavia un’altra delle tante alternative in cui può aver senso tradurre “rise of”.
Nessun adattamento invece per il “rising” di Valhalla Rising di Refn, del 2009. Refn è uno di quei registi a cui i titoli non glieli cambiano praticamente mai, rimangono in inglese e al massimo ci appiccicano un sottotitolo in italiano, come in questo caso: Valhalla Rising – Regno di sangue.
Underworld: la ribellione dei Lycans (Underworld: Rise of the Lycans, 2009) Anche in questo caso il titolo originale fa subito capire che si tratta di un racconto delle origini, narrando dell’origine medievale della faida tra vampiri e i loro schiavi di un tempo, i lycan. Gli altri Underworld si svolgono invece in epoca moderna. In questo caso dunque c’è anche una rivolta, quindi si tratta di un “rise of” che include anche il suo altro significato, quello di insurrezione. E il titolo italiano, pur mancando del doppio significato, ha senso che abbia puntato su “ribellione”. Piuttosto non ha senso che i “Lycans” del titolo tengano la “s” plurale anche in italiano, visto che si tratta di una parola estera importata. La grammatica italiana impone che si parli di “Lycan” anche al plurale e infatti nei dialoghi del film la “s” è assente.
Sempre del 2009 è anche G.I. Joe – La nascita dei Cobra (G.I. Joe: The Rise of Cobra, 2009).
Negli anni successivi si sono susseguiti “rise of” e “rising” come se non ci fosse un domani. In ordine di uscita italiana abbiamo avuto Il cavaliere oscuro – Il ritorno (The Dark Knight Rises, 2012), titolo forse più sensato in italiano visto che il Batman di Nolan ha già avuto i suoi inizi con Batman Begins nel 2005 e una continuazione con Il cavaliere oscuro (The Dark Knight) nel 2008, quindi al terzo film cos’abbia ancora da risollevarsi non si sa, piuttosto Bruce Wayne torna dal suo esilio quindi a maggior ragione ha senso “il ritorno”. Poi il film d’animazione Le 5 leggende (Rise of the Guardians, 2012), con nessun riferimento ad un’ascesa (non che ce ne fosse bisogno), Rise of the Zombies – Il ritorno degli zombie (Rise of the Zombies, 2012) arrivato in Italia direttamente in home video nel 2013 e non sono certo che qui “ritorno” abbia completamente senso, ma è evidente che in qualche modo hanno voluto “spiegare” il titolo originale con un sottotitolo.
Nel 2014 arriva al cinema 300 – L’alba di un impero (300 – Rise of an Empire), il primo caso di rise of tradotto come “alba di”, in questo caso sensatamente (a meno che in futuro non ci facciano anche un “300 – Dawn of the Empire” e allora si ride). Vari documentari storici hanno titoli simili e quando si parla di nascita di imperi “l’alba” è sempre dietro l’angolo. Sempre nel 2014 arriva The Amazing Spider-Man 2 – Il potere di Electro, che in America si chiama semplicemente The Amazing Spider-Man 2 ma ha anche il titolo alternativo di The Amazing Spider-Man 2: Rise of Electro.
Arriviamo così in anni più recenti, con titoli che fanno prima tappa in America dove acquistano il “rise of” che poi ci ritroviamo anche nel titolo italiano: Rise of the Legend – La nascita della leggenda (2014), dal titolo USA di Huang feihong zhi yingxiong you meng, arrivato in Italia nel 2017. E vorrei capire il senso di avere titoli mezzi in inglese in un film che non è nemmeno americano!? Questo genere di film dimostra quanto lasciare l’inglese in molti titoli sia semplicemente una scelta di “marketing” senza senso, solo perché tutto in inglese è più “cool”. L’anno successivo (nel 2018) inizia la serie animata Rise of the Teenage Mutant Ninja Turtles – Il destino delle Tartarughe Ninja (Rise of the Teenage Mutant Ninja Turtles) che nel 2022 ha anche il suo film dedicato e che in Italia si chiamerà Il destino delle Tartarughe Ninja: il film (Rise of the Teenage Mutant Ninja Turtles), mentre Night at the Museum: Kahmunrah Rises Again ripesca dalle vendette e diventa Una notte al museo – La vendetta di Kahmunrah.
Impossibile non nominare Star Wars: Episodio IX – L’ascesa di Skywalker (Star Wars: Episode IX – The Rise of Skywalker, 2019) che tanta agitazione aveva generato nel mondo quando fu annunciato il titolo italiano, visto che in inglese non si capisce di quanti Skywalker parliamo quando diciamo “of Skywalker” mentre in italiano bisognava necessariamente chiarire se si trattava dell’ascesa di (uno) Skywalker o di più Skywalker. Ad oggi non so quale Skywalker sia asceso e a cosa si riferisca quel titolo.
Nei nuovi anni ’20 abbiamo avuto Trollhunters – L’ascesa dei Titani (Trollhunters: Rise of the Titans, 2021) e il recente Minions: The Rise of Gru (2022) con la sua formula italiana, la più inusuale vista finora, e molti altri “rise of” simili arriveranno. Nel 2023 sono previsti previsti Transformers: Rise of the Beasts ad esempio, che diventerà Transformers – Il Risveglio, Evil Dead Rises che a gennaio 2023 è stato annunciato in Italia col titolo La casa – Il risveglio del male e si va ad aggiungere alle tante Case – per una volta non apocrife – per non dimenticare Grease: Rise of the Pink Ladies, serie TV della piattaforma Paramount+ che in Italia arriverà come Grease: Rydell High (dal nome della scuola).
Chiaramente questa ascesa di titoli contenenti “rise of” non accenna a fermarsi e ormai ce la teniamo. Ha anche senso che si sia resa necessaria proprio a partire dagli anni 2000, dopo che George Lucas ha sdoganato l’idea di blockbuster che sono dei seguiti ma allo stesso tempo dei prequel.
Minions 2 – Come Gru diventa cattivissimo
Minions 2 – Come Gru diventa cattivissimo (Minions: The Rise of Gru, 2022) è sicuramente il titolo più creativo delle tante varianti internazionali. Nel mantenere il riferimento diretto a Cattivissimo me (da cui i film dei Minions originano) ricalca le versioni sudamericane che sono state intitolate Minions 2: Nace un villano. Infatti Cattivissimo me in quella parte del mondo è stato intitolato Mi villano favorito.
Insomma non è privo di logica e rimane un titolo simpatico. Una creatività oggi abbastanza rara e forse poco apprezzata, ma che non mi sento assolutamente di criticare. Come tutti i film degli ultimi 20 anni, la prima parte del titolo rimane in inglese, con “Minions” con la “s” del plurale. Ma questa è una brutta abitudine ormai consolidata: il titolo di un franchise resta in inglese, anche se non c’è alcun motivo perché non debba essere tutto in italiano: Minion 2: Come Gru diventa cattivissimo. Che fastidio darebbe?
Per concludere, è un bene che in Italia si continui a tradurre questi titoli “delle origini” caso per caso, seguendo il senso che ciascuno di questi titoli ha rispetto al film e senza una formula standard rigidamente imposta che porterebbe solo a forzature assurde. Ma bisogna anche imparare dalla lezione del pianeta delle scimmie, tenendo presente che dopo un’alba… può sempre capitare che te la pigli nel culo.
Italiani che aspettano di sapere il titolo del prossimo Pianeta delle scimmie
Se oggi cercate il nome di Steven Seagal su Google vi comparirà questa descrizione: Rappresentante speciale per le relazioni umanitarie tra Russia e Stati Uniti. Neanche Google lo identifica più come attore, né come artista marziale, né musicista (sì, è stato tutte e tre queste cose), ma nel 1991 era un nome che ancora portava gente al cinema quindi alla Warner sopportavano tutte le sue smanie da divo, come ad esempio mettersi a piangere per una lampadina fulminata nella sua roulotte (curiosità trovata su IMDb e a cui credo ciecamente, mi sembra proprio il tipo).
Lo screenshot sennò non ci credete
Giustizia a tutti i costi sarà forse ricordato più per i suoi retroscena, tipo Seagal che vantava di essere immune allo strangolamento grazie al suo addestramento in aikido e sentita questa leggenda che Seagal andava raccontando in giro, lo stuntman Gene LeBell gli propose di metterla alla prova. Seagal da vero gallo accettò e finì per svenire cagandosi e pisciandosi addosso davanti a trenta persone. A volte la vita da stuntman regala soddisfazioni.
Con un nuovo nome scemo, quello di Gino Felino, Seagal torna a spacciarsi per poliziotto italoamericano con una pessima imitazione dell’accento di Brooklyn (tranquilli, col doppiaggio ve lo risparmiate). Il cast di contorno è composto da tanti volti noti, più decenti di quanto meritasse il peggior film anni ’90 di Seagal (opinione personale).
Questo è il film che negli anni ’90 faceva vacillare ogni certezza anche a un fan di Seagal come me. Quello che mi faceva domandare “perché mi piace Seagal esattamente?”. Poi mi riguardavo il successivo Trappola in alto mare e mi tornava in mente. Ho posseduto Giustizia a tutti i costi in VHS solo per completare la collezione ma era tra quelli da non rivedere mai. Infatti ho spezzato questo mio voto quasi trentennale solo per portarvi questa recensione. Quindi adesso vi leggete il mio riassunto delle avventure del detective Gino Felino (non c’è niente da fare, farà sempre ridere questo nome).
La trama di Giustizia a tutti i costi
Il film inizia con Seagal che manda a monte un’operazione di polizia volta a impedire un colpo “da 3 milioni di dollari” (in italiano “per una faccenda molto più importante”) solo perché non sopportava la vista di un pappone che menava una prostituta in strada. Salva la donna e infila la testa del pappone nel parabrezza di un’automobile. Ordinaria amministrazione seagalesca insomma.
La cosa non ha conseguenze, non lo cacciano dalla polizia, non lo rimproverano, niente. Serviva solo a farci capire che è un buono, altrimenti sentendo quello che seguirà nella trama potreste pensare che Seagal interpreti l’antagonista piuttosto.
Piccola nota prima di proseguire con la trama: solo io trovo involontariamente comica l’introduzione di Seagal? Dopo aver fatto volare il pappone attraverso un parabrezza, arriva un fermo immagine della sua faccia ed è qui che compare il nome enorme accompagnato dalla colonna sonora che praticamente gli fa “zan-zan!”.
Ma a quanto pare Seagal ha personalmente approvato la colonna sonora del film, quindi dev’essere un uomo con una dose di autoironia.
Il giorno stesso, un mafiosetto scoppiato, Richie Madano (William Forsythe), con la sua micro-banda di balordi, fa fuori Bobby Lupo, collega del detective Gino Felino. Immagino con quale serietà abbiano scelto tutti questi cognomi italo-americani. Felino poi è un cognome così raro che non pensavo nemmeno esistesse (se vi chiamate Felino vi chiedo scusa), probabilmente l’ha scelto Seagal, dizionario di italiano alla mano, pensando che fosse un cognome “cool”, perché Seagal è agile e svelto, come un gatto, uhh! No. Ti sei solo inventato un nome scemo e la rima in -ino aumenta solo questo effetto. Diciamo che anche esistendo il cognome Felino [alcune tracce in Puglia mi dicono], nessuno che conosce la cultura italiana lo avrebbe usato come nome “fico” per il protagonista di un film. Ancora una volta, mi scusino i Felino d’Italia, ma se vi chiamate anche Gino i vostri genitori non vi volevano tanto bene.
L’assassinio del collega di Gino Felino è l’evento che mette in moto il film. Seagal richiamato all’appello si presenta sulla scena del crimine con un berretto militare da mitomane e una vestaglia nera (tattica?) senza maniche. La polizia di Brooklyn opera così.
Professione: mitomane
Seagal a questo punto passa i prossimi quaranta minuti andando in giro a dire a tutti “io lo uccido”. Al suo capo dice che avrebbe ucciso Richie e chiede un’auto in borghese e un fucile a pompa. Con la nuova auto va fino al ristorante del capo dei capi, tale Don Vittorio, o Don Vito, a seconda della lingua in cui lo vedete, per dirgli “io lo uccido”. Poi va a casa dei genitori di Richie per dire “io lo uccido”. Poi va dal fratello di Richie e gli dice “lo troverò e gli piscerò in bocca”, giusto per non annoiare lo spettatore con la stessa battuta. Poi va dalla sorella, la offende in tutti i modi possibili e immaginabili per sapere dove si trova Richie promettendo che lo avrebbe ucciso. E io ancora mi sto chiedendo perché ce ne dovrebbe fregare qualcosa di questo Gino Felino (Seagal) accecato dalla rabbia e della sua voglia di uccidere Richie. E il film se ne rende conto perché nei primi quindici minuti gli sceneggiatori fanno piovere dal cielo (letteralmente a caso) un cucciolo di pastore tedesco che Seagal decide di adottare e portarsi dietro per tutto il resto del film. Ora sì che possiamo capire che è un buono. Nessuna persona malvagia potrebbe mai amare un pastore tedesco, giusto? Come lo chiamerà, “Blondi“? No, lo chiama “Coraggio”. Tipico nome che gli italiani danno ai loro cani.
A questo punto potrei fare QUALSIASI battuta su Seagal attore-cane!
Tra un “io lo uccido” e un altro, Seagal trova sempre del tempo da dedicare ai topoi del suo genere: lo scontro in un negozio di alimentari dopo un inseguimento in auto, il tormentare gli avventori di un bar losco, la presenza di qualcuno che gli dice che fa il bullo solo perché ha la pistola, Seagal la mette via e lo punisce fisicamente, etc…; scene già straviste a questo punto della carriera cinematografica di Seagal e sempre condite da 1/10 aikido, 9/10 di manate in faccia, pugni nelle palle e sgraziati spintoni… le tipiche seagalate insomma. Per fortuna che a breve abbandonerà il genere poliziesco per passare al genere “diehardo”, così la dose di pipponi moralistici calerà drasticamente, almeno per un paio di film.
Mamma mia che dolooore! (cit.)
Il film è tutto un girovagare alla ricerca di Richie che intanto continua a fare il prepotente per Brooklyn sapendo che la sua ora sta per arrivare. E pensare che in fase di montaggio abbiamo “perso” addirittura trenta minuti di film. Si dice che siano stati tagliati per dare meno spazio all’antagonista, William Forsythe, perché essendo un bravo attore stava facendo sfigurare Seagal. È una leggenda alla quale posso credere tranquillamente. Forse anche molte scene con il cucciolo di pastore tedesco sono state accorciate perché il cane recitava meglio del protagonista.
Se in Nico e Duro da uccidere (già recensiti) c’è ancora tanto con cui potersi divertire, Giustizia a tutti i costi è blando e triste, di arti marziali è quasi completamente a secco (pure per gli standard di Steven Seagal, il che la dice lunga!) ed è pieno di volgarità gratuite su prostitute e omosessuali (ovviamente non colpa dell’adattamento, che anzi, cerca di mitigare un po’ la situazione). Lo so che erano i primi anni ’90, ma mi è sembrato eccessivo anche per gli standard dell’epoca. Rivisitarlo oggi mi ha fatto comprendere perché non l’ho mai apprezzato neanche all’apice del mio interesse per Seagal: è un film privo di gioia. La scena più rappresentativa è forse quella del cattivo che costringe una ex-prostituta a stare con lui. Non vediamo niente di scabroso, ma le intenzioni bastano e avanzano. Trissssctezza proprio!
La trisssssctezza!
Il titolo: Out for Justice / Giustizia a tutti i costi
Gran parte dei titoli dei film di Seagal sono sempre stati così generici in inglese che non biasimo la distribuzione italiana per essersi inventata spesso qualcosa di completamente diverso. Da Above the Law (=al di sopra della legge) che è diventato Nico (dal nome del protagonista) a Marked for Death che è diventato Programmato per uccidere, titolo ruffianissimo che ribalta completamente il significato originale per renderlo simile al precedente successo Duro da uccidere, che tra l’altro era l’unico tradotto praticamente alla lettera (Hard to Kill). Sono film di cui ho già parlato nei precedenti articoli di questo mio “ciclo di San Seagalino“, così è stato ribattezzato nei commenti della pagina Facebook di Doppiaggi italioti dopo che per pura coincidenza pubblicai una di queste recensioni il 14 di febbraio, per San Valentino. In realtà la battuta era “Buon Seagalentino!”. [Nota: San Seagalino sarà il protettore di mitomani e molestatori?]
Locandina cinematografica
Out for Justice (la traduzione potrebbe essere qualcosa tipo “in cerca di giustizia”) è l’ennesimo titolo generico di come li potrebbe sfornare un generatore automatico di titoli d’azione. E Giustizia a tutti i costi è un suo buon equivalente. Si dice che con “Out for Justice” la Warner abbia imposto un titolo di tre parole per imitare i precedenti film di Seagal. Si sa, a Hollywood sono molto scaramantici. Potrei sbagliarmi ma ho la sensazione che l’intenzione della Warner fosse anche quella di fare l’occhiolino ai giustizieri della notte. E non mi riferisco nello specifico ai vari capitoli de’ Il giustiziere della notte con Charles Bronson, ma anche di tutti i suoi cloni basati su un vendicatore solitario. La locandina stessa ricorda un film della Cannon appartenente a quel filone, Exterminator, con un tizio fotografato su sfondo nero. Tristissima e veramente svogliata.
Non ne avevate una migliore?
La locandina di Exterminator viene dall’articolo del blog Il Zinefilo che ha dedicato un ciclo ai (genericamente detti) giustizieri della notte. Chiaramente Exterminator non c’entra una mazza con questo film, ma in Giustizia a tutti i costi gli ammiccamenti ai giustizieri non mancano. Ad esempio, qui Seagal usa una palla da biliardo avvolta in un fazzoletto per spaccare la faccia alla gente, uno stratagemma non lontano dai dollaroni infilati nel calzino dal primo Il giustiziere della notte con Bronson. E gli dev’essere piaciuto così tanto che lo stratagemma delle palle da biliardo che lo ritroveremo in almeno un altro film del Sensei “S.S.”.
Piccola curiosità: lo slogan della locandina di Giustizia a tutti i costi viene ritradotto una seconda volta per l’uscita home video, quindi da È un poliziotto. fa un lavoro sporco… ma qualcuno deve fare pulizia. presente sulla locandina cinematografica, in VHS arriverà con lo slogan: Quello del poliziotto è un mestieraccio… ma qualcuno deve pur eliminare la spazzatura…; entrambe sono traduzioni dello stesso slogan: He’s a cop. It’s a dirty job… but somebody’s got to take out the garbage. Anche qui, le allusioni ai film sui giustizieri non mancano, ma nella sostanza non c’entra niente con quel filone. La Warner voleva solo attirare il pubblico con concetti familiari.
Io quando mi sono ricordato che mi toccava rivedere Giustizia a tutti i costi.
La versione italiana
Dopo la parentesi toninoaccollana di Programmato per uccidere dove il protagonista era doppiato da Massimo Corvo e diretto da Tonino Accolla per la sua società di doppiaggio, i film di Seagal tornano nuovamente in mano al team “storico” già visto in Nico e Duro da uccidere, cioè quello con la voce di Antonio Colonnello (per gli amici Fonzie) su Steven Seagal e Bruno Alessandro alla direzione. I dialoghi stavolta sono del veterano Mario Paolinelli (Jackie Brown, Parenti, amici e tanti guai, Caccia a Ottobre Rosso etc…) mentre i precedenti erano stati di Antonio Vecchietti. Del cast principale non posso non adorare e menzionare Luca Dal Fabbro nei panni del cattivo, Richie (William Forsythe), una scelta particolarmente indovinata. Un anno dopo avrebbe interpretato un altro criminale, Steve Buscemi nel film Le iene diventandone poi praticamente la voce ufficiale. L’intero cast è strapieno di voci note. Lascio che gli appassionati dell’argomento scoprano i nomi alla fine, nella scheda di doppiaggio che ho inserito in fondo all’articolo.
Nel forum di Antoniogena.net il doppiatore Bruno Conti è intervenuto in un thread aggiungendo informazioni non note in precedenza (e tuttora non aggiornate). È grazie a lui infatti che conosciamo l’identità del direttore del doppiaggio e sempre grazie a lui abbiamo scoperto che l’attrice italo-americana Jo Champa doppiò se stessa per l’occasione.
“La Champa venne a doppiarsi. Io facevo un delinquente nero all’inizio” (Bruno Conti)
Di sicuro qualcosa di non abituale nel panorama del doppiaggio italiano. Per Jo Champa Giustizia a tutti i costi casca tra una partecipazione in un film di Damiano Damiani e quella nel Piccolo Buddha di Bertolucci, quindi magari per puro caso si trovava a Roma e ha avuto senso assegnare a lei il doppiaggio del suo stesso personaggio? Per quanto possa sembrare sensato sulla carta, un’operazione simile è molto rara nel panorama italiano ed è certamente una curiosità di questo doppiaggio. Non sorprende che la sua interpretazione “spicchi”, purtroppo in negativo. Non tutti gli attori, per quanto bravi nel loro mestiere, si prestano bene anche al doppiaggio, abbiamo un centinaio di anni di storia del doppiaggio che lo dimostrano e questo film del 1991 ne è l’ennesima conferma.
Seagal ci va a prendere anche il gelato vestito così
Comunque, lo dico subito: la versione italiana è in tutto e per tutto migliore dell’originale, anche perché ci evita molti momenti imbarazzanti. Tra questi, Seagal che parla italiano.
Seagal che parla “italiano”
Con il doppiaggio italiano vi “perdete” le tante scene in cui Seagal parla italiano/siciliano con dei mafiosi, facendo finta di essere un italo-americano figlio di immigrati cresciuto a Brooklyn. A questo riguardo, in un’intervista a William Forsythe per AV Club, l’attore ricorda che Seagal aveva dubbi sull’accento di Forsythe, reputandolo non autentico e gli disse che avrebbe dovuto lavorarci su. Non sapeva che Forsythe è nato e cresciuto a Brooklyn e semmai era quel montato dell’Illinois Steven Seagal che avrebbe dovuto lavorare molto di più sul suo poco convincente accento “broccolino”. Per tacere poi del suo “italiano”. Anzi, non tacciamo, parliamone!
Inutile dire che Steven Seagal non è Robert De Niro. Il “siculo” che sentiamo in Giustizia a tutti i costi è la fiera dell’approssimazione con parole buttate lì, frasi che non direbbe nessuno e qualche pronuncia “alla spagnola”. Senza girarci tanto intorno, Seagal che parla italiano fa ridere. Soprattutto quando gli altri interlocutori sono chiaramente attori italo-americani che almeno la parlata dialettale dell’immigrato la sanno fare perché è la loro o è quella dei loro genitori. Basti vedere i vari cognomi nel cast (Maccone, Russo, Ciarfalio, Bongiorno, DeSando, Spataro, Corello e questi sono solo alcuni) per capire che l’unico fasullo qui è Steven Seagal e il suo trapianto di capelli.
Tutto questo ovviamente non traspare nella versione italiana dove Seagal parla con un italiano standard e i mafiosi parlano semplicemente con un’inflessione dialettale, come è lecito aspettarsi in questi casi. La rozzezza di Seagal nell’approcciarsi a un film ambientato a Brooklyn ha portato anche a un errore grossolano che ci siamo evitati nel doppiaggio italiano per fortuna: quello di Don Vittorio che viene chiamato da Seagal “Don Vito“.
Posso solo ipotizzare che sul copione ci fosse scritto Don Vitto’, ma che Seagal nato in Illinois non abbia capito che si trattava di un’abbreviazione. Con un precedente stranoto come quello di Don Vito Corleone del Padrino di Coppola, è molto probabile che Seagal abbia visto scritto DON VITTO’ e pensato che quello fosse lo spelling di “Don Vito”, senza porsi altre domande. Quindi nel film in inglese i sottotitoli riportano DON VITTORIO mentre Seagal dice DON VITO.
Ma che, forse si chiama Don Vito Vittorio? In un film dove il protagonista si chiama Gino Felino non è neanche così improbabile.
Tra slang e ‘maleparole’
Dello slang italo-americano standardizzato in italiano per il doppiaggio ci perdiamo cose come “this mamaluke” (americanizzazione di mammalucco) tradotto come “questo stronzo piedipiatti”, ma capisco che nel semplice tradurle in italiano esempi simili passerebbero dall’essere colorite offese “etniche” a offese sceme e basta. Troppo sceme per dei criminali assassini. Quando si dice adattare e non semplicemente tradurre, eh? Altre espressioni rimangono se hanno senso per i personaggi e per la situazione in cui vengono usate, come “finooks” che diventa “finocchi” che Seagal usa durante una delle sue scene di prepotenza. Come dicevo, non è un protagonista particolarmente piacevole in qualunque lingua lo guardiate. In lingua originale non mancano anche cose come “citruls” in riferimento agli scagnozzi scemi. La parola viene da “citrullo” del dialetto napoletano, ovvero “cetriolo”, una persona sciocca.
Anche questo film ha un “You understand English? Teach this guy some English.” e viene tradotto in modo simpatico: “Hai letto il vangelo?Spiegaglielo tu il vangelo” (niente “parli la mia lingua?” stavolta). E c’è anche un’altra frase classica: “I’m too old for this shit” rubata direttamente ad Arma letale e qui resa con “Mi sento troppo vecchio per questo scempio“.
Il film, non lo ripeterò mai abbastanza, è superiore all’originale sia nei dialoghi sia nel cast di doppiatori. Antonio Colonnello continua ad essere un attore migliore di Seagal (e forse la voce più adatta al suo volto in questo genere di film) e quello del dialoghista Mario Paolinelli è un copione che cambia quello che è lecito cambiare e migliora quello che è lecito migliorare. Innumerevoli sono le battute scritte meglio in italiano. È il film che purtroppo ha i suoi limiti. Ci sono alcune sfumature però che mi piacerebbe analizzare. Ad esempio il fatto che in italiano il nostro poliziotto protagonista sembri un po’ più retto di quello originale.
Fa’ le faccette, le faccette! (cit.)
Un poliziotto più retto, in italiano
Qui analizzo quelle che sono semplicemente delle sfumature.
– If one of your people gets this guy, he gets what? Seven to ten, maybe? – Yeah, maybe, if we’re lucky. – You know our ways, it must be dealt with by us.
– Se tu o uno dei tuoi arresta Richie, e lui quanto piglia? Da sette a dieci. Pure pure. – Magari anche venti. – Conosci le nostre regole, dobbiamo sistemarlo noi.
Sembra una piccola cosa ma, mentre in inglese Seagal conferma l’argomentazione del mafioso (“Forse, quando ci va bene!”), dove una pena prevista dalla legge sarebbe troppo poco per punire Richie, in italiano sembra comunque una risposta da poliziotto retto che essenzialmente sostiene che magari Richie si potrebbe beccare anche molti più anni di galera e quindi sembra portare avanti la tesi del rispetto delle regole e della legge. Ovviamente non torna con il successivo “se questa volta lo trovo prima di voi, lo ammazzo io”.
In un altro caso simile, un mafioso dice al nostro detective Gino Felino “di fronte a tanti colleghi tuoi, io mi posso considerare un chierichetto” e Seagal risponde “ma che mi dici?“. Ora, questo potrebbe essere interpretato con ironia, ma io non ce ne sento abbastanza. In inglese era “ain’t it the truth“, che potrebbe essere tradotto con un semplice “quanto è vero” o “puoi dirlo forte”.
Insomma, di questo poliziotto fuori dalle regole ci ritrovo una versione italiana un po’ più “ripulita” dell’originale. Ripeto, stiamo parlando di piccole sfumature in un adattamento ottimo che non mi fa neanche sforzare a inventarmi delle gag, ci pensa il film stesso a servirmele:
“Lo sbirro scassa-tutto viene a scassare le palle, eh?”
Lo sbirro scassa-tutto viene a scassare le palle, eh?
In originale: Hey, Officer Big Shot, come to bust my balls? Traducibile come: “l’agente Pezzo-Grosso è venuto a rompermi le palle?” e possiamo facilmente immaginare un adattamento moderno di questo tipo, molto fedele all’originale, ma artefatto e privo di gioia e naturalezza. Li conoscete bene gli adattamenti così, li sentiamo letteralmente tutti i giorni e siamo praticamente abituati alla loro presenza.
Ho accennato a un alleggerimento delle volgarità ma per carità non lo scambiate per censura, come ho già detto molte volte in passato non tutte le frasi volgari in lingua inglese possono essere trasposte talis qualis in un dialogo italiano, perché l’uso della volgarità non è sempre equiparabile nelle due lingue. Questo ad esempio è un caso dove l’italiano invece le aggiunge (per motivi comici):
– E tu che ci fai qui? Non sei amico di Don Vittorio? – C’ho tanti amici. – Passi dalla cacca alla merda. [In originale: You jump around a little bit]
All’opposto altre battute ci fanno anche il piacere di essere meno volgari, come “I can’t believe you can still eat with that mouth” (trad. Incredibile che ci riesci ancora a mangiare con quella bocca) che diventa in italiano: “A sentirti parlare sembri una monaca di clausura“. Oppure la prostituta che chiede a Seagal “you wanna fuck?” che diventa “Ehi, bello, lo facciamo un capriccio?”.
Ci sono tante belle frasi in questo copione italiano, purtroppo sprecate in un film che non consiglio di vedere assolutamente a nessuno. Ma so che ha i suoi fan, c’è chi addirittura lo considera il migliore dei suoi film. De gustibus. A vostro rischio e pericolo.
Scheda di doppiaggio di Giustizia a tutti i costi
Direttore di doppiaggio: Bruno Alessandro. [fonte Bruno Conti]
Dialoghista: Mario Paolinelli [fonte SIAE]
Società di doppiaggio: [ignota]
Il cast di doppiatori
Antonio Colonnello: Detective Gino Felino (Steven Seagal) Luca Dal Fabbro: Richie Madano (William Forsythe) Sergio Rossi: Capitano Ronnie Donziger (Jerry Orbach) Jo Champa: Vicky Felino (Jo Champa) Silvia Pepitoni: Laurie Lupo (Shareen Mitchell) Michele Kalamera: Frankie (Sal Richards) Paolo Buglioni: Bobby Arms (Jay Acovone) Riccardo Rossi: Vinnie Madano (Anthony De Sando) Franco Zucca: “Tatuato” (Sonny Hurst) Paolo Vivio: Tony Felino (Julius Nasso Jr.) Carlo Valli: Chas “la sedia” (Jorge Gil) Bruno Conte: Pappone (???) [Fonte: Bruno Conte] Paolo Lombardi: “Station Wagon Tough Guy” (Sonny Zito) [riconosciuto da Leo]
Altre voci nel film: Ambrogio Colombo, Franco Chillemi. [Fonte: Antoniogenna.net]
Al momento rimangono sconosciute le doppiatrici di Gina Gershon – link alla clip audio – (nel ruolo di Patti Madano) che su Wikipedia è erroneamente segnalata come voce di Paila Pavese (e vorrei proprio sapere chi diffonde certe panzane) e Julianna Marguiles (nel ruolo di Rica), oltre a una moltitudine di altri personaggi, ciascuno con una o poche battute, quindi di difficile identificazione.
Consigli finali
Dell’esordio anni ’90 di Seagal, questo è il suo film più fetente. Un adattamento ottimo, un cast vocale eccellente e interpretazioni spesso anche divertenti ahimè non bastano a garantire una mia raccomandazione. Di sicuro è arrivato al pubblico italiano nel miglior modo possibile, ma il film è quello che è. I limiti di avere un protagonista di legno li accusiamo tutti e gravemente quando la trama non ci regala niente dal punto di vista dell’intrattenimento. E poi vorrei sapere come si fa a finire il film su un fermo immagine simile? Gli addetti al montaggio volevano prenderlo in giro, non ci sono altre spiegazioni.
Gli altri articoli del mio ‘ciclo di San Seagalino’:
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