• Rise of… come l’Italia traduce i titoli delle origini, da Minions 2 a L’alba del pianeta delle scimmie

    Minion 2 come gru diventa cattivissimo, locandina italiana

    La recente uscita al cinema di Minions 2 – Come Gru diventa cattivissimo ha portato l’amico ‘Cassidy’ del blog La bara volante a domandarsi quale sia il problema dei titolisti italiani nel tradurre il verbo “rise”. Senza conoscere il titolo originale ho indovinato subito che si trattava di Minions – Rise of Gru, letteralmente l’ascesa di Gru. Non che i titoli dei film debbano essere tradotti alla lettera, ci mancherebbe, e “Rise of” è una formula molto comune nei titoli americani che può essere adattata correttamente in tanti modi diversi. Nel caso di Minions 2 è comprensibile l’idea di volerci infilare la parola “cattivissimo”, essendo uno spin-off di Cattivissimo me, tuttavia, la domanda di Cassidy mi ha fatto involontariamente ripensare alle tante traduzioni italiane di quei titoli contenenti “rise of” che in un caso isolato hanno creato danni e ovviamente sto parlando del Pianeta delle scimmie (la serie di film iniziata nel 2011), dove il titolo italiano del primo capitolo va addirittura a confondere l’ordine dei film.

    Iniziamo proprio da lì.

    Casus belli: Rise of the Planet of the Apes

    Locandina italiana e originale di L'alba del pianeta delle scimmie a confronto. Titolo originale Rise of the planet of the apes

    Nel 2011 arriva nei cinema di tutto il mondo Rise of the Planet of the Apes, il primo capitolo di una nuova saga che vuole ri-raccontare il Pianeta delle scimmie ma partendo da molto lontano. Questo primo capitolo infatti parla di uno scienziato alla ricerca cura per l’Alzheimer che crea involontariamente un virus in grado di uccidere gran parte della popolazione umana, ma anche di far evolvere le scimmie fino a farle parlare.

    È evidente che un'”ascesa” del pianeta delle scimmie non è il vocabolo ideale per tradurre in questo caso “rise of”. Francia e Spagna hanno optato per “le origini” (La Planète des singes: Les Origines e El origen del planeta de los simios) mentre la Germania è stata più creativa puntando ad una pre-evoluzione: Planet der Affen: Prevolution. In Italia il discorso sarà andato più o meno così: “ascesa” no, non c’entra niente “ascesa”. Allora a-, a-, a-? Parola con la a-?… alba!!! Genio! Non avremo mai a pentircene!

    Destino beffardo vuole che il film seguente si chiamerà proprio Dawn of the Planet of the Apes, letteralmente traducibile come L’alba del pianeta delle scimmie. Ma la frittata ormai è fatta.

    Facepalm dal film Una pallottola spuntata

     

    E mo? I titoli da qui in avanti cambiano stile e si fanno più… brutti, non c’è altro modo per descriverli. Insensati è un’altra parola che viene in mente. Composti rigorosamente dall’inusuale formula di un titolo in lingua inglese seguito dall’etichetta “Il pianeta delle scimmie”. Quindi Dawn of the Planet of the Apes (2014) diventa Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie e questo fa da stampo anche per il terzo (e per il momento ultimo) capitolo, War for the Planet of the Apes (2017), che invece di arrivare sensatamente come “La guerra per il pianeta delle scimmie”, in Italia verrà distribuito come The War – Il pianeta delle scimmie. “The War”? “The War”? La guerra? Cioè la guerra con la G maiuscola? La guerra di tutte le guerre? È vero che l’inglese in Italia allevia sempre tutte le pene e molti spettatori non ci avranno neanche badato, ma per capire quanto siano scemi questi titoli basta ritradurli nella propria testa: “La guerra – Il pianeta delle scimmie”? Che razza di titolo sarebbe? Come dire: Phantom Menace – Guerre stellari.

    La “colpa” sicuramente risiede in quel primo “rise of” tradotto come “alba del” che all’arrivo del secondo film, cioè all’arrivo della “vera” alba, ha costretto la Fox ad adottare una soluzione draconiana insensata, quella di dare a tutti i successivi film un titolo formato da “parole in inglese + etichetta italiana invariabile”, così da evitare confusioni con futuri capitoli. Un metodo a prova di scimmie insomma.

    L’ordine in cui guardare la nuova saga del Pianeta delle scimmie

    Per praticità, questo è l’ordine di visione della nuova trilogia delle scimmie:

    1. L’alba del pianeta delle scimmie (2011) [Rise of the Planet of the Apes]
    2. Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie (2014) [Dawn of the Planet of the Apes]
    3. The War – Il pianeta delle scimmie (2017) [War for the Planet of the Apes]

    E quanto sarebbe stato più sensato avere una nascita o un’origine, seguita da un’alba del pianeta delle scimmie e poi da una guerra per il pianeta delle scimmie.  Purtroppo con questa serie ci è andata male e in questi tempi di film pensati come brand e facenti parte di progetti molto più grandi, il caso del pianeta delle scimmie è certamente bizzarro. Davanti a prodotti pensati in serie, il dubbio “e se poi ci fanno un Dawn?” deve venire agli addetti ai lavori. Perché magari non succede, ma se succede che uno dei sequel te lo chiamano proprio “dawn of” poi dove vai a nasconderti? Con Planet of the Apes è successo l’improbabile (ma era poi così improbabile???) e la toppa è peggio del buco. E se in futuro arrivasse anche una “rivoluzione” delle scimmie!?! Allora sì che si ride.

    Da qui la domanda provocatoria: che problemi hanno i distributori italiani con il verbo “rise” dei titoli americani? In realtà non molti, ma investigare sulla traduzione dei titoli di questo tipo mi ha fatto scoprire una piccola curiosità inedita: la loro origine “recente”.

    L’origine recente di “rise of” nei titoli americani

    In uso nei fumetti fin dagli anni ’50 e nei videogiochi dagli anni ’90, i titoli con “rise of” o “rising” sono cosa relativamente recente nel cinema, avendo avuto una vera e propria esplosione solo dagli anni 2000. È la formula adottata da chiunque voglia raccontare una storia delle origini e voglia farlo capire al pubblico già a partire dal titolo. Il primo caso più popolare è certamente Terminator 3: Rise of the Machines del 2003, il tanto atteso seguito di T2 nonché cocente delusione cinematografica ma che all’epoca fece parlare di sé.

    Locandina americana di Terminator 3 le macchine ribelli

    L’idea di voler raccontare l’origine dell’insurrezione delle macchine di Terminator avrà sicuramente guidato la scelta di adottare la formula “rise of” che adesso, dopo vent’anni, ci fa ancora compagnia. Nella versione italiana di Terminator 3 questa insurrezione è stata resa con l’aggettivo “ribelli” del titolo: Terminator 3 – Le macchine ribelli.

    Vediamo dunque come sono stati tradotti i tanti “rise of” e “rising” nel cinema importato in Italia. Ci interessano ovviamente i “rise of” o i “rising” nell’accezione di “origine di” o di “ascesa” (non letterale) di qualcuno o di qualcosa. Quindi niente accezioni astronomiche o astrologiche delle tante ascese di un qualche astro, come nel gioco di parole del titolo “Mercury Rising” (Codice Mercury in italiano) o in quello di “Black Moon Rising” (Il giorno della Luna Nera in italiano) e neanche nelle sue accezioni più letterali di “risalita” (es. Deep Rising – Presenze dal profondo, dove un mostro risaliva dalle profondità marine). Ci interessano solo i “rise of” delle origini.

    Oltre 20 anni di ascese, origini, nascite, destini… e omissioni nella titolazione italiana

    Dopo Terminator 3: Rise of the Machines (2003) i titoli contenenti un’ascesa intesa come storia delle origini non sono certo mancati, ne ho contati una media di almeno uno l’anno, che detto così sembra poco, ma considerando che prima del 2003 non esistevano proprio, possiamo dire che quel film scemo dove il terminator indossa occhiali buffi almeno in qualcosa ha lasciato il segno, iniziando un vero e proprio trend. Anche se nessuno ci ha mai fatto caso.

    Terminator con gli occhiali di elton john

    Che c’è?

    Dello stesso anno di T-3 è Hitler: The Rise of Evil (2003) intitolato in Italia Il giovane Hitler (nel 2004), ma è tra il 2006 e il 2009 che arrivano i titoli che nel cinema americano consolideranno “rise of” e “rising” come titoli ideali per i racconti delle origini, anche se in italiano la formula non sarà mai univoca e il fenomeno è meno evidente.

    Behind the Mask – Vita di un Serial Killer (Behind the Mask: The Rise of Leslie Vernon, 2006)
    Arrivato in Italia solo nel 2009 in home video e purtroppo quasi ignoto da queste parti, Behind the Mask è un film girato in stile documentaristico dove un troupe di studenti segue la routine quotidiana di un serial killer che vuole diventare il prossimo Jason Voorhees (il nome Leslie Vernon ne fa il verso). Questo spiega la scelta italiana di “vita di un serial killer” al posto di una traduzione più diretta come potrebbe essere “l’ascesa di Leslie Vernon”, che avrebbe anche fatto sorgere la lecita domanda: e chi ca**o è Leslie Vernon?

    Hannibal Lecter – Le origini del male (Hannibal Rising, 2007)
    Come immaginabile dal titolo (sia in italiano che in inglese), il film parla dell’adolescenza di Hannibal Lecter. Là dove gli è saltato il grillo di cominciare a mangiarsi le persone.

    I Fantastici 4 e Silver Surfer (Fantastic 4: Rise of the Silver Surfer, 2007)
    Sicuramente il film che ha più diritto di qualunque altro di usare “rise of” vista l’abbondanza di questa formula nei titoli dei fumetti americani. In Italia si opterà per un titolo più semplice e diretto che però potrebbe far pensare a Silver Surfer come un alleato e non un antagonista (del resto la formula con la congiunzione “e” è più comune per descrivere un’alleanza, come in Batman e Robin). Il film invece inizia proprio facendoci credere che Silver Surfer abbia intenzioni ostili verso il pianeta Terra, quindi possiamo forse dire che il titolo italiano è un po’… spoiler? [ROMBO DI TUONI]

    Maial College 2 (Van Wilder 2: The Rise of Taj, 2006)
    Sequel incentrato su un personaggio secondario comparso nel primo film, di nome Taj per l’appunto. Maial College 2 arriva in Italia nel 2008 e, sebbene non sia una storia delle origini, è curioso come il titolo italiano (con effetto volutamente demenziale dato dal finto inglese di “maial”) si sia rivelato più flessibile del titolo originale Van Wilder, dal nome del protagonista interpretato da Ryan Reynolds. Ebbene, in Van Wilder 2 Van Wilder neanche compare! Esiste anche un terzo film, un prequel, intitolato Van Wilder: Freshman Year (2009) che in Italia esiste con il solo titolo Niente regole, siamo al college, perdendo totalmente il “maial college” che, nel bene o nel male, identificava chiaramente i primi due film. Ma quanti strati di scelte italiote ci sono in questi titoli?

    Il re scorpione 2 – Il destino di un guerriero (The Scorpion King 2: Rise of a Warrior, 2008)
    Forse un po’ più chiaro in lingua originale che si tratta di un racconto delle origini. Destino è tuttavia un’altra delle tante alternative in cui può aver senso tradurre “rise of”.

    Nessun adattamento invece per il “rising” di Valhalla Rising di Refn, del 2009. Refn è uno di quei registi a cui i titoli non glieli cambiano praticamente mai, rimangono in inglese e al massimo ci appiccicano un sottotitolo in italiano, come in questo caso: Valhalla Rising – Regno di sangue.

    Underworld: la ribellione dei Lycans (Underworld: Rise of the Lycans, 2009)
    Anche in questo caso il titolo originale fa subito capire che si tratta di un racconto delle origini, narrando dell’origine medievale della faida tra vampiri e i loro schiavi di un tempo, i lycan. Gli altri Underworld si svolgono invece in epoca moderna. In questo caso dunque c’è anche una rivolta, quindi si tratta di un “rise of” che include anche il suo altro significato, quello di insurrezione. E il titolo italiano, pur mancando del doppio significato, ha senso che abbia puntato su “ribellione”. Piuttosto non ha senso che i “Lycans” del titolo tengano la “s” plurale anche in italiano, visto che si tratta di una parola estera importata. La grammatica italiana impone che si parli di “Lycan” anche al plurale e infatti nei dialoghi del film la “s” è assente.

    Sempre del 2009 è anche G.I. Joe – La nascita dei Cobra (G.I. Joe: The Rise of Cobra, 2009).

    Locandina di Underworld Rise of the lycans

    Negli anni successivi si sono susseguiti “rise of” e “rising” come se non ci fosse un domani. In ordine di uscita italiana abbiamo avuto Il cavaliere oscuro – Il ritorno (The Dark Knight Rises, 2012), titolo forse più sensato in italiano visto che il Batman di Nolan ha già avuto i suoi inizi con Batman Begins nel 2005 e una continuazione con Il cavaliere oscuro (The Dark Knight) nel 2008, quindi al terzo film cos’abbia ancora da risollevarsi non si sa, piuttosto Bruce Wayne torna dal suo esilio quindi a maggior ragione ha senso “il ritorno”. Poi il film d’animazione Le 5 leggende (Rise of the Guardians, 2012), con nessun riferimento ad un’ascesa (non che ce ne fosse bisogno), Rise of the Zombies – Il ritorno degli zombie (Rise of the Zombies, 2012) arrivato in Italia direttamente in home video nel 2013 e non sono certo che qui “ritorno” abbia completamente senso, ma è evidente che in qualche modo hanno voluto “spiegare” il titolo originale con un sottotitolo.

    Nel 2014 arriva al cinema 300 – L’alba di un impero (300 – Rise of an Empire), il primo caso di rise of tradotto come “alba di”, in questo caso sensatamente (a meno che in futuro non ci facciano anche un “300 – Dawn of the Empire” e allora si ride). Vari documentari storici hanno titoli simili e quando si parla di nascita di imperi “l’alba” è sempre dietro l’angolo. Sempre nel 2014 arriva The Amazing Spider-Man 2 – Il potere di Electro, che in America si chiama semplicemente The Amazing Spider-Man 2 ma ha anche il titolo alternativo di The Amazing Spider-Man 2: Rise of Electro.

    Arriviamo così in anni più recenti, con titoli che fanno prima tappa in America dove acquistano il “rise of” che poi ci ritroviamo anche nel titolo italiano: Rise of the Legend – La nascita della leggenda (2014), dal titolo USA di Huang feihong zhi yingxiong you meng, arrivato in Italia nel 2017. E vorrei capire il senso di avere titoli mezzi in inglese in un film che non è nemmeno americano!? Questo genere di film dimostra quanto lasciare l’inglese in molti titoli sia semplicemente una scelta di “marketing” senza senso, solo perché tutto in inglese è più “cool”. L’anno successivo (nel 2018) inizia la serie animata Rise of the Teenage Mutant Ninja Turtles – Il destino delle Tartarughe Ninja (Rise of the Teenage Mutant Ninja Turtles) che nel 2022 ha anche il suo film dedicato e che in Italia si chiamerà Il destino delle Tartarughe Ninja: il film (Rise of the Teenage Mutant Ninja Turtles), mentre Night at the Museum: Kahmunrah Rises Again ripesca dalle vendette e diventa Una notte al museo – La vendetta di Kahmunrah.

    Impossibile non nominare Star Wars: Episodio IX – L’ascesa di Skywalker (Star Wars: Episode IX – The Rise of Skywalker, 2019) che tanta agitazione aveva generato nel mondo quando fu annunciato il titolo italiano, visto che in inglese non si capisce di quanti Skywalker parliamo quando diciamo “of Skywalker” mentre in italiano bisognava necessariamente chiarire se si trattava dell’ascesa di (uno) Skywalker o di più Skywalker. Ad oggi non so quale Skywalker sia asceso e a cosa si riferisca quel titolo.

    Nei nuovi anni ’20 abbiamo avuto Trollhunters – L’ascesa dei Titani (Trollhunters: Rise of the Titans, 2021) e il recente Minions: The Rise of Gru (2022) con la sua formula italiana, la più inusuale vista finora, e molti altri “rise of” simili arriveranno. Nel 2023 sono previsti previsti Transformers: Rise of the Beasts ad esempio, che diventerà Transformers – Il Risveglio, Evil Dead Rises che a gennaio 2023 è stato annunciato in Italia col titolo La casa – Il risveglio del male e si va ad aggiungere alle tante Case – per una volta non apocrife – per non dimenticare Grease: Rise of the Pink Ladies, serie TV della piattaforma Paramount+ che in Italia arriverà come Grease: Rydell High (dal nome della scuola).

    Chiaramente questa ascesa di titoli contenenti “rise of” non accenna a fermarsi e ormai ce la teniamo. Ha anche senso che si sia resa necessaria proprio a partire dagli anni 2000, dopo che George Lucas ha sdoganato l’idea di blockbuster che sono dei seguiti ma allo stesso tempo dei prequel.

    Minions 2 – Come Gru diventa cattivissimo

    Locandina di Minions 2

    Minions 2 – Come Gru diventa cattivissimo (Minions: The Rise of Gru, 2022) è sicuramente il titolo più creativo delle tante varianti internazionali. Nel mantenere il riferimento diretto a Cattivissimo me (da cui i film dei Minions originano) ricalca le versioni sudamericane che sono state intitolate Minions 2: Nace un villano. Infatti Cattivissimo me in quella parte del mondo è stato intitolato Mi villano favorito.

    Insomma non è privo di logica e rimane un titolo simpatico. Una creatività oggi abbastanza rara e forse poco apprezzata, ma che non mi sento assolutamente di criticare. Come tutti i film degli ultimi 20 anni, la prima parte del titolo rimane in inglese, con “Minions” con la “s” del plurale. Ma questa è una brutta abitudine ormai consolidata: il titolo di un franchise resta in inglese, anche se non c’è alcun motivo perché non debba essere tutto in italiano: Minion 2: Come Gru diventa cattivissimo. Che fastidio darebbe?

    Per concludere, è un bene che in Italia si continui a tradurre questi titoli “delle origini” caso per caso, seguendo il senso che ciascuno di questi titoli ha rispetto al film e senza una formula standard rigidamente imposta che porterebbe solo a forzature assurde. Ma bisogna anche imparare dalla lezione del pianeta delle scimmie, tenendo presente che dopo un’alba… può sempre capitare che te la pigli nel culo.

    Scena da Apes Revolutions

    Italiani che aspettano di sapere il titolo del prossimo Pianeta delle scimmie

  • Giustizia a tutti i costi (1991) – Il Seagal da evitare a tutti i costi

    Locandina italiana di Giustizia a tutti i costi

    Se oggi cercate il nome di Steven Seagal su Google vi comparirà questa descrizione: Rappresentante speciale per le relazioni umanitarie tra Russia e Stati Uniti. Neanche Google lo identifica più come attore, né come artista marziale, né musicista (sì, è stato tutte e tre queste cose), ma nel 1991 era un nome che ancora portava gente al cinema quindi alla Warner sopportavano tutte le sue smanie da divo, come ad esempio mettersi a piangere per una lampadina fulminata nella sua roulotte (curiosità trovata su IMDb e a cui credo ciecamente, mi sembra proprio il tipo).

    Steven seagal come appare su una ricerca google

    Lo screenshot sennò non ci credete

    Giustizia a tutti i costi sarà forse ricordato più per i suoi retroscena, tipo Seagal che vantava di essere immune allo strangolamento grazie al suo addestramento in aikido e sentita questa leggenda che Seagal andava raccontando in giro, lo stuntman Gene LeBell gli propose di metterla alla prova. Seagal da vero gallo accettò e finì per svenire cagandosi e pisciandosi addosso davanti a trenta persone. A volte la vita da stuntman regala soddisfazioni.

    Con un nuovo nome scemo, quello di Gino Felino, Seagal torna a spacciarsi per poliziotto italoamericano con una pessima imitazione dell’accento di Brooklyn (tranquilli, col doppiaggio ve lo risparmiate). Il cast di contorno è composto da tanti volti noti, più decenti di quanto meritasse il peggior film anni ’90 di Seagal (opinione personale).

    Questo è il film che negli anni ’90 faceva vacillare ogni certezza anche a un fan di Seagal come me. Quello che mi faceva domandare “perché mi piace Seagal esattamente?”. Poi mi riguardavo il successivo Trappola in alto mare e mi tornava in mente. Ho posseduto Giustizia a tutti i costi in VHS solo per completare la collezione ma era tra quelli da non rivedere mai. Infatti ho spezzato questo mio voto quasi trentennale solo per portarvi questa recensione. Quindi adesso vi leggete il mio riassunto delle avventure del detective Gino Felino (non c’è niente da fare, farà sempre ridere questo nome).

    La trama di Giustizia a tutti i costi

    Il film inizia con Seagal che manda a monte un’operazione di polizia volta a impedire un colpo “da 3 milioni di dollari” (in italiano “per una faccenda molto più importante”) solo perché non sopportava la vista di un pappone che menava una prostituta in strada. Salva la donna e infila la testa del pappone nel parabrezza di un’automobile. Ordinaria amministrazione seagalesca insomma.

    Titoli di inizio di Giustizia a Tutti i costi, la faccia di Seagal accanto al suo nome

    La cosa non ha conseguenze, non lo cacciano dalla polizia, non lo rimproverano, niente. Serviva solo a farci capire che è un buono, altrimenti sentendo quello che seguirà nella trama potreste pensare che Seagal interpreti l’antagonista piuttosto.

    Piccola nota prima di proseguire con la trama: solo io trovo involontariamente comica l’introduzione di Seagal? Dopo aver fatto volare il pappone attraverso un parabrezza, arriva un fermo immagine della sua faccia ed è qui che compare il nome enorme accompagnato dalla colonna sonora che praticamente gli fa “zan-zan!”.

    Ma a quanto pare Seagal ha personalmente approvato la colonna sonora del film, quindi dev’essere un uomo con una dose di autoironia.

    Il giorno stesso, un mafiosetto scoppiato, Richie Madano (William Forsythe), con la sua micro-banda di balordi, fa fuori Bobby Lupo, collega del detective Gino Felino. Immagino con quale serietà abbiano scelto tutti questi cognomi italo-americani. Felino poi è un cognome così raro che non pensavo nemmeno esistesse (se vi chiamate Felino vi chiedo scusa), probabilmente l’ha scelto Seagal, dizionario di italiano alla mano, pensando che fosse un cognome “cool”, perché Seagal è agile e svelto, come un gatto, uhh! No. Ti sei solo inventato un nome scemo e la rima in -ino aumenta solo questo effetto. Diciamo che anche esistendo il cognome Felino [alcune tracce in Puglia mi dicono], nessuno che conosce la cultura italiana lo avrebbe usato come nome “fico” per il protagonista di un film. Ancora una volta, mi scusino i Felino d’Italia, ma se vi chiamate anche Gino i vostri genitori non vi volevano tanto bene.

    L’assassinio del collega di Gino Felino è l’evento che mette in moto il film. Seagal richiamato all’appello si presenta sulla scena del crimine con un berretto militare da mitomane e una vestaglia nera (tattica?) senza maniche. La polizia di Brooklyn opera così.

    Steven Seagal con berretto militare nel film Giustizia a tutti i costi

    Steven Seagal con berretto militare nel film Giustizia a tutti i costi

    Professione: mitomane

    Seagal a questo punto passa i prossimi quaranta minuti andando in giro a dire a tutti “io lo uccido”. Al suo capo dice che avrebbe ucciso Richie e chiede un’auto in borghese e un fucile a pompa. Con la nuova auto va fino al ristorante del capo dei capi, tale Don Vittorio, o Don Vito, a seconda della lingua in cui lo vedete, per dirgli “io lo uccido”. Poi va a casa dei genitori di Richie per dire “io lo uccido”. Poi va dal fratello di Richie e gli dice “lo troverò e gli piscerò in bocca”, giusto per non annoiare lo spettatore con la stessa battuta. Poi va dalla sorella, la offende in tutti i modi possibili e immaginabili per sapere dove si trova Richie promettendo che lo avrebbe ucciso. E io ancora mi sto chiedendo perché ce ne dovrebbe fregare qualcosa di questo Gino Felino (Seagal) accecato dalla rabbia e della sua voglia di uccidere Richie. E il film se ne rende conto perché nei primi quindici minuti gli sceneggiatori fanno piovere dal cielo (letteralmente a caso) un cucciolo di pastore tedesco che Seagal decide di adottare e portarsi dietro per tutto il resto del film. Ora sì che possiamo capire che è un buono. Nessuna persona malvagia potrebbe mai amare un pastore tedesco, giusto? Come lo chiamerà, “Blondi“? No, lo chiama “Coraggio”. Tipico nome che gli italiani danno ai loro cani.

    Seagal con in mano un cucciolo di pastore tedesco mentre guida l'automobile nel film Giustizia a tutti i costi

    A questo punto potrei fare QUALSIASI battuta su Seagal attore-cane!

    Tra un “io lo uccido” e un altro, Seagal trova sempre del tempo da dedicare ai topoi del suo genere: lo scontro in un negozio di alimentari dopo un inseguimento in auto, il tormentare gli avventori di un bar losco, la presenza di qualcuno che gli dice che fa il bullo solo perché ha la pistola, Seagal la mette via e lo punisce fisicamente, etc…; scene già straviste a questo punto della carriera cinematografica di Seagal e sempre condite da 1/10 aikido, 9/10 di manate in faccia, pugni nelle palle e sgraziati spintoni… le tipiche seagalate insomma. Per fortuna che a breve abbandonerà il genere poliziesco per passare al genere “diehardo”, così la dose di pipponi moralistici calerà drasticamente, almeno per un paio di film.

    Mamma mia che dolooore! (cit.)

    Il film è tutto un girovagare alla ricerca di Richie che intanto continua a fare il prepotente per Brooklyn sapendo che la sua ora sta per arrivare. E pensare che in fase di montaggio abbiamo “perso” addirittura trenta minuti di film. Si dice che siano stati tagliati per dare meno spazio all’antagonista, William Forsythe, perché essendo un bravo attore stava facendo sfigurare Seagal. È una leggenda alla quale posso credere tranquillamente. Forse anche molte scene con il cucciolo di pastore tedesco sono state accorciate perché il cane recitava meglio del protagonista.

    Se in Nico e Duro da uccidere (già recensiti) c’è ancora tanto con cui potersi divertire, Giustizia a tutti i costi è blando e triste, di arti marziali è quasi completamente a secco (pure per gli standard di Steven Seagal, il che la dice lunga!) ed è pieno di volgarità gratuite su prostitute e omosessuali (ovviamente non colpa dell’adattamento, che anzi, cerca di mitigare un po’ la situazione). Lo so che erano i primi anni ’90, ma mi è sembrato eccessivo anche per gli standard dell’epoca. Rivisitarlo oggi mi ha fatto comprendere perché non l’ho mai apprezzato neanche all’apice del mio interesse per Seagal: è un film privo di gioia. La scena più rappresentativa è forse quella del cattivo che costringe una ex-prostituta a stare con lui. Non vediamo niente di scabroso, ma le intenzioni bastano e avanzano. Trissssctezza proprio!

    La trisssssctezza!

     

    Il titolo: Out for Justice / Giustizia a tutti i costi

    Gran parte dei titoli dei film di Seagal sono sempre stati così generici in inglese che non biasimo la distribuzione italiana per essersi inventata spesso qualcosa di completamente diverso. Da Above the Law (=al di sopra della legge) che è diventato Nico (dal nome del protagonista) a Marked for Death che è diventato Programmato per uccidere, titolo ruffianissimo che ribalta completamente il significato originale per renderlo simile al precedente successo Duro da uccidere, che tra l’altro era l’unico tradotto praticamente alla lettera (Hard to Kill). Sono film di cui ho già parlato nei precedenti articoli di questo mio “ciclo di San Seagalino“, così è stato ribattezzato nei commenti della pagina Facebook di Doppiaggi italioti dopo che per pura coincidenza pubblicai una di queste recensioni il 14 di febbraio, per San Valentino. In realtà la battuta era “Buon Seagalentino!”.
    [Nota: San Seagalino sarà il protettore di mitomani e molestatori?]

    Locandina italiana di Giustizia a tutti i costi

    Locandina cinematografica

    Out for Justice (la traduzione potrebbe essere qualcosa tipo “in cerca di giustizia”) è l’ennesimo titolo generico di come li potrebbe sfornare un generatore automatico di titoli d’azione. E Giustizia a tutti i costi è un suo buon equivalente. Si dice che con “Out for Justice” la Warner abbia imposto un titolo di tre parole per imitare i precedenti film di Seagal. Si sa, a Hollywood sono molto scaramantici. Potrei sbagliarmi ma ho la sensazione che l’intenzione della Warner fosse anche quella di fare l’occhiolino ai giustizieri della notte. E non mi riferisco nello specifico ai vari capitoli de’ Il giustiziere della notte con Charles Bronson, ma anche di tutti i suoi cloni basati su un vendicatore solitario. La locandina stessa ricorda un film della Cannon appartenente a quel filone, Exterminator, con un tizio fotografato su sfondo nero. Tristissima e veramente svogliata.

    Locandina di Exterminator del 1980

    Non ne avevate una migliore?

    La locandina di Exterminator viene dall’articolo del blog Il Zinefilo che ha dedicato un ciclo ai (genericamente detti) giustizieri della notte. Chiaramente Exterminator non c’entra una mazza con questo film, ma in Giustizia a tutti i costi gli ammiccamenti ai giustizieri non mancano. Ad esempio, qui Seagal usa una palla da biliardo avvolta in un fazzoletto per spaccare la faccia alla gente, uno stratagemma non lontano dai dollaroni infilati nel calzino dal primo Il giustiziere della notte con Bronson. E gli dev’essere piaciuto così tanto che lo stratagemma delle palle da biliardo che lo ritroveremo in almeno un altro film del Sensei “S.S.”.

    Piccola curiosità: lo slogan della locandina di Giustizia a tutti i costi viene ritradotto una seconda volta per l’uscita home video, quindi da È un poliziotto. fa un lavoro sporco… ma qualcuno deve fare pulizia. presente sulla locandina cinematografica, in VHS arriverà con lo slogan: Quello del poliziotto è un mestieraccio… ma qualcuno deve pur eliminare la spazzatura…; entrambe sono traduzioni dello stesso slogan: He’s a cop. It’s a dirty job… but somebody’s got to take out the garbage. Anche qui, le allusioni ai film sui giustizieri non mancano, ma nella sostanza non c’entra niente con quel filone. La Warner voleva solo attirare il pubblico con concetti familiari.

    William Forsythe che si punta la pistola alla testa in una scena del film Giustizia a tutti i costi

    Io quando mi sono ricordato che mi toccava rivedere Giustizia a tutti i costi.

    La versione italiana

    Dopo la parentesi toninoaccollana di Programmato per uccidere dove il protagonista era doppiato da Massimo Corvo e diretto da Tonino Accolla per la sua società di doppiaggio, i film di Seagal tornano nuovamente in mano al team “storico” già visto in Nico e Duro da uccidere, cioè quello con la voce di Antonio Colonnello (per gli amici Fonzie) su Steven Seagal e Bruno Alessandro alla direzione. I dialoghi stavolta sono del veterano Mario Paolinelli (Jackie Brown, Parenti, amici e tanti guai, Caccia a Ottobre Rosso etc…) mentre i precedenti erano stati di Antonio Vecchietti. Del cast principale non posso non adorare e menzionare Luca Dal Fabbro nei panni del cattivo, Richie (William Forsythe), una scelta particolarmente indovinata. Un anno dopo avrebbe interpretato un altro criminale, Steve Buscemi nel film Le iene diventandone poi praticamente la voce ufficiale. L’intero cast è strapieno di voci note. Lascio che gli appassionati dell’argomento scoprano i nomi alla fine, nella scheda di doppiaggio che ho inserito in fondo all’articolo.

    Nel forum di Antoniogena.net il doppiatore Bruno Conti è intervenuto in un thread aggiungendo informazioni non note in precedenza (e tuttora non aggiornate). È grazie a lui infatti che conosciamo l’identità del direttore del doppiaggio e sempre grazie a lui abbiamo scoperto che l’attrice italo-americana Jo Champa doppiò se stessa per l’occasione.

    “La Champa venne a doppiarsi. Io facevo un delinquente nero all’inizio” (Bruno Conti)

    Di sicuro qualcosa di non abituale nel panorama del doppiaggio italiano. Per Jo Champa Giustizia a tutti i costi casca tra una partecipazione in un film di Damiano Damiani e quella nel Piccolo Buddha di Bertolucci, quindi magari per puro caso si trovava a Roma e ha avuto senso assegnare a lei il doppiaggio del suo stesso personaggio? Per quanto possa sembrare sensato sulla carta, un’operazione simile è molto rara nel panorama italiano ed è certamente una curiosità di questo doppiaggio. Non sorprende che la sua interpretazione “spicchi”, purtroppo in negativo. Non tutti gli attori, per quanto bravi nel loro mestiere, si prestano bene anche al doppiaggio, abbiamo un centinaio di anni di storia del doppiaggio che lo dimostrano e questo film del 1991 ne è l’ennesima conferma.

    Steven Seagal e Jo Champa in una scena di Giustizia a tutti i costi

    Seagal ci va a prendere anche il gelato vestito così

    Comunque, lo dico subito: la versione italiana è in tutto e per tutto migliore dell’originale, anche perché ci evita molti momenti imbarazzanti. Tra questi, Seagal che parla italiano.

    Seagal che parla “italiano”

    Con il doppiaggio italiano vi “perdete” le tante scene in cui Seagal parla italiano/siciliano con dei mafiosi, facendo finta di essere un italo-americano figlio di immigrati cresciuto a Brooklyn. A questo riguardo, in un’intervista a William Forsythe per AV Club, l’attore ricorda che Seagal aveva dubbi sull’accento di Forsythe, reputandolo non autentico e gli disse che avrebbe dovuto lavorarci su. Non sapeva che Forsythe è nato e cresciuto a Brooklyn e semmai era quel montato dell’Illinois Steven Seagal che avrebbe dovuto lavorare molto di più sul suo poco convincente accento “broccolino”. Per tacere poi del suo “italiano”. Anzi, non tacciamo, parliamone!

    Inutile dire che Steven Seagal non è Robert De Niro. Il “siculo” che sentiamo in Giustizia a tutti i costi è la fiera dell’approssimazione con parole buttate lì, frasi che non direbbe nessuno e qualche pronuncia “alla spagnola”. Senza girarci tanto intorno, Seagal che parla italiano fa ridere. Soprattutto quando gli altri interlocutori sono chiaramente attori italo-americani che almeno la parlata dialettale dell’immigrato la sanno fare perché è la loro o è quella dei loro genitori. Basti vedere i vari cognomi nel cast (Maccone, Russo, Ciarfalio, Bongiorno, DeSando, Spataro, Corello e questi sono solo alcuni) per capire che l’unico fasullo qui è Steven Seagal e il suo trapianto di capelli.

    Tutto questo ovviamente non traspare nella versione italiana dove Seagal parla con un italiano standard e i mafiosi parlano semplicemente con un’inflessione dialettale, come è lecito aspettarsi in questi casi. La rozzezza di Seagal nell’approcciarsi a un film ambientato a Brooklyn ha portato anche a un errore grossolano che ci siamo evitati nel doppiaggio italiano per fortuna: quello di Don Vittorio che viene chiamato da Seagal “Don Vito“.

    Scena di Giustizia a tutti i costi dove Seagal chiama Don Vittorio Don Vito

    Posso solo ipotizzare che sul copione ci fosse scritto Don Vitto’, ma che Seagal nato in Illinois non abbia capito che si trattava di un’abbreviazione. Con un precedente stranoto come quello di Don Vito Corleone del Padrino di Coppola, è molto probabile che Seagal abbia visto scritto DON VITTO’ e pensato che quello fosse lo spelling di “Don Vito”, senza porsi altre domande. Quindi nel film in inglese i sottotitoli riportano DON VITTORIO mentre Seagal dice DON VITO.

    Ma che, forse si chiama Don Vito Vittorio? In un film dove il protagonista si chiama Gino Felino non è neanche così improbabile.

    Tra slang e ‘maleparole’

    Dello slang italo-americano standardizzato in italiano per il doppiaggio ci perdiamo cose come “this mamaluke” (americanizzazione di mammalucco) tradotto come “questo stronzo piedipiatti”, ma capisco che nel semplice tradurle in italiano esempi simili passerebbero dall’essere colorite offese “etniche” a offese sceme e basta. Troppo sceme per dei criminali assassini. Quando si dice adattare e non semplicemente tradurre, eh? Altre espressioni rimangono se hanno senso per i personaggi e per la situazione in cui vengono usate, come “finooks” che diventa “finocchi” che Seagal usa durante una delle sue scene di prepotenza. Come dicevo, non è un protagonista particolarmente piacevole in qualunque lingua lo guardiate. In lingua originale non mancano anche cose come “citruls” in riferimento agli scagnozzi scemi. La parola viene da “citrullo” del dialetto napoletano, ovvero “cetriolo”, una persona sciocca.

    Anche questo film ha un “You understand English? Teach this guy some English.” e viene tradotto in modo simpatico: “Hai letto il vangelo? Spiegaglielo tu il vangelo” (niente “parli la mia lingua?” stavolta). E c’è anche un’altra frase classica: “I’m too old for this shit” rubata direttamente ad Arma letale e qui resa con “Mi sento troppo vecchio per questo scempio“.

    Il film, non lo ripeterò mai abbastanza, è superiore all’originale sia nei dialoghi sia nel cast di doppiatori. Antonio Colonnello continua ad essere un attore migliore di Seagal (e forse la voce più adatta al suo volto in questo genere di film) e quello del dialoghista Mario Paolinelli è un copione che cambia quello che è lecito cambiare e migliora quello che è lecito migliorare. Innumerevoli sono le battute scritte meglio in italiano. È il film che purtroppo ha i suoi limiti. Ci sono alcune sfumature però che mi piacerebbe analizzare. Ad esempio il fatto che in italiano il nostro poliziotto protagonista sembri un po’ più retto di quello originale.

    Faccia buffa di Steven Seagal in una scena del film

    Fa’ le faccette, le faccette! (cit.)

    Un poliziotto più retto, in italiano

    Qui analizzo quelle che sono semplicemente delle sfumature.

    – If one of your people gets this guy, he gets what? Seven to ten, maybe?
    – Yeah, maybe, if we’re lucky.
    – You know our ways, it must be dealt with by us.

    – Se tu o uno dei tuoi arresta Richie, e lui quanto piglia? Da sette a dieci. Pure pure.
    Magari anche venti.
    – Conosci le nostre regole, dobbiamo sistemarlo noi.

    Sembra una piccola cosa ma, mentre in inglese Seagal conferma l’argomentazione del mafioso (“Forse, quando ci va bene!”), dove una pena prevista dalla legge sarebbe troppo poco per punire Richie, in italiano sembra comunque una risposta da poliziotto retto che essenzialmente sostiene che magari Richie si potrebbe beccare anche molti più anni di galera e quindi sembra portare avanti la tesi del rispetto delle regole e della legge. Ovviamente non torna con il successivo “se questa volta lo trovo prima di voi, lo ammazzo io”.

    In un altro caso simile, un mafioso dice al nostro detective Gino Felino “di fronte a tanti colleghi tuoi, io mi posso considerare un chierichetto” e Seagal risponde “ma che mi dici?“. Ora, questo potrebbe essere interpretato con ironia, ma io non ce ne sento abbastanza. In inglese era “ain’t it the truth“, che potrebbe essere tradotto con un semplice “quanto è vero” o “puoi dirlo forte”.

    Insomma, di questo poliziotto fuori dalle regole ci ritrovo una versione italiana un po’ più “ripulita” dell’originale. Ripeto, stiamo parlando di piccole sfumature in un adattamento ottimo che non mi fa neanche sforzare a inventarmi delle gag, ci pensa il film stesso a servirmele:

    “Lo sbirro scassa-tutto viene a scassare le palle, eh?”

    Scena dal film

    Lo sbirro scassa-tutto viene a scassare le palle, eh?

    In originale: Hey, Officer Big Shot, come to bust my balls? Traducibile come: “l’agente Pezzo-Grosso è venuto a rompermi le palle?” e possiamo facilmente immaginare un adattamento moderno di questo tipo, molto fedele all’originale, ma artefatto e privo di gioia e naturalezza. Li conoscete bene gli adattamenti così, li sentiamo letteralmente tutti i giorni e siamo praticamente abituati alla loro presenza.

    Ho accennato a un alleggerimento delle volgarità ma per carità non lo scambiate per censura, come ho già detto molte volte in passato non tutte le frasi volgari in lingua inglese possono essere trasposte talis qualis in un dialogo italiano, perché l’uso della volgarità non è sempre equiparabile nelle due lingue. Questo ad esempio è un caso dove l’italiano invece le aggiunge (per motivi comici):

    – E tu che ci fai qui? Non sei amico di Don Vittorio?
    – C’ho tanti amici.
    Passi dalla cacca alla merda. [In originale: You jump around a little bit]

    All’opposto altre battute ci fanno anche il piacere di essere meno volgari, come “I can’t believe you can still eat with that mouth” (trad. Incredibile che ci riesci ancora a mangiare con quella bocca) che diventa in italiano: “A sentirti parlare sembri una monaca di clausura“. Oppure la prostituta che chiede a Seagal “you wanna fuck?” che diventa “Ehi, bello, lo facciamo un capriccio?”.

    Ci sono tante belle frasi in questo copione italiano, purtroppo sprecate in un film che non consiglio di vedere assolutamente a nessuno. Ma so che ha i suoi fan, c’è chi addirittura lo considera il migliore dei suoi film. De gustibus. A vostro rischio e pericolo.

    Scheda di doppiaggio di Giustizia a tutti i costi

    Direttore di doppiaggio: Bruno Alessandro. [fonte Bruno Conti]

    Dialoghista: Mario Paolinelli [fonte SIAE]

    Società di doppiaggio: [ignota]

    Il cast di doppiatori

    Antonio Colonnello: Detective Gino Felino (Steven Seagal)
    Luca Dal Fabbro: Richie Madano (William Forsythe)
    Sergio Rossi: Capitano Ronnie Donziger (Jerry Orbach)
    Jo Champa: Vicky Felino (Jo Champa)
    Silvia Pepitoni: Laurie Lupo (Shareen Mitchell)
    Michele Kalamera: Frankie (Sal Richards)
    Paolo Buglioni: Bobby Arms (Jay Acovone)
    Riccardo Rossi: Vinnie Madano (Anthony De Sando)
    Franco Zucca: “Tatuato” (Sonny Hurst)
    Paolo Vivio: Tony Felino (Julius Nasso Jr.)
    Carlo Valli: Chas “la sedia” (Jorge Gil)
    Bruno Conte: Pappone (???) [Fonte: Bruno Conte]
    Paolo Lombardi: “Station Wagon Tough Guy” (Sonny Zito) [riconosciuto da Leo]

    Altre voci nel film: Ambrogio Colombo, Franco Chillemi. [Fonte: Antoniogenna.net]

    Al momento rimangono sconosciute le doppiatrici di Gina Gershon – link alla clip audio – (nel ruolo di Patti Madano) che su Wikipedia è erroneamente segnalata come voce di Paila Pavese (e vorrei proprio sapere chi diffonde certe panzane) e Julianna Marguiles (nel ruolo di Rica), oltre a una moltitudine di altri personaggi, ciascuno con una o poche battute, quindi di difficile identificazione.

    Consigli finali

    Dell’esordio anni ’90 di Seagal, questo è il suo film più fetente. Un adattamento ottimo, un cast vocale eccellente e interpretazioni spesso anche divertenti ahimè non bastano a garantire una mia raccomandazione. Di sicuro è arrivato al pubblico italiano nel miglior modo possibile, ma il film è quello che è. I limiti di avere un protagonista di legno li accusiamo tutti e gravemente quando la trama non ci regala niente dal punto di vista dell’intrattenimento. E poi vorrei sapere come si fa a finire il film su un fermo immagine simile? Gli addetti al montaggio volevano prenderlo in giro, non ci sono altre spiegazioni.

    Fotogramma finale del film


    Gli altri articoli del mio ‘ciclo di San Seagalino’:

  • TITOLI ITALIOTI: Weekend con il morto e i suoi sequel, veri e non

    weekend con il morto, locandine italiana e americana a confronto

    La rubrica TITOLI ITALIOTI oggi ci porta al mare con WEEKEND CON IL MORTO (Weekend at Bernie’s, 1989). Il titolo originale fa riferimento al weekend che i protagonisti passano nella casa al mare del loro capo, Bernie Lomax, che però viene assassinato. I due, per non essere incolpati dell’omicidio, si “godranno” il fine settimana facendosi vedere in compagnia di Bernie e fingendo che sia ancora vivo. Basteranno un paio di occhiali da sole e notevoli capacità da burattinai.

    Letteralmente traducibile come “Weekend a casa di Bernie” (o “Weekend da Bernie”), ho sempre trovato leggermente più efficace il titolo italiano, perfetto per il genere di film (commedia ovviamente). Ma sia in italiano sia in lingua originale, è indiscutibile che il titolo abbia una sua immediata riconoscibilità. Arrivato in Italia nel settembre 1990 per la Pentafilm (tenetelo a mente perché è importante) con una locandina che ricalca quella di altre versioni europee, è stato un successo anche nello stivale italico e questo non poteva non tentare la distribuzione italiana, sempre pronta ad inventarsi titoli ammiccanti (o dovrei piuttosto dire “freganti”) pur di portare il pubblico in sala. E così nei primi anni ’90, insieme a Weekend con il morto arrivano in Italia anche una serie di sequel apocrifi e… “occhiolineggianti”.

    Scappatella con il morto (Sibling Rivalry, distribuzione Penta, settembre 1991)

    Scappatella con il morto, locandina italiana e americana a confronto

    Esattamente un anno dopo Weekend con il morto arriva Scappatella con il morto, titolo originale Sibling Rivalry (1990) di Carl Reiner, sempre distribuito dalla Pentafilm e sempre a settembre (visto censura: 9 settembre ’91). Nel film Kirstie Alley, insoddisfatta della sua vita sessuale con il marito, decide di mettergli le corna con un baffone in là con gli anni (Sam Elliott) che però le muore durante l’atto. Se ve lo domandate no, non metterà un paio di occhiali da sole al cadavere per potarlo a zonzo e far finta che sia ancora vivo, perché ovviamente non ha niente a che vedere con Weekend con il morto. Ma siccome c’è un morto ed è una commedia, perché non spacciarlo come tale ai meno attenti, così tentando di ripeterne il successo? Hanno usato anche lo stesso identico set di caratteri per il titolo! Non è truffare, è “ingannare con stile” (semi-cit.).

    Il titolo originale significa letteralmente “rivalità tra fratelli” o, in questo caso anche tra sorelle. Non voglio sciuparvi qualche sorpresa del film dicendo altro, vi basti sapere che la rivalità del titolo originale vale per entrambi ed è una vera rogna linguistica il fatto che in italiano non abbiamo una parola generica che indichi fratelli e sorelle indistintamente come in inglese con “siblings”. In questo caso scegliere tra l’uno e l’altro (“rivalità tra sorelle” o “rivalità tra fratelli”) sarebbe stato un errore, perché avrebbe ignorato metà del significato del titolo originale. Ma andare a scomodare “i morti” è una mossa molto paracula, come piace dire a me.

    E se il morto non c’è?

    Weekend senza il morto (Only You, distribuzione Penta, settembre 1992)

    Weekend senza il morto locandine italiana e americana a confronto

    Se il morto non c’è, è ancora più facile: si fa il weekend senza il morto! Un titolo associabile letteralmente a qualsiasi film ambientato in un fine settimana. Anche questo è della Penta. Cominciate a vederci un filo conduttore dietro tutti questi “morti” che la Penta si tira fuori ogni settembre per replicare il successo di Weekend col morto?

    Commedia romantica su un triangolo amoroso la cui unica connessione con Weekend con il morto è l’attore principale. La locandina cinematografica ci parla infatti di un altro esilarante “finesettimana” e giustifica anche il titolo italiota: “ritorna il protagonista di Weekend con il morto Andrew McCarthy“, che in realtà più che una scusa è una prova di colpevolezza. Ritorna ovviamente il font usato per tutti i precedenti “morti”. La Penta voleva spacciarlo per un vero e proprio sequel, in attesa di quello vero. A questo proposito, si sono persi un’occasione d’oro di usare una locandina alternativa che invece vedeva i protagonisti palesemente su una spiaggia!

    Only You, locandina film del 1992 con protagonista sulla spiaggia attorniato da ragazze

    Almeno freghiamoli bene questi spettatori, no?

    La versione italiana è a cura della CDC, dialoghi di Marco Mete e diretto da Roberto Chevalier. Cioè lo stesso team del vero primo film.

    Non mi è chiaro perché alla Penta abbiano deciso di usare la stessa locandina americana con quello sfondo nero che risulta pesante e che di solito si associa alle commedie nere o comunque condite con dramma, oltre ai film d’arte. Sì, ci sono le sdraio in bambù, ma si capirà mai cosa sono se non avete già letto la sua trama su una vacanza in Messico? Ricorda piuttosto la locandina del “film-teatrale” Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante, ma i primi anni ’90 erano tempi strani. Anni in cui Weekend con il morto 2 arriva praticamente come quarto film!

    Weekend con il morto 2 (Weekend at Bernie’s II, distribuzione Gruppo Bema, gennaio 1993)

    weekend con il morto 2 locandina italiana e americana a confronto

    Dopo due finti seguiti inventati dalla Pentafilm (che all’epoca fondeva insieme Cecchi Gori e Fininvest), il seguito UFFICIALE di Weekend con il morto arriva in Italia in una data ben poco estiva, gennaio del 1993, distribuito non più dalla Penta ma dal duo Achille Manzotti / Angiolo Stella (che ne ha l’esclusività). Alla Pentafilm si saranno mangiati le mani, erano tre anni che lo aspettavano!

    Che dire, stavolta è il VERAMENTE VERO seguito e, ironia della sorte, è l’unico che arriva con un “font” diverso. La scritta in locandina infatti ricalca quella originale, abbandonando completamente lo stile usato dalla Penta per il primo capitolo e per i suoi finti sequel settembrini.

    titolo italiano weekend con il morto 2 da VHS

    Occasione mancata per chiamarlo “Un altro weekend con il morto”, ma temo che si sarebbe confuso con i sequel fasullissimi che giravano quegli anni. Sarebbero stati anche gli anni giusti per sfornare un doppio sequel apocrifo: Mamma, ho fatto il weekend con il morto, ma non è mai successo. [non vi perdete il precedente episodio sui finti Mamma ho perso l’aereo]

    La versione italiana di Weekend con il morto 2 è della Video2, diretta e dialogata da Tonino Accolla, con un cast di doppiatori completamente nuovo rispetto al precedente. Nel film, Tonino Accolla finisce per dare la voce persino a una capra. Arriverà in VHS nel marzo 1993, a soli due mesi dall’uscita cinematografica, tempi simili sarebbero un record anche oggi. Per il 1993 voleva dire che al cinema aveva floppato come pochi altri prima di lui. Mi sa che la passione italiana per i weekend necrofili era già scemata. In italiano non è mai uscito in DVD o Blu-Ray. La Manzotti Home Video evidentemente non ha mai fatto il grande salto al digitale.

    Nonostante vari tentativi di produrre un Weekend at Bernie’s III, il 2 sarà l’ultimo weekend con il morto, ma non per gli italiani.

    In Porsche con il morto (Dream Machine, prima TV italiana luglio 1994)

    In porche con il morto, locandina vhs italiana a confronto con la locandina americana

    Uno di quei film sciagurati che hanno come protagonista lo sfortunato Corey Haim, che dopo alcuni riuscitissimi titoli di fine anni ’80 (Ragazzi perduti, Licenza di guida) è finito per ritrovarsi nel decennio successivo in una cornucopia di filmacci dimenticati dalla storia. Dream Machine è uno di questi. Inutile dire che siamo l’unico paese ad averlo associato a “Weekend con il morto” perché nel film, sì, c’è un cadavere (nel bagagliaio dell’auto). Come abbiamo visto dal weekend “senza” il morto, per i distributori italiani bastava anche meno.

    La VHS di In Porsche con il morto è datata 1994, stesso anno dei passaggi televisivi (PRIMA TV Italia1 mercoledì 20 luglio 1994 alle 20:30 per il ciclo “mercoledì si ride”. Fonte Radiocorriere n°29 del 1994). Nel 2004 è stato pubblicato anche in DVD per la Mari Distribuzione, questa edizione adesso è un costosissimo fuori catalogo.

    La settimana dopo ne arrivava un altro, sempre in TV! Quando si dice un periodo morto.

    Vacanza con il morto (Lena’s Holiday. Prima TV italiana luglio 1994)

    Locandina americana di Vacanza con il morto

    Una donna viene coinvolta in una valigia di contrabbando quando il suo bagaglio viene scambiato accidentalmente con una valigia identica…

    Date le scarse informazioni presenti online (lo riporta solo FilmTV) suppongo che questo film sia passato pochissime volte in televisione e non abbia mai neanche visto una misera uscita in VHS. Il figlio di Jack Lemmon non attirava abbastanza attenzione evidentemente.

    Radiocorriere n°30 del 1994

    La prima TV italiana è del luglio 1994 su Raidue alle 20:40 (ma vi ricordate quando la prima serata iniziava a quell’ora???), probabilmente OFFUSCATO (oggi diremmo ASFALTATO) da Giochi senza frontiere (ma vi ricordate quando guardavamo GSF???) che iniziava a quello stesso orario su Raiuno. [Fonte Radiocorriere. Grazie Federico per la dritta].

    Una calda estate per i “finti morti”, quel luglio 1994.

    Morti bonus

    Vediamoci stasera… porta il morto (Mystery Date, 1991/1992)

    Locandina del film Vediamoci stasera porta il morto

    Mi è stato suggerito dall’utente gigiofrappola su Twitter e lo voglio mettere tra i morti “bonus” perché, per quanto questo titolo non abbia la formula tipica vista negli altri casi, quella che include un “weekend” o “con il morto”, certamente fa sorgere qualche sospetto quando vediamo quel “morto” in un titolo italiano molto diverso dall’originale (Mystery Date) e che viene presentato al tavolo della censura nel dicembre 1991, ovvero proprio durante l’ondata di finti “weekend con il morto”. Diciamo che Vediamoci stasera… porta il morto è un po’ sospetto. Il mistero si infittisce andando a vedere gli archivi dei visti censura, perché è stato presentato ben due volte (il 30 dicembre 1991 e poi il 6 febbraio 1992) ed è registrato solo con il suo titolo originale “Mystery Date”, senza un titolo italiano dunque. Mi viene da pensare che l’idea del titolo con morto sia arrivata successivamente al visto censura. Il film arriverà anche in VHS.

    Un caso molto curioso invece ci viene dall’archivio dei visti censura ed è il seguente

    Assassino senza colpa (Rampage, visto censura 1991)

    visto censura di Assassino senza colpaSebbene penso che si tratti semplicemente di un errore di inserimento, non posso non elencare anche questo caso. Il catalogo di Italiataglia.it (il sito che raccoglie tutti i visti censura, che, ricordo, vengono inseriti “a mano”) elenca il film Rampage di William Friedkin con il titolo Assassino senza colpa (con cui è uscito al cinema e in VHS) ma anche con il titolo alternativi di Weekend con il morto 2 (“WEEKEND CON IL MORTO 2, ORA ASSASSINO SENZA COLPA”) due anni prima del seguito ufficiale (visto censura è del 19 dicembre 1991). Rampage è stato distribuito in Italia dal solito conglomerato CecchiGori-Fininvest esistito come Penta o Cecchi Gori Group – Fin.Ma.Vi, e le alternative per spiegare questo caso curioso sono due:

    1) Volevano effettivamente proporlo come Weekend con il morto 2 nonostante non si tratti assolutamente di una commedia, anzi, ha ottenuto un VM14!

    2) Chi si occupa dell’inserimento dei dati su Italiataglia ha commesso un errore, lasciando parte delle informazioni di una scheda compilata immediatamente prima (non sarebbe la prima volta che noto qualcosa del genere). Questa la ritengo l’opzione più probabile, anche vista la presenza di un altro refuso, cioè una modifica datata “9 aprile 1912”.

    Di certo è degno di nota e ringrazio Francesco Finarolli per averlo portato alla mia attenzione insieme a questo episodio di Perry Mason (del ’94) intitolato Serata con il morto (in originale The Case of the Lethal Lifestyle). Ma visto il genere “giallo” non lo si può certo incolpare di voler ingannare gli spettatori con questo morto nel titolo.

    Perry Mason serata con il morto


    Con la metà degli anni ’90 sembrano sparire i derivati di Weekend con il morto, la necrofilia non tirava più evidentemente, fatta eccezione per un tardivo omaggio nel 2017.

    Crazy Night – Festa col morto (Rough Night, Warner Bros. 2017)

    Crazy night notte col morto locandina italiana e americana a confronto

    Descritto come “Una notte da leoni al femminile”

    Il titolo originale (Rough Night) ovviamente non è un rimando a Weekend at Bernie’s, ma in Italia continua a essere viva la tradizione di dare ai film, specialmente le commedie, un titolo che ammicca a precedenti stranoti. Del resto è successo anche nel 2019 con Knives Out distribuito in Italia dalla Leone Film Group con il titolo Cena con delitto – Knives Out, chiaramente ispirato a “Invito a cena con delitto”.

    C’è da dire che in America l’uso di “NIGHT” è diventato caratteristico di commedie che si svolgono nel corso di una notte di follie: Rough Night (2017), Game Night (2018) — entrambi della Warner —, Date Night (2010), Amateur Night (2016). Inoltre lo slogan americano ammicca direttamente a Una notte da leoni (The Hangover) quando dice che “la sbornia” (the hangover) sarà l’ultimo dei loro problemi.

    L’uso di “night” nel titolo fa leva sullo stesso meccanismo di immediata riconoscibilità di genere/tipo di film che in Italia ha portato a titoli “col morto” o “con delitto”. Non lo facciamo soltanto noi insomma, ma i nostri casi sono sempre i più pittoreschi. Per intenderci, nessuno in America ha ancora prodotto un “Weekend without Bernie” (weekend senza Bernie).

    Anche per oggi, dal mondo dei titoli italioti è tutto. E come vedete, il sottoscritto, Evit, non è morto. Orsù, ora torniamo a goderci l’estate, che la vita è breve. Ciao gente!