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Per fortuna non sono il solo ad infastidirsi…

Chi mi legge spesso avrà notato come ogni tanto mi scagli contro l’uso a sproposito di parole anglosassoni in campo giornalistico, un fenomeno crescente sia in TV sia sui giornali e che personalmente e vivamente detesto.
Mi sono inbattuto in un articolo di Patrizio Nissirio (corrispondente da Londra per l’agenzia ANSA, esperto di cultura popolare e di massa degli Stati Uniti) sul portale Treccani.it che ha saputo mettere in parole tutta la frustrazione che provo ogni volta che in TV sento parlare di “rumori” (rumors), di Ministero del Welfare, utility car… etc!

Vi invito dunque a leggere questo articolo intitolato “Giornalisti, ‘falsi amici’” (clicca sul titolo per aprire il collegamento) di cui qui riporto soltanto alcune citazioni che mi sono piaciute particolarmente:

In una sottomissione culturale non richiesta, alimentata dalla falsa percezione di partecipare così ad un qualche “giro” internazionale, l’italiano viene stravolto con una pioggia di parole inglesi o calchi dell’inglese. Con un risultato: quello di ledere una lingua e promuovere una conoscenza presunta e spesso immaginaria dell’altra, il tutto arrecando grave danno alla chiarezza del discorso.
Nel giornalismo italiano, in particolare televisivo, l’uso inappropriato, scorretto ed esagerato di parole in inglese si inserisce in un impoverimento generalizzato e in una banalizzazione della lingua utilizzata. Se si ha occasione, si confronti la cifra linguistica di un programma giornalistico o di intrattenimento odierno con quella di programmi degli anni Sessanta o Settanta. Quella televisione era fatta in larga misura da intellettuali attivi nel giornalismo (Andrea Barbato, Sergio Zavoli, per fare due esempi illustri), da comici dalla proprietà di linguaggio straordinaria (Walter Chiari). Quella di oggi ha in larga misura come protagonisti personaggi formatisi nel mondo televisivo, e quindi portatori di una lingua molto più elementare, piatta, ed omogeneizzata.
“Senza dimenticare le colpe gravissime del doppiaggio di film e telefilm americani, spesso con traduzioni sbagliate e approssimative, che hanno fatto sì che in decine di telefilm i protagonisti mangiassero la pizza con i peperoni, che non esiste: esiste invece la pepperoni pizza, dove pepperoni è un salame piccante simile alla soppressata calabrese, di origine italoamericana.”

“Qualcuno, nel para-inglese giornalistico, è un fans (plurale!) di questo o quell’artista, mentre una certa scoperta scientifica viene definita eccitante, con un calco sbagliato su exciting (‘entusiasmante’), e una linea telefonica riservata diventa dedicata, quando il traduttore all’impronta ricalca fedelmente e acriticamente la parola dedicated. Dilaga, intanto, l’uso di bipartisan, che fatalmente viene pronunciato com’è scritto, invece che nel modo corretto “baipartisan”.”

“«Non si tratta quindi – prosegue Scarpa – di una difesa ad oltranza dell’italiano, che sconfina in un nazionalismo linguistico di stampo francese ma, per dirla con Cortelazzo […], di “un giustificato fastidio per l’inerzia e l’incuria con cui molti, anche tra coloro che scrivono per professione, usano la lingua e di un rifiuto di quell’eccessiva spinta all’esterofilia che ha coniato (molti) anglicismi adattati”».
In Palombella rossa (1989) Nanni Moretti aggrediva la giornalista che gli parlava di trend negativo, tuonando: «Trend negativo? Ma come parli? Chi parla male pensa male. Le parole sono importanti».
Difficile non condividere anche questa riflessione.

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