Il testo che segue è la copia di una mia recensione sul film Monolith, pubblicata il 16 dicembre 2019 sul sito web di riferimento per il cinema di serie Z, Il Zinefilo di Lucius Etruscus. È lì che ogni tanto mi diverto a recensire “film brutti”, niente a che vedere con doppiaggi e adattamenti.
Il trailer di Alien ci ha insegnato che nessuno può sentirti urlare nello spazio. Monolith, il film in cui un’automobile super tecnologica diventa trappola per una madre e suo figlio, ci insegna che nessuno può sentirti urlare se sei disperso nello Utah e per giunta sei pure scemo. Oh, la tecnologia aiuta solo fino a un certo punto.
Ispirarsi a 2001: odissea nello spazio
per poi fare Troll 2
L’automobile del titolo (un banale e sgraziato Ford Interceptor, SUV utilizzato dalle forze dell’ordine americane ma dipinto di nero opaco e senza alcuna personalità) è, sostiene lo sceneggiatore Recchioni, addirittura un riferimento al monolito di 2001: Odissea nello spazio, da qui il nome dell’auto: Monolith. Come disse Stanley Kubrick: e me cojoni!
Inoltre Lucius sarà contento di sapere che nel design dell’auto ci sono finiti pure i cerchi delle ruote che si ispirano al blindato di Aliens – Scontro finale. Qualcuno ne accosta alcune caratteristiche addirittura a Duel (ma ’ndo?). Potremmo anche dire che il fatto stesso che questo film esista è un omaggio ai fratelli Lumière.
Vere, plausibili o presunte che siano, sono comunque fonti di ispirazioni altissime per un film su una cretina che resta chiusa fuori dalla sua auto.
Tanti gli articoli italiani che elogiano i panorami dello Utah (e in questo io ci vedo più connessioni con Troll 2 che con 2001 ma lasciamo perdere) ma in alcuni di questi si percepisce la delusione per il film, Sentieriselvaggi dà la colpa addirittura all’attrice, rea di non aver elevato con la sua sola recitazione una trama vuota e ridicola; in secondo luogo danno anche colpa “alle tecniche di ripresa”.
Ma la tensione vive di strappi improvvisi e non mantiene una costante capace di catturare fino in fondo lo spettatore. E questo è da imputare anche alla recitazione non sempre efficace della Bowden. L’attrice americana ce la mette tutta nel districarsi tra crisi isteriche di pianto, ruzzoloni lungo dirupi rocciosi, bestie fameliche e percosse alla carrozzeria con ogni tipo di strumento che le capiti sotto mano, ma non riesce a sostenere del tutto il ruolo con adeguati approfondimento psicologico e intensità espressiva. Inoltre, le tecniche di ripresa non centrano sempre l’obiettivo di imprimere il giusto dinamismo e la dovuta accelerazione ad una situazione di base statica come quella di un’automobile ferma in un desolato scenario naturale.
La trama
La trama più telefonata della storia del cinema inizia con un viaggio in macchina di una madre con suo figlio di pochi anni, ed inizia proprio con delle conversazioni telefoniche. Qualche telefonata ed è chiaro a tutti che il marito la tradisce, che la sua carriera da cantante è stata accantonata con rimpianto in favore della maternità. Le poche interazioni con altri personaggi rendono il film quasi vuoto (la scusa è che è girato nello Utah), quindi notare certi cliché risulta ancora più facile perché nel film non c’è letteralmente nient’altro che ti possa distrarre. Quando lei si fissa (senza alcun motivo) a guardare un cartone simile a quelli di Willy E. Coyote e in cui una cassaforte viene gettata giù da un dirupo per poterla aprire, sai già che è così che finirà il film. Le produzioni italiane si riconoscono subito da queste banalità narrative anche quando assumono attori americani e vanno a girare nello Utah (ci sono rimasti solo gli italiani a girare in Utah).
Molte telefonate dopo (e ormai arrivata quasi a destinazione), la nostra madre protagonista ha un tardivo sospetto sulla fedeltà del marito che la video-chiama da una stanza d’albergo apparentemente identica alla stanza d’albergo da cui l’aveva video-chiamata anche la sua migliore amica. Decide quindi di mandare a fanculo la visita ai suoceri e di tornare indietro per cogliere il marito sul fatto, ma si sta facendo notte e l’autostrada sembra avere dei rallentamenti, così decide di affidarsi al navigatore della super-auto che le suggerisce di imboccare una mulattiera nel bel mezzo del deserto dello Utah per risparmiare 5 minuti sul tragitto. A Firenze si dice che l’ha fatto i’ guadagno d’i Lica.
L’auto che guida, precisiamolo a questo punto, ha un assistente vocale ed è blindata all’inverosimile, evidentemente in attesa di una apocalisse alla Mad Max, e i sistemi di sicurezza dell’auto sono controllati anche in remoto attraverso una app per cellulare. È buio pesto, il bambino gioca con il cellulare della madre, lei intanto investe un animale selvatico ed esce dall’auto. Cosa potrà mai accadere adesso? Quello che immaginate. Il bambino attiva la funzione che chiamerò “Panic Room”, chiudendo fuori la madre e blindando completamente l’auto.
Rimanendo sui detti fiorentini, la macchina super-tecnologica data in mano a questa qui è come mette’ la gravatta al maiale.
Lei passa la notte all’addiaccio ma appena sopraggiunge il sole del mattino, scatta una corsa contro il tempo. Al bambino potrebbe pigliargli una botta di calore!
In realtà la Monolith è più intelligente della madre e farà scattare l’aria condizionata in automatico, ma questo lei non lo sa, quindi comincia a girovagare per il deserto in cerca di aiuto. Incrocia un rivo, beve, parla costantemente con se stessa dicendo cose le cose più inutili mai sentite oppure sottolineando cose già chiarissime allo spettatore. Mi ricorda mia madre che durante i viaggi in auto leggeva ad alta voce i cartelli autostradali e le insegne dalla noia.
Finalmente trova l’indicazione per un aeroporto ma è abbandonato da tempo. Un Boeing è lì che prende polvere, sventrato di qualsiasi apparecchiatura elettronica. Non una radio in vista, niente di apparentemente utile. Che sfiga essere stupidi — sta pensando la protagonista — quando all’improvviso le viene un colpo di genio.
Inizia una ricerca spasmodica di qualcosa a noi ignoto.
Ha detto solo cose inutili fino a questo momento, ora che vorremmo sapere che cosa cavolo sta cercando è diventata una tomba. È nel suo più totale silenzio che inizia la sequenza di scelte più imperscrutabili della stessa Provvidenza e che avvengono in quest’ordine:
- trova delle bottigliette d’alcool (si sono arrubbati pure i fili di rame di questo aereo abbandonato ma le bottigliette d’alcool l’hanno lasciate, ladri astemi)
- se ne beve una e se ne intasca altre (bere alcolici nel deserto, scelta furba)
- trova una boccia d’acqua vuota da 10 litri
- se la guarda
- si va a sedere su una poltrona dei passeggeri
- contempla i resti di un vecchio falò che nota dall’oblò dell’aeroplano
- guarda le bottigliette di alcolici che ha in mano
Mmmh… mumble mumble, che cosa ci potrà mai fare? Se fossero gli anni ’90 avrebbero potuto fare subito Monolith il punta&clicca.
Nella scena successiva la vediamo allontanarsi dall’aeroporto mentre alle sue spalle in lontananza si alza del fumo nero di copertoni bruciati a cui lei ha dato fuoco per, immagino, lanciare un segnale d’aiuto (?). La aiuta il fatto che tre soli copertoni in fiamme producano una quantità di fumo equivalente a quella di un pozzo petrolifero dato alle fiamme nella Guerra del Golfo. Purtroppo questo piccolo gesto ha solo immesso diossina nell’ambiente senza portarle alcun beneficio, del pozzo petrolifero in fiamme infatti non se ne parlerà più, né verrà notato da nessuno.
Ritorna al fiume con quel polverosissmo boccione trovato sull’aereo e prova direttamente a riempirlo con l’acqua del ruscello (ma sciacqualo prima, no?). Pensereste a questo punto che lo vorrà usare per non morire di sete nel deserto e invece il film ha molte sorprese in serbo per voi. Essendo il rivo d’acqua troppo poco profondo, inizia a riempire il boccione da 70 litri con quello che nella mia memoria è un cucchiaino da caffè, ottenendo così qualche decilitro di acqua che da fresca di fiume è diventata lercia marcia visto che non aveva sciacquato il boccione neanche per sbaglio.
Poco importa, scopriremo presto che l’acqua non serve per la sopravvivenza. Ritornata all’automobile, infatti, ne versa il contenuto sul tettuccio. Questo nella mente a fumetti della protagonista dovrebbe abbassare la temperatura interna dell’auto che intanto aveva raggiunto i 42 gradi centigradi. Ehi, a proposito, strano ambientarlo in America e dare la temperatura in gradi centigradi, sembra quasi un film italiano che cerca di spacciarsi da film americano.
Comunque, tanta fatica e tanto mistero per poi versare dell’acqua sporca sul tetto di una macchina in mezzo al deserto. Sono certo che questo avrà inciso in maniera importante sulla temperatura nell’abitacolo.
Notando che il suo versamento d’acqua non ha avuto effetto tranne quello di rinfrescare la carrozzeria per 20 secondi, la protagonista ne pensa un’altra delle sue. Si ricorda che qualche ora prima il computer dell’automobile aveva aperto i finestrini in automatico quando il fumo della sua sigaretta aveva fatto scattare l’allarme anti-incendio (sì, fumava con il bambino piccolo in macchina, non mi fate dire altro). Decide dunque di appiccare un falò davanti all’automobile per ricreare le stesse condizioni. La macchina, essendo più intelligente di lei, blocca la ventola di aerazione che immette aria dall’esterno per evitare che fumi tossici entrino nell’abitacolo, così adesso la macchina con il bambino dentro non solo è a 42 gradi ma non ricambia nemmeno ossigeno con l’esterno. Qualcuno le tolga la patente di vita.
Frustrata e arrabbiata con la macchina, ma in realtà con se stessa (e a buon ragione), prende la chiave inglese in acciaio che aveva recuperato nell’aeroporto abbandonato e comincia a colpire la macchina blindata con grande dispendio di energie e soprattutto sui punti più forti, cominciando dai bordi del cofano, per poi passare alle strutture portanti, colpendo sempre in punti diversi. Ai vetri invece non dà più di due colpi in totale… si sa, il vetro (per quanto blindato) tipicamente è la parte più resistente di qualsiasi veicolo. Più scema che disperata, molla la chiave inglese da 25 kg e comincia a prendere a spallate l’auto, per poi crollare a terra quasi subito.
A interrompere questi tentativi imbarazzanti arriva un randagio affamato che la costringe a nascondersi sotto l’automobile e le ruba la chiave inglese da 72 kg, ma per fortuna della donna il cane trova presto l’alce muschiata che era rimasta incastrata sotto al cofano dell’auto e si dedica a quel pasto.
La signora E. Coyote a questo punto scopre che l’automobile era tenuta ferma solo da un sassolino appoggiato ad una ruota da carro blindato di Aliens! Essendo in folle e su terreno leggermente scosceso, basterebbe togliere il sassolino da sotto la ruota per far sì che l’auto si avvii verso un dirupo con il bambino all’interno.
Come qualsiasi mamma del mondo farebbe, la nostra signora ACME getta (mi vergogno anche a scriverlo) l’auto nel burrone con il bambino dentro. E perché non dovrebbe farlo? Dopotutto nel cartone animato aveva funzionato per aprire una cassaforte! Siccome il film è un cartone animato che non fa ridere, questa risoluzione… funziona davvero! L’auto è così intelligente che si bilancia durante la caduta, riempie i pneumatici di liquido in modo da attutire una caduta di 20 piani e la ritroviamo beffarda ai piedi del precipizio, come se nulla fosse successo. Anzi, è anche più pulita di prima e il bambino all’interno, invece di essere gelatina, sta benissimo. Le particolari condizioni della caduta hanno portato l’auto a sbloccare i portelli che adesso si aprono con un tocco. Folle corsa all’ospedale, il bambino è salvo, lo spettatore no.
Scoregge italiane ma “all’americana”
I creatori di questo film sono riusciti a fallire anche nella più classica delle narrative di fantascienza: il tipico “che paura queste nuove tecnologie” con la macchina “intelligente” che potrebbe diventare una trappola mortale. Difatti la tecnologia incorporata nell’auto sembrava essere effettivamente intelligente, quello che terrorizza invece è una madre che pensa sia una buona idea spingere un’automobile giù da una scarpata con il figlio dentro… per la remota possibilità che questo porti all’apertura dell’automobile. Che paura, la stupidità.
Al momento questo film troneggia con un bel 4,7 / 10 su IMDb.com, da non confondere con un altro Monolith che sta anche lui sui 4,5 / 10, quello del 1993 con Bill Paxton. Dev’essere il titolo che porta sfiga.
In Italia ne hanno parlato quasi tutti benissimo, ovviamente. Chi è stipendiato per scrivere articoli difficilmente darà meno di 7, pur con qualche riserva. All’agenzia ANSA poi lavorano dei veri comici che scrivono:
Thriller, fantascienza, dramma e humour nero si fondono nella storia di Monolith.
Non è né thriller, né fantascienza e lo humour nero non è intenzionale quindi non vale. La qualità è televisiva, al massimo. Di quelli che passano alle 3 di notte.
Il titolo dell’articolo che ho citato è: Monolith, una mamma contro un suv infernale, dire che si tratti di un titolo acchiappaclick è dir poco. Il SUV è assolutamente innocente di tutte le accuse.
Ciliegina sulla torta, il tema musicale “Runaway” di tale Diego Buongiorno che compare verso la fine del film fa palesemente il verso a quello di Sarah Connor nel film “Terminator” (The Terminator, 1984). Diego, ha telefonato Brad Fiedel, dice che rivuole la sua musica. E gli spettatori i loro soldi. No, quello no, siamo in Italia e qualsiasi scoreggia girata “all’americana” è da elogiare e promuovere altrimenti si è automaticamente accusati di essere dei fan dei cinepanettoni. Se considerate la comicità di Boldi e De Sica stupida, cosa dire di una madre che getta volutamente un’automobile giù da un dirupo con il figlio dentro? Boldi che partecipa ad una gara di sci a cavallo di una tazza del cesso è di gran lunga più dignitoso.
https://www.youtube.com/watch?v=ksFpbM1Xsjs?start=60
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