Evit:
Edoardo, noi due siamo quasi coetanei e ci siamo conosciuti grazie ad un film che entrambi amiamo, Guerre Stellari. La mia prima domanda è questa: i film anni ’70 e ’80 con i quali siamo cresciuti (Guerre Stellari, Ghostbusters, Indiana Jones… etc) con le loro splendide versioni italiane ti hanno influenzato verso la scelta di diventare doppiatore?
Edoardo:
Sono molto contento dei titoli che hai citato. Di uno in particolare: “Ghostbusters”. È il mio film preferito di sempre, e la tua domanda è dannatamente pertinente, perché sì, posso dire di essermi innamorato della figura del “Doppiatore” (la “D” maiuscola non è casuale, visti i Doppiatori di quel film) innamorandomi delle voci di “Ghostbusters”. Vedevo e rivedevo il film, a tutt’oggi lo so a memoria battuta per battuta, e ripetendomi le battute così come le avevo imparate, poco a poco le ho “consolidate” nella mia testa come le dicevano i grandi Oreste Rizzini, Sergio di Giulio, Mario Cordova & Co! Erano davvero, come dici tu, “splendide”, quelle versioni italiane. Così come i film di quegli anni, avevano la freschezza e la verità di una conversazione origliata per caso tra qualche amico, celando un lavoro certosino, di grande attenzione nella ricerca dei personaggi e nella loro resa in una lingua diversa, oltre che di grande divertimento, nel quale poco o nulla era lasciato al caso. Ecco, erano pellicole capaci di far sognare, con doppiaggi capaci di far sognare a loro volta. E io sognavo la strana magia di poter dare la voce ai miei eroi preferiti. Mai avrei pensato, all’epoca, di poter un giorno vivere di questo!
Quando incontri qualche doppiatore dei tuoi film preferiti, come ad esempio Ghostbusters, gli chiedi mai una imitazione come farebbe un qualsiasi fan?
Ahahahahahahah! La tentazione è forte, ma mi contengo. A volte con un po’ di fatica!
Come sei entrato nel mondo del doppiaggio?
Io sono di Viterbo. Ho frequentato una scuola di teatro per bambini nella quale (e grazie alla quale) sono cresciuto. Quella scuola, negli anni, è diventata una compagnia, la “Teatro di Carta”, e sotto la guida della grande Elda Martinelli e delle persone che insieme a lei ci hanno formato, mi ha fatto innamorare (ammalare?) della recitazione. Purtroppo, ero stato da più parti scoraggiato dal tentare la strada del doppiaggio, e così, illuso che la mia avventura recitativa si fosse conclusa con le scuole superiori, dopo il liceo mi sono iscritto a giurisprudenza a Roma 3. E qui ci mise mano mamma: trovò l’inserzione di un’accademia di recitazione e doppiaggio gestita da Pino e Claudio Insegno, con maestri del calibro di Adalberto Maria Merli, Massimo Giuliani, Roberto Pedicini e Gianni Diotajuti. Feci il provino d’ammissione, lo superai, e proprio grazie a Massimo Giuliani iniziai a fare i miei primi turni, capendo che non avrei mai potuto fare altro nella vita (con buona pace del mondo del diritto, che di sicuro si gioverà grandemente della mia assenza!)
Per essere “nuovo” del mestiere, nel tuo curriculum compaiono tanti film e serie tv del genere fantasy (Lo Hobbit, dove interpreti uno dei nani, Il Trono di Spade, dove doppi(avi) il personaggio di Robb Stark e C’era una volta, che… non ho mai visto), è una coincidenza o sei un appassionato del filone fantasy e partecipi attivamente a tutti i provini di questo genere?
Appassionato? Sono un orgogliosissimo nerd! Purtroppo la partecipazione ai provini non dipende da me: se il provino è richiesto dalla committenza e se il direttore di doppiaggio ti vede come scelta plausibile per un ruolo, allora ti chiama. E a quel punto sta a te vincere o perdere. Ma posso dirti che quando mi è capitato di partecipare a provini o a lavorazioni come “Il Trono di Spade” e “Lo Hobbit”, ci ho messo veramente l’anima: sono storie e personaggi che mi emozionano sempre, e se non ci si emoziona, il nostro lavoro non viene bene.
Il film/personaggio che ti è piaciuto maggiormente doppiare?
Mmmmh… questa è difficile, perché quando sei lì e entri nelle storie che i personaggi ti raccontano, finisce che ti innamori un po’ di tutti. Di sicuro, i due che mi hanno dato di più, almeno di recente, sono Cesare Borgia nella serie “I Borgia” andata in onda su Sky, e Robb Stark ne “Il Trono di Spade”. Adoro la Storia, specialmente quella rinascimentale, e sono un fan sfegatato delle “Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” fin da quando la serie HBO non era neanche in programma: doppiare questi due eroi così diversi tra loro mi ha divertito ed emozionato. E poi sono anche due attori molto bravi!
Sei invitato spesso ad eventi come Lucca Comics e simili dove ti intervistano e dove reciti parti di copioni di film famosi in cui tu hai prestato la voce… quale “prodotto” ti ha portato più fama ed attenzione in questi circuiti?
Sicuramente “Il Trono di Spade”, ma anche “Lo Hobbit” mi ha reso abbastanza riconoscibile.
Hai avuto modo di incontrare qualcuno degli attori da te doppiati?
Una sola volta, e proprio per uno dei miei ruoli preferiti: sono stato sul set italiano de “I Borgia” e ho conosciuto Mark Ryder, l’attore che interpreta Cesare e al quale presto la voce in italiano. È stato molto divertente. Mi hanno anche inserito negli extra del dvd della seconda stagione: un grande onore, per me!
Ho letto che hai partecipato al doppiaggio di un film che io ho criticato aspramente nel suo adattamento. Cosa ne pensi delle mie critiche all’adattamento di Pacific Rim?
Ahahahah! Sì, avevo letto l’articolo con molto interesse. Scusa se inizio la risposta con la risata, ma ricordo che in chiusura c’era una foto del “Marshal John Rock” che mi aveva fatto morire dalle risate!…
(Sono sempre felice di riuscire a far ridere qualcuno.)
…Trovo le tue critiche assolutamente fondate. C’erano effettivamente dei passaggi del film in cui sembrava di ascoltare quelle conversazioni tra giovani industriali in carriera tipo “Spizzichiamo un po’ di finger-food per un brunch nel mio open space dopo il briefing col boss“… Non so come siano andate le cose nello specifico di questo film, ma conosco la prassi: quando si parla di termini specifici o di nomi (e credimi, fatico a inserire “Maresciallo” in entrambe le categorie), la nomenclatura per l’edizione italiana può essere decisa in due modi: se c’è un materiale letterario di riferimento, ci si rifà a quello; altrimenti viene decisa dalla committenza con (non sempre) un piccolo margine di trattativa per il direttore/adattatore. Conosco bene Fabrizio e mi è capitato spesso di lavorare su suoi adattamenti: essendo persona di notevole cultura e conoscendo molto bene l’italiano, è ben lontano da qualsiasi vezzo anglofono, te l’assicuro. Quindi ho pochi dubbi su cosa possa essere successo in fase di “pre-doppiaggio”.
Dicci, dicci! Dietro le quinte, chi spinge per adattamenti sempre più “inglesizzati” e perché ci riesce?
Sono spinte che arrivano sempre da oltreoceano, dal cliente (Warner, Paramount, Fox, Sony, Miramax e simili). I clienti affidano la supervisione dei doppiaggi ad un capo edizione, e capita che questo capo edizione sia anglofono, o che comunque abbia lavorato a lungo all’estero. Di solito sono loro a premere, perché definiscono “aderenza all’originale” dire il più precisamente possibile quello che viene detto nell’edizione in inglese. E spesso non è facile spiegare che “come l’inferno” è un termine di paragone che da noi non si usa. O che “Marshal” farà tanto fico, ma che da noi si dice maresciallo.
Prima di registrare, avete modo e tempo (voi doppiatori) di provare le battute e in generale di studiare il personaggio?
Magari! A me personalmente non è mai capitato. So che alcuni colleghi, per lavorazioni importanti, riescono ad ottenere il notevole privilegio, ma soprattutto adesso che va di moda far uscire i film in contemporanea, i materiali video per la lavorazione arrivano in versione non definitiva, con continue modifiche di settimana in settimana, criptati, in bianco e nero, a bassa risoluzione, pieni di scritte e bande rosse che ostacolano l’immagine. O addirittura, come fu per “transformers”, a schermo nero con un cerchietto che si apre in corrispondenza della faccia del personaggio SOLO per il tempo della battuta. O più semplicemente, i tempi sono talmente stretti che non c’è tempo per vedere il film prima dell’inizio della lavorazione. Sta al direttore del doppiaggio parlare del personaggio, spiegare le sue motivazioni, il suo carattere e la sua storia.
Quindi ha ragione uno dei miei lettori che, a scherzo, si domandava se, come avviene per i videogiochi, anche nel caso dei film i doppiatori forse non vedono nemmeno cosa doppiano! Tra “supervisors” ignoranti e doppiaggi “al buio” questo lavoro mi sembra sempre meno un sogno e sempre più un incubo, specialmente per i direttori di doppiaggio. Ma quando è cominciato ad essere così il lavoro del doppiatore e, sopratutto, è così per tutti i film oppure solo per le produzioni più “grandi”? Anche i film minori hanno supervisors in sala di doppiaggio e schermi neri con cerchietti sulle bocche?
In genere sono solo i blockbuster più attesi ad avere un controllo così serrato. Purtroppo, per questi film, la battuta del tuo lettore non si è allontanata troppo dalla verità. L’influenza sempre maggiore dei cosiddetti ” supervisors” è iniziata molto prima che io mi affacciassi al lavoro di doppiatore, quindi me la sono trovata come realtà già consolidata. So come si lavorava prima dai racconti dei miei colleghi più grandi: mi parlano di un ambiente molto più selettivo, molto più rigoroso… In sala si entrava in punta di piedi, in giacca e cravatta, e ci si dava del lei. E le scelte erano TUTTE del direttore di doppiaggio, vero e proprio regista dell’edizione italiana.
Cosa ne pensano i doppiatori professionisti dei ridoppiaggi di vecchi e nuovi classici? E cosa ne pensi tu nello specifico?
Penso che siano un’operazione puramente economica: alle major costa meno ridoppiare tutto il film che rinnovare lo sfruttamento dei diritti sulle vecchie voci. Detto ciò, personalmente li trovo un’operazione priva di senso. Parliamo di film che furono doppiati con tecnologie e soprattutto con TEMPI impensabili, oggi e PERFETTI per quel tipo di prodotto. E quando dico “impensabili”, intendo anche “irripetibili”. Penso a un eventuale ridoppiaggio… che so… de “L’attimo fuggente”. So da colleghi che presero parte a quella lavorazione che spesso si doppiavano due, tre anelli a turno. Oggi abbiamo piani di lavorazione con trenta, quaranta anelli. E non è solo questo: c’erano una magia, una recitazione, una grana sonora, che creavano un’amalgama secondo me irriproducibile, oggi. E credo che questa sia anche l’opinione generalmente condivisa dai colleghi.
Ti rigiro una domanda, pari pari come l’ho fatta a Luca Dal Fabbro: non vi secca (a voi doppiatori) lavorare alle volte su film di ultima scelta con attori che recitano da cani e che sapete essere destinati ad ore antelucane su canali regionali? A volte si vedono certi film scadenti e giustamente sconosciuti e viene da pensare “poveri doppiatori, impegnati in tale porcheria mentre ci sono capolavori che tutt’oggi non sono stati ancora doppiati”.
Come ti dicevo, di solito ho la fortuna di appassionarmi a quasi tutto quello che doppio. E sottolineo “quasi”. È vero: quando ti trovi a dover doppiare un cagnone esasperante che vomita battute insulse in un film brutto ma brutto brutto brutto, ti prende un po’ male e il turno rischia di non passarti più. L’unica soluzione è ricordarsi che, comunque, anche quello è lavoro e che, in quanto tale, va portato a termine con la massima serietà e il massimo impegno possibile. Spesso ci sentiamo dire dal direttore “Guarda, lo so che lui con quella faccia non ti aiuta, ma nei limiti del possibile, cerca di farla un po’ meglio”. A quel punto diventa quasi un esercizio di recitazione. Poi ci sono casi in cui il film è veramente così brutto che l’unico escamotage per uscirne sani di mente è riderne tutti insieme tra un anello e l’altro. E ne escono turni davvero divertenti. Quindi in un modo o nell’altro, “la sfanghiamo”. La cosa diventa paradossale quando, come dici tu, ti trovi a doppiare ‘ste cose improbabili e magari la sera prima, in un cinemino d’essay ricavato in un sottoscala o su un dvd che hai fatto arrivare tra mille peripezie dalla Nuova Zelanda, ti trovi a vedere dei film pazzeschi che nel resto del mondo sono cult da anni e che qui da noi, probabilmente, non arriveranno mai. Questa, purtroppo, è una realtà contro la quale battersi è più impossibile che difficile.
Hai un aneddoto divertente o curioso riguardante il tuo lavoro da condividere con i miei lettori?
Mah, di cose curiose ne capitano quasi ogni giorno ( da cui la famosa espressione tanto usata nel nostro mestiere: “Se nun so’ matti nun ce li volémo”). La cosa che mi diverte sempre molto, e che non capita solo a me, è la richiesta che viene fatta il 90% delle volte quando, alla domanda “Che lavoro fai?”, rispondi “Il doppiatore”. Sorrisone ammiccante, risatina, e poi “No! Troppo fico! Me fai ‘na voce?”
Infine, una domanda che pongo a tutti i miei intervistati… cosa ne pensi di questo mio blog Doppiaggi Italioti? Hai avuto modo di esplorarlo un po’ per avere un’idea delle sue intenzioni?
L’ho spulciato ed esplorato. Risposta da intervistato piacione: “Bèh, mi piace molto”. Risposta sincera di Edoardo: Bèh, mi piace molto! Ma davvero, giuro! Gli argomenti che tratti sono tutti meravigliosamente sulla mia lunghezza d’onda, e per quanto riguarda più strettamente il tema “doppiaggio”, voglio spendere qualche parola più specifica sul modo che hai scelto per parlarne. Il doppiaggio è semplicemente uno strumento di mediazione culturale. Come ogni strumento, si può scegliere di non avvalersene (possibilità mai così facile come negli ultimi anni e mai così ignorata dai detrattori più feroci del mio lavoro). Ecco… Il doppiaggio è un compromesso. Chi è perfettamente bilingue, ovviamente, può farne a meno senza problemi; chi non ha questa fortuna, ha BISOGNO di un compromesso. Alcuni preferiscono i sottotitoli; altri il doppiaggio, ma sempre di compromessi parliamo. E il doppiaggio è un compromesso che rappresenta un’eccellenza del nostro Paese. Oggi come oggi, però, fa molto fico, molto radical chic, molto “intellettuale duro e puro” sparare a zero sul doppiaggio, annientarlo senza se e senza ma, a volte con sufficienza, altre volte con autentica indignazione, scomodando termini come “stupro”, “barbarie”, “fascismo” e chi più ne ha più ne metta. Proprio questo mi piace, di “Doppiaggi Italioti”: critichi giustamente i brutti doppiaggi o le pecche in doppiaggi buoni, le ingenuità più o meno colpevoli negli adattamenti, argomentando dettagliatamente e sempre con grande ironia, ed è il genere di critica che io apprezzo sempre, perché è quella che fa crescere. Riesci a evidenziare i pregi e a stigmatizzare i difetti del nostro lavoro esprimendo pareri sempre ben documentati e ponendoti (e ponendoCI) domande precise e pertinenti.
Sono onorato da ciò che dici perché mi hai confermato inequivocabilmente che le mie intenzioni sono percepite dai lettori. Nello scrivere un blog è difficile poi verificare se effettivamente i propri messaggi “passano” perché, eccetto che nell’area commenti, non c’è mai un vero e proprio confronto.
Parlerai del mio blog ai tuoi colleghi?
L’ho già fatto, spesso e anche abbastanza recentemente: su Facebook (dal quale mi tengo debitamente alla larga) un noto regista italiano “sbarcato” oltreoceano ha sparato a zero sul doppiaggio e, particolarmente, sui doppiatori, accusandoli di appiattire, rovinare, annientare, stuprare, svilire ecc ecc ecc…. tutto il lavoro che lui ha portato avanti per mesi coi suoi meravigliosi attori americani, dicendo che, ahilui, anche stavolta sarà costretto a lavorare con noi miserabili cialtroni perché una distribuzione solo in lingua originale, in un Paese ottuso, ignorante, gretto e pigro come l’Italia, sarebbe un suicidio. E nel polverone che si è scatenato, più di una volta mi sono trovato a chiacchierare con i colleghi sulla tendenza generalizzata a demonizzare il nostro lavoro, e a parlare di “Doppiaggi Italioti” proprio per i motivi che ti ho detto.
Ho sentito di questa polemica sollevata da Moccioso Muccino, la trovo piuttosto sterile nei suoi contenuti… e dunque l’ho ampiamente ignorata. Non è neanche degna di nota.
Ti ringrazio per i tantissimi complimenti e per esserti concesso a questa intervista caro Edoardo. Mandami una foto che la uso in apertura.
Ti invio l’unica foto che ho trovato sul computer, non sono un grande cultore della mia immagine.
Sei un esemplare raro. Bel maglioncino comunque.
Grazie.