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Quando Michelangelo diventò azteco, il caso curioso di Mosca a New York (1984)

Di doppiaggi che cambiano la nazionalità o la cultura di alcuni personaggi per renderli “italiani” ne abbiamo avuti fin troppi, soprattutto in televisione. Viene subito in mente la serie La tata ovviamente, che trasformava una famiglia di ebrei americani in una famiglia di italo-americani, ma anche Pappa e Ciccia (titolo originale: Roseanne, arrivato in Italia nel 1990) in cui la protagonista viene chiamata Annarosa e ha un accento napoletano. Più raro invece il contrario, quando viene cambiata la nazionalità di personaggi dichiaratamente italiani. Avevamo visto un caso simile in Rosemary’s Baby, nel piccolo ruolo della ragazza salvata dalla vita di strada. Nel film del 1984 Mosca a New York (Moscow on the Hudson il titolo originale) non si tratta però di un cambiamento su personaggio minore bensì di uno dei ruoli principali nel film: quella Lucia di cui si innamora Robin Williams, che da ragazza abruzzese diventa una messicana di Chihuahua.

Il caso curioso del doppiaggio dove gli abruzzesi diventano messicani

Sicuramente non tra i film più noti di Robin Williams (qui doppiato da Massimo Giuliani), Mosca a New York è la storia di Vladimir Ivanoff, un musicista del circo russo che approfittando della tournée a New York, decide di chiedere asilo politico in una delle più venerate istituzioni americane: i grandi magazzini Bloomingdale’s. La terra delle opportunità però non è il paradiso che si aspettava e la libertà tanto agognata si rivela un concetto effimero. Per quanto si senta fuori posto però, Vladimir scopre che a New York tutti vengono da qualche altra parte (“tutti che io conosco sono di altri posti”) e stringe da subito amicizia con Lucia, un’ambiziosa ragazza messicana di cui presto si innamora.

È proprio la “messicana” Lucia l’unica vera curiosità nell’adattamento (altrimenti impeccabile) di questo film: Lucia in lingua originale è italiana, ma non italo-americana… proprio italiana d’Italia, come dice lei stessa.

originale: I’m Italian. From Italy, from Abruzzi. It’s a village called Casoli.

doppiato: Io sono messicana, dello Stato del Chihuahua, di una cittadina che si chiama Las Crosis.

Il motivo di questo cambiamento è ignoto ma possiamo immaginare il ragionamento che c’è stato dietro.

Il doppiaggio, ribadiamolo, è un’illusione e per funzionare non deve creare troppi dubbi nella testa dello spettatore. Nel doppiaggio, personaggi di altri paesi parlano per noi un italiano standard, pulito, e come spettatori accettiamo che quell’italiano standard rappresenti la lingua parlata nel luogo in cui è ambientata la vicenda. Di conseguenza quando in un film ci ritroviamo degli italo-americani, nella versione doppiata li facciamo parlare con un accento campano o siciliano, o addirittura in dialetto, per distinguerli chiaramente da quelli che parlano italiano standard, ovvero i madrelingua americani. Queste sono convenzioni comuni e largamente accettate dallo spettatore italiano da più di 50 anni.

E quando i personaggi non sono i tipici italo-americani ma proprio italiani d’Italia, che fare? Come distinguere i momenti in cui si esprimono in inglese (che diventa italiano standard nel doppiaggio) da quelli in cui parlano davvero l’italiano? È lo stesso problema che aveva Bastardi senza gloria di Tarantino nella scena degli italiani: personaggi americani doppiati in italiano che improvvisamente per esigenze di trama… devono parlare italiano.

Doppiare gli italiani… in italiano

Una soluzione possibile (e perfettamente valida se le situazioni viste nel film lo consentono) potrebbe essere quella di trasformare tutto in italiano standard (equivalente dell’inglese originale) e di ignorare i momenti in lingua italiana così come solitamente ignoriamo gli accenti irlandesi, scozzesi, britannici, etc…. Una cosa non facile in un film come questo Mosca a New York, dove era importante sottolineare come New York sia essenzialmente una città di immigrati e minoranze.

Pablo/Paolo in Friends

Un’altra soluzione è quella di cambiare la nazionalità del personaggio in questione. Come nel caso di Paolo nella serie TV Friends, che in italiano abbiamo conosciuto come Pablo, amante caliente. A qualcuno potrebbe sembrare assurdo ma è a ben pensare la scelta più sensata quando abbiamo scene in cui gli americani parlano italiano e arriva questo tizio, anche lui parlante italiano ma che nessuno capisce.

Stesso discorso per Un pesce di nome Wanda dove l’italiano diventa spagnolo, in quel film il personaggio Jamie Lee Curtis si eccitava sentendolo parlare. Anche questo è una di quelle scelte di adattamento quasi obbligate dato che lasciarlo in italiano quando tutti nel film già parlano italiano (doppiato) non avrebbe avuto molto senso.

Questo immagino essere stato il ragionamento che ha portato alla scelta di trasformare Lucia da ragazza abruzzese in attesa di ottenere la cittadinanza a immigrata messicana. Di conseguenza, nei momenti in cui i dialoghi originali usano parole italiane, queste vengono trasposte in un loro equivalente spagnolo: i ciao diventano adios e le lasagne, beh, diventano tortilla…

originale: “Buona giornata”, Lucia, darling! (What a piece of lasagna.)

doppiato: “Hasta la vista, niña”! (Buona come una tortilla.)

Il fatto che Lucia sia interpretata dall’attrice Maria Conchita Alonso (nata a Cuba) potrebbe aver influito in questa scelta di trasformare l’italiana in una messicana. Per gli americani la Alonso potrebbe tranquillamente passare per italiana dopotutto, meglio di quanto Schwarzenegger passi per un americano (coincidenza: entrambi erano in L’implacabile, nel 1987). In un’intervista del 1984 Maria Conchita Alonso disse che al suo accento naturale (da persona cresciuta in Venezuela e da poco giunta negli Stati Uniti) è bastato aggiungere un po’ di “musica” per renderlo italiano. Mh, ooooookay, Maria.

 

Da Michelangelo agli aztechi

La scelta di cambiare la nazionalità di Lucia si porta dietro anche una serie di problemi, come spesso capita in questi compromessi, non tantissimi a dir la verità e in pochi forse li noteranno. Per esempio i gesti delle mani, tipicamente italiani (anche se fatti da chi non li capisce ma questa è un’altra storia)…

Si capisce che è messicana dal gesto delle mani a “puparuolo”

In questo caso elogiava Magic Johnson dicendo “Dio, che paio di mani, eh!”, una situazione in cui nessun italiano userebbe il gesto delle mani “a carciofo” (o “a borsa”, o “a peperone”, o “a pigna” o “a grappolo”… dovremmo veramente trovargli un nome ufficiale!).

Un altro momento arriva quando Lucia e il collega Lionel sparlano l’una degli antenati dell’altro e sentiamo questo scambio:

doppiaggio: Lionel, ti devo ricordare che mentre i tuoi antenati pestavano sui tamburi in Africa e andavano a caccia a piedi scalzi, nel mio Messico c’era una grande civiltà, c’erano gli aztechi. E altro che scarpe, facevano!

in originale: Lionel, I might remind you that while your ancestors were beating drums in Africa and chasing animals in barefoot, my people were giving the world Michelangelo. We invented style!

La risposta di Lionel:

doppiaggio: Sì, le ho viste le feste messicane. Non ci sono che teschi di zucchero e tori di cartapesta.

originale: You ever been to Little Italy? All I see if plastic fruit and fat guys in tiny hats.

Questa è la battuta più sospetta di tutte e possiamo dire con certezza quasi assoluta che sia una tradizione più tipicamente italiana che messicana quella di sentirsi migliori degli altri solo perché seicento anni fa un pugno di artisti ha dato il via al Rinascimento. Stesso discorso del campare di rendita sui successi degli antichi romani.

Per riassumere la risposta originale, Lionel non accetta lezioni di stile dagli italiani se questi sono gli stessi italiani che conosce lui, quelli di Little Italy, grassi, con cappelli piccoli e che decorano le loro case con frutta di plastica.

Questa scena deve diventare un meme per i pipponi che partono sui social ogni volta che un americano mette un pezzo di ananas su una pizza

 

Il peso dell’accento pesante

Nonostante Lucia in originale abbia un forte accento durante tutto il film, nella versione doppiata parla invece in un perfetto italiano da doppiatrice che la rende indistinguibile da tutti gli altri americani madrelingua visti nel film. Questa caratteristica (l’assenza di un accento), ancora più del cambiamento da nazionalità italiana a messicana, è forse l’unico vero disservizio al film. La storia infatti presenta New York come una megalopoli fatta da immigrati, il legame che nasce tra il protagonista russo (lui sì, parla con accento) e l’italianissima messicana Lucia (o messicanissima italiana Lucia, scegliete voi) nasce anche in virtù del fatto che entrambi si sentano ancora ospiti del paese in cui si trovano e di cui vorrebbero far parte. E non appena Lucia ottiene la cittadinanza, il loro rapporto si incrina, lei non vuole stare più con un “immigrato”. No, Lucia non è proprio una brava persona.

Guardando il film solo in italiano però, Lucia sembra già perfettamente integrata, un’americana come un’altra, che parla un “italiano” perfetto, cioè un inglese perfetto. Per quanto sia sempre bello sentir recitare Emanuela Rossi, questa scelta è un po’ un remare contro le intenzioni stesse di un film che parla essenzialmente di integrazione.

Quando poi Lucia offende Vladimir usando la lingua della sua terra (“un figlio di troia, un imbecille! Ma vaffanculo!” dice nella traccia inglese, che in italiano diventa “sei un disgraziato, un imbecille! Ma vaffanculo!“), tutto questo sarebbe dovuto diventare spagnolo nel nostro doppiaggio, invece è rimasto italiano standard come se stesse continuando a parlare in inglese. L’idea che lei sia un’immigrata come lui è proprio lontana dalla percezione dello spettatore italiano.

[Cries in Italian]

Questo è lo stesso problema di Scarface doppiato in italiano, dove Tony Montana (doppiato da Ferruccio Amendola) parla semplicemente italiano, senza lo sforzo di dargli il benché minimo accento spagnolo. Non dico che così facendo questi personaggi vengano appiattiti… ma vengono appiattiti.

Nel film compare anche la famiglia di Lucia ma siccome tra italiani e popoli di origine spagnola non corre poi questa grande differenza, l’illusione di una famiglia messicana funziona lo stesso. Piuttosto sarebbe interessante vedere la versione cinematografica italiana di questo film (qualcuno ha la VHS?), visto che nei titoli di coda compare anche il cognome di Lucia e lì scopriamo che si chiama (poco messicanamente) LOMBARDO.

C’è da chiedersi se nella versione italiana questo cognome non sia stato cambiato. Durante tutto il film infatti, il cognome Lombardo non viene mai nominato ma l’adattamento di Jacquier è così curato che non mi sorprenderebbe scoprire un cognome diverso per Lucia Lombardo nei titoli di coda andati al cinema.

Difatti non ho sottolineato a sufficienza quanto sia veramente ottimo l’adattamento di questo film, fatto di tante piccole scelte sensate che a nominarle singolarmente potrebbero sembrare cosa da poco. Eccellente ad esempio la soluzione adottata in sostituzione di “boy”, una parola molto offensiva per gli afroamericani ma che a noi, tradotto come “ragazzo”, direbbe poco (e quindi è stata resa diversamente, potete immaginarvi come); oppure nei riferimenti resi più comprensibili al pubblico italiano del 1984 come General Hospital che diventa Dottor Kildare. Nel complesso l’adattamento di Mosca a New York potrebbe essere una buona scuola per chi si occupa o vorrebbe occuparsi di traduzione e adattamento di audiovisivi.

Altri piccoli momenti dubbi nel doppiaggio di Mosca a New York

Un paio di piccole curiosità, non sarei io se non le trovassi. Durante un ricevimento pieno di russi una donna chiede un “russo nero” (cioè un “black russian“), che io sappia questo cocktail non è mai stato chiamato “russo nero” in Italia ma è probabile che si tratti di una licenza “artistica” del dialoghista per preservare l’ironia della scelta alcolica:

doppiato:
– Senta, mi dà un russo nero, per favore?
– Il russo che ha chiesto.

originale:
– Waiter, I’ll have a Black Russian, please.
– Your Black Russian.

E mi diranno i pallacanestrofili tra voi se la frase “Magic Johnson è il più grande pivot che ho mai visto” sia una buona traduzione di “Magic Johnson was the best guard I ever saw“. Immagino che la frase “è la più grande guardia mai vista” avrebbe potuto confondere dato che lo sta dicendo proprio alle guardie del centro commerciale. Ma non so, magari era una scelta dovuta al labiale e ai tempi della battuta, o a una maggiore familiarità con il termine “pivot” rispetto a “guardia”.

 

Questi sono ovviamente solo piccoli dettagli in un copione italiano brillante nel quale si potrebbe contestare la scelta di cambiare la nazionalità di Lucia da italiana a messicana, ma dopotutto non è che ci fossero queste grandi soluzioni alternative. Piuttosto ne contesto l’assenza di un accento spagnolo, assolutamente funzionale al film. Tutto qui. Per il resto, TUTTI, dai doppiatori, al dialoghista Sergio Jacquier, al direttore di doppiaggio (al momento sconosciuto, Maldesi forse?) hanno fatto un lavoro splendido. Un po’ melenso sul finale ma consigliato almeno una volta nella vita, anche in italiano.

Alla prossima, grandi americani, ok?

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