Da quando Netflix ha scoperto che i film ambientati in una navicella nello spazio costano poco perché c’è un unico set da costruire, è iniziata la mia rovina perché, scemo, continuo a cascarci e me li vedo tutti pensando che il prossimo sarà avvincente o almeno interessante. “Estraneo a bordo” (Stowaway in originale) tecnicamente l’ho visto, così come avevo visto The Midnight Sky di Clooney, aggiungendomi così alla statistica dei milioni di “spettatori” che li hanno visti per intero, numeri di cui probabilmente Netflix si vanta.
Questi film ambientati nello spazio sono tutti simili: attori noti, look realistico ma su premesse scientifiche che farebbero arrossire Michael Bay, lentezza cronica spacciata per profonda scelta artistica… sono tutti film che stazionano da subito sui 5 su 10 di IMDb, appena sotto la sufficienza. Brava ma non si applica.
Estraneo a bordo, ovvero l’inglese nell’adattamento italiano
Dalle solite ditte internazionali messe su da Netflix (la SDI in questo caso, dal 2018 con sede anche a Roma) ci arriva quello che ormai comincio a definire “il solito doppiaggio Netflix”, e probabilmente sto facendo un’ingiustizia a tanti altri che non soffrono dello stesso problema, insomma sto parlando del vecchio caro eccesso di inglese nei dialoghi italiani! Oh, yes.
Good check?
Good check.
Se Prime Video di Amazon continua a sorprendere con adattamenti di qualità (no, non mi pagano per dirlo, magari!), Netflix continua a tirare fuori dei piccoli aborti. Perché come altro chiamare un dialogo dove sentiamo fuori campo:
“buona fortuna, Godspeed e ci rivedremo qui tra due anni”
Godspeed con questo adattamento!
Perché qualcuno in un dialogo tradotto in italiano dovrebbe dire “godspeed”? Sì, è un augurio che viene ancora oggi fatto prima dei lanci della NASA nella formula “good luck and Godspeed”, e allora? È una buona ragione per lasciarlo nei dialoghi di un film adattato per l’Italia? Neanche Apollo 13 (1995) che raccontava una storia vera, di veri astronauti, si prodigava tanto a riportare addirittura i saluti di auguri in inglese per una qualche veridicità storica. Perché un film di fantascienza ambientato nel futuro dovrebbe? I sottotitoli in italiano infatti lo omettono, il “buona fortuna” bastava. Tanto più che lo sentiamo solo per radio, nessuna esigenza di labiale.
A riprova che non sono contro le parole in inglese “per sé”, dico subito di non aver nessun problema con i tanti “go” che sentiamo nel film, è un segnale di verifica non solo stranoto ma anche di facile comprensione visto che lo sentiamo in frasi come “segnale di go” o “per me è go“. Non solo era usato in Apollo 13 del 1995 ma già dieci anni prima lo diceva anche Ray in Ghostbusters (1984) “Pronti al mio segnale di go! Spengler, da te voglio un raggio di circonfusione, okay? Go! Okay! Tienlo lassù! Si muoverà! Tienlo su! Go!”. Un qualcosa sicuramente reso riconoscibile da una certa diretta nel luglio del 1969.
Lasciare “Godspeed” in italiano non ha senso. Dovessimo ragionare in questo modo, quasi tutte le parole nei film dovrebbero rimanere in inglese e allora a quel punto che senso ha continuare a doppiare?
Il diritto all’aborto nello spazio è garantito
Non è la prima volta che lo incontriamo (The Martian, hello??) e di certo non sarà l’ultima. I film di fantascienza nello spazio sempre più spesso parlano di “abortire” (dal comando “abort”) una missione invece del suo annullamento, come prevede il dizionario e il buonsenso. Questa scelta di traduzione si fa ancora più ridicola quando si usa la parola “aborto”, come in questo film dove sentiamo la domanda secca “aborto?”.
Il vantaggio di questa forzatura nei dialoghi italiani di molti film ambientati nello spazio? Che sul labiale ci sta ‘na bbellezz’! È l’unico vero motivo per cui in molti film viene imposto e piano piano si fa strada nella mente degli spettatori che in breve si abituano a tutto e sicuramente nei commenti vengono a dire “si dice” o “ormai ci sono abituato”. Ma è doppiaggese, puro e semplice, amplificato da un uso tipicamente settoriale da parte di astronauti italiani intervistati dalla televisione e che, ovviamente, usano quelle parole.
– Abbiamo appena superato il punto di non ritorno. Aborto?
– L’aborto è negativo.
Io aborto? Lui, lei aborte? È congiuntivo, ragioniere. Aborti lei.
Vediamo cosa dicevano i sottotitoli (che su Netflix hanno una traduzione slegata dal doppiaggio):
Ah, ecco.
Aggiornamento
La dialoghista del film, da una risposta su Facebook, assicura che la scelta non fosse “aborto” ma proprio “abort”, il comando detto in inglese:
“Posso assicurare che in fase di doppiaggio è stato detto chiaramente abort. Non è la prima volta che un fiato finale o un verso puó dare l’impressione di suono vocalico. E qui l’effetto è accentuato dalla forma interrogativa. Queste sono cose che chi si occupa di doppiaggio sa bene.”
Antonella Giannini
E questo conferma il problema con la scelta di tenere molti di questi termini in inglese, se l’effetto indesiderato è poi quello di sentirci “altro” (perché non ci aspettiamo queste parole in un film in italiano) direi che comunque c’è un problema con ciò che arriva al pubblico, un problema di fruizione. Arriva qualcosa di non inteso.
Free drift, attenti a non derapare nello spazio
“MTS in free drift” (detto fuori campo)
Free drift è un termine settoriale usato dagli astronauti in lingua inglese e che poi viene riportato tale e quale in vari forum di appassionati italiani dove ha anche senso tenere TUTTE le definizioni in inglese, specialmente quando sono trascritti di comunicazioni ufficiali della NASA che gli appassionati traducono (è lì che ci troviamo abort, free drift, etc… spesso in corsivo), gli appassionati sanno cosa sono e cosa significano, li usano con cognizione di causa, volendo essere più possibili precisi e comprensibili con altri appassionati di un argomento che ha sempre fonti americane o comunque di lingua inglese. Eppure anche in questi forum di appassionati gli utenti sentono la necessità di specificare il significato di free drift, magari tra parentesi, come in Tuttovola.org, punto di incontro per gli amanti del volo, dove un utente riporta, traducendole in italiano, le notizie comunicate da un centro missione dello SpaceX:
Ore 23:20
La dimostrazione di abort comandato della Dragon, con accensioni sia prolungate che pulsate dei suoi thruster Draco è stata completata in giornata. Il veicolo ha anche dimostrato la sua modalità di free drift (volo alla deriva, N.d.R.), in cui i thruster di controllo attitudinale vengono spenti..
Da notare come anche i “thruster” rimangano in inglese, in qualsiasi settore specifico è normale comunicare mantenendo definizioni in inglese. Non vuol dire che fuori, per un vasto pubblico, si debba parlare così.
L’Associazione Nazionale Ufficiali Aeronautica lo riporta con le virgolette
A questo punto la capsula della Orbital ha dis-attivato i propri propulsori ponendosi in modalità “free drift”; di seguito Parmitano ha guidato il Canadarm2 fino ad af-ferrare Cygnus e poco meno di due ore dopo ha portato a termine la manovra di aggancio con il nodo Harmony.
Addirittura Luca Parmitano nel blog dell’ESA nel suo blog ce lo traduce tra parentesi come “volo libero”
Questa sarà infatti la prima volta che un astronauta europeo sarà ai comandi del CanadArm per la “cattura” di un veicolo in free drift (volo libero).
Virgolette, corsivi, parentesi, traduzioni… e questo da siti ufficiali o comunque di settore, chiaramente neanche loro danno per scontato che tutti capiscano “free drift”. Tutto questo dovrebbe essere un grande allarme rosso per chi adatta i dialoghi di un film di fantascienza. Ha senso tenere il termine in lingua originale? È comprensibile in un dialogo fuori campo? Quanto è comprensibile?
Chi invece ha lavorato ai sottotitoli evidentemente lo riteneva traducibile… visto che lo ha tradotto.
Ah, tanta attenzione ai termini “originali” e poi la sorella Ava può tranquillamente diventare “Eva” in italiano. Boh
Cos’è che beviamo, Calboni? Tre BET-CH-s
Questo è il betch 62
Così sentiamo pronunciare “batch 62”, altra parola lasciata inspiegabilmente in inglese. Nella stessa frase però “row 2” diventa la “fila 2” e “section B” diventa “sezione B”, ma batch no, batch rimane in inglese e pronunciata “betch”.
“Nessun’alga del secondo BETCH è sopravvissuta”
La pronuncia tra l’altro è un’italianizzazione errata o se non altro obsoleta (dei tempi del batch processing, dell’informatica degli anni ’70). Sia gli americani che gli inglesi dicono batch con la “a” come conferma questo dizionario di pronuncia che li include tutti e due. Treccani ce lo dà come <bäč>, proprio dell’informatica. Ma pronuncia a parte, da dove viene l’idea di lasciare “batch” in inglese? È quasi come se non avessimo una parola italiana che traduca “batch”… mmh, sì, dev’essere un termine spaziale intraducibile…
Ancora una volta, sottotitoli, aiutateci voi!
Grazie, tutto molto chiaro adesso.
In italiano è un termine legato unicamente all’informatica come conferma Treccani:
Nel linguaggio scientifico e tecnico, termine usato per caratterizzare operazioni compiute in modo intermittente. In informatica, modalità di elaborazione secondo la quale le richieste di servizio non vengono assolte immediatamente, ma sono accodate per essere soddisfatte quando lo consentirà la disponibilità delle risorse (in contrapp. alla modalità di elaborazione «in tempo reale» e a quella interattiva).
Quindi, per quanto “tecnicamente” corretto, visto che si riferisce alle colture a sistema chiuso (colture in batch) dei bioreattori usati in microbiologia, l’uso in una frase simile non aiuta la comprensione, anzi, è controproducente alla fruibilità del dialogo. La scelta di lasciare “batch” vuol dire non capire cosa arriva al pubblico per il quale si traduce. Lì dove un “lotto” sarebbe stato certamente comprensibile, o dove “coltura” avrebbe risolto la frase senza dire niente di tecnicamente sbagliato.
Fammi il backup di benzina alla macchina
“E i contenitori di backup?”
Traduzione di “backup canisters”. L’ossigeno può avere un “backup” a quanto pare.
In italiano la parola backup è associata a un salvataggio di dati informatici, non certo a riserve di gas, come confermato non solo dall’uso comune ma anche dai vocabolari (che non contemplano altri usi):
backup ‹bä′kḁp› s. ingl. (propr. «sostegno, rinforzo»), usato in ital. al masch. – In informatica, procedura con la quale si realizza una copia di sicurezza (detta anch’essa backup o copia di b.) di un certo insieme di dati: la biblioteca conserva su nastro magnetico il b. degli schedarî informatici contenuti nell’elaboratore centrale.
fonte Treccani
Aiutoooo, sottotitoli!
Grazie. Molto meglio.
Ma possibile che frasi così semplici debbano essere complicate da intromissioni non solo superflue ma anche errate?
Conclusione
Insomma come avete capito, in questo Estraneo a bordo, l’unico vero estraneo a bordo è l’inglese, una presenza che ha ancora meno senso del tizio ferito che nella trama del film qualcuno aveva sigillato dietro ad un pannello di un’astronave in partenza per Marte (???), cosa che il film non spiegherà mai. Sì, il film è stupido, ma l’adattamento di questo doppiaggio urta. E dispiace tanto perché per il resto i dialoghi sono tutti molto naturali. Mi sa tanto di intromissione dall’alto, dall’estero, perché non posso pensare che a una persona italiana venga in mente di dire “contenitori di backup” parlando di contenitori di gas. Né parlare di bet-ch-s.
Aggiornamento
E invece, a quanto pare sbagliavo nell’immaginare interventi dall’estero o intromissioni esterofile dell’azienda Netflix. Flora Staglianò, che su Facebook si è presentata come “la traduttrice di Estraneo a bordo” (da non confondere con la dialoghista che invece ha il nome nei titoli di coda), difende tutte le scelte e ci tiene a specificare che Netflix in realtà avrebbe preferito una traduzione più “tradizionale”:
“No, non c’è stata nessuna intromissione dall’alto. Anzi. Netflix aveva dato la direttiva di tradurre tutto in italiano, anche le sigle iniziali usate nel lancio. Ma è stata inviata una mail in cui è stato fatto presente che in italiano sarebbe stato ridicolo.”
Flora Staglianò