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Grosso guaio a Schifohamish. Il doppiaggio Netflix “fatto in casa” di L’altra metà (2020)

Cartellone della cittadina di Squahamish dal flim L'altra metà (2020)

Benvenuti a Squahamish, dove la gente è doppiata male

Il 1 maggio compare su Netflix il film L’altra metà (The half of it, 2020), una reinterpretazione del Cyrano de Bergerac in salsa adolescenziale con una variante inedita, l’avere un protagonista di sesso femminile (Ellie, ragazzina nerd snobbata da tutti) al posto di un Cyrano maschio. Così, come nella commedia del 1897, la nostra Cyrano, aiuta l’amico impacciato (qui Paul, compagno di scuola che gioca nella squadra di football) a conquistare una ragazza, Aster, grazie ad una serie di lettere che possano far innamorare questa ragazza popolare in cerca di una via di fuga intellettuale. L’innamoramento epistolare scatterà invece tra le due ragazze. Sì, è uno di quei film impietosamente etichettati “LGBT”, quindi, omofobi, state alla larga.

A parte la reinterpretazione del Cyrano de Bergerac, L’altra metà è dopotutto uno dei tanti racconti di formazione dalle premesse forse un po’ trite, come quella gli adolescenti americani in attesa di andare al college per fuggire da una piccola città di provincia, Squahamish (o come dicevano a scherzo nel film Schifohamish), e forse questo film di Alice Wu non rimarrà nella storia del cinema, né rimarrà troppo a lungo nella memoria degli spettatori, ma di certo non si meritava niente di male. Arriva invece con un doppiaggio da subito lamentato, giustamente ridicolizzato e spernacchiato, ben al di sotto degli standard di decenza. E subito la memoria torna al recente caso di Summer ’84, sempre doppiato nel 2020. Ma che è quest’anno?!

Netflix, al contrario di alcuni distributori nostrani (LuckyRed ce l’ho con te), non è sordo alle lamentele del pubblico e il 14 maggio quel primo doppiaggio viene sostituito da un nuovo doppiaggio italiano, questa volta professionale. Un ridoppiaggio sostitutivo per cancellare la memoria di quel primo disastro che, mi dispiace per Netflix, non è andato perduto per sempre ma rimane conservato nei miei archivi, memento dell’ennesimo tentativo americano di prendere in mano le redini di un mestiere che richiede una professionalità che spesso diamo per scontata e che certamente non si può improvvisare. Non basta essere attori decenti per essere anche doppiatori decenti.

Su questo blog (non lo dirò mai abbastanza) è raro che mi metta a parlare o a giudicare la qualità delle interpretazioni. La traduzione di audiovisivi e l’adattamento linguistico sono gli argomenti di mia competenza, non la recitazione. E ci sono tanti doppiaggi, tra quelli televisivi e quelli dell’home video, che personalmente reputo mediocri o che non reggono il confronto con quelli più “cinematografici”, ma salvo rari casi questi argomenti non trovano grande spazio su questo blog, perché si tratta comunque di doppiaggi professionali e l’argomento “questo doppiatore è più bravo di quest’altro” è materia da forum di appassionati, se non da salotto, e lì possono rimanere per quanto mi riguarda.
Tuttavia, questo è uno dei rari casi in cui mi trovo a infrangere la regola non scritta. Con il primo doppiaggio di L’altra metà, così come con il doppiaggio di quel Summer of ’84, già recensito, ci immergiamo purtroppo nel regno del dilettantesco e non ci vuole un esperto per poterlo affermare.

Anche questa volta lascio che delle clip dal film parlino da sole. Il video dura una quindicina di minuti e raccoglie alcune delle parti “migliori”.

Concorderete che peggio di così c’è solo un rutto nel microfono. Un’iperbole? Mica tanto. Sentire questo genere di cose è svilente per i professionisti del settore, per gli spettatori e anche per le persone coinvolte (potrei mai prendermela con un lavoratore che accetta un ingaggio per tirare a campare? Certo che no!). Il problema è nella testolina dei distributori americani che ancora oggi, nel 2020, credono che sia pensabile doppiare film a casina loro, spendendo il meno possibile. Basta prendere gente che sa parlare italiano, no? Che ci vuole. È successo esattamente ciò che accadeva nei primi tempi della storia del doppiaggio e ancora oggi ogni tanto ci provano, con i risultati appena sentiti. Cos’è quest’anno, un qualche anniversario della nascita del doppiaggio italiano? Netflix voleva celebrarlo così?

 

Il cast del primo doppiaggio Netflix

Una breve ricerca sui nomi che comparivano nei cartelli finali della prima versione è stata una tappa obbligata per cercare di sbrogliare la matassa del “che cosa è successo con questo doppiaggio?”. I nomi dei doppiatori comparivano nei cartelli di coda del film, questo fino all’arrivo del secondo doppiaggio, quello definitivo, che ovviamente ha portato alla sostituzione anche dei cartelli finali. Qui riporto i nomi del primo cast di doppiatori, con una breve descrizione basata su informazioni pubbliche e liberamente accessibili, quali pagine Linkedin, profili di agenzie di casting e pagine IMDb. Noterete forse un filo conduttore che li lega tutti:

Chi sono i doppiatori

Nel cast aggiuntivo troviamo inoltre:

Max Pregoni, altro attore con agente a Los Angeles; Gaia Passaler di Milano, anche lei attrice che lavora da anni a Los Angeles;  Gabriele Martinelli, nato a Napoli e trasferitosi da adolescente in America, anche lui lavora come attore a Los Angeles; Massimiliano Frongia, italiano, con produzioni internazionali in curriculum. Per finire: la direzione del doppiaggio è di Gabriele Di Sazio, italiano, regista, con alcuni corti all’attivo, girati indovinate dove? Los Angeles.

Doppiaggio e sonorizzazione a cura della Igloo Music Corporation, di Burbank, una contea di Los Angeles. È una delle aziende del programma di post-produzione NP3 di Netflix in cui è classificata con un bollino “argento” (silver) ma considerata idonea soltanto per la lingua inglese (nello specifico “inglese americano”) secondo il sito di Netflix.

Avete già trovato il filo conduttore? Il cast è composto da italiani che vivono e lavorano nella città di Los Angeles. Quello di L’altra metà è un doppiaggio americano realizzato utilizzando attori italiani che Netflix aveva a disposizione in zona, con l’aggiunta di un musicista (che spero si sia almeno fatto qualche risata a doppiare Paul) ed un regista, che in inglese si dice director, quindi a Netflix avranno pensato vabbè, director, dubbing director… è a stessa cos’!
Sono assolutamente certo che siano tutti dei veri professionisti nel loro campo, a prima vista il loro CV lo dimostra senza ombra di dubbio (Cerletti ad esempio è percussionista per Disney, Fox e altre aziende famose), e anche se molti di loro lavorano regolarmente con la propria voce in quanto attori, chiaramente non sono doppiatori professionisti. Nessun professionista direbbe mai “Poll, ma ti ci stai sposando co’ a spazzatura?” (voce fuori campo in romanesco che chiama Paul, a esattamente 1 ora e 57 minuti). Fa ridere ma fa anche piangere.

Che non si offendano dunque gli attori menzionati, del resto anche tanti attori italiani bravissimi e famosissimi non sono poi così bravi in sala di doppiaggio, quando devono andare a ricreare emozioni altrui o addirittura le proprie. Aggiungiamo a questo il fatto che i doppiatori della prima versione italiana di L’altra metà, di fatto, non erano diretti, e che le voci da abbinare ai personaggi siano state scelte seguendo un criterio essenzialmente “geografico”, questo è il quadro. Di quel cast, l’unica persona con un curriculum attivo nel mondo del doppiaggio sembra essere la dialoghista Carolina Quitadamo. La direzione delle voci invece è virtualmente inesistente! Da qualche “hey” pronunciato all’americana (invece di “ehi”), a vari errori di pronuncia incluso un “tu” detto “tiù”, tipo Stanlio e Ollio… e buona la prima! Anche quegli attori che sono stati bravini al microfono ogni tanto pronunciano frasi o recitano in modi che un direttore di doppiaggio professionista non approverebbe neanche con una pistola puntata alla testa.

Ad esempio quando la protagonista (Ellie) legge ad alta voce la lettera scritta dal ragazzo imbranato (Paul) sentiamo:

“Dicono che sia il più carino della mia famiglia, cioè, lo pensa mia nonna… che è morta adesso.”

Qui non c’è nessun errore di adattamento, ancora una volta è il doppiaggio che fa danno. L’errore è nel modo in cui questa frase viene recitata [più precisamente nell’appoggiatura, mi suggerisce Mauro Stoppa, conduttore radiofonico, esperto sull’argomento recitazione], infatti nel primo doppiaggio la ragazza sembra dire che la nonna sia morta in questo momento, cioè mentre legge la lettera (o meglio, mentre Paul la scriveva), cosa che ovviamente non ha alcun senso (“who is dead now” in originale, cioè la nonna “che ora è morta”). Come cambia radicalmente la stessa frase nel secondo doppiaggio! Il copione infatti rimane identico ma si capisce chiaramente dal mondo in cui viene recitata (cioè appoggiando non più su “adesso” come nel primo doppiaggio ma su “è morta”) che la nonna invece è già morta in un non ben determinato passato. Il confronto tra un doppiaggio professionale, “diretto”, e uno “arrangiato” non può che essere impietoso in questi casi.

La reazione del pubblico italiano

Il cast del ridoppiaggio

Per completezza riporto anche il cast del secondo doppiaggio Netflix, effettuato dalla VSI Rome, un’altra azienda della lista Netflix, anche loro con bollino “silver”, evidentemente c’è silver e silver. I cartelli finali di questo nuovo doppiaggio sono solo due, quindi l’elenco riportato con personaggi e loro corrispettivi doppiatori è limitato.

 

Direzione del doppiaggio: Maura Cenciarelli
Assistente al doppiaggio: Francesca Vichi
Dialoghi: Carolina Quintadamo

Ellie Chu: Emanuela Ionica
Paul Munsky: Marco Briglione
Aster Flores: Erika Necci
Edwin Chu: Emilio Barchiesi
Trig Carson: Manuel Meli
Diacono Flores: Sergio Lucchetti

 

L’adattamento italiano di L’altra metà

“Tesoro? Taco time!”

L’adattamento è in generale decente ma non manca di momenti in cui avrebbe giovato una revisione in più, oppure la supervisione competente di figure normalmente presenti (e non a caso!) in un doppiaggio professionale ma che sicuramente gli americani potrebbero vedere come ridondanti, inutili costi in più.
Molti dei casi elencati qui di seguito sono stati poi corretti con il secondo doppiaggio. Quasi tutti almeno.

Non è questo il caso di Liberal Arts diventato “arti liberali” (“Sta lontana dalle arti liberali“) invece di scienze umanistiche/materie umanistiche/”lettere e filosofia”/studi umanistici, la scelta è vasta prima di buttarsi su un “arti liberali”, sconosciute al pubblico di lingua italiana, a meno che in America non abbiano piani di studi di stampo medievale.

Da wikipedia: Arti liberali era l’espressione con la quale, durante il Medioevo, s’intendeva il curriculum di studi seguito dai chierici prima di accedere agli studi universitari. Più in generale le arti liberali erano quelle attività dov’era necessario un lavoro prettamente intellettuale, a fronte delle “arti meccaniche” che richiedevano lo sforzo fisico.

Questo “arti liberali” è rimasto anche nel secondo doppiaggio, quello “correttivo”. Ma cosa studiano nei college americani? Andiamo avanti.

Il padre richiama l’attenzione della figlia dicendo: “Tesoro? Taco time!” (e io posso dire “cazzo”?). Nel secondo doppiaggio questa battuta è stata trasformata giustamente in “Tesoro? È l’ora dei tacos“, a riprova che dopotutto i tempi delle battute non sono un limite così invalicabile se poi deve costringere a lasciare delle frasi in inglese (solo perché cool?). Cos’è che esprime esattamente “taco time” che non esprime anche la frase “è l’ora dei tacos”? E chi direbbe “taco time” in italiano? Perché il film… è doppiato in italiano, no?
[NdA: che poi dovrebbe dire che è l’ora dei taco, non dei tacos, perché parole importate rimangono sempre al singolare in italiano, ma lasciamo perdere]

All’appuntamento a base di patatine e frappè, Paul il sempliciotto non sa cosa dire e così esclama: “They use Reddi-whip” (cioè “Usano la Reddi-whip”, una marca di panna montata spray). Nel primo doppiaggio italiano questo diventa:

È una panna commerciale.

Buona la decisione di abbandonare una marca, ignota in Italia (altre note anche da noi invece sono rimaste)… ma che cavolo è una “panna commerciale“? Voleva una panna spray… di pregio? O forse una panna con qualità artistiche? Insomma ‘sta panna è ‘na commercialata, non ci sono più le panne di una volta.
Il secondo doppiaggio parla più correttamente di una panna industriale.

Nessun copione viene sfornato perfetto, per carità, e piccole rifiniture arrivano sempre in fase di revisione da parte di un supervisore competente, o anche in fase di doppiaggio, al microfono, sotto suggerimenti di attori o del direttore del doppiaggio. Questo almeno è ciò che avviene o che può avvenire in una normale filiera del doppiaggio audiovisivo, ma evidentemente viene meno in un doppiaggio arrangiato alla meno peggio a Los Angeles, quando si ha a che fare principalmente con persone che non hanno esperienze specifiche nel settore. È logico poi trovare anche nel copione piccoli errori o frasi poco chiare, che nessuno ha avuto l’ardire di “aggiustare”.

Un’altra frase poco chiara arriva all’inizio, quando Paul, riceve la prima lettera di risposta e la fa leggere alla sua “ghostwriter” Ellie:

Lettera di Aster: “Anche a me piace Wim Wenders, non l’avrei copiato però.”

Paul: Chi è Wim Wenders? E perché l’hai copiato?

Ellie: Non l’ho copiato.

Paul: Sì che l’hai copiato, l’ho pure cercato!

Ditemi voi… cosa può aver cercato Paul? Ha forse cercato chi sia Wim Wenders? Direi di no, perché all’inizio chiede “chi è?”. Forse ha cercato la frase o citazione copiata? In tal caso non dovrebbe dire “cercata”, al femminile? Capirlo da questo testo è impossibile. Il secondo doppiaggio cerca di attenuare l’effetto e cambia in “Sì che l’hai copiato, l’ho cercato!“. Ancora però non si capisce cosa abbia cercato. Ok, l’italiano evidentemente non ci viene in aiuto.

In lingua originale la parola usata è “plagiarized” lì dove il testo italiano parla di “copiare”, la battuta gioca sul fatto che Paul è un sempliciotto ignorante e non conosce un parolone come PLAGIARIZED. È quella la parola di cui Paul aveva cercato il significato. Purtroppo il nostro “copiare” non è così inarrivabile e nessuno in italiano avrebbe dubbi sul suo significato, quindi è impossibile pensare che quel “l’ho cercato” voglia dire “ho cercato il significato della parola copiare“, né si lega ad altri elementi del dialogo. Cosa abbia cercato, in italiano non si capisce. Questa frase andava cambiata leggermente. Insomma, rifiniture. Il copione aveva bisogno solo di qualche aggiustatina in più, impossibile quando risparmi così tanto che ci sono più assistenti al doppiaggio che doppiatori.

Diamo la colpa al COVID-19?

Netflix ha cercato di cancellare la memoria di quel primo doppiaggio eliminando dai propri profili social qualsiasi post che parlasse del film, così da far sparire anche la cornucopia di infamate che, a buon ragione, riempivano la sottostante area commenti. In loro difesa, poi il film lo hanno fatto doppiare una seconda volta e in tempi rapidissimi (del resto il copione è rimasto quasi lo stesso). C’è da chiedersi dunque: non si poteva avere un doppiaggio decente da subito? Tante serie sono ancora in attesa di doppiaggio, con episodi disponibili soltanto sottotitolati, che fretta c’era di sfornare questo film con un doppiaggio così imbarazzante?

Certo possiamo dare la colpa al COVID-19 e al blocco delle attività, ma se è stato possibile farlo doppiare in Italia una settimana dopo, quella del virus è davvero una scusa valida? O piuttosto è stata l’occasione per riproporre una vecchia abitudine americana, quella di cercare di doppiare in proprio i film, per risparmiare sui costi di post-produzione… come se doppiare in italiano volesse dire semplicemente “far parlare gli attori in italiano”.

Insomma, bella scusa quella del virus, sembrava quasi plausibile! Certo che agli occhi di un distributore americano il pubblico italiano sembrerà una manica di sofisticati snob a cui non va mai bene niente e che rompono i coglioni su cose che a loro sembrano fatte pure bene. Chi doppia sono italiani, no? So’ pure attori! Che volete deppiù?!
Pensa che stronzi che siamo, a esigere doppiaggi recitati bene, in maniera “invisibile” e che rappresentino correttamente il prodotto originale. Siamo proprio stronzi.

 

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