Site icon Doppiaggi italioti

Duro da uccidere (1990) – Seagal ci porta alla banca del sangue

Locandina italiana di Duro da Uccidere, Hard to Kill, film con Steven Seagal

Sì, è quello di Seagal che finisce in coma per 7 anni e al risveglio vuole vendicare la moglie assassinata. Uno di quei film che quando senti il sassofono sai che c’è del coinvolgimento romantico, quando invece parte la chitarra elettrica è il momento della vendetta! Insomma, i film semplici di una volta e il secondo nella carriera cinematografica del maestro di aikido e molestatore seriale Steven Seagal, che qui cerchiamo di rivisitare un polso rotto alla volta, in ordine cronologico e con un orecchio all’adattamento italiano. Oggi tocca a Duro da uccidere (Hard to Kill, 1990), da non confondere con Programmato per uccidere dello stesso anno, né con Duro a morire.

In un mio precedente articolo, molto comico da leggere se mi consentite, Nico (1988): quando Steven Seagal lo doppiava Fonzie, avevamo lasciato Steven Seagal al 1988. L’inaspettato successo del primo film porta la Warner ad investire nuovi soldi sull’uomo dalle due espressioni: quella accigliata che usa prima di uccidere e quella meno accigliata che usa per sfottere prima di uccidere. Ancora una volta ci vedono bene perché fa ancora più soldi del precedente. È l’unico motivo per cui a Hollywood ancora sopportano Steven, e già all’epoca pare che qualcuno che si rifiutò di lavorare al film per non doverci avere a che fare. Dal poco che trapela si capisce che dev’essere sempre stato un gran pirla.

“Guardati intorno spaesato, come se non sapessi dove andare o cosa ci fai qui. Perfetto! Questo ruolo sembra scritto per te”.

Visto il successo di Nico, rimettiamo Seagal a fare il poliziotto ma con un 10% in più di sparatorie e di arti spezzati ingiustificatamente. La formula risulta vincente. Costa 11 milioni di dollari e finisce per incassarne 59! Gli appassionati di aikido come me rimarranno sempre a bocca asciutta con la sua media di una mezza mossa di aikido ogni 30 minuti mentre il resto son brutali botte, mutilazioni e sparatorie ma, esattamente come in Nico, quel poco di aikido presente nel film, come dicono in Giappone, è ganzō.

In Duro da uccidere Seagal risulta ancora più carismatico e sfottitore, tanto che ripete per ben due volte la gag del “ah, non vi fate sotto perché ho la pistola, la metto via…”.

Come ha scritto Nanni Cobretti sul suo blog i400calci

Qui è dove Steven si presenta a modino in tutti i suoi tratti distintivi e la sua proverbiale arroganza: mena tutti da fermo, bullizza e umilia, spezza ossa senza bisogno, insinua dubbi sulle abilità sessuali dei suoi avversari, a un certo punto si mette addirittura in ginocchio per illuderli di un vantaggio e li mena rimanendo in ginocchio.

Parla ovviamente di questa scena qui:

E, sì, nell’aikido sono previste anche svariate tecniche di difesa da seduti in ginocchio (suwari waza), quindi quando Seagal si mette in ginocchio per mostrarsi più vulnerabile, gli spettatori che lo sanno pensano subito…

oh cacchio

E no, nessuna di queste vere tecniche di difesa finisce con la dislocazione del piede. Non nell’aikido che ho praticato io almeno.
È a partire da questo film che amai i personaggi di Seagal per il resto degli anni ’90. E qui siamo ancora al Seagal poliziotto, poi arriveranno il Seagal cuoco e il Seagal ambientalista. Uno più spassoso dell’altro. Ben prima del Seagal direct-to-video e del Seagal armadio a due ante.

A proposito di aikido, se nel precedente film (Nico) il suo personaggio ci veniva introdotto come maestro di arti marziali in Giappone, così da giustificare la sua invincibilità (maestro in Giappone, mica a Orto Casal di Trebbia!), in Duro da uccidere non si perde tempo con cose così superflue. È solo dopo un’ora di film infatti che ci viene accennato di un padre missionario che lo ha cresciuto “in Oriente” dove ha avuto molti maestri. Non c’è bisogno di sapere altro. Dalle arti marziali giapponesi, alla scrittura in cinese, all’agopuntura, non c’è cosa orientale di cui lui non sia esperto, sa fare tutto. Per hobby fa anche la lettura della mano ai suoi avversari. Ma al rovescio.

Seagal che ti legge la mano: hai la linea della vita molto corta.

 

La trama

Aprile 1983, è serata di Oscar, ma di certo non per Steven Seagal. Oh, no, no, no, per lui non lo sarà mai. In questo film il sensei S.S. si fa chiamare Mason Storm (sì, Storm come ‘tempesta’), di nuovo nei panni del poliziotto onesto nella solita corrotta Chicago, e nascosto dietro a delle casse dell’ortofrutta ha appena ripreso l’incontro tra un candidato al congresso e alcuni mafiosi, insieme stanno pianificando l’omicidio di un politico concorrente. Il candidato al congresso ha la faccia di William Sadler quindi accettiamo subito che tutto ciò sia plausibile. Seagal però è maldestro e per sbaglio innesca il suono d’archivio “lattina vuota calciata sull’asfalto con eco” allertando tutti e così è costretto a fuggire senza neanche aver il tempo di far suonare la clip audio “gatto arrabbiato”, ma almeno è riuscito a non farsi identificare e ha ripreso tutto!

Sarebbe ora di correre in centrale e scrivere un bel resoconto, contattare gente, fare delle copie… ma il suo turno è finito e quindi basta, se ne va direttamente a casa con il prezioso nastro. Giusto il tempo di una telefonatina in ufficio, così da far sapere a tutti i poliziotti ammafiati con la mafia che era proprio lui il testimone non identificato sfuggito poco prima, e poi un salto veloce al drugstore per sventare una rapina a mano armata. Ed è solo martedì.

Se Seagal è troppo alto per te può sempre umiliarti in ginocchio se vuoi.

Fa appena in tempo a tornare a casa per la preghierina del figlio ma non abbastanza in tempo per trombarsi la moglie perché arriva uno squadrone della morte di poliziotti corrotti che lo manda in bianco per altri sette anni (e gli uccidono la moglie), infatti finirà in coma fino alla caduta dell’Unione Sovietica. Ma non vi preoccupate per la sua vita sessuale, si prende cura di lui un’infermiera scritta di vero pugno maschio da sceneggiatori allupati, Kelly LeBrock (non ricordo il nome del personaggio, la chiamerò solo Kelly LeBrock) in trepidante attesa del risveglio del superdotato “bel fachiro”, il nostro protagonista, che anche durante un coma… CE L’HA DUUUROOOOOOO!!!

Questa si chiama molestia, Steven Seagal ne dovrebbe sapere qualcosa

Il catetere infilato su per l’uretra fa proprio sesso evidentemente, a ciascuno i suoi feticci. Dopo alcune affermazioni moleste, arrivano le battute per il pubblico maschile. Doppi sensi ne abbiamo? Ma sì che ne abbiamo! Solo in inglese però, perché in italiano la battuta è diventata: “Che ne diresti di una bella femminuccia?

Uh, le cose si fanno “calde”

Ahhhhh, QUELLA “gattina”! Quella gattina. Ma certo. Certo. A che cos’altro stavate pensando?

Siamo quasi alla gag di Una pallottola spuntatache bella topa!“. Ma non era un poliziesco d’azione serio questo?

Nel frattempo alla centrale i poliziotti corrotti vengono a sapere del suo risveglio e uno di loro si precipita all’ospedale per ucciderlo, ma lo sappiamo che Seagal è… DURO DA UCCIDERE. Anche da paralizzato riesce a fuggire (in barella!) dall’assassino più imbranato d’America, uno che inciampa sui suoi stessi piedi. L’infermiera LeBrock arriva giusto in tempo e, giuro, dopo un’altra scena stile Pallottola spuntata dove la barella urta ogni singolo oggetto solido sul suo percorso (e c’è anche la “visuale barella” che gli manca solo il lampeggiante della polizia per simulare la sigla di Una pallottola spuntata), lo porta a nascondersi in un ranch di proprietà di un amico di famiglia dove potrà rimettersi in forze, farsi l’infermiera in memoria della moglie morta e finalmente pianificare la sua vendetta. Ed è solo giovedì!

Scusi? Scusi??? Oh, questo è sordo… MI SCUSIIIII???!!! La posso accoltellare per favore?

Ma non è finita lì, nel film ci sono altri momenti da “pallottola spuntata”, come quando Seagal dice al telefono “però mi raccomando, nessuno oltre a noi due deve sapere niente” e nel frattempo vediamo mezza centrale di polizia in ascolto (vabbè erano soltanto in due ma l’effetto è quello).

Le gag involontarie in questo film sono le migliori. Non c’era una scena simile nella Pallottola spuntata? Sono sicuro di sì.

 

L’adattamento e il doppiaggio italiano

L’adattamento e il doppiaggio italiano sono figli del precedente Nico, anche qui troviamo lo stesso direttore di doppiaggio (Bruno Alessandro), dialoghista (Alberto Vecchietti) e come voce del protagonista sempre lui, Fonzie Antonio Colonnello, che ritorna su Seagal (la mia preferita su quel faccione!). Su Kelly LeBrock troviamo l’attrice e doppiatrice Marina Tagliaferri, oggi forse più famosa per il suo ruolo fisso nella soap italiana Un posto al sole in onda su Rai3 che per la sua carriera da doppiatrice.

Inoltre Antoniogenna.net riporta Luigi La Monica sul senatore Trent (William Sadler) e Ugo Maria Morosi sull’amico O’Malley (Frederick Coffin), mentre cambia l’azienda, “Clip Film Srl”.

Aggiungo io un Luca Dal Fabbro la cui voce penso di aver riconosciuto sul vicino di casa ispanico (circa a 53 minuti di film). Questa non precedentemente identificata e sono certo che ascoltando il resto del film con orecchie molto buone sarà possibile identificare molte delle stesse voci già incontrate in Nico.

In generale i dialoghi sono veramente ottimi, migliori dell’originale. Detto ciò, ci sono solo un paio di dettagli che sono sfuggiti, come può capitare anche ai migliori. Il fisioterapista di Storm ad esempio si prende un po’ troppe libertà quando lo sentiamo dire in italiano:

Più in là ti procurerò anche una scopatina.

al posto di “If you want, later on I’ll hook you up with some pizza” (ti procurerò un po’ di pizza). Il personaggio del fisioterapista in italiano sembra uscito dalla mente di Tarantino. Tra infermiere che molestano i pazienti in coma e fisioterapisti papponi, questo ospedale ha seri problemi con il personale.

 

Un’altra frase sospetta arriva durante la latitanza del protagonista, quando Kelly LeBrock lo tranquillizza dicendo che nessuno potrebbe mai risalire a quell’indirizzo perché non si tratta di casa sua ma dell’abitazione di un amico del padre e che all’ospedale dove lavora hanno soltanto l’indirizzo del suo appartamento, quindi nessuno potrebbe mai rintracciarli. In italiano invece ci viene da sospettare che sia il contrario quando conclude con:

L’unico che ha questo indirizzo è il centro medico

Ma allora non è sicuro per niente! La frase originale è invece “The Medical Center only has my apartment address”, traducibile come “Al centro medico hanno solo l’indirizzo del mio appartamento”. Ben altra cosa. Sicuramente una svista su una frase che tra l’altro arriva fuori campo, ma che nel resto del discorso si fa notare.

Tra le sviste nominiamo anche il classico mustard che diventa mostarda invece di senape (detto di spalle). Condimenti falsi amici! Per me che le odio entrambi non ha mai fatto molta differenza, ma per completezza ve lo segnalo.

È tornata anche la canottierina nera da megalomane.

Seagal ci porta alla banca del sangue

Una frase ricorrente del senatore corrotto “you can take that to the bank” sarà fondamentale per scoprire l’identità del misterioso intrallazzone. Qualcosa che “puoi portare in banca” (o “andare a mettere in banca”) indica una garanzia assoluta, un modo di dire per enfatizzare qualcosa di certo. È simile al nostro “puoi metterci la mano sul fuoco”. Nell’adattamento italiano del film è stata tradotta come “e io le promesse le mantengo“, che al contrario della “mano sul fuoco” entra bene nei tempi della battuta e non ha il problema di dover cambiare formula a seconda dell’interlocutore (“potete metterci”/”puoi metterci”). Serviva chiaramente una frase-slogan che rimanesse identica in qualunque situazione, infatti è proprio quella frase a far scattare la memoria del protagonista. La considero una buona scelta che però inevitabilmente annienta una battuta molto scema (e quindi molto amata) di Seagal:

I’m going to take you to the bank, Senator Trent. To the blood bank.

Letteralmente: “Ti ci porto io in banca, Senator Trent. Alla banca del sangue”. La frase italiana è molto meno imbarazzante anche se non particolarmente memorabile:

Quella che ho fatto a me stesso, senatore Trent, è più di una promessa.

I drammaticomici colpi di batteria alla fine della frase non si abbinano altrettanto bene.

Altre battute sceme invece sono migliorate in italiano. Una volta sfuggiti dall’assalto in casa, dopo innumerevoli sparatorie, ammazzamenti e inseguimenti, sentiamo la voce fuori campo di lei che dice “e per fortuna che hai dormito sette anni!“. Vediamo invece la battuta originale:

Traduzione: Mi sono dimenticata di chiudere la porta.

Uaà-uaaaà, tromba triste. Duro da uccidere è un film d’azione più che decente (se la faccia di Steven Seagal non vi sta sul cazzo) che però in lingua originale ha questi piccoli momenti stupidissimi. La mia versione preferita è decisamente quella in italiano (nonostante l’assenza della “banca del sangue”) e mi piacciono anche le tante piccole alterazioni fatte in nome di dialoghi più naturali come “motherfuckers!” che diventa “assassini!” (gli avevano appena ucciso la moglie) e “I’m sorry” che diventa “maledetti!” (lo dice Seagal dopo essere venuto a sapere dell’uccisione della collega di LeBrock).
Era un epoca in cui i film, anche quelli minori, erano dialogati da gente del mestiere (Alberto Vecchietti qui) che sapevano il fatto loro e non da improvvisati.

Quanto è più bello “questo è per mia moglie, ed è anche poco” al posto di “questo è per mia moglie, fanculo e muori“? Perché lo sappiamo che oggi lo tradurrebbero così. Lo sappiamo benissimo.

Chi lo dice che in lingua originale è tutto migliore?

Nota curiosa: “Internal Affairs” in questo film è “l’ufficio inchieste”.

Ci sono tante altre frasi memorabili che non vi svelerò, tipo quelle che Seagal fa trovare sulla tavoletta del cesso. Questo avviene sul finale quando il nostro sensei si trasforma in serial killer di un film horror che tormenta le sue vittime lasciando scritte inquietanti ovunque, mentre lo spettatore pensa: ma quando ha trovato il tempo di mettersi a incidere frasi sui muri con il coltello?
Una però ve la lascio…

“Ci beccheremo l’Oscar anche noi”.

Non penso proprio, Steve. Non penso proprio.

A quello del precedente film gl’ho fatto così… SCHIÒ!


Gli altri articoli del mio ‘ciclo di San Seagalino’:

Exit mobile version