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Vroom, vroom! Scansatevi, arriva l’adattamento di Le Mans ’66 – La grande sfida

Le Mans '66 - La grande sfida, locandina orizzontale del film

Alcuni film dovrebbero servire da esempio su come si adatta e come si traduce anche l’intraducibile. Le Mans ’66 – La grande sfida, titolo per il mercato europeo in sostituzione dell’originale Ford v. Ferrari, è uno di questi… e del titolo italiano ne riparliamo alla fine. Sembra strano che un film del 2019 possa insegnare ancora qualcosa ai doppiaggi del passato (più precisamente dovrei parlare di adattamenti del passato) eppure è così. Infatti, i dialoghi di Le Mans ’66 presentano due delle più classiche sfide del doppiaggio: la prima è la presenza di qualcuno che chiede di “parlare inglese” per chiarezza. Ok, questa forse non è una grandissima sfida ma sicuramente un argomento che piace molto agli appassionati (per qualche strana ragione). La seconda è la presenza di personaggi che parlano italiano e le loro parole vengono tradotte da un interprete. Questo sì cruccio di molti, moltissimi doppiaggi, e che qui viene affrontato come si deve.

Insomma è un articolo di apprezzamento.

 

La mia lingua la sai parlare? “Parlare inglese” per “parlare chiaro”.

Il pubblico italiano ha una strana passione per i dialoghi in lingua inglese dove qualcuno chiede di “parlare in inglese”, che nella gran parte dei casi è sinonimo di “parlare chiaro”. Celebre il caso di Pulp Fiction del 1994 (o meglio, l’unico caso che conosce il pubblico) dove la domanda-tormentone di Samuel Jackson, “English, motherfucker, do you speak it?” nella versione doppiata diventa “la mia lingua, figlio di puttana, tu la sai parlare?“, perché ovviamente avrebbe avuto poco senso fargli chiedere se parlasse inglese in un film doppiato in italiano o, ancora peggio, se parlasse l’italiano! Sebbene io non ritenga che sia poi questa grande sfida linguistica degna di essere citata in continuazione, è certamente uno di quei casi che sentirete nominare un po’ ovunque, su Facebook, nei forum… ovunque! Tra poco ne parla anche mia nonna.
Indubbiamente quello del “parli la mia lingua?” è un ottimo stratagemma di adattamento che non traduce alla lettera pur portando essenzialmente lo stesso significato, eppure sono quasi certo che non sarà stato un caso così speciale per Francesco Vairano (dialoghista di Pulp Fiction), già abituato a creare dialoghi naturali e degni adattamenti.

Doc lo spiega “in inglese”

Il “problema” del tradurre frasi del tipo “do you speak English?” non è certo nuovo nel panorama del doppiaggio e Pulp Fiction non è certamente l’unico caso in cui, davanti ad una frase simile, si è dovuti ricorrere ad uno stratagemma per trasformarla in una battuta sensata nella sua versione doppiata. Per rimanere su film noti al grande pubblico, in Ritorno al futuro – parte II (1989, direzione e dialoghi di Manlio De Angelis), la spiegazione del dottor Brown sulle linee temporali alternative porta il protagonista Marty ad esclamare “English, Doc!“, che in italiano diventa un altrettanto divertente “che lingua è, Doc?!“.

Eppure non si può proprio dire che in tutti i casi della storia del doppiaggio sia stato trovato uno stratagemma efficace, o sensato. È il caso, ad esempio, della miniserie in due puntate It, del 1990 ma arrivata in Italia nel 1993, quindi solo un anno prima di Pulp Fiction. In questa troviamo una battuta simile che però è stata tradotta in modo inatteso:

It (1990), dialogo originale doppiaggio italiano
That’s not empirically possible.
In English: ain’t no such thing.
Queste cose sono empiricamente impossibili.
Tradotto in italiano: non esistono.

 

Ehm, e che lingua starebbero parlando? La prima regola del doppiaggio di prodotti simili dovrebbe essere quella di non sottolineare che i protagonisti americani stiano parlando in italiano. Questa battuta in It infrange l’illusione del doppiaggio ed è a suo modo un abbattimento della proverbiale quarta parete, come se l’attrice avesse ammiccato agli spettatori.

Vendimi un corso di inglese.

Entrambi i doppiaggi, (sia quello di It sia quello di Pulp Fiction) sono della Gruppo Trenta ma con persone diverse ai dialoghi e alla direzione. Casi come quello di It ci insegnano che niente è mai da dare per scontato, quindi consentitemi un piccolo elogio a Le Mans ’66 dove un “You wanna run that by me in English?” (traducibile come: vuoi provare a ripetermelo in inglese?) è stato adattato come si deve.
All’inizio del film, infatti, vediamo un meccanico Ken Miles (Christian Bale) spiegare ad un suo cliente che l’automobile da corsa che ha comprato non ha niente che non vada.

– L’auto non ha niente, è il modo in cui la guida.

– Il modo in cui la guido?

– Troppo carburante e scintille non sufficienti. Questo la ingolfa.

E tradotto che cosa significa?

Quanto sarebbe stata sbagliata una traduzione alla lettera tipo “vuoi provare a ripetermelo in inglese?” oppure quella ancora meno sensata alla It: “tradotto in italiano cosa significa?“. Per i professionisti del settore potrebbe sembrare una banalità eppure il mondo doppiaggio non è nuovo a errori simili e quindi una sua versione sensata non è proprio da dare per scontata. Le Mans ’66, dialogato da Massimo Giuliani, lo adatta come si deve.

I don’t speak Italian, but he ain’t happy.

Mi sbaglierò ma non mi sembra per niente contento.

Noi invece siamo contentissimi di questo adattamento.

 

Tradurre l’intraducibile: gli interpreti italiani nei film doppiati

Nel film in lingua originale abbiamo scene in cui attori italiani parlano italiano. Sono quelli dell’azienda Ferrari che, all’inizio del film, viene visitata dai lacchè della Ford interessata ad acquistarla, approfittando del suo imminente fallimento. Questa situazione porta ad una conversazione tra il signor Ferrari e i dipendenti della Ford, una conversazione che viene ovviamente tradotta grazie ad un’interprete lì presente. Questo genere di scene sono da sempre le più difficili da trasporre nel doppiaggio di un film.

Infatti, in decenni passati, situazioni simili hanno portato a soluzioni a volte insensate, spesso forzate. Nel 2009 abbiamo avuto i soldati americani in Bastardi senza gloria che, dal parlare un italiano standard nel doppiaggio italiano, si mettono a parlare in dialetti del sud quando i loro personaggi si improvvisano “italiani” in una scena che rasenta l’assurdo e che è stata già discussa nel mio articolo “Traduttori senza gloria”. Se andiamo indietro nel tempo troviamo difficoltà simili anche negli anni ’70, quando Al Pacino nel film Il padrino (1972) si ritrova in una Sicilia dove tutti parlano in italiano con accento del sud mentre il suo inglese rimane doppiato in un italiano standard e lo spettatore italiano riesce a comprendere entrambi, quindi a maggior ragione risultano forzati i momenti in cui l’italiano standard di Al Pacino viene “tradotto” da un interprete che semplicemente ripete gli stessi concetti in un “siciliano” comunque comprensibile, anzi semplificandoli.

Dirigente marketing Lee Iacocca della Ford incontra Enzo Ferrari

Nella versione italiana di Le Mans ’66 – La grande sfida viene fatta l’unica cosa veramente sensata, nella scena con l’interprete i dialoghi vengono cambiati e, invece di avere qualcuno che traduce per il signor Enzo Ferrari (e l’insensatezza che questa scelta si porterebbe dietro), il personaggio dell’interprete viene trasformato in quella che potrebbe essere una consulente legale di Ferrari, o forse una sua assistente, e le sue battute aggiungono nuovi contenuti pur non alterando il succo della scena. Non solo, si sfrutta anche il labiale silenzioso dell’interprete della Ford per poter realizzare un botta e risposta realistico, evitando così situazioni assurde viste in film come Il Padrino.

Vediamo i dialoghi a confronto, tra quelli del film in lingua originale e quelli del film doppiato. Nella colonna dedicata ai dialoghi del doppiaggio italiano userò la definizione di “assistente di Ferrari” e poi più brevemente di “assistente”, al posto di “interprete” che invece è la definizione che userò nella colonna dei dialoghi originali, visto che il personaggio a tutti gli effetti cambia di ruolo nella versione nostrana. In un colore diverso sono evidenziate quelle battute che risultano alterate in maniera sostanziale per rendere questa scena sensata a chi lo guarda in italiano.

dialoghi originali
doppiaggio italiano
E questo è il dipartimento delle macchine da corsa. The racing department.

_______________

Iacocca: This merger between our companies will form two entities.

Interprete: Questa fusione tra le nostre aziende formerà due entità.

Iacocca: Ford-Ferrari. 90% owned by Ford who controls all production.

Interprete: Ford-Ferrari, al 90% proprietà di Ford che controllerà l’intera produzione.

Iacocca: Secondly, Ferrari-Ford, the race team. 90% owned by Ferrari.

Interprete: Secondariamente, Ferrari-Ford, la squadra di gara al 90% di proprietà di Ferrari.

Iacocca: In order to secure this Ford will pay the sum…

 

Interprete: Per assicurarsela Ford pagherà la somma di…

Iacocca: Dieci milioni di dollari.

Ferrari: Avrò bisogno di un po’ di tempo per leggere.

Interprete: He will need some time to read this.

Iacocca: Please.

_______________

Ferrari: Signori, ho solo una piccola domanda riguardo al mio programma delle corse.

Interprete: Only one small question. It concerns my race program.

Ferrari: Se io voglio correre a Le Mans e voi non volete che io corra a Le Mans, io ci vado o non ci vado.

Assistente di Iacocca: If I wish to race Le Mans and you do not wish for me to race Le Mans, do we or do we not go?

 

Iacocca: In that unlikely scenario, if we just can’t agree, then, yes. I mean, no. You are correct. You do not go.

Interprete: In quel caso se non doves-…

Ferrari: Grazie, ho capito.
La mia dignità di costruttore, di uomo, di italiano, è profondamente offesa dalla vostra proposta.

Traduttore: My integrity as a constructor, as a man, as an Italian is deeply insulted by your proposal.

Ferrari: Tornatevene in Michigan.

Traduttore: Go back to Michigan.

 

Ferrari: Tornate alla vostra grossa, brutta fabbrica.

Traduttore: Back to your big ugly factory.

Ferrari: A costruire le vostre brutte e insignificanti macchine.

Traduttore: Back to your big ugly factory, making its ugly little cars.

Ferrari: E dite a quel porco del vostro padrone che i suoi arroganti dirigenti sono solo una massa di figli di puttana da quattro soldi.

Traduttore: Tell your pig-headed boss that all his smug executives are worthless sons of whores.

Ferrari: Tell him he’s not Henry Ford. He is Henry Ford II.

E questo è il dipartmento delle macchine da corsa. Il nostro orgoglio.

_______________

Iacocca (che parla per Ford): La nostra proposta, come vedrà, è chiara e dettagliata.

Assistente di Ferrari: Si parla di una fusione tra le aziende che formerebbe due entità.

Iacocca: Ford-Ferrari. Il 90% delle azioni alla Ford che controllerà la catena di montaggio.

Assistente: Nel contratto è specificato che la prima entità sarebbe destinata solo allo sviluppo e alla produzione.

Iacocca: La seconda, Ferrari-Ford la squadra corse, al 90% della Ferrari.

Assistente: Sì, la seconda entità è a maggioranza Ferrari che gestirebbe la squadra corse autonomamente da Maranello.

Iacocca: Per chiudere questa operazione, Ford pagherà una somma importante.

Assistente: Sulla bozza di contratto non era ancora quantificata la cifra.

Iacocca: Dieci milioni di dollari.

Ferrari: Avrò bisogno di un po’ di tempo per leggere.

Assistente: Beh, credo che non avrete problemi ad accettare.

Iacocca: Prego.

_______________

Ferrari: Signori, ho solo una piccola domanda riguardo al mio programma delle corse.

Assistente di Iacocca: Se è solo sulle corse vuol dire che tutto il resto va bene.

Ferrari: Se io voglio correre a Le Mans e voi non volete che io corra a Le Mans, io ci vado o non ci vado.

Assistente di Iacocca: Non lo so… l’obiettivo di Le Mans è assolutamente fondamentale per il signor Ford. Non credo sia possibile dargli il via libera.

Iacocca: Ascolti. Nel caso di uno sgradevole scenario, se non riuscissimo a metterci d’accordo, allora sì. Voglio dire, no. Ha detto bene lei, voi non ci andate.

Assistente: Loro non vorrebbero che…

Ferrari: Grazie, ho capito.
La mia dignità di costruttore, di uomo, di italiano, è profondamente offesa dalla vostra proposta.

Assistente di Iacocca: Onestamente siamo sorpresi, non ci sembrava che la nostra proposta potesse suonare offensiva.

Ferrari: Tornatevene in Michigan.

Colletto bianco Ford ad un collega: Sta diventando sgradevole.

Ferrari: Tornate alla vostra grossa, brutta fabbrica.

Assistente di Iacocca: evitiamo di rispondergli.

Ferrari: A costruire le vostre brutte e insignificanti macchine.

Assistente di Iacocca: non cadiamo nella provocazione, dammi retta.

Ferrari: E dite a quel porco del vostro padrone che i suoi arroganti dirigenti sono solo una massa di figli di puttana da quattro soldi.

Assistente di Iacocca: noi le abbiamo semplicemente portato una proposta. Non penso che siano insulti meritati. Riferiremo al signor Ford.

Ferrari: E ditegli che lui non è Henry Ford. È Henry Ford secondo.

Come è possibile notare, nessuno ha tirato fuori improbabili scene dialettali, cambi di nazionalità (impossibili visto che si parla dell’italianissima Ferrari) né persone che ripetono gli stessi concetti una seconda volta solo perché non si sapeva che cosa far dire all’interprete che parla italiano nella versione doppiata. La scelta di Massimo Giuliani è stata elegante, una boccata di aria fresca dopo decenni di forzature e insensatezze. Aiutato dalle dinamiche (fisiche, di gesti e di sguardi) tra interprete e persona tradotta (che ben si adattano a quelle che intercorrono tra un consigliere fidato e la persona consigliata), aiutato anche da qualche frase detta da persone non inquadrate e da altre frasi che in originale sono solo bisbigliate e non udibili allo spettatore, il direttore di doppiaggio di Le Mans ’66 è riuscito a dare sensatezza e soprattutto naturalezza ad una scena altrimenti quasi impossibile da adattare in italiano. Complimenti.

 

Sviste minori

Non sarei io se non trovassi qualcosa. Facciamoci un giro tra le osservazioni lessicali per cui questo blog è noto, vi va?

Si parte

 

“Pops” e paparini

Nell’introduzione al personaggio di Carroll Shelby (Matt Damon) e al suo collaboratore abbiamo questa battuta di Damon:

(originale) Early bird gets the worm, Pops.

(doppiaggio) Chi dorme non piglia pesci, Pops.

Il problema non sta nel “pigliare pesci” ovviamente, il detto sull’uccellino mattiniero che cattura i vermi è essenzialmente l’equivalente del nostro “chi dorme…”, come evidenziato anche dalla linguista Licia Corbolante nel suo blog Terminologia etc…

In inglese non è mattiniera solo l’allodola ma anche l’early bird, la persona che arriva o inizia a fare qualcosa molto per tempo, prima di tutti gli altri.
The early bird catches the worm è un modo di dire simile a chi prima arriva meglio alloggia o, da un’altra prospettiva, è anche paragonabile a chi dorme non piglia pesci.

La colazione dei campioni

Il problemino invece è su quel “Pops” che in inglese è un modo informale per chiamare il proprio padre o, come in questo caso, per chiamare a scherzo (con affetto o scherno) una persona più anziana, ed è certamente trasformabile in papà, a volte lo si è anche sentito tradotto come paparino, solitamente viene fuori proprio in frasi ironiche dove si parla del “proprio vecchio” (altra definizione sentita in vari doppiaggi di film americani). In italiano “Pops” non vuol dire niente, lo troviamo nei Coco Pops (dove il “pop” è l’onomatopea dello scoppiettio, cioè il rumore tipico di quei cereali nel latte) e a qualcuno ricorderà quello delle classifiche “Top of the Pops”, dall’omonimo programma televisivo britannico con le canzoni più popolari del momento, poi anche importato dalla Rai nel 2000. Posso capire che il labiale di quella scena non lasciasse molto spazio, ma dire “Pops” in un copione in italiano è una di quelle cose che, non cogliendola al volo, sfuggirà a molti. Qualcuno penserà possa essere un nome di persona o un suo abbreviativo.

Torna anche successivamente quando Matt Damon dice “Pops, incorniciala.” e così lo chiama anche Christian Bale (“fammi ripartire, Pops!”). A questo punto Pops sembra proprio il nome del personaggio, difficile intuire che si tratti del nomignolo di un collaboratore che è quasi un membro di famiglia. Per molti spettatori italiani sarà il “signor Pops” o forse l’abbreviativo di un qualche nome a noi ignoto. Popeye? Poppo? Popovich? Si tratta dell’ingegnere capo Phil Remington, collaboratore di lunga data di Shelby (Matt Damon).

È sempre Matt Damon che tira fuori questo Pops anche in un altro contesto, durante il discorso pubblico per la Ford:

When I was 10 years old, my Pops said…

Che in italiano diventa

Quando avevo 10 anni, Papà mi disse…

La presenza di un Pops tradotto correttamente come papà fa intuire che la scelta di lasciare “Pops” nelle battute viste in precedenza sia stata deliberata e avrà avuto i suoi motivi, ma come fa il pubblico italiano a capire che “Pops” e “papà” sono equivalenti quando lo stesso film doppiato li tratta differentemente? Potreste pensare che sia un nomignolo lasciato in inglese per accuratezza storica e invece la figlia di Phil Remington specifica che nessuno lo ha mai chiamato così (anche se possiamo ammettere che il direttore di doppiaggio questo non lo poteva sapere):

Benché onorata di vedere suo padre in un ruolo così prominente nel film, la figlia [di Phil Remington], Kati Blackledge, non ha potuto fare a meno di notare di come egli sia stato rappresentato diversamente da com’era realmente. Remington – sempre chiamato “Rem” da colleghi e amici – era sulla quarantina d’anni quando Ford partecipò a Le Mans e non ha mai avuto la barba in vita sua, tantomeno i baffi. Nel film, McKinnon interpreta un Remington molto più anziano e con i baffi, che risponde sia al nome di “Phil” che di “Pops”. “Mia madre era l’unica a chiamarlo Phil, e ricordo di aver riso la prima volta che lo hanno chiamato ‘Pops’ nel film” – dice la Blackledge. – “Potevo sentire la voce di papà nella mia testa che diceva ‘You calling me Pops?! I’ll give you a pop!’ [Traduzione di Evit: ‘Se mi chiami papà ti do una papagna‘], alzava gli occhi al cielo e si allontanava. Era davvero divertente e aveva sempre un ghigno da sfottitore stampato in faccia.

da ‘Motorsports HoF takes a bow in ‘Ford v Ferrari’’ su Racer.com
(traduzione di Evit)

Insomma “Pops”, per quanto non storicamente accurato, anzi, proprio in virtù di questo, poteva rimanere “papà”. La scena introduttiva non lascia dubbi sul fatto che non si tratti letteralmente del padre di Shelby.

Papà Evit che vi spiega le cose

Contaminazioni linguistiche: absolutely tradotto come assolutamente

Tanto per essere chiari, siamo al verde?

Assolutamente.

In inglese la risposta “absolutely!” corrisponde al nostro “assolutamente sì“, quindi un sì deciso e inequivocabile. In italiano un “assolutamente” senza altre aggiunte è più ambiguo perché è un rafforzativo neutro, quindi richiederebbe l’aggiunta di un “sì” o “no” finale  perché, senza uno di questi, non solo rimane ambigua come risposta ma in alcuni casi potrebbe essere facilmente intesa come una risposta decisamente negativa, un “no” categorico, come riassunto dall’Accademia della Crusca nella pagina su l’uso di assolutamente dove viene riportato che nel 2003, il Sabatini Coletti. Dizionario della lingua italiana spiegava così l’uso del solo avverbio come risposta:

Per ellissi della negazione [“assolutamente”] ha acquistato anche il significato di “no”, “per niente”, specialmente nelle risposte: “Sei stanco?” “Assolutamente”». Sembra quindi che, almeno in alcune zone d’Italia, l’avverbio abbia subito una deviazione di significato simile a quella che ha colpito affatto, che originariamente ha il significato di ‘del tutto’ ma viene spesso impiegato con valore negativo, in luogo di niente affatto.

Passano gli anni e sempre più l’italiano viene “contaminato” dall’inglese ma già nel 1989 in Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria della UTET, veniva fatto notare come l’uso di assolutamente in senso positivo potrebbe risentire dell’influsso dell’inglese (absolutely). Un uso certamente andato ad aumentare nell’ultimo decennio, per quanto La Crusca concludeva la questione semplicemente consigliando di usare assolutamente “sempre in unione con sì o no”.

Certamente, in un testo recitato (e non solo scritto) ci si può permettere di far dire al doppiatore la parola “assolutamente” in modo che si capisca se la risposta è positiva o negativa ma, così come La Crusca, anche io avrei consigliato di accompagnare quel “assolutamente” con un “sì”, soprattutto visto che il labiale in questa scena non lo precludeva. Dopo “absolutely”, infatti, la bocca rimaneva aperta e un “sì” ci poteva stare tranquillamente. Per quanto mi riguarda, “assolutamente” senza un “sì” o un “no”, rimane in gran parte dei casi una traduzione influenzata dall’inglese e da evitare se possibile nei film doppiati, ancora di più nella letteratura.

Per fortuna sono i dialoghi originali stessi a portare subito chiarezza, la frase successiva è: as in “totally?” tradotto correttamente con: nel senso di “totalmente”?.

– Vuole che rallenti?
– Assolutamente.
– Assolutamente sì o assolutamente no?

 

Sformati di maiale, maledette guerre, beatnik e altre piccole cose

Pork pies tradotto come “sformati di maiale” è la prima volta che lo sento dire, rispetto al più comune “pasticcio di (carne di) maiale”, e da non confondere con il cappello pork-pie che prende il nome dalla forma del pasticcio di carne di maiale. Niente labiale in questa scena, non capisco perché si sia puntato per  questo inusuale”sformato di maiale”. A ben pensare, un qualsiasi “pasticcio di carne” sarebbe stato sufficiente, perché specificare di maiale in una battuta detta di spalle? Non un delitto, solo una scelta curiosa.

“Una” maledetta guerra diventa “quella” maledetta guerra (“Because you fought in a bloody war!” ⇒ “perché hai combattuto in quella maledetta guerra!“). Sembra una cosa da niente presa fuori contesto ma cambia il significato implicito della frase, sembra infatti che la moglie ce l’abbia con quella guerra in particolare (la seconda guerra mondiale) ma non è lo stesso effetto che dà la frase originale.
Il contesto, in breve, è il seguente: Ken Miles (Christian Bale), avendo ormai 45 anni, si lamenta di aver iniziato troppo tardi la sua carriera da pilota e quindi non diventerà mai un professionista, la moglie invece sottolinea il vero motivo con la frase “Because you fought in a bloody war!“, che tradurrò come “(è) perché eri in guerra, dannazione!”. Entrambi i personaggi sono britannici, usano “bloody” come gli americani usano “fucking”, un’imprecazione. [NdA: Quel “bloody” in bocca ad un britannico infatti non vuol dire letteralmente “sanguinosa”, come qualcuno ingenuamente potrebbe credere.]
Ma l’imprecazione “bloody war” non è rivolta alla guerra in sé, la moglie non sta maledicendo la seconda guerra mondiale né la partecipazione del marito come soldato, usa “bloody” per sottolinare in maniera forte la parola “guerra” come legittima giustificazione per una carriera iniziata tardivamente. Per riportare correttamente il significato e il senso della battuta, l’imprecazione (dannazione, maledizione… quella che preferite) sarebbe dovuta arrivare alla fine della frase. Capirete infatti che dire “perché sei stato in una maledetta guerra” oppure dire “perché sei stato in guerra, maledizione!” non siano proprio la stessa cosa.
Tra parentesi, ammettendo pure che tutte le guerre siano brutte, un cittadino britannico non definirebbe mai la Seconda guerra mondiale come una “maledetta guerra” perché nella loro ottica è stata una guerra di difesa dall’invasione nazista, ben differente da guerre americane come quella del Vietnam che spesso abbiamo sentito definite come “maledette”.

Vi torna tutto fin qui?

“Good to see you.” (è bello rivederti) diventa “Quanto tempo!” anche se i due personaggi (quello di Matt Damon e il figlio del pilota) si erano visti solo pochi giorni prima. Forse era il personaggio di Matt Damon che voleva essere simpatico con una battuta, ma tale comicità non è presente nell’originale e lo spettatore più disattento potrebbe essere portato a pensare che sia passato effettivamente tanto tempo dall’ultimo incontro. È comunque un momento simpatico, fedele al personaggio, quindi anche qui nessun grave delitto.

“Senior creatives” (i dirigenti del settore marketing) diventano “i creativi della vecchia guardia” e quanto cavolo mi piace questa traduzione! Nel film è esattamente ciò che sono, la vecchia guardia del reparto marketing della Ford che mal vedono i più giovani con idee nuove (e odiano i beatnik) e gli mettono i bastoni tra le ruote. Le dinamiche dello scontro tra i colletti bianchi e i colletti blu, che poi sono il fulcro e la parte migliore del film, sono meglio riassunte da Cassidy del blog amico La bara volante nella sua recensione del film.

Shelby (Matt Damon) difende la scelta del pilota Miles (Christian Bale) che non è ben visto dai dirigenti bacchettoni della Ford: “un beatnik? Quell’uomo è sbarcato con un carro armato sulla spiaggia al D-Day e lo ha portato fino a Berlino“. So che non c’era spazio per inserirci ulteriori parole ma in originale non aveva semplicemente portato un “carro armato” (tank) dalla spiaggia in Normandia fino a Berlino, bensì un “busted tank“, ovvero un carro armato già “rotto” alla partenza, il che attesta ulteriormente la sua capacità di meccanico oltre che di pilota, ma quella battuta serviva a far capire ai colletti bianchi della Ford che il personaggio di Christian Bale non fosse per niente un beatnik, quindi niente di sbagliato nell’abbandonare questo dettaglio per farci entrare il resto della frase. Purtroppo certe parole in italiano sono necessariamente più lunghe (tank = carro armato) e riducono i tempi utili delle battute.

Nella lista delle cose che sono andate storte con la prima gara viene detto “E si sono rotte tante cose, in effetti le uniche cose che non si sono rotte sono i freni“. Sfugge il senso di quel “in effetti” (corretta traduzione di “in fact”), la non rottura dei freni come conseguenza logica delle tante altre rotture…? In inglese è una battuta consequenziale perché “break” come verbo (rompere) è la stessa parola usata al sostantivo plurale per i freni (breaks). La frase originale infatti è la seguente: “And a lot of stuff broke. In fact, the only thing that didn’t break was the brakes“. Non si può rendere tutto ma forse “in effetti” poteva essere sostituito da qualcosa di più appropriato o addirittura eliminato completamente. Lo so, direte e mi diranno “ma il labiale etc etc…”. Parafrasando Mark Twain: le preoccupazioni sul labiale, per quanto lecite, sono decisamente esagerate.

 

Perché Ford v. Ferrari arriva in Italia come Le Mans ’66 – La grande sfida?

Titoli e locandine a confronto

È necessario specificare che l’Italia non è l’unico paese in cui il filmFord v. Ferrari” è arrivato con il titolo “Le Mans ’66. La Fox ha distribuito questo film come “Le Mans ’66” praticamente in tutti i paesi europei (con o senza l’aggiunta di un sottotitolo), incluso il Regno Unito, mentre è rimasto Ford v. Ferrari per Stati Uniti, Canada (sia nel titolo in francese che in quello inglese), Australia, Brasile, India, Israele, Nuova Zelanda, Russia, Vietnam. Nei paesi di lingua spagnola del Sud America arriva invece come Contra lo imposible.
Nonostante abbia etichettato questo articolo nella mia rubrica “titoli italioti“, è chiaro che non si tratta di una scelta limitata alla distribuzione italiana, né di una scelta della divisione italiana della Fox, ma di una precisa scelta di marketing presa a più alti livelli della 20th Century. Quella del sottotitolo invece, “la grande sfida”, può effettivamente essere una scelta della divisione italiana della Fox e la ritroviamo anche nella titolazione di altri paesi dove ritorna spesso l’idea di un duello o di una sfida. Per quanto possa personalmente piacere o non piacere, è chiaro che non si tratta della solita titolazione “a caso”, che invece abbiamo visto tante altre volte per il mercato italiano.

Le motivazioni della Fox per questo cambio di titolo per il mercato europeo non sono state rese note ufficialmente, ma questo limite geografico, così specifico, può farci immaginare il motivo. Il sito Screenrant la mette così:

Considerando che la 24 ore di Le Mans si svolge in Francia ed è una gara immensamente popolare in Europa, ha senso che il film prenda il nome da un evento che gli europei – inclusi quelli che non sono appassionati delle corse automobilistiche – possano in qualche modo riconoscere.

Pur non essendo in alcun modo appassionato di motori, anche un ignorante come me ha sentito parlare di “Le Mans”, l’idea di una versione europea del titolo è dunque un cambiamento più che comprensibile ma chi ha visto il film potrà concordare con l’autore di quello stesso articolo quando nel paragrafo successivo indica il titolo di Le Mans ’66 in qualche modo fuorviante, in quanto mette l’attenzione sulla gara (che è sì rappresentata nella porzione finale del film) invece che su quello che è il vero soggetto e motore della storia, ovvero la sfida quasi impossibile della Ford nel costruire un’auto da corsa che potesse competere con la Ferrari, e le persone che vi hanno contribuito. Non è Rush di Ron Howard, tanto per intenderci.

Un sito americano dedicato all’industria automobilistica riporta le perplessità sulla scelta del titolo “Le Mans ’66” per il mercato britannico e riassume brevemente altri possibili motivi del cambiamento di titolo per il mercato europeo, tutte ipotesi in attesa di una spiegazione ufficiale che forse non arriverà mai.

Non riesco a trovare nulla che indichi il motivo per cui il titolo sia stato modificato per l’uscita britannica. Forse per qualche problema di copyright. Forse il titolo “Ford batte Ferrari” è a un tale livello di orgoglio americano che la 20th Century Fox avrà pensato non avrebbe risuonato altrettanto bene con il pubblico britannico. O forse qualcuno da quelle parti [nel Regno Unito] avrà pensato potesse sembrare il titolo di film in cui la Ford fa causa alla Ferrari, e ha deciso che era stupido, proprio come Batman V Superman era stupido.

da ‘Weirdly Ford V Ferrari is called Le Mans ’66 in the UK’ su Jalopnik.com
(traduzione di Evit)

Il problema del titolo italiano (e in generale europeo) è che potrebbe dare delle false aspettative. Personalmente non ho trovato di alcuna attrattiva il titolo “Le Mans ’66” perché rifuggo l’argomento motori come la peste, ed è stato solo il titolo americano (oltre alla visione del trailer) a farmene invece interessare, essendo il titolo originale (Ford v Ferrari) più diretto, immediato, più rappresentativo e più appetibile anche ai non appassionati: una sfida tra marchi noti dove è implicito che sia la Ford a dover faticare per sfidare Ferrari. Chiarissimo.
A prescindere dai miei interessi personali, nominare Le Mans ’66 fa pensare invece soltanto ad una sfida in pista alla famosa (per me solo di nome) gara automobilistica di Le Mans, argomento di interesse più limitato per un pubblico generalista.

 

L’adattamento Le Mans ’66 – La grande sfida ha vinto la gara?

Come è possibile intuire dall’oggetto delle mie “lamentele”, marginali e di poca importanza, il copione di Le Mans ’66 non è adattato bene, è adattato benissimo! E per quanto ne capisca io di automobili, lo è anche nelle parti più tecniche dei dialoghi. Dopotutto nei titoli di coda è citata la consulenza tecnica di un ingegner Ireneo Germani. La traduzione messa a confronto con il copione in inglese attesta la competenza con la quale è stato tradotto, non ci sono mai inglesismi superflui né parole che stonerebbero in un film ambientato negli anni ’60 (team player, pork pie, termini del marketing etc… sono stati tutti adattati, e neppure “sandwich” è rimasto in inglese sebbene avrebbe potuto) e i dialoghi non soffrono di traduzioni troppo dirette (“finer than frog fur“, ad esempio non è diventato “più fine del pelo di rana” ma “più prezioso di una perla rara”) e denotano una comprensione tutto sommato profonda del testo originale.

Se un lavoro simile poteva non essere degno di nota in un’epoca diversa, nel 2019, cioè nello stesso anno di altri film doppiati con dialoghi che inciampano nella comprensione e quindi della traduzione delle frasi più semplici, oppure le forzano al punto da essere anacronistiche o innaturali, questo lavoro su Le Mans ’66 diventa qualcosa da sottolineare e da applaudire.

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