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Giustizia a tutti i costi (1991) – Il Seagal da evitare a tutti i costi

Locandina italiana di Giustizia a tutti i costi

Se oggi cercate il nome di Steven Seagal su Google vi comparirà questa descrizione: Rappresentante speciale per le relazioni umanitarie tra Russia e Stati Uniti. Neanche Google lo identifica più come attore, né come artista marziale, né musicista (sì, è stato tutte e tre queste cose), ma nel 1991 era un nome che ancora portava gente al cinema quindi alla Warner sopportavano tutte le sue smanie da divo, come ad esempio mettersi a piangere per una lampadina fulminata nella sua roulotte (curiosità trovata su IMDb e a cui credo ciecamente, mi sembra proprio il tipo).

Lo screenshot sennò non ci credete

Giustizia a tutti i costi sarà forse ricordato più per i suoi retroscena, tipo Seagal che vantava di essere immune allo strangolamento grazie al suo addestramento in aikido e sentita questa leggenda che Seagal andava raccontando in giro, lo stuntman Gene LeBell gli propose di metterla alla prova. Seagal da vero gallo accettò e finì per svenire cagandosi e pisciandosi addosso davanti a trenta persone. A volte la vita da stuntman regala soddisfazioni.

Con un nuovo nome scemo, quello di Gino Felino, Seagal torna a spacciarsi per poliziotto italoamericano con una pessima imitazione dell’accento di Brooklyn (tranquilli, col doppiaggio ve lo risparmiate). Il cast di contorno è composto da tanti volti noti, più decenti di quanto meritasse il peggior film anni ’90 di Seagal (opinione personale).

Questo è il film che negli anni ’90 faceva vacillare ogni certezza anche a un fan di Seagal come me. Quello che mi faceva domandare “perché mi piace Seagal esattamente?”. Poi mi riguardavo il successivo Trappola in alto mare e mi tornava in mente. Ho posseduto Giustizia a tutti i costi in VHS solo per completare la collezione ma era tra quelli da non rivedere mai. Infatti ho spezzato questo mio voto quasi trentennale solo per portarvi questa recensione. Quindi adesso vi leggete il mio riassunto delle avventure del detective Gino Felino (non c’è niente da fare, farà sempre ridere questo nome).

La trama di Giustizia a tutti i costi

Il film inizia con Seagal che manda a monte un’operazione di polizia volta a impedire un colpo “da 3 milioni di dollari” (in italiano “per una faccenda molto più importante”) solo perché non sopportava la vista di un pappone che menava una prostituta in strada. Salva la donna e infila la testa del pappone nel parabrezza di un’automobile. Ordinaria amministrazione seagalesca insomma.

La cosa non ha conseguenze, non lo cacciano dalla polizia, non lo rimproverano, niente. Serviva solo a farci capire che è un buono, altrimenti sentendo quello che seguirà nella trama potreste pensare che Seagal interpreti l’antagonista piuttosto.

Piccola nota prima di proseguire con la trama: solo io trovo involontariamente comica l’introduzione di Seagal? Dopo aver fatto volare il pappone attraverso un parabrezza, arriva un fermo immagine della sua faccia ed è qui che compare il nome enorme accompagnato dalla colonna sonora che praticamente gli fa “zan-zan!”.

Ma a quanto pare Seagal ha personalmente approvato la colonna sonora del film, quindi dev’essere un uomo con una dose di autoironia.

Il giorno stesso, un mafiosetto scoppiato, Richie Madano (William Forsythe), con la sua micro-banda di balordi, fa fuori Bobby Lupo, collega del detective Gino Felino. Immagino con quale serietà abbiano scelto tutti questi cognomi italo-americani. Felino poi è un cognome così raro che non pensavo nemmeno esistesse (se vi chiamate Felino vi chiedo scusa), probabilmente l’ha scelto Seagal, dizionario di italiano alla mano, pensando che fosse un cognome “cool”, perché Seagal è agile e svelto, come un gatto, uhh! No. Ti sei solo inventato un nome scemo e la rima in -ino aumenta solo questo effetto. Diciamo che anche esistendo il cognome Felino [alcune tracce in Puglia mi dicono], nessuno che conosce la cultura italiana lo avrebbe usato come nome “fico” per il protagonista di un film. Ancora una volta, mi scusino i Felino d’Italia, ma se vi chiamate anche Gino i vostri genitori non vi volevano tanto bene.

L’assassinio del collega di Gino Felino è l’evento che mette in moto il film. Seagal richiamato all’appello si presenta sulla scena del crimine con un berretto militare da mitomane e una vestaglia nera (tattica?) senza maniche. La polizia di Brooklyn opera così.

Professione: mitomane

Seagal a questo punto passa i prossimi quaranta minuti andando in giro a dire a tutti “io lo uccido”. Al suo capo dice che avrebbe ucciso Richie e chiede un’auto in borghese e un fucile a pompa. Con la nuova auto va fino al ristorante del capo dei capi, tale Don Vittorio, o Don Vito, a seconda della lingua in cui lo vedete, per dirgli “io lo uccido”. Poi va a casa dei genitori di Richie per dire “io lo uccido”. Poi va dal fratello di Richie e gli dice “lo troverò e gli piscerò in bocca”, giusto per non annoiare lo spettatore con la stessa battuta. Poi va dalla sorella, la offende in tutti i modi possibili e immaginabili per sapere dove si trova Richie promettendo che lo avrebbe ucciso. E io ancora mi sto chiedendo perché ce ne dovrebbe fregare qualcosa di questo Gino Felino (Seagal) accecato dalla rabbia e della sua voglia di uccidere Richie. E il film se ne rende conto perché nei primi quindici minuti gli sceneggiatori fanno piovere dal cielo (letteralmente a caso) un cucciolo di pastore tedesco che Seagal decide di adottare e portarsi dietro per tutto il resto del film. Ora sì che possiamo capire che è un buono. Nessuna persona malvagia potrebbe mai amare un pastore tedesco, giusto? Come lo chiamerà, “Blondi“? No, lo chiama “Coraggio”. Tipico nome che gli italiani danno ai loro cani.

A questo punto potrei fare QUALSIASI battuta su Seagal attore-cane!

Tra un “io lo uccido” e un altro, Seagal trova sempre del tempo da dedicare ai topoi del suo genere: lo scontro in un negozio di alimentari dopo un inseguimento in auto, il tormentare gli avventori di un bar losco, la presenza di qualcuno che gli dice che fa il bullo solo perché ha la pistola, Seagal la mette via e lo punisce fisicamente, etc…; scene già straviste a questo punto della carriera cinematografica di Seagal e sempre condite da 1/10 aikido, 9/10 di manate in faccia, pugni nelle palle e sgraziati spintoni… le tipiche seagalate insomma. Per fortuna che a breve abbandonerà il genere poliziesco per passare al genere “diehardo”, così la dose di pipponi moralistici calerà drasticamente, almeno per un paio di film.

Mamma mia che dolooore! (cit.)

Il film è tutto un girovagare alla ricerca di Richie che intanto continua a fare il prepotente per Brooklyn sapendo che la sua ora sta per arrivare. E pensare che in fase di montaggio abbiamo “perso” addirittura trenta minuti di film. Si dice che siano stati tagliati per dare meno spazio all’antagonista, William Forsythe, perché essendo un bravo attore stava facendo sfigurare Seagal. È una leggenda alla quale posso credere tranquillamente. Forse anche molte scene con il cucciolo di pastore tedesco sono state accorciate perché il cane recitava meglio del protagonista.

Se in Nico e Duro da uccidere (già recensiti) c’è ancora tanto con cui potersi divertire, Giustizia a tutti i costi è blando e triste, di arti marziali è quasi completamente a secco (pure per gli standard di Steven Seagal, il che la dice lunga!) ed è pieno di volgarità gratuite su prostitute e omosessuali (ovviamente non colpa dell’adattamento, che anzi, cerca di mitigare un po’ la situazione). Lo so che erano i primi anni ’90, ma mi è sembrato eccessivo anche per gli standard dell’epoca. Rivisitarlo oggi mi ha fatto comprendere perché non l’ho mai apprezzato neanche all’apice del mio interesse per Seagal: è un film privo di gioia. La scena più rappresentativa è forse quella del cattivo che costringe una ex-prostituta a stare con lui. Non vediamo niente di scabroso, ma le intenzioni bastano e avanzano. Trissssctezza proprio!

La trisssssctezza!

 

Il titolo: Out for Justice / Giustizia a tutti i costi

Gran parte dei titoli dei film di Seagal sono sempre stati così generici in inglese che non biasimo la distribuzione italiana per essersi inventata spesso qualcosa di completamente diverso. Da Above the Law (=al di sopra della legge) che è diventato Nico (dal nome del protagonista) a Marked for Death che è diventato Programmato per uccidere, titolo ruffianissimo che ribalta completamente il significato originale per renderlo simile al precedente successo Duro da uccidere, che tra l’altro era l’unico tradotto praticamente alla lettera (Hard to Kill). Sono film di cui ho già parlato nei precedenti articoli di questo mio “ciclo di San Seagalino“, così è stato ribattezzato nei commenti della pagina Facebook di Doppiaggi italioti dopo che per pura coincidenza pubblicai una di queste recensioni il 14 di febbraio, per San Valentino. In realtà la battuta era “Buon Seagalentino!”.
[Nota: San Seagalino sarà il protettore di mitomani e molestatori?]

Locandina cinematografica

Out for Justice (la traduzione potrebbe essere qualcosa tipo “in cerca di giustizia”) è l’ennesimo titolo generico di come li potrebbe sfornare un generatore automatico di titoli d’azione. E Giustizia a tutti i costi è un suo buon equivalente. Si dice che con “Out for Justice” la Warner abbia imposto un titolo di tre parole per imitare i precedenti film di Seagal. Si sa, a Hollywood sono molto scaramantici. Potrei sbagliarmi ma ho la sensazione che l’intenzione della Warner fosse anche quella di fare l’occhiolino ai giustizieri della notte. E non mi riferisco nello specifico ai vari capitoli de’ Il giustiziere della notte con Charles Bronson, ma anche di tutti i suoi cloni basati su un vendicatore solitario. La locandina stessa ricorda un film della Cannon appartenente a quel filone, Exterminator, con un tizio fotografato su sfondo nero. Tristissima e veramente svogliata.

Non ne avevate una migliore?

La locandina di Exterminator viene dall’articolo del blog Il Zinefilo che ha dedicato un ciclo ai (genericamente detti) giustizieri della notte. Chiaramente Exterminator non c’entra una mazza con questo film, ma in Giustizia a tutti i costi gli ammiccamenti ai giustizieri non mancano. Ad esempio, qui Seagal usa una palla da biliardo avvolta in un fazzoletto per spaccare la faccia alla gente, uno stratagemma non lontano dai dollaroni infilati nel calzino dal primo Il giustiziere della notte con Bronson. E gli dev’essere piaciuto così tanto che lo stratagemma delle palle da biliardo che lo ritroveremo in almeno un altro film del Sensei “S.S.”.

Piccola curiosità: lo slogan della locandina di Giustizia a tutti i costi viene ritradotto una seconda volta per l’uscita home video, quindi da È un poliziotto. fa un lavoro sporco… ma qualcuno deve fare pulizia. presente sulla locandina cinematografica, in VHS arriverà con lo slogan: Quello del poliziotto è un mestieraccio… ma qualcuno deve pur eliminare la spazzatura…; entrambe sono traduzioni dello stesso slogan: He’s a cop. It’s a dirty job… but somebody’s got to take out the garbage. Anche qui, le allusioni ai film sui giustizieri non mancano, ma nella sostanza non c’entra niente con quel filone. La Warner voleva solo attirare il pubblico con concetti familiari.

Io quando mi sono ricordato che mi toccava rivedere Giustizia a tutti i costi.

La versione italiana

Dopo la parentesi toninoaccollana di Programmato per uccidere dove il protagonista era doppiato da Massimo Corvo e diretto da Tonino Accolla per la sua società di doppiaggio, i film di Seagal tornano nuovamente in mano al team “storico” già visto in Nico e Duro da uccidere, cioè quello con la voce di Antonio Colonnello (per gli amici Fonzie) su Steven Seagal e Bruno Alessandro alla direzione. I dialoghi stavolta sono del veterano Mario Paolinelli (Jackie Brown, Parenti, amici e tanti guai, Caccia a Ottobre Rosso etc…) mentre i precedenti erano stati di Antonio Vecchietti. Del cast principale non posso non adorare e menzionare Luca Dal Fabbro nei panni del cattivo, Richie (William Forsythe), una scelta particolarmente indovinata. Un anno dopo avrebbe interpretato un altro criminale, Steve Buscemi nel film Le iene diventandone poi praticamente la voce ufficiale. L’intero cast è strapieno di voci note. Lascio che gli appassionati dell’argomento scoprano i nomi alla fine, nella scheda di doppiaggio che ho inserito in fondo all’articolo.

Nel forum di Antoniogena.net il doppiatore Bruno Conti è intervenuto in un thread aggiungendo informazioni non note in precedenza (e tuttora non aggiornate). È grazie a lui infatti che conosciamo l’identità del direttore del doppiaggio e sempre grazie a lui abbiamo scoperto che l’attrice italo-americana Jo Champa doppiò se stessa per l’occasione.

“La Champa venne a doppiarsi. Io facevo un delinquente nero all’inizio” (Bruno Conti)

Di sicuro qualcosa di non abituale nel panorama del doppiaggio italiano. Per Jo Champa Giustizia a tutti i costi casca tra una partecipazione in un film di Damiano Damiani e quella nel Piccolo Buddha di Bertolucci, quindi magari per puro caso si trovava a Roma e ha avuto senso assegnare a lei il doppiaggio del suo stesso personaggio? Per quanto possa sembrare sensato sulla carta, un’operazione simile è molto rara nel panorama italiano ed è certamente una curiosità di questo doppiaggio. Non sorprende che la sua interpretazione “spicchi”, purtroppo in negativo. Non tutti gli attori, per quanto bravi nel loro mestiere, si prestano bene anche al doppiaggio, abbiamo un centinaio di anni di storia del doppiaggio che lo dimostrano e questo film del 1991 ne è l’ennesima conferma.

Seagal ci va a prendere anche il gelato vestito così

Comunque, lo dico subito: la versione italiana è in tutto e per tutto migliore dell’originale, anche perché ci evita molti momenti imbarazzanti. Tra questi, Seagal che parla italiano.

Seagal che parla “italiano”

Con il doppiaggio italiano vi “perdete” le tante scene in cui Seagal parla italiano/siciliano con dei mafiosi, facendo finta di essere un italo-americano figlio di immigrati cresciuto a Brooklyn. A questo riguardo, in un’intervista a William Forsythe per AV Club, l’attore ricorda che Seagal aveva dubbi sull’accento di Forsythe, reputandolo non autentico e gli disse che avrebbe dovuto lavorarci su. Non sapeva che Forsythe è nato e cresciuto a Brooklyn e semmai era quel montato dell’Illinois Steven Seagal che avrebbe dovuto lavorare molto di più sul suo poco convincente accento “broccolino”. Per tacere poi del suo “italiano”. Anzi, non tacciamo, parliamone!

Inutile dire che Steven Seagal non è Robert De Niro. Il “siculo” che sentiamo in Giustizia a tutti i costi è la fiera dell’approssimazione con parole buttate lì, frasi che non direbbe nessuno e qualche pronuncia “alla spagnola”. Senza girarci tanto intorno, Seagal che parla italiano fa ridere. Soprattutto quando gli altri interlocutori sono chiaramente attori italo-americani che almeno la parlata dialettale dell’immigrato la sanno fare perché è la loro o è quella dei loro genitori. Basti vedere i vari cognomi nel cast (Maccone, Russo, Ciarfalio, Bongiorno, DeSando, Spataro, Corello e questi sono solo alcuni) per capire che l’unico fasullo qui è Steven Seagal e il suo trapianto di capelli.

Tutto questo ovviamente non traspare nella versione italiana dove Seagal parla con un italiano standard e i mafiosi parlano semplicemente con un’inflessione dialettale, come è lecito aspettarsi in questi casi. La rozzezza di Seagal nell’approcciarsi a un film ambientato a Brooklyn ha portato anche a un errore grossolano che ci siamo evitati nel doppiaggio italiano per fortuna: quello di Don Vittorio che viene chiamato da Seagal “Don Vito“.

Posso solo ipotizzare che sul copione ci fosse scritto Don Vitto’, ma che Seagal nato in Illinois non abbia capito che si trattava di un’abbreviazione. Con un precedente stranoto come quello di Don Vito Corleone del Padrino di Coppola, è molto probabile che Seagal abbia visto scritto DON VITTO’ e pensato che quello fosse lo spelling di “Don Vito”, senza porsi altre domande. Quindi nel film in inglese i sottotitoli riportano DON VITTORIO mentre Seagal dice DON VITO.

Ma che, forse si chiama Don Vito Vittorio? In un film dove il protagonista si chiama Gino Felino non è neanche così improbabile.

Tra slang e ‘maleparole’

Dello slang italo-americano standardizzato in italiano per il doppiaggio ci perdiamo cose come “this mamaluke” (americanizzazione di mammalucco) tradotto come “questo stronzo piedipiatti”, ma capisco che nel semplice tradurle in italiano esempi simili passerebbero dall’essere colorite offese “etniche” a offese sceme e basta. Troppo sceme per dei criminali assassini. Quando si dice adattare e non semplicemente tradurre, eh? Altre espressioni rimangono se hanno senso per i personaggi e per la situazione in cui vengono usate, come “finooks” che diventa “finocchi” che Seagal usa durante una delle sue scene di prepotenza. Come dicevo, non è un protagonista particolarmente piacevole in qualunque lingua lo guardiate. In lingua originale non mancano anche cose come “citruls” in riferimento agli scagnozzi scemi. La parola viene da “citrullo” del dialetto napoletano, ovvero “cetriolo”, una persona sciocca.

Anche questo film ha un “You understand English? Teach this guy some English.” e viene tradotto in modo simpatico: “Hai letto il vangelo? Spiegaglielo tu il vangelo” (niente “parli la mia lingua?” stavolta). E c’è anche un’altra frase classica: “I’m too old for this shit” rubata direttamente ad Arma letale e qui resa con “Mi sento troppo vecchio per questo scempio“.

Il film, non lo ripeterò mai abbastanza, è superiore all’originale sia nei dialoghi sia nel cast di doppiatori. Antonio Colonnello continua ad essere un attore migliore di Seagal (e forse la voce più adatta al suo volto in questo genere di film) e quello del dialoghista Mario Paolinelli è un copione che cambia quello che è lecito cambiare e migliora quello che è lecito migliorare. Innumerevoli sono le battute scritte meglio in italiano. È il film che purtroppo ha i suoi limiti. Ci sono alcune sfumature però che mi piacerebbe analizzare. Ad esempio il fatto che in italiano il nostro poliziotto protagonista sembri un po’ più retto di quello originale.

Fa’ le faccette, le faccette! (cit.)

Un poliziotto più retto, in italiano

Qui analizzo quelle che sono semplicemente delle sfumature.

– If one of your people gets this guy, he gets what? Seven to ten, maybe?
– Yeah, maybe, if we’re lucky.
– You know our ways, it must be dealt with by us.

– Se tu o uno dei tuoi arresta Richie, e lui quanto piglia? Da sette a dieci. Pure pure.
Magari anche venti.
– Conosci le nostre regole, dobbiamo sistemarlo noi.

Sembra una piccola cosa ma, mentre in inglese Seagal conferma l’argomentazione del mafioso (“Forse, quando ci va bene!”), dove una pena prevista dalla legge sarebbe troppo poco per punire Richie, in italiano sembra comunque una risposta da poliziotto retto che essenzialmente sostiene che magari Richie si potrebbe beccare anche molti più anni di galera e quindi sembra portare avanti la tesi del rispetto delle regole e della legge. Ovviamente non torna con il successivo “se questa volta lo trovo prima di voi, lo ammazzo io”.

In un altro caso simile, un mafioso dice al nostro detective Gino Felino “di fronte a tanti colleghi tuoi, io mi posso considerare un chierichetto” e Seagal risponde “ma che mi dici?“. Ora, questo potrebbe essere interpretato con ironia, ma io non ce ne sento abbastanza. In inglese era “ain’t it the truth“, che potrebbe essere tradotto con un semplice “quanto è vero” o “puoi dirlo forte”.

Insomma, di questo poliziotto fuori dalle regole ci ritrovo una versione italiana un po’ più “ripulita” dell’originale. Ripeto, stiamo parlando di piccole sfumature in un adattamento ottimo che non mi fa neanche sforzare a inventarmi delle gag, ci pensa il film stesso a servirmele:

“Lo sbirro scassa-tutto viene a scassare le palle, eh?”

Lo sbirro scassa-tutto viene a scassare le palle, eh?

In originale: Hey, Officer Big Shot, come to bust my balls? Traducibile come: “l’agente Pezzo-Grosso è venuto a rompermi le palle?” e possiamo facilmente immaginare un adattamento moderno di questo tipo, molto fedele all’originale, ma artefatto e privo di gioia e naturalezza. Li conoscete bene gli adattamenti così, li sentiamo letteralmente tutti i giorni e siamo praticamente abituati alla loro presenza.

Ho accennato a un alleggerimento delle volgarità ma per carità non lo scambiate per censura, come ho già detto molte volte in passato non tutte le frasi volgari in lingua inglese possono essere trasposte talis qualis in un dialogo italiano, perché l’uso della volgarità non è sempre equiparabile nelle due lingue. Questo ad esempio è un caso dove l’italiano invece le aggiunge (per motivi comici):

– E tu che ci fai qui? Non sei amico di Don Vittorio?
– C’ho tanti amici.
Passi dalla cacca alla merda. [In originale: You jump around a little bit]

All’opposto altre battute ci fanno anche il piacere di essere meno volgari, come “I can’t believe you can still eat with that mouth” (trad. Incredibile che ci riesci ancora a mangiare con quella bocca) che diventa in italiano: “A sentirti parlare sembri una monaca di clausura“. Oppure la prostituta che chiede a Seagal “you wanna fuck?” che diventa “Ehi, bello, lo facciamo un capriccio?”.

Ci sono tante belle frasi in questo copione italiano, purtroppo sprecate in un film che non consiglio di vedere assolutamente a nessuno. Ma so che ha i suoi fan, c’è chi addirittura lo considera il migliore dei suoi film. De gustibus. A vostro rischio e pericolo.

Scheda di doppiaggio di Giustizia a tutti i costi

Direttore di doppiaggio: Bruno Alessandro. [fonte Bruno Conti]

Dialoghista: Mario Paolinelli [fonte SIAE]

Società di doppiaggio: [ignota]

Il cast di doppiatori

Antonio Colonnello: Detective Gino Felino (Steven Seagal)
Luca Dal Fabbro: Richie Madano (William Forsythe)
Sergio Rossi: Capitano Ronnie Donziger (Jerry Orbach)
Jo Champa: Vicky Felino (Jo Champa)
Silvia Pepitoni: Laurie Lupo (Shareen Mitchell)
Michele Kalamera: Frankie (Sal Richards)
Paolo Buglioni: Bobby Arms (Jay Acovone)
Riccardo Rossi: Vinnie Madano (Anthony De Sando)
Franco Zucca: “Tatuato” (Sonny Hurst)
Paolo Vivio: Tony Felino (Julius Nasso Jr.)
Carlo Valli: Chas “la sedia” (Jorge Gil)
Bruno Conte: Pappone (???) [Fonte: Bruno Conte]
Paolo Lombardi: “Station Wagon Tough Guy” (Sonny Zito) [riconosciuto da Leo]

Altre voci nel film: Ambrogio Colombo, Franco Chillemi. [Fonte: Antoniogenna.net]

Al momento rimangono sconosciute le doppiatrici di Gina Gershon – link alla clip audio – (nel ruolo di Patti Madano) che su Wikipedia è erroneamente segnalata come voce di Paila Pavese (e vorrei proprio sapere chi diffonde certe panzane) e Julianna Marguiles (nel ruolo di Rica), oltre a una moltitudine di altri personaggi, ciascuno con una o poche battute, quindi di difficile identificazione.

Consigli finali

Dell’esordio anni ’90 di Seagal, questo è il suo film più fetente. Un adattamento ottimo, un cast vocale eccellente e interpretazioni spesso anche divertenti ahimè non bastano a garantire una mia raccomandazione. Di sicuro è arrivato al pubblico italiano nel miglior modo possibile, ma il film è quello che è. I limiti di avere un protagonista di legno li accusiamo tutti e gravemente quando la trama non ci regala niente dal punto di vista dell’intrattenimento. E poi vorrei sapere come si fa a finire il film su un fermo immagine simile? Gli addetti al montaggio volevano prenderlo in giro, non ci sono altre spiegazioni.


Gli altri articoli del mio ‘ciclo di San Seagalino’:

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