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Il grande Lebowski – l’ultimo dei grandi doppiaggi

Il giornalista cinematografico Michele Traversa, italiano residente a Los Angeles, ha continuato a tartassarmi di piacevoli e-mail nelle quali ha dimostrato di essere una possibile risorsa per Doppiaggi Italioti e così ne ho approfittato subito chiedendogli di scrivermi una di quelle “cose” di cui parlava nelle sue e-mail, ma in formato di articolo. Ed ecco la sua prima collaborazione “professionale”.
L’autore si fa chiamare Michael soltanto perché altrimenti in Ammeriga lo chiamano Michelle col rischio poi di non buscare più donne durante i festini selvaggi di Hollywood. Perché mi piace immaginarmelo così il caro Michael, tra una première e un’altra, seduto a Starbucks con un “latte” in tazza grande mentre scrive recensioni di film che in Italia vedremo solo dopo sei mesi e in attesa del quotidiano invito ad un party di neo-ricchi.
Questa è la sua recensione di Il grande Lebowski, perché ci tenevo tanto che condividesse con voi ciò che io stesso avrei voluto scrivere da tanto tempo… solo che non sarei mai riuscito ad essere altrettanto sintetico, come è chiaro da questa introduzione.
Le vignette esprimono il mio sentimento personale.

Evit


Il grande Lebowski è stato l’ultimo doppiaggio ancora al pari con gli ottimi lavori degli anni ‘70 / ’80… ed eravamo nel 1998! Proprio nel pieno declino qualitativo del doppiaggio italiano spunta questa perla “retrò”. Il film è diventato un classico, è uno dei film più citati negli Stati Uniti e ci sarà un perché. Non era facile renderlo altrettanto memorabile in italiano. A parer mio il lavoro sull’adattamento dei dialoghi e sul doppiaggio è pari a quello di Arancia meccanica, ecco l’ho detto!

Drugo, Drughetto o Drugantibus

Io sono Drugo, è così che deve chiamarmi, capito? O se preferisce Drughetto oppure Drugantibus oppure Drughino, se è di quelli che mettono il diminutivo ad ogni costo…


A qualcuno ha dato fastidio che The Dude diventasse Drugo, la rete è piena di lamentele in merito. Forse perché per sempre legati all’uso dell’appellativo in Arancia meccanica, forse perché speravano in una traduzione più fedele, pedante. E come avrebbero dovuto chiamarlo? Tipo? Tizio? Non avrebbe fatto ridere neanche i polli. Ah sì, lo dovevano chiamare Dudo (come in Easy Rider). Infatti già allora Jack Nicholson chiedeva: “e cos’è un Dudo? Un ballo?”.
Come avrebbe detto Totò: ma mi faccia il piacere!

Un signor adattamento

La cosa particolare de Il grande Lebowski, ciò che reputo davvero un colpo di genio, è il fatto che spesso l’adattamento dica una cosa di significato diametralmente opposto per ottenere lo stesso effetto. Per esempio:

“Duder or El Duderino, if you’re not into the whole brevity thing

Una frase letteralmente traducibile come: “o il Duderino, se non sei il tipo da abbreviativi” che è stata invece tradotta come:

“Drughino, se è di quelli che mettono il diminutivo ad ogni costo”.

In inglese il diminutivo al signor Lebowski non piace, in italiano gli piace un sacco. Oppure:

“Racially he’s pretty cool?”

traducibile come “non si fa problemi di razze eh?“, che diventa nell’adattamento italiano:

“Lui del razzismo se ne sbatte, mmm?”

Il concetto viene ribaltato, ma la sostanza non cambia. Poi ancora:

“Look, we all know who is at fault here”

traducibile come “Guarda, sappiamo tutti di chi è la colpa” che invece diventa:

“Guarda, lo sappiamo tutti da che parte sta la ragione”.

Loro, gli americani, a puntare il dito sul colpevole, noi a farci belli di aver ragione. Geniale!


Poi ci sono degli accorgimenti culturali sottili e necessari che dimostrano quanta attenzione sia stata dedicata al lavoro. Ce ne fosse un briciolo di questa passione negli adattamenti moderni. Durante una delle partite al bowling, Donny, il personaggio di Steve Buscemi, capisce una cosa per un’altra e continua ad interrompere il discorso sperando che qualcuno gli dia un po’ di soddisfazione. Così continua a ripetere/cantare “I am the Walrus”, che in italiano diventa “Obladì, obladà”. Entrambe sono canzoni dei Beatles, ma con I am the Walrus nessuno in Italia avrebbe capito che Donny alludeva a John Lennon. Obladì obladà invece la conoscono tutti, dai novantenni ai bambini di due anni. Si tratta, signore e signori, di un adattamento eccellente, che non traduce alla lettera e che trova equivalenti altrettanto efficaci e divertenti, senza snaturare il testo di partenza.


Qualcuno lo saprà già, qualcuno forse non lo ha mai notato, ma Drugo si esprime con delle frasi ripetute per sentito dire. Per esempio, sente alla tv il presidente Bush dichiarare: “This aggression will not stand”, “Questa aggressione non può essere tollerata”. Poco dopo usa la stessa espressione a colloquio con il signore Lebowski aggiungendo in coda il suo colloquiale “man!“. Walter poi gli dice: “She kidnapped herself”, “Si è rapita da sola”, ed ecco che Drugo la prende come verità assoluta, la fa sua, e la ripropone alla prima occasione.
Era fondamentale, in fase di adattamento, trovare il giusto modo per rendere queste frasi, al fine di trasmettere il modo di Drugo di assorbire ciò che lo circonda. Obiettivo centrato! Chi c’è dietro a questo minuzioso lavoro? L’Immenso Carlo Valli. In suo onore andiamo a vedere alcune di queste frasi, entrate nel lessico americano e che, nella loro traduzione, hanno reso il film quell’oggetto di culto che è oggi:

…e forse la più bella di tutte, praticamente intraducibile:

In America ancora si chiedono cosa volesse dire Sam Elliott con quel “bar”. E, no, non dice “bear”, dice proprio “bar”.

In breve, un adattamento magistrale, eco dei lavori di fino di 30-40 anni fa e che è riuscito nel non facile intento di rendere in pieno la memorabilità di dialoghi che, in lingua originale, sono già entrati a far parte della cultura popolare americana.

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