Adesso che ho la vostra completa attenzione, parliamo dell’adattamento di questo film.
Nel 1985 esce il film più ambizioso della Cannon Group, Lifeforce, da noi intitolato Space Vampires, e per una volta non è un nome inventato dalla distribuzione italiana ma si tratta del titolo provvisorio americano che originava a sua volta dal romanzo da cui è tratto, “The Space Vampires”. Sicuramente in Italia fu mantenuto quel titolo perché comprensibilmente molto evocativo. Come nella più tipica tradizione della Cannon Films, questo film raffazzona più generi insieme e si lancia in palesi scopiazzature di pellicole più famose, così creando un misto inedito: la fantascienza si fonde all’erotico, al vampiresco, allo zombesco, al catastrofico, e chi più ne ha più ne metta; tanto per dire, ad un inizio alla Alien seguono scene da Notte dei morti viventi e una trama da Dracula, ma i riferimenti si perdono.
Se non sapete cosa sia la Cannon Film Group, vi consiglio caldamente di recuperare in qualche modo il documentario intitolato Electric Boogaloo: The Wild, Untold Story of Cannon Films.
Data la scarsa notorietà di Space Vampires, sento di dovervi raccontare un minimo di trama prima di parlare dell’adattamento.
La trama
Un gruppo di astronauti scopre un’enorme nave aliena nascosta nella coda della cometa di Halley. Al suo interno si trovano delle bare di cristallo contenenti tre bellissimi umanoidi (uno è Mathilda May e gli altri sono due inutili maschi) che, ahinoi, si scopriranno essere dei vampiri spaziali che prima seducono e poi succhiano l’energia vitale (la “lifeforce” del titolo americano) riducendo la vittima a una mummia che a sua volta sarà costretta a succhiare energia da altri esseri umani per evitare l’auto-distruzione. Riportati sulla terra comincia a spargersi l’infezione e ben presto la città Londra diviene vittima di orde di questi vampiri-zombi-mummie (stiamo parlando di un film della Cannon, quindi anche i mostri sono un misto di almeno 3 generi diversi!) e, in maniera poco chiara, la trama culmina nel momento in cui la cometa è più vicina alla Terra, con l’astronave aliena a perpendicolo su Londra nell’atto di risucchiare energia vitale da tutti i suoi cittadini snob, così da fare il pieno di vita e ripartire alla volta di nuovi pianeti. Ce la faranno i nostri eroi a fermare la vampiressa e il suo crudele succhia-succhia galattico?
La versione italiana di Space Vampires
Un film che consiglio a tutti gli appassionati di fantascienza di serie B e se non sono gli iconici seni della vampiressa a convincervi, QUESTA colonna sonora dovrebbe riuscirci (ascoltatela mentre vi leggete il resto dell’articolo). Se vi suona familiare ma non avete mai visto il film, forse è perché avete giocato al videogioco Baldur’s Gate che ne faceva ampio uso.
Scheda di doppiaggio di Space Vampires
Ovviamente l’uscita italiana in DVD e Blu-ray di questo film riporta tutti i cartelli in inglese, così ho recuperato una copia VHS di Space Vampires con titoli e cartelli in italiano scoprendo informazioni sul suo doppiaggio non note sulla rete, come ad esempio:
Se a queste ci aggiungete anche le seguenti informazioni recuperabili su internet…
Claudio Capone: colonnello Tom Carlsen (Steve Railsback)
Cristiana Lionello: “space girl” (Mathilda May)
Renato Cortesi: colonnello Colin Caine (Peter Firth)
Marcello Tusco: Dr. Hans Fallada (Frank Finlay)
—(vedi sotto)—: dottor Armstrong (Patrick Stewart)
Pietro Biondi: dottor Bukovsky (Michael Gothard)
Vittorio Congia: Sir Percy Heseltine (Aubrey Morris)
Solvejg D’assunta: Ellen Donaldson (Nancy Paul)
Alvise Battain: il primo ministro (Peter Porteous)
Federico Neri: giornalista BBC (John Edmunds)
oltre a quelle che aggiungo qui io…
Un giovane Luca Dal Fabbro che ho riconosciuto — e Luca me lo ha confermato — in un paio di frasi di un anonimo dipendente della NASA; inoltre devo correggere Sergio Di Giulio che trovate segnalato ovunque come voce del dottor Armstrong (Patrick Stewart); non è Sergio Di Giulio ma palesemente Gianni Bonagura. Beccatevi ‘sto bonus!
…vi ritroverete per le mani abbastanza materiale per aggiornare la poverissima scheda presente su antoniogenna.net. Ma torniamo a noi.
La presenza di Carlo Baccarini come direttore di doppiaggio ci preoccupa relativamente poco (per via della sua lunga carriera alla CVD di cui era vice-presidente, socio fondatore e chi più ne ha…), la mia vera preoccupazione sta in Claudio Razzi alla -GULP!- edizione italiana. Non me ne voglia la figlia, Claudia, anche lei del mestiere e bravissima, ma parliamo dello stesso Claudio Razzi che negli anni ’70 curò l’edizione italiana di L’Uomo che fuggì dal futuro che aveva un adattamento agghiacciante, forse complice anche lo stile del film e il linguaggio fanta-tecnico portato all’eccesso da George Lucas ma insomma, un vero peccato per i doppiatori, quelli sì bravi, che prestarono le proprie voci a un prodotto adattato in maniera inadeguata. Un giorno tornerò a parlarne ma vi basti sapere che in quel film la scritta “FOETUS” (feto) che appare su un monitor fu riportata come un nome proprio di persona, Foetus per l’appunto. Tipico nome, no? In un mondo dove tutti si chiamano con una sigla di tre lettere e quattro cifre (es. THX-1138), all’improvviso spunta un nuovo nascituro di nome Foetus. Genio.
Scusate la digressione, era tanto per dire che già dal primo minuto di titoli si potrebbero presagire tragedie nell’adattamento e, sebbene si possano trovare alcuni momenti criticabili (di cui vi parlerò, o’ se ve ne parlerò!), per fortuna il danno è piuttosto contenuto e il film doppiato si mantiene su standard tipici dell’epoca, con tanto di Claudio Capone che potreste ricordare come voce di Luke Skywalker in Guerre stellari, ma sicuramente lo conoscerete come voce narrante dei documentari di Superquark (e purtroppo scomparso nel 2008).
Solo che in Superquark non avete mai sentito Capone dire la frase “si sta tirando su la sottana”.
Pensavo che dicessimo sottana solo a Firenze, non si finisce mai di imparare! Ma veniamo ai danni dell’adattamento italiano.
L’adattamento italiano
Ho come l’impressione che in Claudio Razzi (o in chi per lui) ci fosse una infatuazione per la lingua inglese che ogni tanto travalicava il buon senso. C’era difatti un tempo in cui in Italia si lasciavano parole in inglese solo perché era “figo” farlo, non perché glielo imponesse qualcuno dall’alto come spesso avviene adesso. Negli anni ’80 specialmente, la cultura americana faceva pesantemente capolino con molte parole che cominciavano ad essere non dico di uso comune ma comunque di significato ben noto (la stessa cultura del tempo avrebbe partorito i “paninari” del programma “Drive In”).
Quando però queste parole fanno capolino nel doppiaggio, ovvero in quel sistema di adattamento culturale basato sulla precaria illusione che gli attori sullo schermo stiano parlando una lingua diversa ma, come per magia, a noi comprensibile, si rischia l’infrangere dell’illusione e, per estensione, si rischia il fallimento del doppiaggio, fosse anche momentaneamente.
Esagero?
Sempre!
L’esempio più lampante in questo film è quello del personaggio della vampiressa che tutti nel film doppiato chiamano “space girl“. Inizialmente lascia un po’ sorpresi, poi ci si fa l’abitudine e in frasi come Penso che quell’essere, quella “space girl”, abbia sottratto forza vitale alla guardia sembra QUASI che vada bene. Poi ce ne sono altre in cui tale scelta lessicale funziona decisamente a sfavore: Non è un essere umano ma una space girl!
Avrebbe senso se all’interno del film sentissimo magari qualche giornalista darle questo nomignolo (visto che la trama si svolge a Londra), invece iniziano tutti da subito a chiamarla così, senza motivo apparente; e più il film procede più diviene chiaro che non si tratta di un nomignolo, bensì del nome americano che qualcuno ha pensato potesse essere “figo” lasciare in originale. Per carità, per essere comprensibile è comprensibile, anche per gli italiani del 1985, ma grazie tante per averci infranto l’illusione del doppiaggio. Fosse solo per quei pochi istanti.
Un altro indizio su come l’inglese sia usato un po’ perché “fa fico” (e non perché lo si conosca veramente) ci viene dalla cometa di Halley, che nel film sentiamo pronunciata due o tre volte come “cometa di Hèley” o, in alternativa, “hèllei”. Sicuramente nel 1985 se ne parlava molto e non vedo come fossero possibili simili sviste ma a quanto pare tutto è possibile.
Ma non è tutto qui, il meglio me lo tengo per il finale.
L’edizione localizzata in italiano
La versione italiana fa un uso molto creativo delle scene iniziali allo scopo di inserire i cartelli localizzati in italiano al minimo costo possibile, così viene tagliato un dettagliato prologo in favore di una semplice e riduttiva descrizione scritta (che può anche andar bene, per carità).
Vengono tagliati anche i titoli iniziali, che avevano la superficie di una cometa in movimento come sfondo, in favore di un più economico titolo su fondo nero e lo spostamento di tutti i cartelli in concomitanza delle prime sequenze del film, così distraendo un po’ lo spettatore dalla parte più fantascientifica del film.
Ecco la sequenza dei titoli italiani per i cultori dell’argomento, gli altri possono tranquillamente scorrere fino al prossimo punto.
Per una raccolta completa delle schermate italiane di Space Vampires e informazioni sull’origine di questo film, rimando all’approfondimento scritto per Doppiaggi italioti da Lucius Etruscus: [Italian Credits] Space Vampires (1985).
Astri malevoli, gli antichi romani e le invenzioni italiane
Anche da una visione esclusivamente in italiano è facile sospettare che questa frase, detta da un conduttore del telegiornale, sia brutalmente inventata:
“Come tutti ricorderanno, la cometa di “Hèllei” viene considerata premonitrice di guerra e di disgrazia. Non per niente gli antichi romani le avevano dato il nome di “disaster”, e i romani di astronomia se ne intendevano.”
Quest’ultima frase di chiusura sembra adeguata ad uno dei sardonici telegiornali del film RoboCop più che ad un immaginario telegiornale della BBC. Difatti la frase originale non aveva un simile umorismo:
“Our viewers may be interested to know that comets were once considered to be harbingers of Evil and one of the earliest words for comets was “disaster”, which in Latin means “evil star”.”
La frase originale si chiudeva dunque con: “che in latino significa astro malevolo“. Non vedo perché infilarci una battuta “e i romani di astronomia se ne intendevano“, che in un film simile lascia un po’ interdetti.
“Intergalactic pest”: l’inglese di fantasia che il film non si merita
Infine, la frase che si porta a casa il premio Doppiaggi Italioti è la voce di una trasmissione radio che recita:
“In un ultimo tentativo di impedire la diffusione della malattia, che è stata denominata “Intergalactic Pest“, è entrata in vigore la legge marziale”.
Mettendo in secondo piano il fatto che questa frase sia stata quasi interamente inventata e non ha un corrispettivo nei dialoghi originali, quella di Intergalactic Pest è da ribaltarsi dalle risate! A maggior ragione perché inventata di sana pianta.
Il dialogo originale accennava alla parola “plague” che significa appunto “peste”, ma il vocabolo inglese “pest” si dice di insetti infestanti o al massimo significa “peste” in senso figurato, come quando si dice a un bambino “sei una peste!”. Quindi il nome della malattia diffusasi tra gli umani sulla Terra può ricordare più un pappataci intergalattico che una piaga venuta dallo spazio per trasformare gli uomini in vampiri-zombi-mummie. Cioè, si sono persino sforzati di mettere parole inglesi (sbagliate) che manco c’erano in originale. Vuol dire proprio andarsele a cercare.
Ho concluso. Adesso potete andarvi a vedere il film.