Già nel 2014 introducevo Interstellar con questa vignetta che mi pare adatta all’occasione:
Il mio commento sotto quelle vignette continua ad essere valido: la saga di Alien, Covenant incluso, rimane priva di “airlock” per il momento… per fortuna! La parola “airlock” non porta con sé nessun concetto ignoto o inesprimibile in lingua italiana e se l’equivalente italiano risultasse troppo lungo per il labiale di certe scene vuol dire che bisogna fare qualche salto mortale in più. Se sono riusciti ad infilarci un equivalente nostrano per 70 anni, non vedo come improvvisamente possa diventare un problema insormontabile del doppiaggio italiano, tanto da dover lasciare la parola in inglese. Ma va be’, “airlock” non c’era nei dialoghi doppiati di Covenant. [*Piccolo applauso*]
Non farti mordere dai ragni e altri idiotismi alieni
La versione italiana di Alien Covenant, per quanto nel suo complesso veramente ottima (quindi valutate la mia seguente critica con il dovuto peso) purtroppo non è esente da strascichi di esigenze aziendali moderne, quelle che impongono un’inventiva pari a zero da parte dei dialoghisti e, per l’amor di Dio, di non azzardarsi mai ad adattare niente. Il testo originale è sacro e inviolabile, anche a costo di tradurlo alla lettera e quindi, paradossalmente, anche a costo di renderlo meno comprensibile in italiano.
E qui voglio puntare il dito su eventuali figure estere che supervisionano i doppiaggi italiani perché quando sentiamo questa frase della buonanotte “non farti mordere dai ragni“, il bilingue che è in me si domanda se possano realmente aver avuto il coraggio di tradurre alla lettera il detto “don’t let the bed bugs bite” (letteralmente: non farti mordere dalle cimici dei letti) che nel mondo anglosassone è una frase rituale della buonanotte, in rima (la frase intera è: Goodnight/Sleep tight, don’t let the bed bugs bite) e che in Italia ha equivalenza solo con “buonanotte e sogni d’oro“, cioè la nostra tipica frase da coperte rimboccate. Diversa concettualmente? Certo che sì, origina da una cultura diversa dalla nostra! Non possiamo certo aspettarci di poter ricavare l’italiano ritraducendo alla lettera una lingua estera. Poco importa che abbiano cambiato il parassita di riferimento (ragni invece di cimici. Quali ragni? Quelli rossi domestici con cui abbiamo più familiarità qui in Italia?), la frase è comunque tradotta alla lettera ed è insensata. Punto.
Con questo esempio appare molto evidente il limite della traduzione letterale, tanto amata dai supervisori americani al doppiaggio e da alcuni utenti ignoranti che popolano il web. In inglese si tratta di una frase di rito che come tale viene percepita dal pubblico anglosassone, il personaggio di Michael Fassbender la usa per dare la buonanotte e non sta realmente consigliando alla protagonista di non farsi mordere dalle cimici del letto durante il sonno, né tanto meno da ragni. Le espressioni idiomatiche di solito funzionano proprio così.
Trasporre questa frase in maniera letterale vuol dire ribaltare la percezione della stessa. Per il pubblico italiano infatti non può che risultare come uno stravagante consiglio che sbuca letteralmente dal nulla (non farti mordere dai ragni? Che c’entrano i ragni? QUALI RAGNI?), di certo non è una frase che può essere percepita dal pubblico italiano come una tipica buonanotte.
Già ce lo vedo il supervisore americano che inorridisce quando scopre che le “cimici del letto” possano diventare “sogni d’oro” in italiano. Giammai! Ed ecco dunque che traducendo alla lettera in modo da rispettare la (sacra) fonte si è stravolto lo scopo della frase originale, ottenendo l’effetto opposto.
Se qualcuno venisse a dirmi che in inglese l’androide-Fassbender stava facendo un velato riferimento ai mostri che si attaccano alla faccia per impiantare embrioni alieni (noti agli appassionati come “facehuggers“) si aspetti un mio ceffone, virtuale.
Una traduzione più accettabile di “goodnight, don’t let the bed bugs bite” poteva essere “dormi bene e non fare brutti sogni” (altra frase plausibile nel contesto), non certo “non farti mordere dai ragni”, a meno che non si voglia alienare il pubblico italiano. ALIEN-are, capito? ALIEN-… capito? [*Flauto a coulisse*]
“Quando sei a Roma…”
Un’altra espressione idiomatica lasciata alla lettera è “When in Rome…“, che sì, letteralmente significa “quando sei a Roma”, come sentiamo dire nel film. Lo dice l’androide quando gli viene offerto da bere un alcolico per fare un brindisi, essendo lui un essere umano sintetico, non avrebbe bisogno di fare brindisi o bere alcolici, ma con l’espressione “when in Rome…” accetta di partecipare al rituale adattandosi all’usanza che si trova davanti. Infatti l’espressione “When in Rome do as the Romans do” (letteralmente: quando sei a Roma fa’ come i romani) è equivalente al nostro “paese che vai, usanza che trovi“, che risulta immediatamente familiare alle nostre orecchie. Quella di “when in Rome” invece è un’espressione tanto celebre nel mondo anglosassone quanto sconosciuta in Italia, poco importa che la sua presunta origine sia Sant’Ambrogio da Milano nel 300 dopo Cristo! Lo spettatore italiano che sente questa frase idiomatica sconosciuta tradotta alla lettera e lasciata a metà che cosa dovrebbe pensare? Quando sei a Roma… bevi?
“Mater è morta, stronzo”.
L’aderire a tutti i costi al testo originale in favore di traduzioni più alla lettera non di rado manda a puttane la continuità con altri film della stessa saga. Lo abbiamo visto con tutti i nuovi Star Wars e lo troviamo anche qui, sebbene limitato ad una singola scelta: il computer di bordo adesso si chiama Mother (come in inglese) e non più Mater come accadeva nella versione doppiata di Alien.
Poco male se la discontinuità nell’adattamento si limitasse ad un singolo film della saga ma, forse, si sono dimenticati che in Alien – La clonazione (Alien: Resurrection, 1997) il computer di bordo, Father, era stato adattato in Pater (“Pater è morto, stronzo” cit.), una scelta di Tonino Accolla che era rispettosa dell’adattamento del primo film e dei fan, dava coerenza al tutto. Ah, la coerenza! [*frinire dei grilli*]
A proposito di coerenza, una brevissima nota sul titolo dato da Scott a questo seguito di Prometheus. Per chi non avesse visto il film, il titolo rimane in inglese perché “Covenant” è il nome della nave presente nel film, esattamente come accadeva in Prometheus, solo che lì non veniva preceduto dal marchio registrato “Alien”. Speriamo che alla fine della nuova trilogia quel rincoglionito di Scott non andrà a ri-titolare tutti i film così da avere “Alien: Prometheus”, “Alien: Covenant”, “Alien: Nostromo”, “Alien: Sulaco”, etc… fine della parentesi sul titolo (che niente ha a che vedere con l’adattamento italiano ovviamente).
Per farla breve, Mother , “Quando sei a Roma…” e la buonanotte aracnoidea mi puzzano di imposizione dall’alto, ma posso soltanto tirare a indovinare.
Tutto qui? Solo tre errori, Evit? Be’, che io ricordi, sì. Se vogliamo proprio andare a scavare, potrei anche aggiungere che la pronuncia del cognome di Robinson Crusoe (“un Crusoe, per intenderci” cit.) è la prima volta che la sento dire all’inglese (Crùso… /’kruzo/) e, per carità, è tecnicamente corretta, ma certamente non la più familiare per il pubblico italiano.
Crusoe è sempre stato pronunciato in moltissimi modi, da “Crusò” a “Crusoè” con più varianti della ricetta per la pastiera napoletana. Teoricamente parlando potremmo sostenere che, essendo britannici sia l’autore sia il personaggio, la cosa più corretta da fare sarebbe quella di pronunciarlo all’inglese (Crùso) e se tale romanzo fosse stato scritto l’anno scorso vi darei pienamente ragione. Ma con personaggi entrati nella cultura italiana da qualche secolo è un po’ più difficile fregarsene, perché dovremmo anche ignorare lo storico adattamento italiano che da 217 anni (prima edizione italiana è del 1800) lo vede nominato come Robinson Crusoè (pronuncia: /robinˈsɔŋ kruzoˈɛ*/), come ci ricorda anche la voce del dizionario di ortografia e di pronunzia della Rai [NdA: purtroppo il link è defunto]. Chi siamo noi per ignorare oltre 200 anni di pronuncia italianizzata? È dunque un errore? Non esattamente, ma quando sento “un crùso, per intenderci“, da italiano con 217 anni di Crusò/Crusoè alle spalle, diciamo che rimango spiazzato per qualche ventiquattresimo di secondo.
Mi piace immaginare il robot David (che si era studiato tutte le lingue del mondo) come una sorta di talebano della letteratura con momentanei slanci di estro filologico che solo in pochi possono apprezzare.
Come suggeritomi dal lettore “Napoleone Wilson” nei commenti, a voler essere estremamente pignoli, in Italia in genere se si vuole fare un paragone con il personaggio di Defoe si usa direttamente il nome proprio Robinson, invece del cognome. Sarebbe stato più chiaro e immediato “un Robinson, per intenderci” piuttosto che “un crùso”. E concordo in pieno.
Solo tre/quattro errori allora? Per coloro che valutano la qualità di un adattamento soltanto come una somma algebrica, sì, solo due-tre errori in tutto, per il resto si trattava di un adattamento quasi invisibile, ovvero il massimo complimento che si possa fare ad un adattamento. Io però spero di fornirvi altri metri di giudizio e spunti di riflessione in merito a elementi sui quali molti sorvolano pericolosamente. Vedere una traduzione letterale di “don’t let the bed bugs bite” nel 2017 fa più male al cuore di un silicon che nel 1979 viene tradotto ingenuamente come silicone invece che come silicio (vedi Alien (1979) – L’alieno è siliconato), ma sono certo che non rifletta il livello di bravura o le mancanze del dialoghista di turno, né del direttore di doppiaggio, piuttosto un modo di fare comune da parte dei committenti che mettono bocca in quella che alla fine continua ad essere una vera e propria arte, la traduzione, l’adattamento linguistico.
L’ossessione della fedeltà al testo originale da parte dei supervisor talvolta è così estrema e dettata da tale ignoranza che porta ad insensate traslitterazioni di frasi idiomatiche. Nel mondo della traduzione non c’è niente di più grave.
Se passasse l’idea che dopotutto non si tratta poi di chissà quale reato linguistico, magari presto o tardi cominceremo anche a tagliare gli angoli per risparmiare, a perdere la nave, a sedere sullo steccato, a prendere le cose con un pizzico di sale e ad attraversare i ponti. Perché questa è la strada intrapresa dal doppiaggio italiano: traduzioni dirette e termini inutilmente lasciati in inglese perché tanto… “che fa?”. Il più delle volte il pubblico neanche lo nota.
Se poi si dovesse trattare davvero di un errore umano commesso dal traduttore o dal dialoghista mi sentirei molto più sollevato.
Se volete una recensione del film e non solo del suo adattamento, vi rimando all’autorevole articolo del blogger Lucius Etruscus. Non dimenticate anche la nostra discussione pre-film…
…e il nostro episodio della serie “non comprate quel biglietto” dove parliamo di film brutti appena visti al cinema.