“Trappola di Cristallo” è probabilmente il film d’azione perfetto: un protagonista ordinario (nel quale tutti si possono identificare) che si ritrova nel posto sbagliato al momento sbagliato, intrappolato in un grattacielo in mano ai terroristi e, all’esterno, solo forze dell’ordine incapaci! Spetta a lui risolvere la situazione per riuscire a salvare sua moglie ma, dato che è un protagonista ordinario, ad ogni scontro si ritrova sempre ad un passo dalla morte. La battuta pronta e una dose di sbruffonaggine completano il personaggio di John McClane.
Questo è tra i miei film d’azione preferiti e, forse, potrei azzardare a dire che sia addirittura il primo della lista! Se io fossi un regista di film d’azione vorrei aver girato questo film. Insomma avrete capito che sono particolarmente affezionato a “Trappola di Cristallo“.
Una domanda ormai comune tra alcuni lettori di questo blog è la seguente: “Evit, te lo guardi in inglese o in italiano?“. Be’, da quando uscì in DVD nel lontano 2002 non l’ho più visto in italiano se non nei rari passaggi televisivi. Cos’ha di brutto la versione italiana? Niente, è solo che mi sono affezionato alla versione in lingua originale dalla primissima visione… talvolta capita! Tuttavia non denigrerei il doppiaggio italiano, tutto il contrario… ci sono molte parti del film che ritengo necessitino il cambio di lingua con il telecomando del lettore DVD, così da godersi certe battute doppiate.
Cari miei, questa sarà una di quelle analisi abbastanza neutrali e senza troppo livore, quindi preparate i cuscini e la copertina perché si parla dell’adattamento di Trappola di Cristallo… o almeno di tutto ciò che io reputo degno di essere citato.
MUORI DURO – Una storia di titolisti indecisi
Come da tradizione, partiamo parlando del titolo perché questo film ha più titoli del Re d’Italia:
Titolo uno…
La mia supposizione è che i due titoli italiani volessero fare un richiamo intenzionale al popolare film catastrofico degli anni ’70 “L’inferno di cristallo” (The Towering Inferno, 1974), un film al quale Die Hard del resto presta alcuni omaggi. A riconferma di ciò, il Morandini accusò proprio il titolo d’essere fuorviante:
“Il titolo originale ‘Die Hard’ è meno fuorviante di quello italiano: si riferisce proprio al protagonista e alla feroce lotta che deve intraprendere. Non è un catastrofico, è uno stringato avvincente film d’azione.” (Laura e Morando Morandini, Telesette)
Anche il secondo film, al momento dell’uscita cinematografica, ebbe un titolo molto differente da quello originale. Era noto come 58 minuti per morire e sulla locandina, come sottotitolo, aveva anche: “Die Harder” (scritto molto piccolo e largamente ignorato).
Niente legava i due titoli. Non a caso il dizionario Mereghetti descrive “58 minuti per morire” come:
Seguito di “Trappola di Cristallo” con lo stesso protagonista.
Con le uscite in VHS (a partire dal 1990-1991) e con l’aggiunta di un terzo capitolo alla serie, i distributori italiani hanno pensato bene di dare una qualche continuità ai tre titoli facendogli precedere la dicitura “Die Hard” e così, per l’home video, abbiamo il nostro terzo (e ultimo?) titolo: Die Hard – Trappola di cristallo.
Nessun’altro paese al mondo ha così tanti titoli alternativi per “Die Hard”, è un record italiota molto duro a morire. Personalmente trovo giusta la scelta di aggiungere la dicitura “Die Hard” all’inizio di ogni capitolo della serie; purtroppo però, la continuità postuma di “Die Hard – Trappola di cristallo” e “Die Hard 2 – 58 minuti per morire” è un po’ interrotta dalla titolazione di casa CecchiGori che, invece di chiamare il terzo capitolo “Die Hard 3 – sottotitolo italiano” ha optato per una via di mezzo fuori dai ranghi, ovvero “Die Hard – Duri a morire“, un titolo che ho sempre trovato ridondante (“die hard” è un gioco di parole traducibile appunto come “duro a morire”) e che non da l’idea di essere un terzo episodio, bensì un capostipite.
Per sistemare la cosa sarebbe bastata l’aggiunta del numero “3” sulla copertina dell’edizione home video! Invece, così facendo, CecchiGori ha creato un precedente che porterà i successivi episodi a chiamarsi semplicemente “Die Hard – qualcosa qualcosa“, e così adios alla pratica numerazione… ma sappiamo che CecchiGori fa sempre le cose a cazzo. Pensate che ancora oggi, nel 2014, ha il coraggio di pubblicare il Bluray di Die Hard 3 riciclando la stessa copertina oscena che produssero nel 1995 con Microsoft Paint.
Scusate, ho perso il filo… è che CecchiGori mi fa sempre uscire fuori dai gangheri! Ah, si…
ADATTAMENTO, ERRORI E ALTRE CURIOSITÀ
Vediamo dunque l’adattamento italiano, tra scelte di doppiaggio, un po’ di errori e qualche pregio, in ordine cronologico come le troverete nel film (più o meno).
Niente “Merry Christmas” per noi
Nella prima scena del film, John McClane (Bruce Willis) è su un aeroplano. In inglese sentiamo la voce di un assistente di volo che da il benvenuto a Los Angeles e augura a tutti un buon Natale. Al termine di questa frase, parte la musica natalizia drammatica a base di sonaglini da slitta di Babbo Natale che sentiremo anche in altre parti del film.
Nella traccia audio italiana quella frase di benvenuto è completamente assente rendendo così dubbiosa la scelta della musica natalizia; solo qualche scena più tardi capiremo che è Natale.
Gennarì, bella di zio, come ti chiami?
Gli americani e le loro pronunce! Succede che la moglie di John McClane faccia di cognome “Gennaro”, o almeno così appare scritto nei titoli di coda.
Anche all’inizio del film vediamo lo stesso cognome su uno schermo touch-screen ma, come per magia (o meglio, per errore di qualcuno agli effetti speciali), il nome cambia dopo la selezione.
Poco dopo ritroviamo lo stesso nome (Gennero) sulla porta dell’ufficio
Non è ben chiaro quale sia il nome vero e quale quello errato. A mio modestissimo parere “Gennaro” sarà stato il nome vero e, siccome gli americani lo pronunciano “Gennero”, immagino che qualcuno, durante l’allestimento del set, avrà detto: “Alan! Com’era il nome da mettere sulla porta?“, “Gennaro (pronunciato all’americana), vuoi che ti faccia lo spelling?“, “no grazie“, “sicuro?” “si, si, a posto così… G-E-N-N-E-…“.
Credo che lo stesso sospetto sia venuto anche al direttore di doppiaggio Maldesi che nel film doppiato in italiano ha fatto pronunciare tale cognome sempre come “Gennaro”. Nessun aiuto giunge dal copione originale sul quale tale nome appare scritto in entrambi i modi purtroppo. Ma, se può essere di qualche importanza, nel romanzo da cui è tratto il film si parla ovviamente di…
Sì, perché posseggo anche il libro da cui è tratto il film, sia in inglese che in italiano… vi avevo accennato che adoro il primo Die Hard?
Quindi, sì, non facciamoci illusioni, il cognome è Gennaro, solo che le troppe pronunce awanagana si sono intromesse nel “dietro le quinte” generando così sottotitoli, schermate di computer e nomi su porte che riportano erroneamente “Gennero”.
Takaghi, Takagi o Akagi?
Un altro nome, per così dire, problematico è quello del presidente della Nakatomi, Takagi, che in lingua originale viene pronunciato come “takaghi” mentre nel doppiaggio italiano viene pronunciato così come si scrive, con la g dolce. Tra le due, la pronuncia errata, mi dispiace dirlo, è proprio quella italiana… se vogliamo dar retta a queste indicazioni di grammatica giapponese:
“G” è sempre dura, come “Ghiro”
Es. “Tochigi“ = tocighi. Non tokigi!
Piccola curiosità aggiuntiva sul nome: in molti si domandano (e lo citano pure come errore!) perché sul computer compaia il nome “Akagi” quando il nome sappiamo essere “Takagi”. La risposta è molto semplice: quello non è il suo nome, bensì è la sua password per accedere al caveau. Ciò è anche confermato dal commento audio al film ma senza perdere tempo a cercare spiegazioni nei contenuti extra dei DVD (che uno può avere come più non avere) vediamo la scena con i nostri occhi…
Osservando bene, vediamo su schermo la scheda di una persona a noi ignota, la foto non è quella dell’attore che interpreta Takagi e inoltre si può leggere “military record: assigned aircraft carrier Akagi“, ovvero “servizio militare: assegnato alla portaerei Akagi nel luglio del 1940“. Alan Rickman ci aveva rivelato all’inizio del film che Takagi era nato nel 1937, un po’ giovane per imbarcarsi su una portaerei nel 1940… il tizio che compare sullo schermo del computer non può essere Takagi. Il commento audio al film rivela essere la scheda del fondatore della Nakatomi Corp., una persona che non vedremo mai nel film e che probabilmente risiede in Giappone nella sede principale della Nakatomi.
[Altra curiosità aggiuntiva: la portaerei Akagi era una nave realmente esistente che fu usata dai giapponesi nell’attacco a Pearl Harbor. Nel film è la seconda volta che viene citato questo evento.]
Nella scena in questione vediamo dunque i terroristi che, non avendo ottenuto la password del caveau dal presidente Takagi, provavano a inserire tutte le parole chiave possibili e immaginabili, estrapolandole dalla biografia del fondatore dell’azienda. Ah, gli hacker nel 1988!
Capisco che molti, vedendo quel “AKAGI” lampeggiare su schermo, abbiano pensato che fosse il nome scritto male del presidente Takagi (Gennaro/Gennero del resto insegna)… ma avete visto che la foto è di una persona completamente diversa??? E, più che altro, non avrete davvero creduto che il presidente di una potente multinazionale giapponese usasse il suo cognome come password!? Sarebbe la password più stupida dai tempi di Balle spaziali!
Dettagli senza tempo
Chi dice che gli adattamenti italiani peggiorino sempre i prodotti finali? Quando sentiamo il presidente della Nakatomi che fa la battuta “Pearl Harbor non è servita… e vi battiamo nell’elettronica” ci troviamo di fronte all’adattamento della frase “Pearl Harbor didn’t work out, so we got you with tape decks” che sarebbe divenuta molto presto obsoleta se l’avessero tradotta direttamente come “Pearl Harbor non è servita, così vi battiamo con i mangianastri“.
Italiani doppiati educatamente
Frase originale:
Marco: A sinistra dai, a sinistra dietro l’angolo.
Uli: This way?
Marco: On the left! On the left! A sinistra, cazzo! Dietro l’angolo, dai!
Il terrorista “Marco” era interpretato dall’attore di soap americane Lorenzo Caccialanza di Cologno Monzese. L’accento del nord è facilmente percepibile ma viene sostituito da un italiano pulitissimo di Fabrizio Pucci che recita:
Marco: svelto dai, a sinistra. Dietro l’angolo
Uli: di qua?
Marco: A sinistra! A sinistra! Dietro l’angolo, dai!
Lasciarlo in originale (in un film dove tutti parlano perfettamente) avrebbe stonato per le orecchie italiane, generando uno strano momento in stile “Alex l’ariete” e strappandovi fuori dall’illusione del doppiaggio.
Strano che non gli abbiano dato il solito accento americapoletano per farci capire che si tratta un “italiano” in un film doppiato.
Riguardo al “cazzo” mancante non ho niente da dire, l’espressività del doppiatore Fabrizio Pucci evidentemente non aveva bisogno di esclamazioni volgari rafforzative.
Le cene davanti alla TV
Mentre John McClane striscia nei condotti di aerazione esclama:
Mi ricorda tanto le cene davanti alla TV.
Questa frase in italiano non ha mai avuto molto senso. Perché strisciare in un condotto di aerazione dovrebbe ricordargli le cene davanti alla TV? La frase originale era:
I know what a TV dinner feels like.
Ovvero: adesso so cosa prova un “TV dinner”.
Ora, i “TV dinner” sono semplicemente delle vaschette multicompartimentate contenenti pasti precotti pronti per essere scaldati al forno/microonde, nacquero negli anni ’50 come pasto da scaldare velocemente e da portarsi davanti alla TV (che solitamente era in salotto, non in cucina dove si mangia). Il cibo all’interno è molto compattato, da qui il riferimento al “sentirsi come un pasto precotto” di John McClane, costretto all’interno di una conduttura di alluminio.
L’equivalente italiano sarebbe potuto essere, anzi, DOVEVA essere: “adesso so cosa prova una sardina in scatola“. Purtroppo credo che sia mancata, a monte, la comprensione di cosa fosse un “TV dinner”, credo.
Difatti mi suggerisce un lettore che la battuta italiana può essere intesa (e forse proprio questa era l’intenzione) come continuazione di quella precedente “Vieni in California, vedrai che bello, ci divertiremo da matti.”. Come a dire che gli era stato prospettato un tranquillo Natale in famiglia ed invece si ritrova in un fottuto condotto d’areazione.
È possibile che chi ha tradotto non sapesse cosa fossero i “TV dinner” ed abbia pensato alle “cene davanti alla TV”, cioè una promessa di relax familiare da legare al precedente invito a venire in California. Per espandere bene la battuta precedente però sarebbe stato meglio qualcosa del tipo “mi ricorda proprio il cenone” detto con sarcasmo (visto che l’invito era natalizio) oppure “mi ricorda proprio le cene in famiglia”… abbandonando quel riferimento alla TV perché, onestamente, a me questa battuta delle “cene davanti alla TV” rimaneva sfuggevole anche molto prima di conoscere la battuta originale. Per gli italiani la TV nelle orecchie mentre si mangia è una triste realtà quotidiana che non si collega automaticamente ad un’idea di relax familiare.
È uno di quei casi in cui “si poteva fare un po’ meglio”, sia che si scegliesse un adattamento più fedele sia che si decidesse di andare nella direzione opposta, più creativa, dell’inventarsi una nuova battuta che si lega ad una precedente. [grazie a Davide Serra]
Esclamazioni che sembrano bestemmie
Una scena che mi ha sempre fatto ridere in inglese è l’esclamazione “Jesus H. Christ!” del poliziotto di Otto sotto un tetto, mentre gli sparano addosso con l’artiglieria pesante. Quando ero più giovane e ancora non conoscevo bene molte espressioni americane mi domandavo cosa potesse voler dire quella “H.” (maiuscola e puntata) posta tra “Jesus” e “Christ”, quasi ad abbreviare un nome. Ho poi scoperto che sta per “Holy” (Santo), ma ancora oggi mi piace pensare che Gesù Cristo per gli americani possa avere un insospettabile secondo nome… non so, Harold o Henry.
“YIPPEE YA-YEH, PEZZO DI MERDA”
Hans: Sei uno dei tanti americani che hanno visto troppi film di avventure? Un orfano di una cultura in rovina che crede di essere uno sceriffo, John Wayne, o Rambo?
McClane: Sono sempre stato un grande ammiratore di Roy Rogers, mi piacevano le sue giacche coi lustrini.
Hans: Credi sul serio di avere qualche speranza, povero cowboy?
McClane: Yippee ya-yeh, pezzo di merda.
Frequente domanda italiota (da leggere con voce petulante): perché “yippee ki-yay” è stato cambiato in “yippee ya-yeh“? Risposta veloce: Perché al doppiaggio c’era Mario Maldesi e sicuramente l’avrà reputata una valida scelta di adattamento linguistico, perché dubitarne? Per gli italiani suona meglio yippee ya-yay, parola di Maldesi!
La domanda più interessante è invece: cosa vuol dire “yippee ki-yay“?
È un espressione derivante dalla cultura americana sviluppatasi negli anni ’40-’50 intorno al mito dei cowboy, solitamente è usata come espressione di gioia e deriva dai versi che facevano i mandriani per interagire con i loro animali. Ce lo spiega lo stesso Maldesi quando fa dire a Hans “qual è quel verso tipico dei cowboy…?” (al posto di “What was it you said to me before…?“, cioè “com’era quella cosa che mi avevi detto prima…?“).
Questo “verso tipico” lo troviamo nel ritornello della canzone “I’m an old cowhand” cantata nel 1943 da Roy Rogers che recita per l’appunto “yippie ay-yo ka-yay“. Il riferimento di McClane era appunto al già citato Roy Rogers.
Aggiungo un’altra curiosità, troviamo un’altra traccia di questa espressione nella canzone Ghost Rider in the Sky cantata nel 1948 da Burl Ives; il ritornello recita “yippee ay-yoh, yippee ay-yeh” (tra l’altro senza la “k” in questo caso). Questa canzone deriva da una famosa marcia ottocentesca chiamata “When Johnny comes marching home” divenuta popolare anche grazie a tantissimi film di Hollywood… tra i quali figura, guarda caso, Die Hard 3 (di cui è il tema principale!).
La curiosità forse più interessante è che la frase in questione (“yippee ki-yay, motherfucker“) era stata improvvisata sul momento. In un intervista del 2013 alla domanda “avresti mai pensato, all’epoca, che quella tua battuta sarebbe rimasta famosa per oltre 25 anni?” Bruce Willis risponde:
“I have to tell you, it was a throwaway. I was just trying to crack up the crew and I never thought it was going to be allowed to stay in the film.”
Traduco liberamente: Pensa che era buttata là. L’avevo detta solo per far ridere la gente sul set, non pensavo che poi l’avrebbero tenuta nel film.
Un altro riferimento a Roy Rogers compare nel finale quando McClane spara al cattivo, soffia sulla canna della pistola e dice “Happy trails, Hans“. Happy trails vuol dire esattamente ciò che hanno tradotto nel doppiaggio italiano, ovvero “fai buon viaggio” ed era la canzone di chiusura del The Roy Rogers Show.
Come vedete, siamo nelle mani di Maldesi che la sapeva lunga la canzone e la sapeva anche cantare.
In formazione di copertura
Durante l’irruzione della polizia, Theo, il tecnico del gruppo, segue i movimenti della squadra d’assalto descrivendoli in “standard two-by-two cover formation” (ovvero in formazione standard di copertura “a due a due“); questo dettaglio è errato perché gli agenti di polizia si avvicinano senza comporre alcuna formazione (e questo errore è anche citato in vari siti americani) ma in italiano la battuta viene cambiata più semplicemente in “in formazione di copertura” (senza “a due a due”), quindi in italiano c’è un errore in meno. Un punto in più per la versione doppiata.
Geronimo, pezzo di merda!
“Geronimo, motherfucker!” è stato alterato in “con i miei saluti, pezzo di merda” che è carino e memorabile ma non ha lo stesso impatto comico. “Geronimo” poteva rimanere e sarebbe stato ugualmente divertente.
“Geronimo!” è ciò che dal 1940 urlano i paracadutisti americani prima di lanciarsi. È stato suggerito che l’origine sia da ricercare in un’omonima canzone, molto popolare a quel tempo, che i paracadutisti adottarono sostituendola all’urlo di battaglia “Currahee!”.
In Die Hard, John McClane la esclama prima di gettare dell’esplosivo C4 giù per la tromba dell’ascensore.
“Hans… bubi!”
“Hans… bubby! I’m your White Night!” è traducibile come “Hans… bello mio! Sono il tuo salvatore!” o “Hans… tesoro! Sono il tuo salvatore!“.
In italiano invece la battuta recita “Hans, bubi! Sono il tuo salvatore!“. Per chi conosce soltanto l’italiano (e l’inglese) viene da chiedersi perché “bubi”? In italiano “bubi” ha un unico corrispondente nel nome di un popolo africano ma ovviamente non c’entra niente. A portare luce nell’ombra della mia ignoranza di altre lingue, un lettore, Fabio, nei commenti mi fa notare che bubi è tedesco, sta per “ragazzino”, da context-reverso possiamo vedere che in alcuni casi si traduce proprio come “tesoro”, “dolcezza”, “amato”, etc…; insomma sembrerebbe proprio un equivalente di quel “bello mio” che suggerivo come traduzione dell’inglese “bubby”. Poco prima Ellis si era fatto portare dal capo dei terroristi “europei” proprio esclamando “Sprechen sie Deutsch?”, quindi al momento giusto gli hanno fatto usare (solo nella versione italiana) un’altra espressione tedesca. Molto carino.
Eppure l’origine tedesca non è propriamente esatta. Il mio collaboratore Leo è di un’altra opinione riguardo all’originale “bubby” (anche se porta in qualche modo alla stessa conclusione), non che sia tedesco, o meglio, non proprio. Secondo Leo si tratterebbe di un colloquialismo yiddish (la lingua degli ebrei ashkenaziti derivante dal tedesco), diminutivo di bubele, usato proprio come vezzeggiativo sinonimo di tesoro/amore che si può dire a un bambino.
A confermare tutto ciò è l’attore stesso, Hart Bochner, quello che interpreta Ellis e che in un’intervista spiegò la sua origine:
I have to ask where the line came from: “Hans, bubby, I’m your white knight”.
I ad-libbed it.[…] It’s a Yiddish endearment. […] I just came up with it. I thought how insane is it that I’m negotiating with a murderer, and I’m treating it like he’s my cousin!
[mia traduzione]
Devo chiedertelo, da dove viene la battuta “Hans, bubby, I’m your white knight”
L’ho improvvisata. […] È un vezzeggiativo yiddish […] Mi è venuta così. Ho pensato quanto fosse folle negoziare con un assassino parlandoci come se fosse mio cugino!
Da Ellis in Die Hard, directing, and more, 2012, Denofgeek.com
Ora sapete l’origine di “bubby”, direttamente dalla fonte.
La famosa puntualità delle aperture a tempo
Hans: Sono quelli dell’FBI. Daranno l’ordine di togliere la corrente all’edificio. Tutto puntuale come un orologio.
Theo: o un’apertura a tempo!
Le battute originali erano “regular as clockwork“, “…or a time lock!“.
In italiano risulta più esile il nesso logico che porta Theo a pensare ad una “apertura a tempo” dalla frase “tutto puntuale come un orologio“, ma ci si può stare. Di meglio non si poteva fare.
“Nein, questo è mio”
La frase “nein, this is mine!” viene lasciata in lingua originale, spacciandola per tedesco. In realtà avrebbe dovuto dire “nein, questo è mio” (o anche solo “questo è mio“). Lo stacco dal doppiato di Massimo Foschi alla voce originale di Alan Rickman è così improvviso e le due voci sono così diverse che ad una prima visione si potrebbe avere il dubbio su chi abbia pronunciato quella frase (nell’inquadratura non compare colui che la pronuncia sebbene si possa indovinare per esclusione).
Purtroppo il film è pieno di scene in cui si possono udire nettamente le voci originali, specialmente in momenti come Alan Rickman che canticchia nell’ascensore, molti dei gemiti di Bruce Willis, le urla sguaiate della moglie sul finale e tantissimi altri.
La frase più “italiana” del film
Agente Speciale Johnson: Yee-hah! Just like fucking Saigon, eh, Slick?
Agente Johnson: I was in Junior High, dickhead.Agente Speciale Johnson: Aaaah-ha! Sembra di essere tornati a Saigon, eh, volpina?
Agente Johnson: Io andavo ancora al ginnasio, testa di cazzo.
Inizialmente considerai un errore quello di tradurre “junior high” (l’equivalente americano delle nostre “scuole medie”) come “ginnasio” (che nella mia esperienza si riferisce ai primi due anni di classico) ma c’è da considerare che Maldesi si riferiva ovviamente alla sua esperienza personale, di quando aveva lui 12-13 anni e il ginnasio comprendeva anche le scuole medie… quindi non facciamogliela pesare. Per “ginnasio” si intendevano i cinque anni dopo le elementari che poi, più tardi, si sarebbero trasformati in tre anni di “scuole medie” (unificate) e i due restanti furono accorpati alle “scuole superiori” (il ginnasio del liceo classico).
Tuttavia suona strano sentire un americano che parla di “ginnasio” e già nel 1988 la battuta era invecchiata prematuramente.
Alcune delle frasi più belle in italiano
“Ammazza quel maiale!”
(“Nail that sucker!”)
“O’ maledetto porco. Ti ammazzo… poi ti cucino… e poi ti mangio! E POI TI MANGIO!”
(“You motherfucker, I’m gonna kill you! I’m gonna fuckin’ cook you, and I’m gonna fuckin’ eat you!”)
I doppiatori di Trappola di cristallo
Roberto Pedicini su Bruce Willis (una strana scelta oggi giorno) si è rivelato adattissimo al ruolo e, in molte scene, ritengo che sia anche più bravo del Bruce Willis originale. I suoi momenti “esasperati” sono comici al punto giusto da regalarci tante frasi memorabili e non stona neanche più di tanto come voce giovanile dell’attore. Dall’interpretazione di Pedicini, il passaggio a Claudio Sorrentino (che doppierà Willis da Die Hard 3) non è traumatico come invece lo è stato quello a Oreste Rizzini che lo doppiava discutibilmente in Die Hard 2 (con tutto il rispetto per Rizzini, che amo in tanti altri ruoli, ma la sua voce ha letteralmente rovinato il secondo film).
Non dimentichiamoci poi che la frase più divertente del film è detta proprio da Pedicini: “o’ maledetto porco, ti ammazzo, poi ti cucino e poi ti mangio! E POI TI MANGIO!“. Tale frase risulta più memorabile in italiano e occasione di qualche rewind di troppo.
Personalmente avrei fatto sempre ritornare Pedicini sui successivi Die Hard (o almeno sul secondo), in ogni caso Claudio Sorrentino ha fatto uno splendido lavoro nel terzo film, pur rischiando di ricordarci un po’ troppo il suo Mel Gibson di Arma Letale.
Sul debuttante attore britannico Alan Rickman (che interpreta il cattivo principale, Hans Gruber) abbiamo Massimo Foschi, famoso per la sua voce di Darth Fener in Guerre Stellari. Detto questo spero di non avervi rovinato la visione di Die Hard durante la quale immaginerete ogni battuta di Alan Rickman come se fosse pronunciata da Fener.
Come al solito Foschi riesce a dare un’ottima caratterizzazione da “cattivo” ed è davvero eccezionale… purtroppo i momenti in cui sentiamo la voce originale di Alan Rickman (negli stacchi in tedesco) la differenza è troppo netta, tanto che in certi momenti (quando parla ma non è inquadrato) risulta difficile credere che sia lo stesso personaggio a parlare. Avrebbero dovuto prestare più attenzione in fase di doppiaggio a questi stacchi o, ancora meglio, avrebbero dovuto far improvvisare un po’ di tedesco a Foschi, tanto non è che Alan Rickman sapesse parlare tedesco visto che in Germania lo hanno ridoppiato perché, a detta loro, non se poteva proprio senti’.
Il 1988 non era ancora il periodo di Francesco Vairano (che ha doppiato Rickman nei film di Harry Potter nei panni del Professor “Severus Piton”) e, devo dire la verità, è un vero peccato perché, nonostante Rickman offra interpretazioni quasi sempre inarrivabili in lingua italiana (mancando queste dell’accento britannico che lo caratterizza), trovo che Vairano sappia imitarlo alla perfezione e sarebbe stato azzeccatissimo in questo ruolo. Sarei curioso di sentire una sua interpretazione di questo personaggio… ma non diamo adito a tentativi di ridoppiaggio, sono solo curiosità personali!
Riguardo all’accento di Alan Rickman, sul sito Antonio Genna viene riferito che, in lingua originale, l’accento tedesco di Hans viene perso nella scena in cui si trova faccia a faccia con il protagonista e che, al contrario, in italiano Hans parla sempre senza accento.
Devo farvi notare invece che tutto ciò è semplicemente errato. Difatti l’accento originale di Hans Gruber è un accento britannico (quello proprio di Alan Rickman) e non tedesco! L’accento britannico nel cinema americano è usato da sempre per dare un senso di elitarietà e/o di arroganza al cattivo di turno (non a caso gli ufficiali imperiali in Guerre stellari erano tutti interpretati da attori inglesi mentre i ribelli erano tutti americani). La giustificazione di questo accento britannico in bocca ad un personaggio tedesco è forse da ricercare nella storia stessa del personaggio, il quale dichiara di aver ricevuto un’educazione classica e di vestire a Londra, suggerendo che possa aver studiato a Oxford (o Londra stessa) perché di buona famiglia.
Sempre sulla stessa pagina web sopra citata viene sostenuto che: “nella versione italiana tale differenza (di accenti) non viene resa, ma non c’è un cambio di adattamento del dialogo: come in originale, McClane si prende gioco dell’accento usato da Gruber.” ma anche questo è errato. Il “cambio di adattamento del dialogo” sulla battuta dell’accento “da televisione” c’è. C’è eccome!Frase originale:
McClane: That’s pretty tricky with that accent. You oughta be on fucking TV with that accent.
(Traduzione: “Non è stato facile con quell’accento. Dovresti essere in televisione con quell’accento.“)
Il riferimento è al finto accento americano che Hans aveva interpretato ritrovandosi davanti a McClane, fingendo di essere uno degli ostaggi. Il suo “americano” era pulito (forse anche troppo perfetto) e degno di un presentatore televisivo. La battuta sul copione originale infatti era: “È stato difficile (scoprirti) con quell’accento. Scommetto che potresti imitare Ed Sullivan” (“That was tricky, with the accent. I bet you do a great Ed Sullivan.”).
La battuta doppiata è decisamente diversa:
McClane: ma chi vuoi imbrogliare col tuo tedesco, avresti successo in televisione con quell’accento?
Nella versione doppiata, il riferimento cambia: non più all’imitazione di un impeccabile accento americano (che ovviamente noi nel doppiaggio italiano non possiamo sentire), bensì alle precedenti scene in cui Hans parlava tedesco. Con la seconda frase McClane insinua che Hans non potrebbe avere mai successo sulla TV americana parlando tedesco.
Per finire l’argomento “doppiatori”, il premio “Doppiatore Jolly” va a Fabrizio Pucci con ben tre ruoli accreditati (il tizio sull’aereo all’inizio del film; Marco, il terrorista italiano; il presentatore del telegiornale Harvey Johnson). Tra un po’ gli facevano anche doppiare la tosse di Mr. Quaggott.
Ridoppiaggio delle scene aggiuntive
L’edizione speciale in Blu-Ray contiene una scena estesa (62 secondi) al momento in cui l’FBI stacca la corrente. Le scene aggiunte, già presenti dall’edizione speciale del DVD del 2002 (ma solo in lingua originale come contenuti extra), sono state reinserite nel film e doppiate ex-novo. È improprio parlare di ridoppiaggio visto che non erano mai state doppiate prima e aggiungo che sembrerebbero doppiate dagli stessi doppiatori originali ma sono così poche battute che non saprei dirlo con esattezza.
Di sicuro abbiamo Massimo Foschi che ritorna su Alan Rickman e solo la sua voce si amalgama benissimo al resto del film (ma Foschi oggi ha ancora la stessa voce che aveva nel 1988? È un mostro!); chi doppia invece l’operatore Theo è molto diverso, non so se è cambiato il doppiatore ma se è lo stesso dell’epoca allora la sua interpretazione non è sufficientemente simile a quella del 1988.
In generale, tutte le nuove battute sembrano assai piatte e stonano in un film doppiato nel 1988 quando la reinterpretazione (e non la banale fotocopia) delle battute originali era cosa comune e, direi, necessaria. Comunque si tratta di poche battute in totale, un problema veramente da poco.
NOTE FINALI
Come in tutti gli adattamenti su cui ha lavorato Maldesi, anche in Die Hard sentiamo battute ed espressioni che ci suonano naturali e che sembrano essere nate in lingua italiana, segno di un ottimo lavoro di adattamento. Tutte le eventuali alterazioni dei dialoghi originali sono giustificabili (non le ho neanche elencate in dettaglio perché sarebbe stato superfluo) e tutti gli interpreti che hanno partecipato al doppiaggio erano all’altezza del compito.
Perché allora me lo guardo sempre in inglese? Semplicemente perché adoro molte battute per via della loro memorabile espressività. Mi riferisco a qualsiasi battuta di Alan Rickman (una delle più famose nel mondo anglosassone è “shoot the glass“, non particolarmente memorabile in italiano), ma ce ne sono molte altre: il furioso “I want blood!” (“voglio il suo sangue!” in italiano), la moglie che risponde “tell that to Takagi” (“raccontalo a Takagi”) e l’ordine di irruzione dell’ispettore capo spaccone “kick ass!” (“dateci dentro” in italiano)… la lista potrebbe davvero andare avanti in eterno e ovviamente è una preferenza del tutto soggettiva, dategli quindi il giusto peso.
Oggettivamente, invece, l’intero film è adattato benissimo ed ha tante battute memorabili anche in italiano, qualcuna persino meglio riuscita della controparte originale! Quindi per chi conosce bene l’inglese consiglio di godersi, almeno una volta, il film in lingua originale. Per quelli che non possono, c’è ancora tanto da apprezzare nella versione doppiata che si rivela essere adattata quasi alla perfezione e con voci adeguate. Un privilegio di cui il seguito, Die Hard 2, purtroppo non ha goduto.