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Aliens – scontro finale (1986)

Kane da Alien 1979
È cosa poco nota che l’adattamento di questo film soffra, in alcuni (pochi) momenti, di scelte non ben ponderate dove il significato di certe battute risulta chiaro solo con il copione originale alla mano. In questo articolo analizzerò l’adattamento italiano di Aliens – Scontro finale per filo e per segno. Pronti? Via!

Guardia costiera galattica


Iniziamo col botto: la primissima battuta di questo film è tradotta male!
Vediamo la navicella di Ripley alla deriva che viene abbordata da una nave più grande. Strumenti robotici sondano l’interno della navicella mostrandoci che Ripley è ancora ibernata nel tubo criogeno. Entra dunque una squadra di umani a constatare che la nostra protagonista risulta essere ancora viva ed il loro “leader” esclama:

Well, there goes our salvage, guys.”

(Traducibile come: “beh, possiamo dire addio al nostro recupero“)
Nel doppiaggio italiano è stato invece tradotto con la frase:

…e anche questo salvataggio è fatto“.

Perché la frase italiana non funziona?

Per come è messa, lo spettatore è portato a pensare che i salvatori di Ripley appartengano ad una sorta di guardacoste dello spazio che salva i naufraghi alla deriva. Hanno appena salvato l’ennesimo naufrago perso nello spazio, giusto? Così viene da pensare sentendo “e anche questo salvataggio è fatto“!

In inglese non ci sono dubbi invece, si tratta di una squadra che recupera per profitto relitti abbandonati nello spazio profondo [nell’universo immaginario della serie di Alien vige una sorta di legge marittima e le (astro)navi abbandonate sono di chi le ritrova]. Il fatto che Ripley sia ancora viva dentro il suo tubo criogeno significa che la squadra di recupero non potrà appropriarsi legalmente del relitto e che la loro operazione li ha lasciati a mani vuote per questa volta. C’è del disappunto nelle parole del “leader” della squadra di recupero quando recita la sua battuta.

In italiano invece c’è un tono di soddisfazione “e anche questo salvataggio è fatto!”.
Avranno confuso “salvage” con salvataggio? “Salvage” è il relitto da recuperare, più precisamente è “il recupero del relitto” stesso e che, purtroppo per loro, è andato a farsi benedire perché, trovando una persona ancora viva a bordo della nave, significa che non ne potranno reclamare la proprietà. Forse la frase era troppo breve per permettersi di dire altro? Difficoltoso far passare il significato originale in poche parole (la battuta dura infatti mezzo secondo)? Chissà.
Nella scena successiva verrà rivelato alla protagonista, Ripley, che è stata molto fortunata ad essere stata ritrovata da una “squadra di salvataggio” (“deep salvage team” in originale), forse squadra di “recupero” sarebbe stato più appropriato ma oramai lo spettatore italiano pensa agli eroi della guardia costiera spaziale e perlomeno sono stati coerenti nell’adattamento, il che è sempre cosa da elogiare.

Questi momenti ambigui lasciano un po’ sorpresi considerando chi ha lavorato a questa pellicola:

DIALOGHI ITALIANI: SERGIO JACQUIER
DIREZIONE DEL DOPPIAGGIO: MARIO MALDESI

Posso solo immaginare che siano stati limitati dalla eccessiva brevità di molti dei termini anglosassoni, del resto deep salvage team non può essere tradotto altrettanto brevemente quando già solo con il termine  “deep” si intende “spazio profondo”, tanto per intenderci.
Sia chiaro, sono scelte che non alterano la trama in minima parte ma visto che sono qui a fare una dettagliata lista delle alterazioni del doppiaggio di questo film che adoro consentitemi di lasciarmi andare alla minuziosità.

Kane o Krane?


Quando Ripley parla del defunto Kane (personaggio del primo film interpretato da John Hurt), in italiano il nome è pronunciato “Krane” e letto quindi “crein” invece che “chein”, se non lo ripetesse due volte di fila non ci avrei neanche fatto caso:

Krane, un membro dell’equipaggio… Krane che entrò in quella nave disse di aver visto migliaia di uova là, migliaia!

Ma è solo una piccola svista della eccellente doppiatrice di Sigourney Weaver, oppure no? Il nome viene ripetuto errato anche successivamente, in una sequenza completamente diversa del film, quando Ripley racconta la sua storia ai Marines e dice:

Krane sembrava rimesso“.

Ma chi è ‘sto Krane? Che ci sia stato un errore di battitura a monte del processo di traduzione? Una volta o due l’errore può scappare, ma TRE VOLTE vuol dire che qualcuno lo ha trascritto male sul copione destinato alla doppiatrice. Purtroppo dubito che qualcuno ne possegga ancora una copia per verificare l’ipotesi del refuso, che rimane però la più plausibile.

Testolina di lisca… per non dire altro!


In italiano, prima di imbarcarsi nella pericolosa avventura che la riporterà sul pianeta alieno, Ripley dice al suo gatto:

e tu, testolina di lisca… tu resti qui.”

Una frase che strappa una risata di tenerezza fin quando non andate a sentire la battuta originale:

and you, you little shit-head, you’re staying here.”

Chiamare il proprio gatto “testolina di merda” strappa una risata, ma di altro genere. È come se avesse detto “e tu merdina… tu resti qui”, oppure se lo avesse chiamato “stronzetto”. Il gatto la guarda con un’indifferenza che solo i gatti possono sfoderare contro gli umani che li prendono in giro.
Personalmente trovo più che appropriata l’alterazione di questa battuta, notare infatti che Jacquier sceglie di usare “testolina” che in italiano lo associamo al “testolina di cazzo”, quindi anche se non ve ne eravate accorti, come adattamento rimane comunque fedele alle intenzioni. Diciamo che in inglese Ripley è solo un pelo più diretta, ma in italiano sarebbe stato strano e addirittura fuori luogo sentirci un offesa altrettanto diretta.

Ripley la drammatica


Durante l’incontro con i Marines coloniali, Ripley descrive la sua esperienza con la creatura aliena ma il discorso si dilunga portandola ad essere emotiva, allora la macho-soldatessa sudamericana del gruppo la interrompe:

Escucia muchacha, io ho bisogno de sapere solo una cosa… Donde esta!

Al che Ripley, con espressione greve, le dice: “spero che tu ce la faccia, con tutto il cuore“.
Ho sempre pensato che questa risposta fosse un po’ esagerata da parte di Ripley, come a dire “spero che tu ce la faccia a sopravvivere”. Per altro tale frase sarebbe anche fuori luogo, perché dovrebbe sperarlo con tutto il cuore dato che non le conosce nemmeno queste persone (i marines)? Mai mi sarei sognato che la frase significasse altro! Difatti scoprendo poi il film in lingua originale, molti anni dopo, ho capito il significato inteso di questa risposta. In inglese:

Vasquez: “Look man, I only need to know one thing… Where they are!
Ripley: “I hope you’re right, I really do”

Tanto per intenderci la risposta di Ripley significa “spero che tu abbia ragione, lo spero davvero”. E per “aver ragione” intendeva: aver ragione sulla facilità con cui i Marines credono di poter affrontare gli alieni.
La frase italiana va dunque reinterpretata alla luce di questo dettaglio e significa in pratica “spero che tu ce la faccia (…a fare ciò che hai appena detto di poter fare con tanta facilità)”. Non proprio una frase immediatamente comprensibile se non alla luce del copione originale. Forse l’avremmo capita meglio con qualcosa tipo “spero che sia così semplice”.

Vasquez, aliena o immigrata clandestina?

Nella stessa scena dello “spero che tu ce la faccia” c’è una battuta molto celebre e molto citata nel mondo anglosassone in cui il soldato semplice Hudson sfotte Vasquez; in inglese lo sfottò ricade sulle origini “clandestine” di Vasquez, in italiano invece sulla sua poca femminilità:

Hudson: “Somebody said “alien” she thought they said “illegal alien” and signed up!
Vasquez: “Fuck you, man!

In italiano:

Hudson: “qualcuno ha detto “salviamo i coloni“, lei ha capito “vi diamo i coglioni” e si è arruolata subito“.
Vasquez: “Fatte fottere, amigo!

In questo caso si tratta di un ottimo adattamento e di un cambiamento giustificatissimo. Negli Stati Uniti illegal alien” significa “immigrato clandestino quindi, secondo lo sfottò di Hudson, Vasquez aveva sentito la parola “alien” nella pubblicità per l’arruolamento nei Marines e, pensando che si riferisse a lei in quanto clandestina, si era arruolata subito, presumibilmente per ottenere la cittadinanza americana, cosa che accadeva normalmente durante le guerre ad esempio in Corea e Vietnam (come potete facilmente verificare anche su internet, qui un documento dalla Louisiana State University Law ad esempio che usa proprio la parola “aliens” per “immigrati”: In Service to America: Naturalization of Undocumented Alien Veterans, Darlene Goring, 2000).
In italiano si mantiene la rima e si cambia necessariamente la battuta. Bravo Maldesi, le battute ti riuscivano sempre bene (Frankenstein Junior docet) e bravo Jacquier.

Bishop, androide a sorpresa… ma non più di tanto


L’androide Bishop (Lance Henriksen) rivela la sua identità non umana solo dopo essersi accidentalmente tagliato con il coltello, lo scorrimento del freudiano sangue bianco latte allerta Ripley della sua identità. Una rivelazione non da poco visto che il precedente androide (in Alien) aveva cercato di uccidere tutti i suoi compagni di viaggio per ordine della compagnia Weyland-Yutani.
Se non fosse stato per questo incidente di Bishop in Aliens, il pubblico, così come Ripley, non avrebbe avuto altri indizi per scoprirne l’identità di “sintetico” (“abbiamo sempre un sintetico a bordo”). Agli italiani però piace la pappa pronta e al posto di una voce calda e “umana” come quella che Bishop ha originariamente (a suggerire la natura benevola del personaggio), con il doppiaggio italiano abbiamo invece una fredda voce “metallica” perché, si sa, in Italia niente fa più “robot” di una bella voce metallica o, in alternativa, di una bella recitazione robotica come quella di Boba Fett nel film L’impero colpisce ancora.

“On-line” negli anni ’80


Durante la sortita dei Marines coloniali nel “nido” alieno sentiamo il controllo missione dire “su linea” come traduzione di “on-line”. Mi sento sciocco e anagraficamente vecchio a doverlo specificare ma questo non è un errore come alcuni possono credere. Negli anni ’80 e fino agli inizi del 2000 non era insolito sentire tradotti termini informatici che oggi giorno passano direttamente in inglese. Pensate che agli inizi dell’era informatica “domestica” la situazione era quasi opposta, si usava l’italiano a sproposito con traduzioni sconsiderate come “direttorio” per “directory“.

I punti di forza dell’adattamento italiano

Dopo le poche lamentele un po’ di elogi. Il film doppiato non manca di brillare in diversi momenti:

Glauco Onorato doppia il sergente dei Marines


Glauco era di quei doppiatori che riusciva a rendere divertente qualsiasi personaggio per il solo modo di recitare. Non a caso ha reso memorabili e ha contribuito alla fama di attori come Bud Spencer in innumerevoli film e Danny Glover in Arma letale con il suo celebre “ehi, Riggs!“. Qualsiasi battuta lui doppiasse diventava automaticamente divertente e la sua interpretazione del sergente in Aliens non è da meno. È curioso come ad Onorato venissero puntualmente assegnati attori di colore: Mister T in Rocky 3, Danny Glover in Arma Letale, Bill Duke in Due nel mirino, Fred Williamson in Dal tramonto all’alba, poi ancora Sidney Poitier, O.J. Simpson (sì sì, il famoso O. J. Simpson… ), Yaphet Kotto in 007 e tanti, tanti altri attori neri.
Un altro doppiatore da complimentoni è Stefano De Sando che dà la voce al caporale Hudson (Bill Paxton) caratterizzandolo in maniera altrettanto memorabile di quanto lo fosse in originale, quasi tutte le sue battute sono spassose parimenti alle frasi originali.

Qualche battuta di Aliens risulta più divertente in italiano

Come ad esempio:


Hudson: “ehi sergente, ti cadono le labbra a fumare quelli” (riferito ai sigari)

Che in inglese era:

Hey Sarge! You’ll get lip cancer smoking those!”

Il “cancro al labbro” fa meno ridere rispetto al “ti cadono le labbra”, la nostra infatti è una battuta molto affine alla cultura linguistica italiana dove la caduta di parti del corpo, di medievale memoria, suscita automaticamente ilarità rispetto al “ti viene un cancro”.
Successivamente, il sergente (doppiato da Glauco Onorato) urla: “scattare, scattare, scattare… Ahhh, assolutamente belve! In gabbia belve!” (aprendo la porta del blindato per far entrare i soldati) che in inglese era “absolutely badasses! Let’s pack them in.“. L’espressione impacchettiamoli (“let’s pack them in”) non continua la battuta che lo precede come accade invece in italiano. Mi è sempre piaciuta quella della gabbia per belve, merito ovviamente dei ritocchi di Jaquier ai dialoghi e di Onorato al doppiaggio del sergente.


Ce ne sono molte altre di battute che fanno sorridere un pochino di più in italiano e altre che invece in italiano sono meno memorabili rispetto a quelle originali nel mondo anglosassone, potremmo dire infatti che “game over, man!” sia certamente più celebre del nostro “fine dei giochi!“, culturalmente parlando, mentre rimane ugualmente memorabile “vengono fuori dalle fottute pareti” tanto quanto “They’re coming outta the goddamn walls” in inglese, ma in generale rimane il fatto indiscutibile che, anche al netto di piccoli errori, incomprensioni o alterazioni, l’intero film goda di un buon adattamento e di un buon doppiaggio.

Ripley, la dura di comprendonio


Dopo l’eroico salvataggio dei Marines da parte di Ripley, il caporale Hicks chiede a Ripley di fermre il blindato, ormai distrutto, ripetendo ben quattro volte la frase “ease down!” (tradotto nel film in italiano con “rallenta!“). Il dialogo in inglese mi è sempre sembrato ridondante mentre in italiano è stato “aggiustato” in questo modo:

Ease down! – Su, rallenta per favore.
Ease down! – Rallenta.
Ease down! – (muto)
Ease down! – (muto)

Negli ultimi due “ease down!” il caporale è o di spalle o di profilo, ma se fate attenzione si può comunque notare il labiale. Comprendo l’alterazione del dialogo e anche le frasi omesse poiché in originale fa un po’ ridere che la stessa richiesta sia ripetuta quattro volte senza variazione di formula; lo so che si tratta di un momento di alta tensione e probabilmente rispecchia ciò che accadrebbe anche nella realtà, ma in un film funziona un po’ meno. Ce lo vedo Michael Biehn che legge il copione e guarda Cameron incuriosito: “devo dirglielo QUATTRO volte di rallentare?”.
Facendo una piccola parentesi che c’entra poco col doppiaggio… da eroe degli anni ’80, Michael Biehn adesso sembra un senza tetto che arrotonda la pensione firmando autografi alle convention di fantascienza, alle quali si presenta non di rado ubriaco e di mal umore. Avrà ricevuto un pugno da Mario Brega che lo ha rispedito a fare il gelataro a New York? Non mi sorprenderebbe di vederlo al Lucca Comics tra pochi anni.

Alieni fotti-madre!


Ricordate il mio articolo sulle traduzioni italiane della parolaccia “motherfucker“? No? Andatevelo a rileggere (Quelle parole intraducibili). Nella famosa sequenza di questo film dove gli alieni irrompono nella stanza dal controsoffito, il soldato Hudson apre il fuoco urlando “die motherfucker, die!!!“, tradotto in “crepa, maledetto!” (ottima soluzione per mantenere un labiale credibile con la “m” iniziale di maledetto e motherfucker). Se avete letto il mio articolo sulla parola intraducibile sapete come la penso in merito: sono traduzioni non solo necessarie ma persino benvenute, motherfucker è una di quelle parole che richiedono di essere “adattate” caso per caso e qui il “maledetto” al posto di “motherfucker” ci sta benissimo, non è una traduzione diretta ma ne coglie perfettamente e funzionalmente l’intenzione “finale”.

Allo stesso modo è stata tradotta la celebre battuta di Ripley quando affronta la regina aliena:

Get away from her… you BITCH!

Nonostante la difficoltà di un labiale spietato, questa frase è stata sostituita in maniera magistrale da:

Stai lontana da lei… MALEDETTA!

In questo caso il labiale, necessariamente imperfetto, ha lo strano effetto di intensificare l’espressività dell’esclamazione in italiano, dove Ripley infatti sembra così infuriata da urlare “maledetta” aprendo la bocca poche volte ma mostrando molto i denti. Quando questo genere di “operazione” nel doppiaggio funziona, funziona alla grande. Un esempio simile è il “merda!” alla fine del film Io e zio Buck in cui John Candy in realtà dice “shit!” ma il labiale è così differente da diventare quasi parte di un’espressione comica facciale.

Il titolo (e il sottotitolo) italiano


Finiti gli elogi, concludo con una considerazione sul titolo italiano Aliens – Scontro finale. Apprezzo che i titolisti italiani all’epoca abbiano immaginato che questo capolavoro potesse essere il capitolo ultimo della serie (infatti, come continuare la serie se i protagonisti hanno nuclearizzato un’area “pari allo stato del Nebraska” uccidendo presumibilmente tutti gli alieni, giusto?) ma non avevano fatto i conti con l’avidità di Hollywood che ha inutilmente proseguito una serie che poteva tranquillamente fermarsi in grande stile con il film di James Cameron invece di propinarci seguiti discutibilmente brutti e film derivativi anche peggiori.
Per me questo secondo film è davvero lo scontro “finale”, i capitoli successivi li considero al pari di un esercizio di immaginazione (Alien3 come incubo di Ripley nell’ipersonno) o non li considero affatto (Alien: La clonazione, per quanto come film a sé stante possa risultare anche divertente). In merito al titolo di questo secondo capitolo vi rimando ad una vecchia puntata di “titoli italioti” dove lo avevo definito “poco lungimirante” e concludo con una vignetta che, come spesso accade da queste parti, non ha a che vedere con niente di quello che è stato detto:

Buona ri-visione di Aliens, qualunque sia la lingua che deciderete di scegliere.

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