• Ehi, ma che cazzo è? È Terminator Genisys

    Non sapete quanta voglia io abbia di parlare nuovamente di Terminator Genisys… spero che la mia ironia sia palese, siamo tra il “così me lo tolgo dai piedi” e il “lo faccio perché mi è stato chiesto da uno sull’internet“; siccome qualcosa da dire dopotutto ce l’ho, ecco l’articolo su Genisys ed il suo adattamento italiano. Contenti, no? Parliamo ancora di Genisys! Fate cadere i palloncini.
    scena della festa di capodanno nel parco di Grattachecca e Fighetto, dai Simpson
    Terminator Genisys, per come è ideato, ci mette davanti ad una situazione curiosa per il doppiaggio italiano: il misto tra alcune battute adattate 31 anni fa ed il resto delle battute adattate oggi, nel 2015; Genisys infatti ripropone tantissimi dei dialoghi originali mettendoli in bocca a nuovi attori, dalle frasi più famose fino a quella del monnezzaro che impreca contro il suo camion.
    Scena dal film Terminator dove Bill Paxton vestito da punk urla in facci al robot minacciandolo con un coltello. La vignetta legge: sciacquati la bocca con il sapone quando citi Terminator del 1984
    In particolare, la sequenza del monnezzaro della versione americana di Genisys fa leva su un’imitazione della frase del primo film mentre la versione italiana, tristemente, reinterpreta in chiave “moderna” ma ci ritorno su questa scena, eh se non ci ritorno!
    Ciò che mi ha subito sorpreso dei dialoghi presi dal primo film e qui “riproposti” è stato il coraggioso rispetto delle fonti. Difatti i dialoghi italiani che originano dal primo Terminator, quelli creati dalla Letizia Ciotti Miller, sono riportati fedelmente in questo adattamento di Terminator Genisys a cura di Fabrizio Pucci, il quale Pucci troviamo sia ai dialoghi che alla direzione del doppiaggio.
    Oggi giorno, tale fedelissima attenzione è cosa abbastanza rara e l’unico comprensibile cambiamento pare sia avvenuto per la storica “I’ll be back” che in questo film diventa “tornerò” (mentre nel doppiaggio del 1984 era stata tradotta con il tanto lamentato “aspetto fuori“), ma non è neanche un vero cambiamento in realtà! Potremmo infatti sostenere che “tornerò” sia stata presa dal doppiaggio del secondo capitolo della saga, altro film citato in Genisys, e quindi che omaggi T2 più che Terminator nello specifico.
    Anche non ricordando precisamente i dialoghi italiani del 1984, potrete facilmente identificare le battute “storiche” della Ciotti-Miller perché sono le uniche frasi che stonano leggermente con il resto dell’adattamento moderno; del resto in 31 anni lo stile e i metodi di lavoro nel mondo del doppiaggio sono cambiati in maniera totale e in questo film si scontrano verbalmente, se avete le orecchie per farci caso.

    Nuova versione della scena dei punk in Terminator Genisys

    Fate click sull’immagine per vedere la scena


    Un’altra occasione unica per gli appassionati del doppiaggio è stata quella di ritrovare Alessandro Rossi che va a ridoppiare Schwarzenegger anche nelle sequenze del 1984, regalandoci un grandissimo “ma se…?”: ma se Rossi avesse doppiato Schwarzenegger anche nel primo Terminator al posto di Glauco Onorato? Queste sono occasioni rare per i fanatici del doppiaggio.
    Sapete già dal mio articolo sull’adattamento di Terminator che la voce di Onorato su Schwarzenegger in quel film non mi è mai andata a genio, per le ragioni che ho già spiegato nell’articolo stesso, quindi ritrovare Rossi nelle sequenze del 1984 è stato certamente… interessante.
    Purtroppo i miei complimenti a Genisys terminano qui.

    MONNEZZARO 1984 vs. MONNEZZARO 2015

    Il monnezzaro di Terminator (1984)

    Fate click sull’immagine per vedere le scene a confronto


    versione 2015 in inglese : What the hell?
    versione 1984 in italiano: Ehi, ma che diavolo gli prende a questo maledettissimo figlio di puttana? Ehi, ma che cazzo è? (voce di Carlo Marini IDENTICA a quella originale)
    versione 2015 in italiano: Ma che cazzo è (con tono molto rabbioso, assente in inglese, e voce impostatissima)
    Tale scena viene riproposta in Genisys leggermente abbreviata, così non mi sorprende scoprire che, sia in inglese che in italiano, abbiano mantenuto unicamente il secondo “what the hell?” (quello che in italiano era “ehi, ma che cazzo è?“). La lieve differenza è che quel “ma che cazzo è” era riferito ai lampi e non al camion che smette di funzionare. Ad ogni modo, quella che è a tutti gli effetti una frase insignificante del film originale, per me rimane immortale sia in inglese sia per come fu resa identicamente in italiano da Carlo Marini e il sentirla banalmente riproposta con la tipica voce rabbiosa e molto impostata che oggi giorno mettono su CHIUNQUE, si tramuta nell’ennesimo promemoria su come il nuovo modo di recitare sia spesso tremendamente standardizzato, stereotipato, piatto e neanche necessariamente fedele all’originale come si potrebbe credere.
    Se al lettore occasionale questa sull’esclamazione del monnezzaro può sembrare una critica puntigliosamente inutile, sicuramente non mi conosce ma forse non si rende neanche conto che tale minuscola espressione presente in Genisys è tremendamente rappresentativa di come si doppia oggi; che se mettiamo un doppiatore della “vecchia scuola” accanto ad un doppiatore “odierno”, questi due strideranno da morire. Non è solo la mia opinione ma lo era anche del fu-Glauco Onorato in questa intervista del 2011 (dal minuto 10:02) e di Michele Kalamera in questa lunghissima intervista (da 3:52:40 a 3:56:38).

    IL MESSAGGIO DI JOHN ALLA MADRE

    versione 1984

    Grazie Sarah per il tuo coraggio negli anni oscuri. Io non posso aiutarti in quello che presto dovrai affrontare se non dicendoti che il futuro non è deciso. Tu devi essere più forte di quanto immagini tu possa essere. Tu devi sopravvivere, altrimenti non potrò esistere.

    versione 2015

    Grazie Sarah per il tuo coraggio negli anni oscuri. Io non posso aiutarti in quello che dovrai affrontare ma il futuro non è deciso. Non c’è alcun fato se non quello che creiamo noi stessi. Devi essere più forte di quanto immagini tu possa essere. Tu devi sopravvivere, altrimenti io non potrò esistere.

    La vera differenza sta nella frase sul fato, aggiunta nei dialoghi originali (in inglese) per far riferimento, a posteriori, anche a Terminator 2.Altre alterazioni sembrano più dovute a questione di “tempi” che a scelte stilistiche.

    John Connor stringe la mano a Kyle Reese e nella vignetta gli dice salutami a mammeta

    I DIALOGHI DEL TERMINATOR

    Non l’ho ucciso. Fra poco il T-1000 scopre la nostra posizione.

    Dopo oltre 30 anni il Terminator non ha ancora imparato la lingua sufficientemente bene da poter dire “fra poco scoprirà la nostra posizione”? Sempre questione di tempi? Chi sa. Non è propriamente un errore, ma neanche ciò che direbbe naturalmente una persona in… “italiano”. La scusa che si tratti di un robot non regge come giustificazione. Anzi, sembra che nonostante la trentina d’anni passati a contatto con gli umani, il terminator si sia rincoglionito ancora di più, specialmente quando poco dopo esclama cose tipo…

    Terminator che esclama: siamo stati recuperati

    Fate click sull’immagine per vedere la scena

    we’ve been reacquired

    che in italiano diventa incomprensibilmente…

    siamo stati recuperati

    …quando il T-1000 li raggiunge con l’automobile.
    Sebbene comprendo che si volesse rendere in qualche modo il dialogo simil-militare del terminator che parla di essere stati “riacquisiti”, trovo che l’uso della parola “recuperati” sia una scelta piuttosto ambigua e confusionaria. Il termine “re-acquired” difatti deriva dal termine militare del “target acquisition” che in italiano si traduce con “localizzazione dei bersagli”; con una traduzione meno bella questo potrebbe diventare “acquisizione dei bersagli” (termine che comunque è stato anche usato in passato), ma certamente è difficile da ricondurre ad un “recupero dei bersagli”, che indicherebbe piuttosto la cattura dei bersagli e non la loro individuazione.
    Una battuta che trovo più divertente in italiano è la seguente:

    Kyle: Sei già stato qui?
    T-800: Mi sono infiltrato tra gli operai che ci hanno lavorato.
    Sarah: Hai un lavoro nell’edilizia?
    T-800: Sono un esubero.

    In inglese alla richiesta “hai lavorato nell’edilizia?”, Schwarzenegger rispondeva semplicemente “until I was laid off”, ovvero “finché non mi hanno licenziato”. La scelta della parola “esubero” è particolarmente azzeccata perché negli Stati Uniti, patria del licenziamento senza giusta causa, c’è differenza tra “laid off” e “fired”.
    Mentre “fired” si usa quando una persona viene licenziata per ragioni personali (non lavora bene, ha offeso il capo, ruba o simili)…

    Scena da Ritorno al Futuro 2 con Marty McFly che guarda il fax di licenziamento con scritto YOU'RE FIRED

    (Ritorno al Futuro 2)


    …”laid off” viene usato invece quando si perde il lavoro per via della situazione economica dell’azienda (recessione, tagli al personale)…
    Scena dal film Chi ha incastrato Roger Rabbit nella quale vediamo la scritta laid-off

    (Chi ha incastrato Roger Rabbit?)


    …ovvero in tutti in quei casi in cui si viene licenziati per un eccedenza di personale rispetto alle necessità/disponibilità economiche dell’azienda (e di solito si finisce in cassa integrazione).
    Quindi “laid off” vuol dire letteralmente “licenziato per eccedenza di personale”, che poi è l’esatta definizione di esubero. Chapeau!

    I DIALOGHI DI KYLE REESE

    Kyle Reese che chiede chi è il lavoro in pelle? Ovvio riferimento a Blade Runner

    Reese: Chi è il lavoro in pelle?

    Questa battuta era identica in inglese purtroppo (“skin job”) quindi non possiamo dare la colpa all’adattamento italiano in questo caso. Con questo termine non viene fatto riferimento ad un precedente capitolo della saga di Terminator ma ad un altro film di culto degli anni ’80, Blade Runner. Starete pensando “cavolo, Genisys si appiglia così tanto alla nostalgia anni ’80 che comincia a citare anche altri film di quel periodo!”. A me invece piace pensare che sia un intenzionale indizio per farci presagire l’orrore che si presenterà a noi tra un paio di anni… ebbene sì, l’ennesimo seguito non richiesto dell’ennesimo film di culto anni ’80: Il Secondo Tragico Blade Runner. Abbiate paura, abbiate molta paura.
    Ad ogni modo, i fan accaniti di Blade Runner non hanno apprezzato la strizzatina d’occhio fuori luogo.
    Continuiamo con le frasi di Kyle Reese:

    Skynet è soltanto un programma. Finché è in sviluppo, è bloccato. Ma appena viene caricato sul server… non può più essere fermato.

    Dato che non sono proprio ignorante del mondo del computer e conoscendo la trama del film, quel “appena viene caricato sul server” mi puzzava un po’ quando lo sentii al cinema. Skynet caricato SUL server? Quale server? Su un solo server? Quindi sono andato a verificare e in originale diceva:

    Skynet is a computer program. As long as it’s still being coded, it’s contained. Once is uploaded from the servers… it can’t be stopped.

    Come volevasi dimostrare, la situazione è la seguente:

    1. ci si dovrebbe riferire ai server al plurale;
    2. Skynet (sotto forma di sistema operativo “Genisys”) si trova nei server della Cyberdyne in attesa di essere rilasciato, quindi l’upload dovrebbe avvenire “DAI server” e non “SUL server”.

    Un “ma una volta messo in rete” sarebbe stata una soluzione di gran lunga più elegante ma avrebbe voluto dire omettere la parola “server”, allontanandosi TROPPO dalla frase originale secondo gli standard odierni… e tale pratica sappiamo che è diventata tabù nel mondo del doppiaggio moderno dove la creatività viene disincentivata (solitamente dai supervisori americani) in cambio di frasi-fotocopia.
    Scena dal film Fantozzi quando al ristorante cinese gli implorano di non chiedere pane. Nella vignetta si dice che la creatività è proibita
     

    ERRORI DEL 1984 INCONTRANO QUELLI DEL 2015 E SI RICONOSCONO

    Abbiamo un poliziotto anziano che cerca di convincere un giovane agente del 2017 che l’apparizione di Kyle e Sarah in una sfera di luce sia la prova di ciò che sostiene da oltre trent’anni, ovvero che esistono dei viaggiatori del tempo. Questo a riprova di quanto vide nel 1984 da giovane poliziotto di pattuglia che era.
    Per questo la battuta…

    è la prova di quello che ti dico da ormai… da 30 anni

    …puzza pure questa di errore. Che TI dico? Come fa ad averglielo detto per 30 anni se collega a cui si rivolge ne dimostra appena 35 e non è suo parente?
    Difatti in inglese diceva:

    this is proof of what I’ve been talking about for 30… whatever years.

    cioè è la prova di quello che l’anziano poliziotto cerca di dire da 30 anni e passa… ma non è indirizzato a nessuno in particolare. Curioso che siamo nel 2015 e vengono commessi errori PRATICAMENTE IDENTICI a quelli che si commettevano nel 1984 (quando Kyle Reese diceva “tu ancora non mi credi” invece di “voi ancora non mi credete”); solo che nel 2015 si hanno molte meno scuse di 30 anni fa.
    Scena del film Terminator Genisys. Un poliziotto cerca di convincere altri due

    IL FINALONE

    – Papà! Credevo che fossi morto!
    – No, solo app-gradato!

    Ed Evit in lacrime dalle risate, tanto ormai…
    In un film dove sono stati sempre attenti a non cadere nella trappola dei termini informatici (“caricato” al posto di “uploaded” ve ne dà un’idea), un trattamento di cui non tutti i film moderni possono vantarsi (pensate all’osceno “posso uploadarmi nel mainframe della nave” di L’Uomo d’acciaio), ecco che si presenta sul finale una battuta dove hanno optato di far dire ad Alessandro Rossi quel termine italianizzato: upgradato (che tra l’altro suona proprio come “app gradato” a me che non ho l’abitudine di pensare “giovane”).
    Ad ogni modo, visto che la frase era comunque una battuta, direi che sono riusciti nello scopo di farmi ridere (sebbene non per lo stesso motivo per cui si ride in lingua originale). Quasi comprendo la necessità di optare per “upgradato” ma non la giustifico, né la approvo, né la apprezzo. Peccato sciupare un record invidiabile per un film di fantascienza altrimenti scevro da inglesismi e neologismi. Proprio sul finale… ce l’aveva quasi fatta.
    Foto sul set: un uomo da indicazioni ai membri della troupe. La vignetta parla di una supercazzola di Amici Miei

    In conclusione, un film adattato discretamente bene rispetto alle mie iniziali aspettative (insomma non è Captain America 2) con la curiosa “intromissione” di frasi adattate invece 30 anni fa e che stanno lì a sottolineare (per i più attenti e sensibili all’argomento) come siano cambiati i tempi anche per il doppiaggio italiano. In ogni caso si tratta di una invidiabile prova di fedeltà verso le fonti che probabilmente riflette proprio una volontà dei produttori americani, visto che l’intero film altro non è che una massiccia “operazione nostalgia”.
    Resta la presenza di alcuni errori nell’adattamento di Genisys i quali, seppur numericamente inferiori agli errori dell’adattamento del primo film del 1984, sono ancor meno giustificabili di quelli di trent’anni fa.

    Però ce l’aveva quasi fatta.

    Foto dal set, Schwarzenegger guarda le foto della sua copia digitale e la vignetta ricorda Johnny Stecchino con la sua battuta storica: non mi somiglia per niente

  • Videocommento a "Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate"

    copertinaBlog

    Fare click sulla copertina per vederlo

    Enrico, autore del blog Doppiaggi Italioti, propone al compagno di visioni, Petar, “Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate”, terzo capitolo della saga che nessuno aveva richiesto.

    Ormai siamo al diciottesimo episodio della serie “i videocommentatori” che viene pubblicata saltuariamente su YouTube, rubrica nella quale guardiamo un film e lo commentiamo in diretta, tenendo poi le parti migliori o più interessanti. In questa puntata sono riuscito a limitarmi a 16 minuti! Un vero record.

  • “AMMIRATELO!” – Una conversazione col dialoghista Valerio Piccolo

    AMMIRATELO!!!

    Il grande Piccolo

    Evit: Piacere di conoscerti Valerio e benvenuto. Come forse avrai avuto modo di notare, il blog Doppiaggi Italioti è un blog di critica al doppiaggio italiano condito da una vena comica e con la parola “critica” intesa nel senso più neutrale possibile, difatti elogiamo sempre i doppiaggi ben fatti con la stessa energia con cui critichiamo quelli meno riusciti.
    Nel mio blog (e qui parlo al plurale estendendolo anche ai miei lettori e pochi collaboratori) siamo i cultori dei dialoghi tradotti che sembrano nati in lingua italiana e non di quelli pedissequamente tradotti dall’inglese, a volte direttamente con costrutti anglosassoni, conditi da parole non tradotte e altamente estranianti. Questa mia fissazione per i doppiaggi ben fatti mi ha portato a trovare te, Valerio, dato che sono molti anni che ritrovo il tuo nome nei titoli di coda di film di cui ho apprezzato molto i dialoghi italiani (lista dei suoi lavori → qui).
    Ci racconti le tue origini professionali e come sei entrato nel mondo dell’adattamento dei dialoghi per film doppiati? Perché mi pare di capire dal tuo sito web che questa attività di dialoghista sia secondaria rispetto alla tua vera professione.

    Valerio: Diciamo che la mia vita si divide a metà, tra musica e doppiaggio. Sono infatti anche un cantautore e chitarrista con 3 dischi alle spalle e vari progetti musical-teatrali in piedi tra Italia e Stati Uniti. Professionalmente però “nasco” traduttore, e dopo anni di lavori in campo letterario, nel 2000 ho avuto un’occasione per cimentarmi nel mondo del doppiaggio. Casualmente, quasi. Un amico, che all’epoca lavorava da fonico di doppiaggio e che sapeva del mio lavoro di traduttore, mi disse che una società cercava traduttori/adattatori “giovani”, e allora pensai: “Perché no?”. Era un società coraggiosa, che evidentemente credeva in me e non ebbe paura di lanciarmi sul mercato: contrariamente alla gavetta classica di un dialoghista, il mio sesto adattamento in assoluto fu già un film di circuito!

    Valerio Piccolo con Suzanne Vega

    Valerio Piccolo con Suzanne Vega

    E: come si diventa dialoghista di professione e a quali regole non scritte ti attieni per produrre ciò che ritieni un buon dialogo adattato?

    V: Come forse saprai, a tutt’oggi non esiste un vero e proprio iter “ufficiale” per diventare dialoghisti. Non esistono diplomi o lauree “ufficiali” e i vari master e corsi di cui sento parlare lasciano (almeno per la mia piccola esperienza) il tempo che trovano. Nel mio caso si è trattato praticamente di un percorso da autodidatta, e ho imparato quasi tutto sul campo. Dopo quella “chiamata” da parte della società di doppiaggio di cui parlavo prima, ho avuto un paio di “lezioni” da una dialoghista, e poi ho dovuto fare da solo. Secondo me, resta un lavoro in cui le regole non scritte sono maggiori di quelle scritte. E non è per forza un male, se lascia spazio alla creatività individuale. Certo è che ci vogliono alcuni requisiti di base che, a mio parere, sono indispensabili: la conoscenza dell’inglese, almeno, e un’ottima proprietà dell’italiano. Ma anche ritmo, musicalità e cultura cinematografica, indubbiamente.

    E: Spesso che chi dirige i doppiaggi è anche responsabile dell’adattamento, nel tuo caso invece possiamo dire che tu sia uno specialista di soli dialoghi e adattamento. Quanto fedelmente viene rispettato il lavoro di traduzione e adattamento dal direttore del doppiaggio?

    V: Io mi aspetto che un direttore di doppiaggio rispetti il lavoro di un dialoghista, soprattutto per quanto riguarda la fedeltà all’originale e il registro stilistico. Per il resto, però, penso che il doppiaggio sia un vero e proprio lavoro d’equipe, per cui ben vengano i cambiamenti in sala, se in quel momento si trovano soluzioni più felici. Il copione che io adatto poi passa l’esame di tanti altri occhi: i cambiamenti sono inevitabili e, nella maggior parte dei casi, scelte che migliorano il prodotto finale.

    E: La casa di distribuzione (e per estensione la celeberrima figura del supervisor americano) ha una qualche influenza su colui o colei che adatta il copione in italiano oppure questa interagisce soltanto con i direttori di doppiaggio in sala?

    V: Da una seria società di distribuzione mi aspetto sempre un confronto sui dialoghi, ancor prima che il copione da me adattato entri in sala di doppiaggio. Per fortuna, ho a che fare con responsabili delle edizioni italiane molto professionali, e quindi questo succede quasi sempre. Più un copione arriva in sala “perfetto”, più il lavoro del direttore di doppiaggio sarà facilitato. Poi, certo, supervisor e responsabili hanno il compito (il dovere?) di relazionarsi con il direttore, e ovviamente assistere in sala ai turni di doppiaggio, per intervenire dove sia necessario.

    E: hai mai avuto conflitti creativi in merito ad un tuo lavoro? E come si sono risolti, se si sono risolti?

    V: È successo, può succedere, e probabilmente succederà ancora. A volte i conflitti si risolvono costruttivamente e, come ho detto prima, possono anche portare ad un migliore prodotto finale. A volte, invece, una delle due parti deve abbozzare, magari. Ma questo vale per tutti i lavori, no?

    E: Molti italiani si lamentano, spesso motivatamente (ma non sempre), dell’alterazione dei titoli e sappiamo che l’ultima parola ce l’hanno i pubblicitari dell’ufficio marketing della distribuzione italiana il cui lavoro è attirare al cinema il maggior numero di persone. Tu, come dialoghista e adattatore, proponi titoli tuoi?

    V: No, mi sarà successo al massimo un paio di volte di essere interpellato al riguardo. I titoli restano una prerogativa del marketing. E a volte – in questo do ragione ai “molti italiani” – non è una buona notizia.

    Valerio Piccolo in concerto

    Valerio Piccolo quando non è impegnato a creare dialoghi per il cinema

    E: Cosa ne pensi in generale di chi si pone a favore di una distribuzione cinematografica straniera esclusivamente sottotitolata, volendo abolire il doppiaggio completamente?

    V: In linea di principio sono favorevole. Personalmente mi piace vedere i film in lingua originale, e penso che una distribuzione in tal senso sottolineerebbe tra l’altro un miglioramento linguistico degli italiani. Chi però è favorevole a questo “estremo” troppo spesso dimentica che per una “rivoluzione” del genere non basta portare al cinema i film in lingua originale. Il primo passo va fatto in televisione, a mio parere. Se non abitui un popolo QUOTIDIANAMENTE a vedere le cose in lingua originale, non puoi aspettarti poi che sia favorevole ad andare al cinema e trovarsi improvvisamente a dover leggere i sottotitoli. Chi fa questo pur giusto discorso spesso dimentica che il doppiaggio dei film di circuito rappresenta solo una piccola percentuale di tutto il settore. Cambiamo pure, sono assolutamente d’accordo. Ma partiamo dalla base, non dalla punta dell’iceberg.

    E: mi sorprende che questa presa di posizione venga da un dialoghista così bravo come te. In un epoca in cui i film in TV vengono trasmessi con l’opzione della lingua originale e in cui nei multisala delle grandi città trovi sempre qualche proiezione in lingua originale (solo a Firenze abbiamo almeno 4 cinema che lo fanno regolarmente), non pensi che ipotizzare una “rivoluzione” che inizi dai salotti di casa sia non solo controproducente (dato che i sottotitoli stessi sono adattati, talvolta difficili da seguire e comunque sempre molto riduttivi, tanto per dirne alcune) ma ormai fuori tempo massimo?

    V: Forse non mi sono espresso bene. La mia non è una presa di posizione. E il discorso è molto, molto complesso. Perché va a toccare internet, lo streaming, la fruizione ormai facilitata di opere in lingua originale, e tanti altri piccoli aspetti. Poi andrebbero fatti anche degli altri distinguo, perché una cosa è parlare dell’inglese, un’altra è pensare a prodotti cinesi, coreani, ecc. Insomma, ci vorrebbero pagine e pagine per analizzare la questione. Io dico soltanto che la mia preoccupazione principale è che non vengano fatte delle rivoluzioni “cialtrone”. Vogliamo abolire il doppiaggio? Per me può andare bene, a patto che si faccia una riforma strutturale, che tocchi tutti i settori, per una transizione concreta e corretta. È vero che, come dici tu, a Firenze ci sono cinema che programmano regolarmente film in lingua originale. Ma per una rivoluzione del genere non si può fare l’esempio di Firenze, e neanche di Roma (dove comunque non abbondano i film in lingua originale). Io ad esempio so che già a Milano non è facile trovare proiezioni in lingua originale. Ma, a prescindere da questo, non è a Firenze e a Roma che bisogna pensare quando si fa un discorso del genere. Penso a Caserta (dove sono nato), a Catania, a Forlì. Quanta gente – soprattutto quella di una certa età – in queste città è davvero disposta a pagare euro per vedere una proiezione in lingua originale, se non viene prima “abituata” quotidianamente dalla tv? E siamo sicuri che in queste città tutti vedano film trasmessi dalle pay-tv e usino l’opzione doppio audio? Ti faccio un esempio: le amiche di mia madre, che ovviamente hanno una certa età ma amano cinema e teatro, andrebbero a vedere “Youth” di Sorrentino in lingua originale? Io ho dei dubbi. E allora chi glielo spiega al gestore del cinema, con tutti i soldi che è costretto a pagare per avere una prima visione, che perde il gruppo delle amiche di mia madre? Ecco, lo dico solo per considerare tutti gli aspetti di una vicenda molto, molto complessa. In cui a volte si perde il senso di quello che succede davvero nelle piccole città con, ad esempio, UN SOLO cinema per tutti. 

    Ace Ventura che si gira per dire c'è solo un piccolo particolare

    C’è solo un piccolo particolare…

    E: Qui però tocchi uno degli argomenti che mi stanno più a cuore, ed apriti cielo [i lettori che mi conoscono staranno già facendo roteare gli occhi]. Dici che saresti favorevole ad una abolizione del doppiaggio, se questo fosse unito ad una rivoluzione culturale “non cialtrona”. Il problema è che tale rivoluzione, da alcuni anelata (specialmente membri di certi gruppi Facebook), non potrà che essere (in mancanza di miglior temine) cialtrona, anche per i motivi che hai correttamente elencato tu stesso.

    Ribadisco che oggi giorno tra DVD/Bluray e canali free-view (in qualsiasi parte d’Italia) non è che manchi la scelta di potersi vedere film in lingua originale, se si desidera farlo. Ovvio che le sale cinematografiche con proiezioni in lingua originale siano limitate alle grandi città, perché comunque interessano una ristretta percentuale della popolazione, che in un centro urbano minore sarebbe sovra-rappresentata anche con un solo cinema dedicato (il caso di Firenze è particolare perché abbiamo molti istituti di lingua inglese e turisti americani).

    _______APERTE PARENTESI_______

    (i non interessati all’argomento “doppiaggio in Italia” possono scorrere fino al segnale di chiusura parentesi)

    E: Ti spiego il motivo principale perché una rivoluzione in tal senso non la trovo auspicabile: semplicemente trovo che il prodotto “originale”, nelle sue intenzioni, arriverebbe allo spettatore anche più difficilmente, e sarebbe ancora più snaturato che in qualsiasi doppiaggio italiano.
    Prendo l’esempio dei film giapponesi: potrei anche pensare “che bello sentirli in lingua originale” (sottotitolati); potrei supporre che vedendomeli in originale possa “arrivarmi” di più rispetto ad una versione doppiata ma, non conoscendo né la lingua né la cultura giapponese, per me e per le mie orecchie ignoranti di giapponese, qualsiasi emozione esprimano gli attori nipponici verrà percepita solo come frasi di rabbia più o meno contenuta. La prosodia di quella lingua, come di qualunque altra, non corrisponde alla mia e vice versa, e questo è un altro fattore da non trascurare dello straniamento dell’ascoltare una lingua diversa dalla propria.
    Quindi mi sto vedendo un prodotto sì in lingua originale ma delle cui intenzioni originali non mi arriva assolutamente niente dato che l’espressività degli interpreti è per me incomprensibile; a questo aggiungici pure che i sottotitoli che leggo (e che ci auguriamo siano tradotti e adattati sempre alla perfezione) sono immancabilmente e necessariamente riduttivi…
    Insomma, già da questo semplice esempio puoi capire perché trovo incredibilmente improbabile che avvenga alcuna rivoluzione che porti la lingua originale nelle case di tutti gli italiani a scapito delle versioni doppiate, ora, nel 2015.
    Chi non è già a suo agio con la cultura del paese di origine del film (o programma TV che sia), potrà solo guardarsi un prodotto le cui intenzioni originali arrivano ancora più difficilmente, se arrivano. Quantomeno con il doppiaggio hai la comodità di un prodotto culturale adattato (ci si augura) in maniera adeguata, mutatis mutandis, per la cultura di destinazione, recitato da attori che forniscano interpretazioni vocali equivalenti.
    E ti parlo da bilingue quindi, vista la predominanza americana nella distribuzione cinematografica, io personalmente sarei proprio l’ultimo a soffrire per un simile cambiamento. Ma solo perché io personalmente mi trovo a mio agio con la lingua del 90% dei film importati in Italia, non mi sentirei di augurarlo ad altri. Il mio pensiero va a mio padre, ad esempio, il quale adesso non ci vede più molto bene e i sottotitoli non li riesce a leggere in tempo; per il “Trono di Spade”, di cui è un grande appassionato, deve necessariamente attendere che venga trasmesso doppiato perché, semplicemente, non riesce a seguirlo con i sottotitoli.
    Non si può augurare un cambiamento totale, a scapito di coloro che non sono interessati ma soprattutto che non possono leggere i sottotitoli (un numero non indifferente, tra difficoltà visive e dislessici), specialmente perché non c’è modo di fare una simile rivoluzione in un modo che non sia cialtrona.
    Difatti, l’unica alternativa “non cialtrona” a questa rivoluzione sperata da alcuni sarebbe che tutti gli italiani imparassero prima tutte le lingue presenti sul mercato cinematografico, lo stesso discorso che poi vale anche per la letteratura: per leggere I fratelli Karamazov dovremmo imparare prima il russo ed apprezzarne le scelte lessicali e le intenzioni originali dell’autore.
    In un paese dove la lingua ufficiale è l’italiano… scritto.

    _______CHIUSE PARENTESI_______

    Comunque, tornando a noi [sospiro di sollievo dei miei lettori], il tuo primo grosso film mi risulta che sia stato Mulholland Drive di Lynch (2001) e da lì in poi è stato un alternarsi di titoli più o meno noti: Il mistero dei templariA Scanner DarklyTerminator SalvationGrindhouse di Tarantino e tanti, tanti altri! Ce n’è qualcuno di cui sei più orgoglioso e altri di cui lo sei meno?

    V: Sì, mi ritengo molto fortunato a poter mettere mano ogni anno a tanti film importanti di registi che amo. Ci sono sicuramente tanti film che ho amato, tra quelli che ho adattato, e anche tanti in cui penso – senza falsa modestia – di aver fatto un buon lavoro. Un film che ancora mi piace guardare oggi è il mio primo lavoro su film di circuito, “Y tu mamà tambien” di Alfonso Cuaron, con un giovanissimo Gael Garcia Bernal (con il quale, tra l’altro, mi ubriacai clamorosamente di tequila alla festa della produzione del film dopo la proiezione al Festival di Venezia). È un film che mi resta nel cuore e che, quando lo rivedo, mi sorprende per il “realismo” e la veridicità dei dialoghi, nonostante fossi chiaramente alle prime armi.

    E: Quando ti trovi davanti a film con origini letterarie come, ne prendo uno a caso, A Scanner Darkly, o comunque film che derivano da famosi precedenti (Terminator SalvationIl Grande e potente OzA-Team etc…) vai a ricercarne la versione italiana del libro, o film originario che sia, per assicurarti di mantenere una certa continuità nell’adattamento? Ne hai il tempo e soprattutto ne senti la necessità?

    V: Cerco sempre di risalire alle origini, certo. Ma queste cose – fare ricerche, documentarsi, spulciare la rete in cerca di curiosità e riferimenti – fa parte di una predisposizione che tutti noi traduttori coscienziosi abbiamo. In questo, credo, il mio passato di traduttore letterario mi aiuta. Mi aiuta nell’inseguire una ricerca a tutto tondo e una profondità che, con i tempi stretti del doppiaggio, non sempre sono facili da ottenere.

    E: Quanto tempo richiede un buon adattamento dei dialoghi e quanto tempo effettivamente ti danno?

    V: Partiamo da quanto effettivamente ci danno: 15 giorni per un film. Che purtroppo a volte – e sempre più di frequente – diventano anche meno. 15 giorni a buoni ritmi quotidiani possono forse essere anche sufficienti, se sei sufficientemente veloce. Ma è vero che ci sono film più complicati che hanno sicuramente bisogno di un tempo che si avvicina ai 20 giorni.

    E: La tua esperienza nel campo della musica ti avrà aiutato in titoli come Sweeney Todd di Tim Burton, ma anche film più inaspettati come Una Notte Da Leoni in cui uno dei protagonisti improvvisava un pezzo al pianoforte che descriveva le loro disavventure. Quanto è importante e quanto è utile, nel campo dell’adattamento dei dialoghi, una preparazione a tutto campo, musicale, teatrale… etc?

    V: Sicuramente la musica e la musicalità sono importantissime per il mio lavoro. Questo perché il ritmo è uno degli aspetti tecnici FONDAMENTALI del lavoro di dialoghista. Per essere efficace in quella che io chiamo “mostruosità innaturale” (far parlare in italiano un uomo che, di fatto, sta parlando UN’ALTRA LINGUA!!!), devi entrare nel ritmo dell’attore e incollarci un ritmo identico fatto di parole italiane. Un’impresa non sempre facile. Più ti incolli all’attore, meno lo spettatore farà caso alla manipolazione. E per fare questo, la musica aiuta eccome.

    E: ma ti permettono di vedere il film in anticipo? Prima di iniziare l’adattamento intendo.

    V: Spesso, ma non sempre, si organizza una proiezione con i responsabili della distribuzione, il direttore del doppiaggio e il dialoghista, di modo che si possa subito fare una riunione per decidere gli aspetti generali del film in questione. 

    Scena doppiata dal film Role Models del 2008

    Role Models (2008) – Click sull’immagine per vedere la scena

    E: Dal 2009 ti vengono assegnati anche alcuni titoli di quel genere che io personalmente definisco la nuova commedia americana, sto parlando della sopracitata serie di Una Notte Da Leoni (Hungover) e, ad esempio, Role Models di cui sei sempre l’autore dei dialoghi.
    A mio parere questi film sono particolari per la resa comica dei dialoghi in italiano, non è solo mio parere ma anche della mia partner britannica che ha scoperto tali film proprio in lingua italiana trovandoli “brillanti” e sottolineando come non sempre siano altrettanto divertenti nella versione originale.
    Vuoi dire qualcosa in merito al genere commedia/comico da te adattato? Quanta libertà di manovra hai nell’inventarti battute? Ti diverti con questi lavori? Il nome “Artonio” ti dice niente?

    V: La commedia di regola lascia a noi dialoghisti un margine maggiore di “creatività”. Bisogna stare attenti, però, perché se ti fai prendere la mano poi tendi a snaturare l’idea originale del film. E invece – non mi stancherò mai di dirlo – la fedeltà al testo e al registro originali sono sempre da rispettare. Mi spiego: se un film, in originale, pur essendo etichettato come “commedia”, fa sorridere MA NON ridere, dev’essere così anche nella versione italiana, e non bisogna snaturare il prodotto originale cercando di far sganasciare di risate lo spettatore laddove il regista magari cercava un più elegante sorrisetto. In effetti, però, come dici tu, mi è capitato di vedere film da me adattati e accorgermi che facevano ridere di più nella versione italiana che in quella originale. Ma se questo succede, non è detto che sia per forza un bene. Almeno nel senso del rispetto dell’idea originale del film.

    E: Non dico che si debba cambiare registro comico, ma se è possibile migliorare un prodotto trovando una soluzione lessicale che sia più memorabile in italiano (pur rispettandone le intenzioni originali), non credi che sia lecito farlo?

    V: Come in tutte le cose della vita, è una questione di buon senso, di misura. Se non si esagera, tutto è lecito. Senza mai dimenticare che la nostra è una “forzatura”, un procedimento innaturale che già di per sé, inevitabilmente, stravolge l’opera originale.

    E: Più che “stravolgere”, a me piace dire semplicemente che si “adatta” l’opera originale, credo che in questa parola sia racchiuso il vero significato, scevro da connotati elogiativi o negativi. Del resto lo si fa anche nella traduzione letteraria.
    Questo mi porta anche al recente Mad Max: Fury Road di cui hai creato i dialoghi italiani e che mi ha spinto originariamente a contattarti. Devo ammettere che ero molto in apprensione prima di andarlo a vedere in italiano, visto l’andazzo sul doppiaggio di grossi film come ad esempio quelli della Marvel, ed ero pronto al peggio. Sorprendentemente ho trovato un adattamento veramente ben fatto, dove praticamente tutto è stato adattato e non solo “tradotto” (scavengers -> saprofagi; war rig -> blindocisterna; “witness me!” -> “ammiratelo!” etc…) e dove solo il minimo indispensabile è rimasto in lingua originale: i luoghi (come “Bullet Farm” e “Gas Town”), alcuni nomi (es. “Immortan Joe”), un paio di parole di slang australiano. Del resto l’ambientazione non è fantasy ma si tratta di un’Australia post-apocalittica dove ha senso che persone e luoghi abbiano nomi propri in lingua inglese.
    Scelte di adattamento, tra l’altro, in linea con il precedente film dove avevamo Bartertown, Master-Blaster, eccetera. Che goduria nel sentire tutto il resto ADATTATO! Perché nel doppiaggio moderno si sta quasi perdendo il senso di questa parola, adattamento. Vuoi parlarci di come hai affrontato questo film, dal punto di vista dei dialoghi e dell’adattamento?

    V: Su questo film è stato fatto un lavoro splendido da tutti (primo fra tutti Massimiliano Alto, che ha sfoderato come sempre una grande direzione), ed è stato un film che, per una volta, ha avuto giusti tempi di lavorazione (più dei famosi 15 giorni, per intenderci) e anche tanti confronti con la distribuzione sui termini da utilizzare. In più, caso davvero unico, George Miller ha mandato a noi adattatori di tutto il mondo un suo “commentary” di tutto il film, pezzo per pezzo, con le spiegazioni delle origini di ogni termine che era stato inventato per il film. Un’esperienza stupenda che – almeno credo – ha dato un notevole valore aggiunto alla versione italiana del film.

    Mad Max Fury Road vignetta che splendido adattamento
    E: Un valore che si percepisce e ci possiamo considerare veramente fortunati (noi, pubblico italiano) se la tua presenza e una simile (ed inaudita) attenzione da parte della distribuzione e del regista hanno portato al prodotto che poi abbiamo visto al cinema! Di questi tempi è cosa rara per film simili.
    Voglio concludere ribadendo quanto apprezzi il tuo lavoro, nei film visti fino ad ora in cui tu hai lavorato mai mi è capitato di storcere il naso, mai! Ed è un peccato che in siti come Antonio Genna tu (così come molti altri dialoghisti) non abbia una scheda personale perché, ancor prima dei doppiatori, ciò che rende un film ben realizzato nella sua versione italiana sono proprio l’adattamento e i dialoghi.

    V: Grazie davvero di questi complimenti. Faccio questo lavoro da 15 anni, e lo faccio ancora con l’entusiasmo del primo giorno. La traduzione, la manipolazione della parola, sono il mio pane quotidiano. Posso quasi dire che, dopo 15 anni, pur lavorando mediamente 10 ore al giorno, ancora non mi sembra un “vero” lavoro, non so se mi spiego.

    E: Chiarissimo! Hai consigli da dare per chi volesse diventare dialoghista di audiovisivi?

    V: Consigli per chi vuole fare questo mestiere? Trovare un dialoghista che sia molto bravo, e che sia anche molto disposto a insegnarvelo. O almeno a spiegarvi le basi, per poi farvi trovare un metodo che per voi funzioni.

    E: Hai avuto modo di dare un’occhiata al blog, cosa ne pensi?

    V: Penso che sei pazzo! [ride] E che le cose fatte con passione sono quanto di meglio si possa trovare in questo mondo così difficile. Per cui ben venga un posto come questo dove interagire con gli appassionati innanzitutto di cinema.

    Scena di Mad Max Fury Road adattato da Valerio Piccolo

    Continua così Piccolo, nel Valhalla dei dialoghisti già ti attendono.