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Un biglietto in due, un doppiaggio tutto d’un pezzo! (Un biglietto in due, 1987)

John Candy nel film Un biglietto in due. La vignetta dice: ero sicuro che lo avrebbe recensito!
Un biglietto in due è uno di quei film che sin dal titolo, solo apparentemente italiota, ha avuto un trattamento esemplare per la versione italiana. Personalmente lo considero come una delle più belle, se non la più bella, commedia mai realizzata. Molti darebbero questo appellativo a Frankenstein Junior o a qualche classico della commedia italiana, per me invece spetta al film di John Hughes perché non solo “fa ridere”, ma racchiude un senso di dolcezza misto ad amarezza in grado di toccare il cuore anche di coloro i quali alle commedie preferiscono film più impegnativi.

Dietro il film un trio d’eccezione: John Hughes, un genio dietro la macchina da presa, qui faceva un salto in avanti rispetto alle commedie giovanilistiche per le quali era conosciuto. biglietto2taxiSteve Martin, re della commedia americana anni ‘80 e poi l’immenso (per talento) John Candy, anche lui voglioso di rimettersi in gioco in una commedia più adulta, meno demenziale di quelle al quale era abituato e che due anni dopo lo portò ad un ruolo di calibro simile in Io e zio Buck.
Le risate nel film sono sempre genuine, mai gratuite. Parte del merito va ad un adattamento che, come dice spesso Evit, era tipico degli anni ’80. La ricercatezza nel rendere le battute appetibili al pubblico italiano lo rende addirittura superiore alla controparte originale. La versione americana, soprattutto nella fase centrale, rischia qualche tempo morto, mentre la visione in italiano non stanca mai. Non c’è alcuna storpiatura, il testo è quello, ma è la scelta dei vocaboli, la scelta di certe tipiche espressioni nostrane dal significato attiguo, l’uso di qualche parolaccia, l’intonazione nel doppiaggio che eleva l’adattamento ad uno standard che forse non vedremo ripetersi mai più.

Solo in rari casi la battuta viene completamente stravolta, probabilmente per motivi culturali, ma non sono di quelle che fanno gridare allo scandalo e, cosa ben più importante, non si nota, a meno che non si faccia un confronto con traduzione a fronte. Se questo non è un complimento all’adattamento del film non so cosa lo sia.

Le battute migliori di Un biglietto in due

Le due battute in italiano che si ricordano ancora oggi, hanno un equivalente americano divertente, ma non altrettanto memorabile:

1) I piedi che abbaiano
Del Griffith (John Candy), dopo un’intera giornata di cammino per New York, sull’aereo si toglie scarpe e calze e comincia a sventolarle in faccia al malcapitato Neal Page (Steve Martin).

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Ora sì che si ragiona, ho i piedi che parlano da soli oggi”. In inglese è “My dogs are barking today”. Nella versione americana i piedi di Del Griffith vengono definiti cani e, per metafora, il fatto che siano doloranti rende i cani abbaianti. È un’espressione tipica del Sud degli Stati Uniti. Da noi la metafora non avrebbe mai funzionato. Ma l’allusione al cattivo odore e al dolore che fa addirittura “parlare” i piedi non ha rivali.

2) Il bifolco
Uno dei tanti tentativi di arrivare a Chicago prevede il passaggio da parte di un bifolco (N.d.R. in italiano doppiato da Tonino Accolla) che sprona la moglie “piccola e ossuta, ma forte” (short and skinny, but she’s strong) a dare una mano con il baule.
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Il senso di prestanza viene espresso con “Il primo bambino l’ha cagato su un marciapiede!”, che in originale è “Her first baby came out sideways”. Qui è evidente il motivo di come l’espressione assurda americana di un bambino che esce di lato venga rimpiazzata da un’altra, più sconvolgente -il marciapiede anziché un ospedale o al massimo una casa- con l’aggiunta dell’uso della parolaccia per intensificare il messaggio.

(NdR: Eccovi la scena intera (finché dura il video su YouTube), da notare come la sua voce al minuto 1:45 si spezzi a causa del muco che sta tirando su. Tanto disgustoso quando esilarante.)

Esempi di un adattamento non banale

Tante frasi, anziché essere tradotte alla lettera, vengono rese con parole diverse che ne mantengano il significato. Un’espressione tipicamente americana come “You scared the Bejesus out of me” (Alterazione di by Jesus, per indicare una grande paura) viene resa con l’altrettanto efficace “Me la sono quasi fatta sotto”. A volte questo migliora la battuta stessa; un semplice “What happens next”, con l’aggiunta di qualche vocabolo ricercato, ha un effetto comico: “Smanio di sapere cosa succederà adesso”. “Annoying blabbermouth” (letteralmente un fastidioso chiacchierone) diventa “un noioso attaccabottoni”. Oggigiorno frasi di questo tipo verrebbero tradotte senza alcun estro immaginativo, impoverendo così non solo il doppiaggio, ma anche la lingua italiana.

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Scommetto sei pezzi e il mio coglione sinistro che non atterrerà a Chicago”. Una frase come “Six bucks and my right nut” verrebbe facilmente tradotta come “sei dollari e il mio testicolo destro”, ma la scelta di usare “pezzi” (verdoni di solito è riservato a tagli più alti) e l’aggiunta della parolaccia non può che suscitare ilarità. Che l’attributo cambi posizione poi, è probabilmente dovuto al labiale.

Quando Neal Page (Steve Martin) cerca termini di paragone per comunicare all’altro quanto sia noioso, gli dice di poter sopportare “any insurance seminar” che in italiano diventa “tribune elettorali”, entrambi noiosissimi! Qui si sceglie la prima cosa che possa venire in mente quando si parla di noia, a seconda del Paese.
Have a point” diventa “Fai delle pause”. “Arriva al dunque” sarebbe stato più letterale, ma il fatto che Neal inviti Del a prendere fiato esprime al meglio come le sue storie fossero assillanti e di scarso interesse. Segue nella versione originale “It makes it more interesting for the listener” mentre in italiano, riallacciandosi al “fai delle pause”, questa diventa “Saranno la parte più interessante per chi ti ascolta”.

vintage-60s-chatty-cathy-doll-strawberry-blonde-pull-_1Nello stesso discorso, Neal paragona Del a “quei bambolotti parlanti che c’erano una volta” affermando che “dietro la schiena hai la cordicella”, e subito dopo mima la voce gracchiante che esce dal petto della bambola (“Agh! Agh! Agh!”). Sta parlando (e in inglese la nomina) della “Chatty Cathy Doll”, una linea di bambole lanciata nel 1962 e presto diventata anche un’espressione idiomatica americana per descrivere qualcuno che non smette mai di parlare. Da noi arrivarono negli stessi anni Cicciobello e Michela, nomi che però non entrarono mai nella cultura popolare come sinonimi di persone loquaci.
La frase sostitutiva “uno di quei bambolotti parlanti che c’erano una volta” adatta perfettamente la battuta rendendola anche senza tempo.

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In America il tacchino fa “gobble gobble”

Errori?

Veniamo ora ai due casi in cui modifiche necessarie hanno cambiato il senso originale.
I figli di Neal Page, in trepidante attesa del Giorno del ringraziamento si chiedono se l’arrivo dei nonni porti “hoogies”, reso come “gelatine”, e “Indian burns”, reso come
“marzapane”. indian-burnL’intento americano era quello di nonni che fanno piccoli dispetti ai nipotini, mentre nella nostra versione, dove dei cari nonni non si può parlar male (al massimo di qualche zio), si trasforma la frase in dolcetti, seppur non particolarmente graditi.
(NdR da notare che gli “Indian burns” nel Regno Unito si chiamano invece “Chinese burns”. In italiano dovrebbe tradursi con “fare gli spilli” o qualcosa del genere).
Se di errore interpretativo si è trattato, è comunque un piccolo incidente di percorso sul quale si può soprassedere data la grande attenzione ai dettagli che spinge persino a doppiare (o meglio a remissare) i brani della colonna sonora, quando fanno riferimento a quello che accade sullo schermo (“Vi siete messi contro la persona sbagliata!”). Questi sono tutti esempi di come tempo a disposizione e voglia possano determinare un prodotto di qualità.
La seconda modifica fa riferimento al colpo allo stomaco sferrato da Neal a Del, il quale esagera un po’ le conseguenze “That’s how Houdini died” (=è così che morì Houdini). In italiano viene addolcito aggiungendo anche un po’ di autocritica: “Io sono un ciccione, ma sono delicato”.

Nota di Evit

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Se dovessi scegliere un momento rappresentativo di come la recitazione italiana renda comici anche i momenti “minori”, sceglierei sicuramente la prima scena all’aeroporto dove Del Griffith (John Candy) riconosce Neal Page (Steve Martin) come la persona a cui ha precedentemente “rubato” il taxi e per scusarsi si propone di offrirgli qualcosa da mangiare (con una serie di cibi correttamente alterati per adeguarli al pubblico italiano, così come accadeva in Frankenstein Jr.), poi fa una pausa ed esclama “I knew I knew you!” / “Ero sicuro di conoscerla!“. Questa battuta, per come è recitata, non manca mai di farmi ridere.

Finché durano i link a youtube vi ripropongo le due scene a confronto.
In inglese:


e in italiano:


A quanto ci fa sapere Antonio Genna, il doppiaggio fu eseguito dal Gruppo Trenta che al tempo aveva un po’ l’egemonia su prodotti americani di questo tipo e che grazie a Dio ci ha regalato un doppiaggio da annali. Spero che Evit tiri fuori la sua copia in VHS così da recuperare i titoli italiani e le informazioni mancanti su coloro che hanno curato l’ottima versione italiana di questo film.

Se volete scoprire (o riscoprire) questo classico della commedia americana, oggi che in America si festeggia col tacchino è un giorno buono come un altro. Dalla mia mai innevata Los Angeles vi saluto e mi accingo ad unirmi ai festeggiamenti… marzapane e gelatine mi aspettano (sempre meglio delle gomitate dei nonni burloni). Glu-glu-glu!

Michele “Michael” Traversa

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Un film diabolicamente esilarante

 


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Giornalista, corrispondente da Los Angeles per varie testate di cinema e di musica.

11 Commenti

  • Lucius Etruscus

    24 Novembre 2016 alle 11:44

    Condivido la stima per questo film, che ho visto diverse volte in periodi pre-natalizi. Non nascondo che il “colpo di scena finale” mi ha sempre profondamente commosso, e sono rare le commedie “semplici” che sappiano essere così incisive e toccanti.
    Ah, e ogni volta che in auto cerco di togliermi il giacchetto mentre sono al semaforo, penso sempre a John Candy che si “incastra” sulle note della irresistibile “Mess Around” di Ray Charles 😉

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  • Cassidy

    25 Novembre 2016 alle 07:41

    Fai suonare l’allarme, questo film penso sia uno dei pochi di John Hughes che mi manca, vado subito a recuperare cavolo, John Candy é un attore che mi piace molto. Gran pezzo come al solito molto esaustivo, non mi resta che vedere il film! 😉 Cheers

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    • Evit

      25 Novembre 2016 alle 10:14

      Per me questo e Io e Zio Buck sono in assoluto i migliori di Candy. Difatti sono nella lista di quelli da “preservare” con i titoli in italiano, se hai capito cosa intendo 😉

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  • Nicola Giove

    5 Dicembre 2016 alle 12:32

    Ahh, sono contento di aver letto un tuo articolo su questa commedia che, secondo me se la gioca quasi alla pari con le storiche pellicole del miglior John Landis tra un “Blues Brothers” e un “Una poltrona per due”. Piccolo passo falso del doppiaggio, secondo me: Candy ad un certo punto, nella scena delle bottigliette bevute al motel, parlando del rum e della Jamaica, nel doppiaggio, per imitare l’accento jamaicano dice: “go to Jamaica con la chicas muy economicàs”… ma che c’entra lo spagnolo con la Jamaica, dove si parla uno slang afro-inglese dialettale con un forte accento creolo? Si vabbè, Evit sarò pignolo, ma sono genuino. Io mi piaccio, piaccio anche a mia moglie… quello che vedi è quello che sono. 😉

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    • Evit

      5 Dicembre 2016 alle 21:02

      Se per ignoranza o per ingenuità dei nostri addetti al doppiaggio, da spettatori profani e senza la battuta originale alla mano potremmo tranquillamente credere che un non abbiente come Del Griffith non abbia avuto il privilegio di un istruzione superiore, che sia egli stesso ignorante e possa credere che in Giamaica si parli spagnolo. In realtà il fatto che inizi con “go to Jamaica”, in inglese dunque, e poi proceda in spagnolo fa intuire che chi lo ha tradotto è al corrente che in Jamaica si parli un inglese un po’ particolare misto ad altre lingue (spagnolo incluso) e che il sempliciotto Del abbia provato a suo modo a riproporre la parlata come meglio poteva, ovvero mischiando inglese e spagnolo.
      Noterai che c’è stata molta cura anche in questa decisione a prima vista… ignorante. 😛

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