Prendo lo spunto delle feste appena trascorse – a proposito, tanti auguri! – e mi sostituisco ad Evit, l’autore del blog, per parlare di un film Disney tanto caro a noi appassionati del Topo, uno di quelli, per intenderci, della vecchia collana dei classici in VHS che mi auguro abbiate visto anche voi fino alla nausea: sto parlando de’ Gli aristogatti (The Aristocats, 1970) di Wolfgang Reitherman e del suo adattamento italiano.
Antefatto sulla canzone di apertura
Durante la messa in onda della sera di San Silvestro, il nostro caro Evit si ricorda di non aver mai visto prima questo classico d’animazione (sull’animazione Disney è – per sua stessa ammissione -scarso, per questo mi tiene a portata di mano) e mi sveglia dal torpore del cotechino facendomi notare come la canzone d’inizio del film sia in lingua inglese. Ma negli anni ‘70 non le cantavano in italiano? – mi domanda – Si tratta del solito parto di sconsiderate edizioni home video moderne dove si perdono le canzoni italiane del maestro Pietro Carapellucci?
Sebbene tali dubbi siano solitamente più che legittimi, questa volta bisogna correggere la mira leggermente e tornare indietro. Siediti orsù, che ti racconto una storia di gatti jazzisti, scimmie, cantanti, pittori e compositori…
L’adattamento italiano e il doppiaggio di Gli aristogatti
Maurice Chevalier e la pensione interrotta
Chevalier era un cantante e attore francese che ebbe un bel successo in Europa e negli Stati Uniti nella prima metà del ventesimo secolo. Interpretò numerosi film musicali entrando di diritto, paglietta in testa e accento francese, nella cultura popolare americana. In Monkey Business (1931) i fratelli Marx si spacciavano per lui dopo avergli rubato un documento; due anni dopo appare una sua caricatura a introdurre, cantando, Topolino in Mickey’s Gala Premier insieme agli stessi Marx e tanti altri attori Hollywoodiani; l’eco della sua fama si sente ancora agli inizi degli anni ‘80 in La pazza storia del mondo (1981) di Mel Brooks nel quale i personaggi del segmento sulla rivoluzione francese, in una delle tante battute meta-linguistiche del film, lamentano con accento “franscioso” che:
– Siamo talmente poveri che hélas non abbiamo neanche una lingua! Sentite che stupido accento!
– Ha ragione! Ha ragione! Parliamo tutti come Maurice Chevalier!! Hon Hon Hon!!”
Rimanendo sempre in campo Disney, il personaggio di Lumiére nel La bella e la bestia degli anni ’90 è un chiaro omaggio a lui.
Insomma il cantante con la paglietta in testa era il primissimo nome che sarebbe venuto in mente a un americano sul finire degli anni ‘60 se gli avessimo chiesto di nominare un famoso intrattenitore francese. Nella stessa epoca in Italia, alla stessa domanda, magari avreste avuto come risposta Charles Trenet, Aznavour oppure ancora Yves Montand… che però era di Monsummano Terme.
Proprio al famoso Chevalier i fratelli Sherman, compositori storici di Walt Disney, chiedono di prendersi una piccola pausa dal pensionamento per cantare il tema di un film animato che parla di alcuni gatti parigini canterini!
Non che Chevalier fosse sconosciuto alla famiglia Disney visto che proprio nel 1967 (quando Gli aristogatti era già in produzione) uscì uno dei tanti mezzi flop della Disney con attori in carne e ossa, Scimmie, tornatevene a casa! (Monkeys, Go Home), che aveva Chevalier proprio come protagonista. Assicuratogli che non si trattasse di un altro film con le scimmie, Chevalier accettò di prendersi una piccola pausa dalla pensione per registrare la canzone “Les Aristochats”, sia in francese che in inglese “francioso”.
Ora, evidentemente il contratto con Disney prevedeva che cantasse solo quelle due versioni (e chiedergliene di più suppongo sarebbe stato eccessivo visto come si è sforzato per decenni di onorata carriera a cantare in inglese con quel suo forte accento) perché le altre versioni della canzone nelle altre lingue di cui abbiamo testimonianza non sono cantate da lui. Quella tedesca infatti è cantata da un certo Paul Kuhn, cantante e pianista evidentemente molto noto in patria. Più di Chevalier? Forse. Fatto sta che in Germania la canzone ha pure il suo “credit” sotto al titolo del film. Nella versione italiana c’è scritto invece “La canzone dei titoli è cantata da MAURICE CHEVALIER” quindi si presume che ci fosse del prestigio associato al suo nome anche nel Bel Paese, sicché qualunque sostituzione con un cantante italiano (in un film così legato a Parigi, poi!) sarebbe stata fuori luogo.
La versione italiana, dunque ha sì i titoli localizzati in italiano con i nomi dei doppiatori a grandi caratteri, ma la canzone è la versione francese cantata da Chevalier. Dunque per tornare alla domanda che mi faceva Evit, “hanno mandato in onda la sequenza sbagliata?”, sì, ma non per il motivo che credi: la canzone nella versione cinematografica italiana è sempre stata in francese e se vi capitasse di sentire una versione cantata in inglese con accento “francioso” (come quella che passa in TV) vuol dire che vi trovate davanti alle solite versioni rivedute e corrette dalla Disney.
Vogliamo “fare jazz” o “esser gatti”? Una questione di intenzioni.
Ad opera del classico duo Maldesi-De Leonardis, l’adattamento italiano presenta alcune particolarità forse inattese per l’orecchio d’oggi.
Salta immediatamente all’orecchio la presenza di dialetti italiani, in particolare su uno dei protagonisti del film, il gatto randagio Romeo, “er mejo der Colosseo”. Il nome e il nomignolo di “Thomas O’Malley “the swinging cat of the alley” (così descritto nella locandina statunitense) viene adattato in italiano come era tradizione dell’epoca per tutti i personaggi Disney… e non erano vezzi artistici dei direttori di doppiaggio italiani bensì la politica che la Disney applicava in tutto il mondo, ove necessario.
In Italia la rima O’Malley/alley viene resa con Romeo/Colosseo, ma non finisce qui! Quel “cat” di alley cat, come viene poi chiamato nel film (alley cat vuol dire gatto randagio), dovrebbe essere scritto tra virgolette così come tanti altri termini “felini” presenti nella pellicola perché l’intero film gioca molto con il gergo da jazzisti dove “cat” definisce un appassionato di musica jazz (sia egli musicista o semplice fruitore) che spesso si riconosce in alcuni dei seguenti tratti caratteristici: parla in gergo jazz, fa uso di cannabis, ha un atteggiamento rilassato, un humor sarcastico, è povero per scelta ed ha una condotta sessuale più libertina.
La cannabis dei “cat” (o “hepcat” o “hipcat”) non è presente nel cartone perché siamo sempre nel regno della Disney ma per tutto il resto Romeo/Thomas è chiaramente quello che in gergo jazzistico (poi ereditato, insieme a tanti altri termini, dai beatnik di qualche tempo dopo) definiremmo un “cool cat”, che non vuol dire letteralmente “gatto ganzo” bensì un “tipo” ganzo o, più appropriatamente, “un tipo jazz”.
Ed è proprio un jazzman che gli dà la voce in inglese, Phil Harris, già Baloo ne’ Il libro della giungla e in seguito Little John in Robin Hood, che qui come negli altri film interpreta un po’ sé stesso, e il personaggio è quello del “cool cat”, il tipo “swing”, con un orecchio al ritmo (ricordate Baloo?) e un occhio alle “pupe”, che parla con i termini dei neri d’America poi entrati praticamente nel linguaggio di tutti: cool, hip, groovy, chick, square e cat sono solo alcuni di questi (a voi il gusto di ritrovarli nelle canzoni del film).
Qui sta la simpatia di questo classico dell’animazione, approfittare del gergo swing con riferimenti “felini” e riproporlo in un film dove troviamo dei gatti jazzisti, si parla di gatti intendendo il jazz. Ecco quindi il senso di “Everybody wants to be a cat” che non è affatto tradito nella canzone italiana: “Tutti quanti voglion fare il jazz”. Il rispetto delle intenzioni viene anteposto alla traduzione letterale, come la Disney stessa ha sempre professato in quei decenni.
Romeo, er mejo der Colosseo
Abbiamo visto che il randagio irlandese diventa un randagio italiano, più specificatamente romano e l’origine viene giustificata anche all’interno della sua canzone interpretata dall’attore Renzo Montagnani:
“Pe’ arivacce qui da Roma ho fatto l’autostop
e ‘n Francia è già m’ber pezzo che ce sto…
Ma pure da emigrato, mica so cambiato: io so’ Romeo, er mejo der Colosseo!”
Rimane una sola domanda: perché proprio Roma? Qui entriamo nel regno delle supposizioni, le mie.
Ci vedo una eco di cinema italiano, il personaggio ricorda vagamente quello del pappagallo romano, penso ai protagonisti di Poveri ma belli, o il Gassmann di I soliti ignoti, il classico giovanotto con le mani in tasca che racconta una barzelletta alla ragazza di turno e la conquista coi suoi modi magari rozzi, ignoranti, ma spesso sinceri. Un carattere che in fondo viene dalla vita reale e che ha trovato posto nell’immaginario collettivo/culturale italiano.
Un parallelo più che accettabile per il nostro “cool cat” irlandese giramondo che invece non avrebbe corrispettivi culturalmente comprensibili (un conquistatore irlandese non ha basi in Italia). Quel “er mejo” può essere dunque una trasposizione di quel “cat” (spiegato prima) di “alley cat”.
Inoltre il Colosseo è noto per essere casa di numerosi gatti randagi, quindi quale miglior provenienza per un gattone piacione? Romeo è il nome dell’innamorato per antonomasia, si adatta bene alla storia di due gatti che si conoscono e si innamorano e, per inciso, il nome Thomas non è scelto a caso, visto che tomcat (il gatto Thomas -> Thomas the cat -> tom-cat… l’avevate capita?) è il nomignolo che si dà in inglese al gatto maschio ma che in gergo significa anche, provate a indovinare… “sciupafemmine”.
Doveva essere proprio romano? Non poteva essere semplicemente un gatto piacione doppiato “normalmente”? Potremmo rivolgere la stessa domanda all’originale, doveva essere proprio un gatto con cognome irlandese che parla come l’americano Phil Harris?
La mia è una contro-domanda volutamente provocatoria perché se parliamo di accenti, da questo punto di vista la versione originale ha anche meno senso. Perché mai, difatti, Duchessa in lingua originale dovrebbe parlare con un accento ungherese se in teoria sono tutti parigini o in generale francesi? Semplicemente perché la doppiava Eva Gabor e lei parlava così. Per gli americani il discorso finisce qui (ma ci ritorneremo).
Quei cani dei milanesi!
Un altro dialetto presente nel film è quello milanese con cui parlano i cani di campagna Napoleone e Lafayette ed è probabile che si tratti di una scelta presa (rimanendo nell’ambito delle supposizioni) per assonanza. Ascoltando le voci americane infatti non è del tutto strampalato riconoscerci suoni e vocalità del dialetto meneghino.
Le voci in questione, nella versione originale, sono fornite da Pat Buttram (che poco dopo ritroveremo come Sceriffo di Nottingham in Robin Hood) e George Lindsey (anche lui tornerà in Robin Hood nel ruolo di uno degli avvoltoi) e le loro caratterizzazioni sono una continuazione dei ruoli che li hanno resi popolari in America.
Il primo noto per il ruolo di Mr. Haney nel telefilm La fattoria dei giorni felici (dove ritroviamo Eva Gabor), il secondo noto per avere interpretato Goober, il cugino scemo nella serie The Andy Griffith Show (mai arrivato in Italia). Entrambi attori originari dell’Alabama, e quelli di voi che hanno qualche nozione del panorama statunitense sapranno già che è uno degli stati del sud dell’unione, orgogliosa patria di contadini, zotici, incesto, Forrest Gump, ma sopratutto di gente che lavora sodo. L’accento dell’Alabama, scherzi a parte, è da sempre percepito dai parlanti inglese come un accento “incolto”. Non a caso è anche il modo di parlare “da cowboy”.
Trovare un corrispettivo italiano per l’accento incolto sarebbe stato di cattivo gusto per qualsiasi regione che si fosse sentita rappresentare in tal maniera, per questo (e qui siamo sempre nel regno delle supposizioni) si è puntato alla città d’Italia meno incolta per antonomasia, Milano. Il milanese su due zotici campagnoli fa ridere per contrasto e non offende nessuno… ma queste sono soltanto altre supposizioni, probabilmente era solo una questione di assonanza tra milanese e alabamanese, come detto prima. Del resto esisteranno anche Milanesi zotici, no? Chiedete al ragazzo di campagna.
Dite che ha comunque poco senso far parlare i cani della campagna parigina come dei milanesi? È una domanda tanto lecita quanto l’idea di gatti che parlano e suonano il jazz.
Diciamocelo, in originale abbiamo il personaggio di Duchessa che parla con un accento ungherese semplicemente perché la Disney aveva assegnato tale ruolo a Eva Gabor, la quale avrebbe fornito al personaggio una dose di eleganza e, azzarderei, sensualità! Perché la sua voce era popolarmente associata a tali attributi. Come dice anche la linguista Rosina Lippi-Green nel suo English with an Accent: Language, Ideology and Discrimination in the United States:
“la Disney probabilmente sperava che il pubblico associasse il personaggio [di Duchessa] con l’immagine pubblica dell’attrice, scavalcando qualsiasi considerazione logica”
e sebbene all’epoca un critico poco perspicace (miope, direi io) fece notare proprio questa incongruenza logica della gatta parigina che parla con accento ungherese, possiamo dire che il resto del mondo anglosassone abbia accettato da subito l’associazione attrice-personaggio senza soffermarsi sulla coerenza, così come hanno accettato che i personaggi di Schwarzenegger possano parlare con un forte accento austriaco pur passando da eroi americani con nomi quali John Kimble, Howard Langston, Ben Richards e John Matrix. È il classico caso del personaggio definito dagli americani come “bigger than life”, il sopra le righe che per qualche motivo funziona lo stesso.
Mettetevi dunque nei panni del pubblico americano adulto che portava i figli al cinema a vedere The Aristocats e sul poster del film vedeva nomi come Eva Gabor, Phil Harris, Pat Buttram e George Lindsey, tutti attori (e voci) a loro stranoti, sapevano già cosa aspettarsi. Nessuno si domanda quindi perché Duchessa abbia un accento ungherese o perché i cani francesi parlino come dei bifolchi dell’Alabama.
Inutile dire che questo discorso vale per qualunque altro film animato dove recitano voci note al pubblico USA.
Di tutti i casi storici in cui viene usato il dialetto nel doppiaggio questo è di sicuro uno dei film che più si presta a simili scelte. La linea editoriale della Disney di quegli anni era trovare un’equivalenza e la scelta degli adattatori italiani ha semplicemente seguito tale politica. Che vi faccia storcere il naso ora, da adulti, nel 21° secolo è lecito, ma non ci venite a dire che in originale era migliore o più sensato. Perché non lo è mai stato.
Nomi originali e nomi adattati
Sempre seguendo la politica Disney, anche i nomi di altri personaggi animali sono “adattati” per la cultura italiana dell’epoca. Prima di, permettetemi di inventare un modo di dire, “lamentarsene Wikipedia alla mano” bisognerebbe forse considerare il contesto storico, cosa che facciamo sempre qui a Doppiaggi italioti.
Passiamo dunque in rassegna i personaggi con nomi alterati per la versione italiana:
- La gattina Minou, che si ispira alla madre come esempio di eleganza, nella versione originale si chiama Marie.
Gli sketch preliminari durante la lavorazione del film sembrano accennare all’origine del nome: Maria Antonietta! Chiaramente un nome francese che per gli americani è associato ad un’idea di aristocrazia, alle brioche e poco altro. Possiamo ipotizzare che, visto la fine che ha fatto Maria Antonietta, in Italia si sia optato per un più innocente Minou, che in francese sta per “micetto” per l’appunto. Erroneo pensare, come fanno molti, che il nome di Marie sia da ricercare in Maria Callas, questa diceria proviene da una voce senza fonti riportata impunemente su Wikipedia Italia (e dove altro sennò?) e regolarmente rimossa.
- Matisse è il gattino arancione con la passione per la pittura. Nella versione originale il suo nome è Toulouse, come il pittore e artista grafico (sue le celebri stampe del Moulin Rouge) Henri de Toulouse-Lautrec.
Qui, come in altri casi, sono dell’idea che si sia andati per familiarità di un nome rispetto ad un altro. Perché sebbene Toulouse-Lautrec sia stato una importante figura nel panorama artistico di fine ottocento, evidentemente l’avanguardista Henri Matisse era un nome più immediato e familiare per l’orecchio italiano. E poi diciamocelo, non trovate che il ritratto di Edgar sia più assimilabile alla corrente dei fauves (di cui Matisse era esponente) che ai lavori di Lautrec?
- Veniamo adesso al micio di pelo scuro Bizet, il gattino con la passione del pianoforte. Il nome originale era Berlioz come il compositore francese Hector Berlioz, altro artista estremamente influente ma, si suppone, meno familiare allo spettatore italiano di un George Bizet, compositore di una piccola opera che forse avrete sentito parlare, una cosetta così chiamata Carmen… che, ehi, compare pure nel film!
- Anche il topino Groviera, amico dei gatti d’alto borgo (d’altronde perché mangiare un sorcio quando in casa ti servono come un re?) ha un altro nome in inglese: Roquefort. Quanti di voi hanno mai sentito nominare questo formaggio? Qualcuno lo ha sentito nominare? Nessuno? Nessuno? Bueller? Bueller?
Il formaggio dalla Svizzera francese ha sopperito ampiamente nell’adattamento del nome del topo. Per inciso, è Oreste Lionello a doppiare Groviera, un personaggio che ha in originale la voce di Sterling Holloway, veterano Disney, già Winnie Pooh di cui Lionello è voce storica italiana. A proposito… ehi, Disney! Che fine hanno fatto i doppiaggi di Winnie Pooh con Lionello? Escili! - I già citati cani da guardia mantengono i nomi di Napoleone e Lafayette, e voglio sottolineare come il nome di quest’ultimo sia rilevante anche per il pubblico americano (che apparentemente se ne dovrebbe sbattere della rivoluzione francese) perché il generale Lafayette combatté prima ancora nella guerra d’indipendenza americana.
- Veniamo alle sorelle oche, Adelina e Guendalina Blabla, che nella versione originale del film sono interpretate dalle stesse attrici che interpretarono le sorelle Cecily e Gwendolyn Piccioni del film La strana coppia (The Odd Couple, 1968) con Lemmon e Matthau. Ve le ricordate? Se avevate notato delle somiglianze sappiate che sono assolutamente volute!
Per le nostre oche animate, il cambiamento dei nomi da Abigail & Amelia Gobble a Adelina & Guendalina Blabla denota anche qui un voler proporre dei nomi più familiari e adatti al personaggio, come da tradizione Disney. I nomi di Adelina e Guendalina sono facilmente associabili all’idea di due vecchie zitelle (se tra le lettrici ce n’è qualcuna che porta uno di questi nomi chiedo umilmente scusa ma molti nomi di una volta che finiscono in “ina” ne sono presto diventati sinonimo), ottimi quindi per delle “oche” ficcanaso propense al riso “in ore stultorum”.
Il cognome originale Gobble richiama l’onomatopea dell’animale da cortile (è più spesso associata al tacchino in verità), uno starnazzare, e Blabla è una sua giusta traslazione, in richiamo al carattere chiacchierone delle pennute inglesi. - Chiudiamo in bellezza con lo zio Reginaldo, il cui nome originale è Waldo.
In un film dove si adatta tutto per familiarità culturale o almeno uditiva, non sorprende che la Disney all’epoca permettesse (o addirittura esigesse) che anche quei nomi che per noi non sono nomi (il nome Waldo nel 1970? Mai sentito) venissero “familiarizzati”. Da Waldo a Reginaldo è un attimo, non c’è da strapparsi i capelli per questo.
Soltanto i nomi degli animali sono stati adattati. Trattamento diverso per personaggi umani come il maggiordomo Edgar, la padrona di casa Madame Adelaide Bonfamille ed il notaio George Hautecourt a cui sono riservati una parvenza di realismo, contestualmente alla città in cui vivono.
È palese che in queste scelte ci sia una coerenza interna, il cambiamento dei nomi o la loro italianizzazione non avviene a caso ma è riservato agli animali parlanti, protagonisti della vicenda. La parvenza di realismo data agli umani del film non è una mera supposizione, se fate caso alle scene in cui gatti e umani appaiono insieme è possibile notare che i gatti sono disegnati in modo leggermente meno cartonesco, meno antropomorfo.
L’adattamento italiano (e il doppiaggio) semplicemente si adegua alla visione Disney. Quindi buona visione.
Se vedemio, tigri.
LETTURE CONSIGLIATE (tutte in inglese purtroppo)
From the US to Rome passing through Paris, accents and dialects in The Aristocats and its Italian dubbed version della Prof.ssa Silvia Bruti (Università di Pisa), un articolo fondamentale pubblicato sulla rivista Intralinea On-Line Translation Journal, 2009.
Jive Talkin’: The Origins of Cool Dudes, Groovy Chicks and Hip Cats, articolo breve che esplora l’origine e il significato di alcuni dei termini del gergo jazzistico, molti dei quali oggi comunemente usati in America. Di Bill Demain, 2012.
English with an Accent: Language, Ideology and Discrimination in the United States, della linguista americana Rosina Lippi-Green, 2011. Dall’estratto che ho letto on-line sembra davvero un libro fenomenale. Costicchia un po’, un bel po’, ma c’è anche una versione kindle leggermente meno costosa.
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32 Commenti
Paolo "Pisolo" Ciaravino
12 Gennaio 2018 alle 21:43Bell’articolo! C’erano un paio di cose che non sapevo e altre su cui non avevo mai riflettuto pur avendole sotto gli occhi.
Per anni ho creduto che il cambiamento da cat a jazz nella canzone fosse una semplice modifica per mantenere un suono simile, non immaginavo sta cosa di cat=appassionato di musica jazz. Geniale!
Mi permetto un piccolo off-topic segnalando un errore in italiano (non ricordo se c’è anche in inglese) quando lo zio Reginaldo dice che avrebbe preferito essere affogato nello Sherry essendo inglese; peccato però che lo Sherry sia spagnolo 🙂
Evit
12 Gennaio 2018 alle 21:58Lo Sherry è il liquore più popolare e importato nel Regno Unito dal 1600. Culturalmente è tanto inglese quanto Spagnolo, anzi, “Sherry” è la versione inglesizzata del nome originale spagnolo.
https://en.wikipedia.org/wiki/Sherry#In_popular_culture
Adesso voglio un goccio di Sherry.
Leo
12 Gennaio 2018 alle 22:25Ti ringrazio per i complimenti.
Confermo che anche nella versione originale dice Sherry.
“Beati coloro che si sbronzano tra loro!” ?
Paolo "Pisolo" Ciaravino
12 Marzo 2018 alle 20:09Mah! A me risulta che lo Sherry venga da Jerez in Spagna. Che poi sia importato in Inghilterra non mi pare decisivo per dire “essendo inglese, avrei preferito lo sherry”
Evit
12 Marzo 2018 alle 20:22Lo è, fidati.
Cristian Maritano
12 Gennaio 2018 alle 23:03Adoro l’adattamento italiano di questo cartone!….Come sempre bella analisi..
Leo
13 Gennaio 2018 alle 11:57Grazie Cristian! So bene quanto sta a cuore “Gli Aristogatti” agli appassionati Disneyiani, specie a quelli come noi che l’hanno certamente visto a ripetizione in cassetta, quindi mi è sembrata una buona occasione per parlarne e approfondire un po’.
Lucius Etruscus
13 Gennaio 2018 alle 08:49Grande sorpresa, stamatina: articolo spettacolare e approfonditissimo. le feste passate hanno portato grandi spunti a questo blog 😛
Facendo ricerche su una vasta gamma di argomenti, condivido con Leo lo scoramento quando entra in ballo Wikipedia, associata troppo spesso alla chiacchiera da bar trasformata in autorevole fonte. E lo dice uno, cioè io, che più di dieci anni fa era fra i più attivi wikipediani!
Da bambino avevo l’album delle figurine di questo film ma l’ho visto che ero troppo piccolo e non devo averci capito molto, né mi è mai capitato di rivederlo.
Sono di Roma, e qui da molto tempo ce lo fanno a peperini con ‘sto “Romeo, il gatto del Colosseo”: chissà se è nata prima l’espressione romana o prima l’idea del doppiaggio. Il 99% della cultura romana contemporanea nasce dai film comici anni ’70-’80, malgrado i “romani puri” non lo sappiano (perché si informano solo su Wukipedia), quindi non mi stupirebbe affatto che l’espressione nasca dal successo del film.
Fermate un qualsiasi romano e chiedetegli cosa ci potrebbe fare con due banane: vi risponderà che almeno una la mangia. Sta citando Renzo Montagnani, ma non lo sa. Quindi se Montagnani parla di Romeo e Colosseo, sono sicuro che sia entrato subito nel lessico locale.
P.S.
che m’hai ricordato, “La fattoria dei giorni felici”! Quanto la adoravo, da ragazzino, con quella comicità assurda e quella presa in giro dei campagnoli temo anche parecchio politicamente scorretta.
Leo
13 Gennaio 2018 alle 12:29Grazie per lo spettacolare, troppo buono!
Caro Lucius come vedi le feste portano spunti… e spuntini sotto forma di avanzi! Alzi la mano chi non ha mangiucchiato per due settimane con i rimasugli di Natale e Capodanno!
Devo essere sincero, Wikipedia mi è stata utile, mi ha fornito conferme, tracce, cose che non sapevo (sulla Wiki tedesca ho letto di Paul Kuhn, a parte il cartello l’ho trovato scritto solo lì!) ma sì, cose come la storia di Maria Callas che non trovano conferma da nessuna altra parte e sono assolutamente aprocrife non mettono in buona luce quella che potrebbe essere una risorsa altrimenti importantissima.
– Aho’, c’hai ‘na faccia…!
– Eh sì, si ce n’avevo due già stavo all’università, sotto spirito!
Sarei curioso di sapere anche io se è nato prima il Romeo o la gallina. Questo mi ricorda un caso simile, in una intervista il mitico Glauco Onorato raccontava dei doppiaggi dei film di Bud Spencer e di come in sala “aggiustassero” e “inventassero”, insomma si divertivano. Onorato diceva di aver riportato in un film una frase che aveva prima sentito nella vita reale “Ma stai zitto che non sei altro!!”
Lucius Etruscus
13 Gennaio 2018 alle 12:48Purtroppo la cultura orale lascia tracce indatabili, possiamo solo seguire i fili di rimando in doppiaggi e sceneggiature. Io avevo uno zio barzellettiere e solo anni dopo ho scoperto che si rivendeva pare pare le sceneggiature di Pierino! Ora sono circondato dal vivo da cultori della romanità che non sanno nulla quindi rimangono solo inni alla Maggica e poco altro 😛
Wikipedia è un’ottima base di partenza ma purtroppo molti poi si fermano lì: dovrebbe dare spunti ma rimangono spuntini…
Essendo io fan dell’universo espanso di Aliens detesto quelli che chiamano i Predator “Yautja”: è un’invenzione apocrifa del ’94 che nessuno si è mai filato finché nei primi anni del Duemila l’ha citata Wikipedia e da allora fanno tutti finta che sia un termine “vero”…
Evit
13 Gennaio 2018 alle 13:11Come tutte le cose, anche Wikipedia va saputa usare, così come i dizionari nelle traduzioni. Sapevo che Lucius sarebbe stato colpito dall’indagine sulle fonti, tutto quello che non è certificato è stato rimandato alla sezione “supposizioni”. Non è un caso che voi due, Lucius e Leo, siate parte integrante di questo blog.
Lucius Etruscus
13 Gennaio 2018 alle 15:15Leo è impeccabile, ha scritto un testo inattaccabile dimostrando che anche quando mancano prove a supporto si può delineare una tesi plausibile, senza disturbare leggende metropolitane o dire che il doppiatore era in realtà Piero Pelù 😀
Occhio che se esce fuori che guarda pure filmacci te lo rubo per il Zinefilo ^_^
Evit
13 Gennaio 2018 alle 16:59Piero Pelù ahahah!
Leo non ha contratti di esclusiva con Doppiaggi Italioti ma considera che mi scrive articoli ogni 2 anni. Se lo prenoti ora forse nel 2020 ti fa uscire qualcosa sul Zinefilo.
Napoleone Wilson
13 Gennaio 2018 alle 11:39I nomi adattati dei gattini maschi sono perfetti, io ho sempre pensato fossero quelli anche in originale: Matisse dipinge con lo stesso stile, come detto dall’autore del post, ma sopratutto Bizet fa suonare la Carmen girando il grammofono nella scena del ballo. Poi lo distrugge anche, probabilmente si accorge che il disco che sta suonando è tratto dalla recente versione con finale cambiato per sensibilizzare contro i femminicidi.
Tra i vari doppiatori originali c’è “Scatman” Crothers, mitico attore che interpreta Halloran in Shining.
Scatcat prende il nome direttamente da lui, c’è un legame univoco doppiatore-personaggio, agevolato dal riferimento alla tecnica di canto detta scat, ossia il cantato jazz con le parole inventate utilizzato spesso negli assoli con la voce.
Il gioco di parole con il nome Tom per un gatto maschio è un classico: Thomas O’Malley, Tom di Tom e Jerry, Tommy the Cat dei Primus (nella canzone è anche citata una strada dove vivono i tipi duri: O’Malley Alley, chiaro riferimento al film).
Leo
13 Gennaio 2018 alle 12:47Scatman Crothers in realtà è “la riserva” in questo ruolo. La Disney voleva Louis Armstrong e il gatto doveva chiamarsi come lui, Satchmo. Peccato che Armstrong si è sentito poco bene e ha dovuto declinare. Sarebbe stato perfetto no?
Cosa un po’ demoralizzante per Crothers però è che in studio di registrazione gli abbiano detto “fai Satchmo”.
Napoleone Wilson
13 Gennaio 2018 alle 13:03Questo non lo sapevo! In effetti Scatcat suona la tromba come Louis Armstrong.
Complimenti per il completissimo articolo su questo classico Disney!
Evit
13 Gennaio 2018 alle 13:06Leo si è proprio trattenuto altrimenti ci scriveva un libro sugli Aristogatti
Andrea87
13 Gennaio 2018 alle 13:32bellissimo articolo! Spero che passerete al setaccio altri film Disney dei tempi d’oro, quando si potevano cambiare nomi per adattarli alla sensibilità locale (che è un po’ quello che era successo a R2-C1, checchè ne dica Lucius sull’inopportunità di adattare i nomi in SW! :P).
Oggi invece canterebbero “Tutti quanti voglion diventare gatti!” perchè il supervisor legge “cats” e vuole che diciamo “gatti”…
… tranne nel caso in cui la protagonista non faccia Moana, lì diventa (bella) vaiana (pijati sta banana!) xD
Andrea87
13 Gennaio 2018 alle 13:36dimenticavo: Leo, se chiedi “Winnie Pooh” ti daranno sempre Bresciani però! Prova a chiedere Winny Puh 😛
Leo
13 Gennaio 2018 alle 13:41hai ragione! menomale che c’è ancora qualcuno che ce l’ha in cassetta, ho sentito alcuni spezzoni deliziosi su youtube.
Leo
13 Gennaio 2018 alle 13:44Grazie, sono certo che non mancherà occasione di parlare di altri film. Ho qualche piccolo, minuscolo spunto in mente ma ovviamente voglio svilupparlo ben bene prima.
Napoleone Wilson
13 Gennaio 2018 alle 13:45Che poi in America la protagonista si chiama Moana e il film “Moana”.In Europa, Vaiana e il film “Vaiana”. Solo da noi in Italia il film diventa “Oceania”. Misteri fittissimi.
Evit
13 Gennaio 2018 alle 17:05Non ho ancora avuto il coraggio di andare a leggere l’articolo di Lucius sui nomi di Guerre Stellari ahah! Me lo aveva annunciato, mi è arrivata la notifica di pubblicazione… ma era Natale e mi sono detto “dopo le feste” così che il panettone non mi andasse di traverso. Ne sono incuriosito e lo temo allo stesso tempo. Ancora non me la sento. Magari lo leggo il giorno che vado ad incontrarlo, così le mani al collo possono essere reali e la sezione commenti del suo blog rimane inattaccata.
Mannaggia ai fan di Aliens, mannaggia!
😉
Emiliano Ceredi
14 Gennaio 2018 alle 16:38Ottimo articolo, complimenti!
Per quanto riguarda l’utilizzo delle parlate regionali nella versione italiana, sono assolutamente d’accordo sull’opportunità, in questo caso. Anche perché l’utilizzo mi pare misurato qui, e molto più ragionevole rispetto, ad esempio, a un caso clamoroso come quello di Fritz il Gatto.
Per Napoleone e Lafayette, forse mi sbaglio, ma ho sempre associato quella parlata al lombardo di campagna, non cittadino, quindi abbastanza in linea con l’effetto evocato dall’accento dell’Alabama. In alternativa, potrebbe essere essere inteso come un milanese “basso”, un po’ da canzoni della “mala”?
Leo
16 Gennaio 2018 alle 18:04Grazie Emiliano!
Un giorno dovrò finalmente vedere Fritz il Gatto. Ho visto un paio di clip su Youtube tempo fa ed erano molto scoraggianti.
Sai non essendo del nord non ho troppo orecchio per queste cose quindi non potevo sbilanciarmi a tal proposito. A parte “Il ragazzo di campagna” di Pozzetto che esempi cinematografici ci sono che mettono in evidenza questa parlata contadina?
Giovanni De Bonis
21 Giugno 2019 alle 15:14Anche se è passato un anno e mezzo, intervengo solo ora per confermare che anche a me l’accento di Napoleone e Lafayette sembra un lombardo provinciale. Ho vissuto per tre anni a Milano e i milanesi di città hanno un accento diverso, non so descrivere con precisione la differenza ma a orecchio la sento. Sempre a orecchio direi che la cadenza di Napoleone e Lafayette assomiglia all’accento della zona Pavia-Lodi-Piacenza (potrei sbagliarmi, ovviamente).
Leo
22 Giugno 2019 alle 14:33Non importa quanto tempo passa, fa comunque piacere sapere che c’è chi legge e risponde! Grazie del contributo, Giovanni, e non ti preoccupare se non pensi di poter essere più preciso, è certamente molto più vicino alla realtà di quanto non possa essere una mia impressione, da persona che è stata a Bergamo una volta sola e anche in quel caso non ha interagito con i locali abbastanza.
Emiliano
16 Gennaio 2018 alle 19:01Nemmeno io sono della zona in questione, per cui si tratta più che altro di un’impressione, no suffragata da altro a parte un po’ di “orecchio”. Tenderei a escludere che quell’accento suoni come il milanese cittadino altolocato, su questo sono abbastanza certo. Per verificare le mie ipotesi c’è bisogno di un esperto. Anche a me non vengono in mente, per il momento, altri esempi cinematografici, a parte il Pozzetto che citi, che mi pare adatto. Certo non “L’albero degli zoccoli” di Olmi, lì la parlata è bergamasca, ben diversa da quella in questione. Tognazzi nelle numerose parti da bifolco, fra cinema e TV? O magari, e meglio, Gassman nella parte di Busacca ne “La grande guerra di Monicelli”?
Rado il Figo
17 Gennaio 2018 alle 18:37PIccola curiosità personale: sbaglio o esisteva anche un fumetto di “Romeo, er mejo der colosseo” con protagonista forse ancora un gatto che riprendeva un carosello, mi pare disegnato da Gino Gavioli?
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16 Aprile 2018 alle 14:31Pingback:
12 Febbraio 2019 alle 13:43Umberto
23 Agosto 2020 alle 12:06I cani parlavano milanese? Giuro che non me ne ero mai accorto!!! Erano i Giovanni e Giacomo versione canina, mancava solo il cane terun e il trio era completo