The Abyss è il sogno (e anche il film) più bagnato di James Cameron perché riunisce tutte le sue più grandi passioni: personaggi femminili forti, le immersioni nelle profondità marine, la paura della guerra nucleare, il maltrattamento di attori e troupe e, tempo permettendo, pure gli alieni. Ciascun film di Jimmy contiene sempre almeno due o tre di questi elementi ma mai prima del 1989 era riuscito ad infilarceli tutti quanti in un colpo solo. E me cojoni, direte!
Ma quando l’attore protagonista ti tira un cazzotto in faccia perché stavi per farlo affogare nel tuo film sugli alieni subacquei con donna forte e testata nucleare che rischia di esplodere, forse è il momento di domandarsi se fosse davvero necessario far coesistere tutti questi elementi in un solo film.
Ma voi siete qui per l’adattamento, giusto? E non per le curiosità dai dietro le quinte tipo Mary Elizabeth Mastrantonio (uè, cumpà!) che scappa dal set in lacrime urlando “siamo attori, non animali!”.
Ebbene, se ne saranno accorti in pochissimi ma l’adattamento italiano di The Abyss fa acqua da tutti le parti ed è pieno di errori più o meno gravi che, se sommati insieme, come tante gocce d’acqua, diventano quasi una tortura medievale che rischia di portarvi alla pazzia.
Fate un bel respiro, ragazzi. Stiamo per immergerci negli abissi della mia pedanteria. Sì, questo sarà un altro dei miei articoli da mister tritacazzi (semi-cit.).
Tutta colpa di Netflix
La mia prima esposizione a questo film è avvenuta, così come per molti altri, nell’era analogica, quando le videocassette imperavano e il confronto con l’originale in inglese era cosa assai poco pratica, diciamo pure impossibile; in DVD poi non credo lo abbia mai comprato nessuno e se lo avete fatto sta sicuramente lì, a prendere polvere nella terza fila dello scaffale, ammettetelo!
In Blu-Ray poi ancora non esiste. Cameron ce lo promette da anni ma fino ad ora è stato troppo occupato a ritoccare continuamente i suoi Terminator e a pianificare quattro o cinque nuovi seguiti di Avatar di cui nessuno sente il bisogno, quindi devo solo ringraziare Netflix che, finalmente, dopo 29 anni mi ha consentito di vederlo in inglese.
L’articolo sull’adattamento italiano che segue è la conseguenza di tale visione.
Lo sapevate? L’adattamento di The Abyss è terribile. Sapevatelo
The Abyss è uno di quei casi in cui abbiamo un ottimo doppiaggio (la scelta degli interpreti e la loro interpretazione è davvero eccellente) che però si basa su un pessimo adattamento, ma prima di parlare dell’adattamento voglio togliervi un dubbio che probabilmente non vi eravate mai neanche posti: come si pronuncia il titolo del film?
Per una pronuncia corretta l’accento va sulla y, quindi “abìss” e non “àbiss”, ecco, ce lo siamo tolto di torno. Avete notato come nessun film di James Cameron abbia mai avuto un titolo tradotto in italiano? Curiosa ‘sta cosa. Comunque, tornando ai miei tormenti, qual è il problema della versione italiana? Non ce n’è solo uno, questo film infatti ne è colmo, tra frasi omesse, frasi che cambiano il significato dei dialoghi, frasi che anticipano sorprese… questi sono alcuni dei tanti problemi che affliggono il suo doppiaggio.
Oltre a questi, la versione italiana è costellata di tante piccole scelte di traduzione discutibili, piccole goccioline che dopo 145 minuti possono anche portarvi alla pazzia, io vi ho avvertiti. Contiamo le goccioline insieme e forse The Abyss diventerà una tortura insostenibile anche per voi. Orsù accomodatevi, comincia il film.
Prima scena, primi errori
Il film comincia subito con una battuta che, come si dice nella terra del tè con il latte a tutte le ore, “it’s not quite right”, non è proprio corretta. Qualcosa non quadra.
In un sottomarino americano, il marinaio addetto al sonar sta seguendo gli spostamenti di un oggetto subacqueo non identificato che si muove a velocità impossibili per un sommergibile sovietico. Ci viene detto che l’oggetto non emette cavitazione, né rumori di un reattore e che “non si avvertono neanche segni di eliche” . Detto così sembrerebbe che non emetta proprio alcun rumore, che sia quindi del tutto silenzioso. Questo è ciò che percepiamo dai dialoghi italiani.
Interpretazione subito smentita dal superiore che preme un pulsante e ci fa sentire ciò che il marinaio stava ascoltando in cuffia. Un suono alieno.
Una banale occhiata ai dialoghi in inglese e scopriamo invece che l’ultima frase del marinaio era ben altro: “non sembra neanche il suono di eliche” (it doesn’t even sound like screws). La battuta in inglese dovrebbe far scattare una curiosità nella mente dello spettatore in merito all’oggetto misterioso e al suono che emette, un suono sconosciuto e indescrivibile. Che suono sarà? Cosa diavolo lo emette? Faccelo sentire anche a noi!
Da questo primo esempio è già evidente come una piccola alterazione apparentemente da poco possa alterare completamente la percezione di una frase e della scena stessa. Cameron la sa lunga su come creare aspettative con i dialoghi e su come poi distribuire piccole ricompense. Già le primissime battute del film riescono nell’intento, a patto che lo stiate guardando in inglese però.
Se in italiano ci fai pensare che l’oggetto misterioso non emetta alcun suono e poi un suono invece lo sentiamo hai già ammazzato i dialoghi dalle primissime battute. Anche noi spettatori ignoranti vogliamo poter confermare che non si tratta di un rumore di eliche dopo esserci chiesti “che rumore sarà mai?”.
Il modo in cui è stato tradotto potrebbe far sospettare ad una superficiale conoscenza dell’inglese ma lasciamo il beneficio del dubbio imputandolo ad una scelta di traduzione… magari per rispettare il labiale? Speriamo e andiamo avanti.
Che sarà mai, dite? Sottigliezze, dite? Sofismi? Questa è soltanto la prima goccia.
Linguaggio da marinai o da scaricatori di porto?
Da spettatori italiani di blockbuster (doppiati), siamo facilmente portati a credere che in una situazione di pericolo dei marinai possano dire cose come “siamo nella merda” oppure “i serbatoi di prua sono fottuti“, frasi molto plausibili in bocca a dei sommergibilisti di un film d’azione statunitense, se non fosse per il fatto che tale linguaggio stereotipato non ha corrispondenze in lingua originale.
In situazioni d’emergenza sul mare non c’è spazio per un linguaggio così informale e ridondante perché può solo costare la vita a tutti. Lo sa bene Cameron, appassionato di immersioni, che ci mette più realismo possibile nei dialoghi di film su i suoi amatissimi abissi, e lo sa anche mio padre, ex-ufficiale di marina (mercantile), che davanti a queste frasi storce sempre il naso (se vedesse The Abyss in italiano lo storcerebbe di sicuro). È vero che questo genere di dialoghi è quasi la norma nei film americani ma non in questo. Allora perché dovremmo accettare dialoghi italiani da film di Michael Bay come “i serbatoi di prua sono fottuti” quando in inglese diceva semplicemente “falla nei serbatoi di prua” (forward tanks are ruptured)? La sostanza non cambia ma lasciamo che il film si esprima con il lessico scelto dal regista.
Non passano neanche pochi secondi che ci arriva un altro scambio di battute dove l’adattamento italiano decide di andare un po’ a braccio:
– We’re losing her! (Letteralmente “lo stiamo perdendo”, il sommergibile)
[scambio di sguardi]
– Launch the buoy. (“Lancia la boa”)
Ancora una volta nella situazione di emergenza non c’è tempo da perdere, ciascuna frase è significativa ed ha un suo peso. Nessuno perde tempo con inutili sottintesi o frasi ridondanti. Viene subito detto che il sottomarino è ormai spacciato. Chiaro. Semplice. Quel lancio delle boe è un tentativo probabilmente futile ma è l’unica cosa che resta da fare. Tutto molto accessibile, ci arriva anche il bifolco americano.
Nel doppiaggio della terra di poeti, santi e navigatori, la prima battuta diventa invece “lanciamo una boa“, seguìta da una drammatica riconferma:
“Lanciamo una boa…
…di segnalazione!”.
Cosa cambia? La frase italiana vuole essere ad effetto e, invece di dichiarare subito e in modo chiaro che il sommergibile è “perduto”, sentiamo l’ordine di “lanciare le boe”, il sottoposto guarda con preoccupazione ma non muove un dito, ha capito qualcosa che gran parte degli spettatori ancora non sa, cioè cosa implica lanciare “le boe”. Non lo capiamo anche noi finché il capitano non specifica che le boe sono “di segnalazione”. Ora possiamo finalmente intuire che il sommergibile e il suo equipaggio sono spacciati e che non hanno altro che la speranza di essere recuperati dalla Marina.
Lo spettatore americano e quello italiano percepiscono la scena in modo leggermente diverso. Questa è la prima di tante omissioni o alterazioni che ci accompagneranno per il resto del film. Nessun grave delitto, è soltanto un’altra gocciolina. Plic!
Siamo a poche frasi dall’inizio del film e l’adattamento italiano già fa acqua da tutte le parti. speriamo che non affondi.
Il linguaggio tecnico dei subbaqqui: scogli per precipizi
Di linguaggio tecnico in The Abyss ce n’è tanto e sembra essere quasi sempre corretto, forse frutto di un’ottima consulenza, lo dimostrano cose come il winch (termine che include sia il significato di verricello che di argano), usato proprio in nautica anche in lingua italiana. Eppure, in maniera inattesa, la traduzione ci casca nei momenti più banali come ad esempio quando una messa a terra (“ground connection”) diventa letteralmente una “connessione al suolo“.
Bypassa la connessione al suolo sul sequenziatore di separazione
Tale frase viene fuori nella scena in cui i sommozzatori dei Navy Seals armeggiano con una testata nucleare che di certo non è connessa “al suolo” come una tenda da campeggio. A riconferma di ciò, se cerchiamo “connessione al suolo” su Google troviamo la bellezza di un centinaio di risultati, nessuno legato all’elettronica (contro gli oltre 2 milioni di “messa a terra”, tutti legati all’elettronica). Certo, Google non c’era nel 1989, ma la “messa a terra” esiste dai primi esperimenti di Faraday dell’800.
Ancora più fuorviante è un’altra battuta che arriva poco dopo, quando sentiamo che invece di essere trascinati verso il precipizio la nostra Mastrantonio (nella versione italiana) ci avverte che stanno per essere trascinati verso uno scoglio.
Definizione di scoglio: “porzione di roccia che affiora o emerge dalla superficie del mare, di laghi o di fiumi”.
Ora, dubito che questo si qualifichi come “scoglio”.
In inglese infatti non si parla affatto di scogli.
La frase italiana fa pensare che si sarebbero presto schiantati contro una parete o un masso, ben altra cosa rispetto al rischio di CADERE DA UN PRECIPIZIO nelle profondità marine! Mamma mia, sento già la tensione che sale in me… ma solo in inglese! Infatti lo strapiombo di cui parlano nella versione originale lo vediamo solo successivamente, quando la gru alla quale sono rimasti ancorati precipita giù rischiando di trascinarli oltre il baratro. Resosi conto di ciò che sta per accadere, Capitan Ovvio urla “ci trascina via!” mentre in inglese la battuta era semplicemente “reggetevi a qualcosa” perché ciò che stava per accadere era chiaro persino al bifolco americano.
Da notare che quasi tutte le frasi incriminate sono dette fuori campo, non vediamo mai la bocca di chi le pronuncia quindi sono scelte difficili da poter giustificare in qualche modo.
A proposito di pronuncia, con il doppiaggio di The Abyss è la prima volta che sento il segnale di soccorso “MAYDAY” pronunciato come “mai-dei” invece di “mei-dei” (o come viene spesso trascritto MEDE’), molto curioso visto che lo stesso personaggio (Sonny, doppiato da Franco Zucca) nella medesima scena pronuncia poi il nome della piattaforma Deep Core come “dip COAR”, forse ad emulazione della pronuncia americana. La pronuncia di parole estere evidentemente rimane a discrezione degli interpreti.
Visto che stiamo a parlare di pronunce, perché i mini sommergibili radiocomandati “Big Geek” e “Little Geek”, vengono chiamati “little gic” e “big gic”? Forse “bigghick” suonava male? Chissà in quanti avranno pensato di sentirci “Big Jim” all’epoca. (La pronuncia corretta di geek è “ghiik”.)
Mentre nel caso dello scoglio/strapiombo i dialoghi italiani restano incomprensibili finché non vediamo con i nostri occhi cosa sta per accadere, in altre scene invece anticipano persino troppo. È il caso del famoso incontro con la protuberanza fatta d’acqua. Dico famoso perché questa scena certamente la conoscete anche senza aver visto il film.
Successivamente a questo primo contatto, la protuberanza si allontana, addentrandosi in altre parti della struttura sottomarina. Dove starà andando? In inglese la protagonista pensa che sia diretta verso il modulo B della struttura (“I think it’s headed for B module“). La musica è gioiosa finché non vedono che si è fermata ad osservare la testata nucleare portata a bordo dai militari paranoici.
Nella versione doppiata, la costruzione dell’intera sequenza è rovinata da uno “spoilerino”: invece di dire che sta andando verso il modulo B, in italiano il personaggio di Lindsay (Mastrantonio) mostra doti paranormali di preveggenza quando dice: sta andando verso la testata!
Che ne sai, Lindsay? Hai letto il copione? È una gigantografia del copione quella che vedo appesa alla parete nell’immagine qui sopra?
In italiano, dunque, la musica rimane gioiosa nonostante Lindsay abbia detto che la protuberanza aliena sia diretta verso la testata nucleare, a questa informazione gli spettatori italiani non danno quindi il giusto peso perché la musica si fa più seria soltanto dopo. Questo non ha senso nel linguaggio del cinema.
Abissali fraintendimenti
Per essere un film sulle profondità marine e sulle immersioni, The Abyss ha dialoghi davvero alla portata di tutti, immediatamente comprensibili a patto che conosciate l’inglese. Non mi spiego infatti come mai molte frasi siano state fuorviate in fase di traduzione e adattamento, complicando anche le cose più banali. Qualcuno deve proprio essersi perso in un bicchier d’acqua.
Siamo ancora all’inizio del film, l’ingegnere Lindsday Brigman (Mary Elizabeth Mastrantonio) è in un piccolo sommergibile con i marinai delle forze speciali Seal. Una volta attraccati alla piattaforma sottomarina Deep Core devono ancora attendere l’equilibratura della pressione prima di poterci entrare.
A questo punto Lindsay annuncia una brutta notizia e una notizia ancora peggiore:
The bad news is, we got eight hours in this can blowing down and the worse news, it’s gonna take us three weeks to decompress later.
La brutta notizia è che dovranno rimanere 8 ore in quella scatoletta per la compressione, la notizia ancora più brutta è che al ritorno in superficie poi gli ci vorranno tre settimane per la decompressione.
In Italia, terra di poeti, di navigatori e di quelli che si complicano la vita inutilmente, il dialogo è stato tradotto in questo modo:
Siamo stati più di otto ore a zonzo dentro questa scatola e mi dispiace per voi ma ora ci aspettano tre settimane di decompressione.
TUTTO ciò è sbagliato. Otto ore non è il tempo già speso per raggiungere la piattaforma Deep Core bensì quello che dovranno attendere prima di poterci entrare. Dicendo poi “ora ci aspettano tre settimane di decompressione” sembra che faccia riferimento al tempo di attesa per l’equilibratura della pressione (che invece è di 8 ore). Sono quei dialoghi che forse sulla carta avevano un qualche senso ma che nella pratica risultano fuorvianti.
I fraintendimenti non finiscono certo qui. Dopo un diverbio tra Lindsay e il tenente Coffey in cui quasi ci scappa il morto, si parla di un “fattore culo” che in italiano porta irrimediabilmente a pensare al culo inteso come fortuna, come del resto testimoniano le molte pubblicazioni che riportano questo nome (spesso abbreviato in “fattore c”) e addirittura un programma televisivo.
Io dico che in tutta questa storia do al fattore culo un’importanza di 9 punti su 10.
Ben altra valenza ha la battuta originale…
I got to tell you, I give this whole thing a sphincter factor of about 9.5
…nella quale si parla di un “fattore sfintere” a cui viene attribuito un livello di strizza di 9,5 su 10 per via della situazione rischiosa in cui si erano trovati. Un modo divertente per dire che quasi si cagava addosso e su questa battuta si conclude la scena. Certo, erano stati anche fortunati, ma un fattore strizza è una migliore conclusione della scena rispetto ad un generico fattore fortuna. Se è stato scelto “culo” sperando che si capisse la battuta originale hanno sbagliato di grosso, se invece si è optato per un cambio di battuta, quella originale funziona comunque meglio.
Tra moglie e marito non mettere il dito (antico consiglio per traduttori)
Una delle cose più memorabili dell’intera vicenda (oltre agli alieni di plastica alla fine) è certamente il rapporto di odio e amore tra il capitano della stazione subacquea, Virgil “Bud” Brigman (Ed Harris) e la moglie da cui sta divorziando, l’Ing. Lup. Mann. Lindsay Brigman (Mary Elizabeth Mastrantonio), che ha progettato la piattaforma. La giornalista Silvia Bizio nell’articolo Troppi misteri in fondo al mare nel 17 agosto 1989 ci riporta ciò che all’epoca sospettavano in tanti, cioè che ci sia qualcosa di autobiografico nel rapporto tra moglie e marito che vediamo in The Abyss.
[…]nonostante i suoi dubbi inizi nel 1981 (con Pirana II) ha firmato, in tandem con la moglie produttrice Gale Ann Hurd (il loro matrimonio è andato a fondo durante le riprese di The Abyss), film come Terminator (1984) e Aliens (1986). Non a caso molti sostengono che il soggetto di The Abyss che Cameron aveva scritto a solo 17 anni, sia stato integrato con molti elementi autobiografici relativi a Cameron e alla Hurd: due persone unite dal lavoro e separate dal conflitto fra carriera e famiglia.
È certamente una di quelle semplificazioni che piacciono tanto ai pettegoli appassionati di gossip e agli spacciatori di curiosità (quasi sempre false) sul cinema e anche io farò come Silvia Bizio, prendendo le distanze da simili congetture in attesa di conferme o smentite da parte degli interessati; possiamo però constatare che raramente capita di vedere conflitti di coppia così ben rappresentati su pellicola, qualunque ne sia l’origine.
Purtroppo nell’adattamento italiano anche i battibecchi di coppia tra Lindsay e “Bud” non sono esenti da errori di traduzione o reinterpretazioni, a partire dal marito che ricorda alla moglie che non le è mai piaciuto essere chiamata “signora Brigman” e lei risponde “mi è piaciuto quando significava qualcosa” mentre originariamente era l’esatto contrario “not even when it meant something” (neanche quando significava qualcosa). E faccio notare che questi dialoghi sono di spalle, la scusa del labiale non sussiste.
E non è il solo esempio. Il dialogo che segue cambia ancora una volta l’atteggiamento della co-protagonista che da persona orgogliosa che fa molta fatica ad elargire un complimento al marito, in italiano diventa quasi lo stereotipo della casalinga preoccupata.
La frase…
You know, you did okay back there, Virgil. I was fairly impressed.
(= sai, te la sei cavata bene prima, Virgil. Sono alquanto colpita.)
è stata adattata in questo:
Menomale che sei rientrato in tempo. Ero davvero preoccupata.
Se l’obbiettivo di questo adattamento era quello di riempire il film di frasi banali hanno fatto uno splendido lavoro. Manca solo qualche “non correre, papà”, ci sarebbe stato bene durante la discesa negli abissi, alla fine.
Il botta e risposta da coppia che fa scintille continua in entrambe le lingue concordemente a quanto detto nelle precedenti battute:
ORIGINALE Yeah? Well, not good enough. We still got to catch Big Geek.
(=Ah, sì? Be’, non abbastanza. Dobbiamo ancora recuperare Big Geek)DOPPIAGGIO: In tempo per cosa? Per perdere Big “Gick”?
E poi sul finale di questo battibecco ritorna una diversa interpretazione del personaggio di Lindsay che, invece di avere l’ultima parola, diventa comprensiva e non competitiva.
ORIGINALE. Lindsay: Yeah. Well, not in this thing.
(=Be’ di certo non con questo affare)DOPPIAGGIO: Be’, non intendevo questo.
“Bud” può essere acido, Lindsay per qualche ragione no, ma si sa, dietro ogni marito burbero c’è una moglie comprensiva. Si è dimenticata solo di ricordargli di prendere il latte al ritorno dal lavoro. Basta pochissimo per stravolgere la psicologia dei personaggi.
Roba troppo sottile? Allora che ne dite di quando Lindsay propone al marito di tornare indietro e prenderle una muta prima che la falla nel sommergibile la faccia annegare? Lui conta che ci vorranno 7-8 minuti per andare e tornare a nuoto e in italiano le dice che potrebbe farcela, mentre in inglese dice l’esatto opposto.
That would take me about 7, 8 minutes to swim, get the gear, come back.
Ci vorranno 7 o 8 minuti per andare e tornare.
Fin qui niente di male.
I wouldn’t make it. Look at this, by the time I got back you’d be…
(=non ce la farei. Stammi a sentire, al mio ritorno saresti già…)
che nel doppiaggio italiano diventa
Va bene, dovrei farcela. Tu mi aspetti qui ma devi restare molto calma.
Le frasi che seguono sono state alterate concordemente. Se in inglese lei cambiava idea e diceva di guardarsi intorno alla ricerca di altre soluzioni, in italiano accade tutto l’opposto, lei promette che sarebbe stata calma ma che lui avrebbe dovuto fare in fretta. Non si capisce poi perché dopo il marito tergiversi e ai due caschi il mondo addosso quando trovano un respiratore ma questo non funziona. Ma non doveva arrivare a nuoto a prenderle una muta il più presto possibile? Che sta aspettando? Ahh, già, i dialoghi sono stati cambiati e non hanno senso. Scemo io.
Una situazione drammatica diventa così un’incomprensibile perdita di tempo con tanto di “calmati, donna”.
Se non sapessi che dialoghi e direzione del doppiaggio sono di una donna, Susanna Javicoli, avrei certamente pensato al peggiore dei maschilisti.
Mi copi o mi ricevi? Boh, facciamo entrambi
I dialoghi di questo film sono in gran parte radiotrasmessi e quindi strapieni di termini noti ai radioamatori (un po’ meno al grande pubblico) con cose come “mi copi?”, cioè “mi ricevi?”, una diretta traduzione maccheronica (ma storica) di “do you copy?”. Una iniezione di realismo forse eccessiva quando nello stesso film i “serbatoi di prua”, invece di “avere una falla”, possono essere descritti come “fottuti”.
E così il film abbonda di “mi copi?” laddove un “mi ricevi” non avrebbe infastidito nessuno e dove non mancano neanche i “roger” (ne avevamo già parlato con Star Wars – Episodio I), un’espressione di conferma/risposta affermativa che in questo film non viene sempre tradotta allo stesso modo: a volte rimane “roger”, altre volte diventa “affermativo”, altre ancora “ok”.
Anche i “copy” non sono sempre tradotti come “mi copi” ma ogni tanto diventano “mi ascolti?” o “mi senti” (persino all’interno della stessa scena) e quindi pure la scusa del labiale se ne va al diavolo.
Dunque non solo abbiamo inglesismi superflui ma anche incoerenti. Doppia libidine, proprio!
Aggiunte e omissioni italiote
Possiamo aggiungere al quadretto l’enorme quantità di frasi mai pronunciate in italiano, almeno non nella versione che ho visto io su Netflix ma lascio sempre il beneficio del dubbio perché non sarebbe il primo film in cui il missaggio audio fa scomparire intere frasi dalla versione home video italiana (come in Terminator, per dirne una).
Ne cito solo qualcuna, come ad esempio la frase “loro non possiamo aiutarli ma forse troveremo dei sopravvissuti più avanti“, totalmente assente nei dialoghi originali della scena dell’esplorazione del sommergibile affondato, oppure la risposta “I’m dealing“(=ce la faccio) alla domanda “tutto a posto ragazzi?” (la risposta era assente in italiano), oppure ancora quando il tenente Coffey, ormai impazzito, dichiara ad un suo sottoposto che è ora di passare alla fase tre e il sottotenente Monk gli risponde con una frase inesistente nella colonna sonora italiana: “we don’t have orders for that“, cioè che non hanno autorizzazioni dall’alto (evidentemente necessarie) per poterlo fare. Questa risposta è particolarmente importante perché sottolinea come il tenente Coffey stesse agendo di sua spontanea iniziativa guidato solo dalla psicosi e questo dovrebbe anticiparci anche la defezione del sottotenente Monk che poi si metterà dalla parte dei protagonisti in quanto l’unico della squadra Seals a riconoscere la follia del suo superiore.
Siccome non vogliamo farci mancare niente in questa terra di poeti, marinai etc, etc… il film doppiato sfoggia anche frasi inesistenti in inglese e frasi insensate in italiano, come durante la preparazione del protagonista all’immersione finale quando sentiamo questo dialogo
Lindsay: vorrei restare un po’ con lui.
Sottotenente Monk: Ok.
Lindsay: Grazie.
Soltanto che nessuno si allontana per lasciare Lindsay sola con il marito, la procedura di vestizione procede normalmente come se lei non avesse detto niente. Questo perché lo scambio di battute appena menzionato esiste solo in italiano e posso supporre derivi da un errore nel missaggio audio del film, perché niente nei dialoghi in inglese può far pensare ad un errore di traduzione. Quel “okay” del sottotenente Monk era solo riferito al corretto inserimento del casco.
Altre battute alterate non tardano ad arrivare, quando Lindsay deve parlare a “Bud” per distrarlo dai dolori della discesa a profondità estreme e lo fa ridere dicendo che “non è facile essere una stronza di ferro [traduzione letterale], ci vogliono disciplina e anni di allenamento. Tanta gente non lo capisce.”.
Per qualche strana ragione, al posto dell’auto-ironico “cast-iron bitch” (traducibile anche come “stronza patentata” o, come altri hanno tradotto prima di me, “stronza di proporzioni bibliche“), in italiano si parla di “rigida professionista” quindi il discorso si sposta sulla sua professionalità invece che sulla consapevolezza di passare da stronza:
“Non è facile essere una rigida professionista, ci vuole disciplina e molti anni di studio”.
È molto meno chiaro perché il marito dovrebbe ridere a questa battuta. Lo sappiamo tutti che per diventare professionisti (rigidi o meno) ci vogliono anni di studio e disciplina. Questo è complicare anche le battute più semplici e ancora una volta la psicologia della protagonista femminile ne risulta alterata in qualche modo.
Questo delle donne che passano da stronze (bitch) evidentemente è un tema molto caro a Gale Anne Hurd che nel 2016 al festival cinematografico “South by Southwest” ha raccontato le difficoltà nell’essere una produttrice cinematografica donna e durante la sessione di domande e risposte un’aspirante produttrice le ha chiesto suggerimenti su come trovare un compromesso tra il passare da debole e passare da stronza. La risposta della Hurd non è stata per niente ambigua:
Io voglio passare da stronza (bitch). Nessun uomo verrebbe etichettato allo stesso modo, non c’è un termine equivalente per il genere maschile [NdT: non c’è in inglese come non c’è in italiano per “troia”]. Non è tanto un “passare da stronza” quanto piuttosto farsi rispettare, difendersi e potersi esprimere.
Viene facile trovare un nesso tra ciò che disse Hurd alla conferenza del 2016 e il personaggio da lei scritto negli anni ’80 per The Abyss, quello di Lindsay che abbraccia l’idea di passare da stronza anche se chiaramente avrebbe voluto farne a meno. Un nesso che però è difficile da trovare se facciamo riferimento ai dialoghi italiani. Nella versione italiana non c’è spazio per donne indipendenti che passano da scassacazzi solo per potersi far rispettare in un ambiente dominato da uomini, ci sono solo rigide professioniste. Sapevatelo.
Errori invisibili ai più, ma perché?
È certamente curioso che nessuno abbia mai fatto veramente caso ai tanti errori madornali presenti nell’adattamento di questo film, che ho esposto per la prima volta e che sono certamente più gravi di quella manciata di esempi più frequentemente discussi sulla rete (mi riferisco a scoperte dell’acqua calda del calibro di Fener che in realtà si chiama Vader! Nooo, lo sapevate? Io no. E Se mi lasci ti cancello in realtà in inglese è un titolo elevatissimo… mai nella mia vita ne avevo sentito parlare, giuro).
Il motivo di questa svista è in parte da imputare alla scarsa popolarità del film (diciamocelo, è un bel film ma non se lo incula quasi nessuno) ma in gran parte è anche merito di James Cameron e della sua bravura comunicativa. Il film, infatti, aiuta sempre visivamente lo spettatore quindi anche se qualche battuta è stata alterata non vi sarete persi niente che il film non riesca a farvi capire con le immagini. E se lo conoscete già non noterete i momenti in cui i personaggi anticipano eventi della trama ancora non avvenuti.
Questa è una spiegazione plausibile del perché nessuno si è mai veramente lamentato dell’adattamento di The Abyss prima di me, ma di certo non è il modo di lavorare correttamente e si poteva certamente far di meglio, come ci dimostra la scena (in lingua originale) in cui la protagonista chiama il tenente Coffey Roger Ramjet, un personaggio dei cartoni animati che incarna (al ribasso) lo stereotipo dell’eroe americano: patriottico e non troppo sveglio. In italiano è diventato “signor Commodoro”, ignorando l’offesa implicita della battuta originale. Del resto in Italia non abbiamo mai sentito parlare di Roger Ramjet, sebbene un generico “Capitan America” sarebbe stata un’ottima alternativa.
Curioso che la stessa azienda di doppiaggio abbia sfornato in quello stesso anno, 1989, il doppiaggio italiano di Batman di Tim Burton, quello sì un capolavoro di adattamento.
Un adattamento di poeti, santi e navigatori
Con questo articolo sulla versione italiota di Abyss abbiamo dunque coperto sia i poeti (ai dialoghi di questo film, quelli che si inventano cose a caso), sia i navigatori (i sommergibilisti visti nel film) che i santi, quelli offesi dalle mie bestemmie durante la visione del film. Ma voglio concludere con le cose positive.
Ci sono momenti che ritengo superiori in italiano pur nelle loro variazioni e il cast di doppiaggio è superlativo sia nell’abbinamento delle voci ai volti degli attori, sia nelle loro interpretazioni: Luca Biagini su Ed Harris (in quello stesso anno Biagini era anche la voce di Batman), Silvia Pepitoni su Mary Elizabeth Mastrantonio (curiosamente presente anche in Robin Hood il principe dei ladri dove però non doppiava Lady Marian della Mastrantonio bensì la sua damigella), Saverio Moriones (già Ed Harris in altri film ma qui come voce di Michael Biehn, per la prima e ultima volta), Pasquale Anselmo, Loris Loddi, Luca Ward, Franco Zucca (guardatevi un film britannico chiamato “Segreti e bugie” per rendervi conto di quanto è bravo Franco Zucca). Piccoli ruoli anche per Luca Dal Fabbro, Stefano De Sando, Luigi Ferraro, Silvio Anselmo, Angelo Maggi, Stefano Benassi e Stefano Pietrosanto-Valli.
Leggo che gran parte di questi doppiatori sono ritornati ai loro ruoli per la versione estesa del film pubblicata nel 1996 anche se non ho mai avuto modo di vedere questa “director’s cut” doppiata in italiano, però fa sempre piacere quando la distribuzione ci mette abbastanza cura da richiamare i doppiatori originali.
Un’altra cosa positiva è il linguaggio tecnico che, come già detto, è molto accurato anche quando fa uso di parole in inglese ma è proprio nelle frasi più banali che casca l’adattamento italiano di The Abyss impedendomi di capire cose che invece sono chiarissime per chi lo guarda in lingua originale. E questo non è bene.
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45 Commenti
Lucius Etruscus
23 Agosto 2018 alle 12:40Povero film, non immaginavo avesse avuto questo trattamento.
Nell’estate del 1990 (o giù di lì) con mio padre andai al cinema di quartiere con in tasca il nostro solito bustone di pop-corn, pronti ad un filmazzo di mostri marini, salvo scoprire che il cinema era chiuso per ferie. (All’epoca i cinema cittadini chiudevano d’estate.) Ci siamo dovuti mangiare a casa i pop-corn e per il film ho dovuto aspettare che uscisse in home video, amandolo molto e rivedendolo a profusione. (Anche se temo che due e passa ore in sala non le avrei rette.) Era Cameron allo stato puro, c’era Ed Harris, c’era Michael Biehn, c’era la colonna sonora di Alan Silvestri, cos’altro serviva per godere? Ho letto pure il romanzo-novelization di Orscon Scott Card e lo ricordo molto piacevole.
Il DVD è sempre costato uno sproposito e non l’ho mai trovato d’occasione, quindi non l’ho mai preso. Anche perché poi dopo la profonda delusione di “True Lies” e l’uscita di “Titanic” ho considerato morto e sepolto James Cameron e non mi sono più interessato a nulla legato al suo nome.
Credo di avere ancora il trailer trasmesso in TV quel 1990 con il doppiatore italiano che fa una voce strana, e ora mi hai fatto capire perché: pronuncia “Abyss” in un modo tale che… non prende posizione! E’ come se dicesse “àbìss”, con due accenti, perché non sa decidere la pronuncia giusta 😀
Ah, all’uscita di questo film per la prima volta ho sentito Cameron dire che era un progetto a cui lavorava sin dai tempi della scuola, frescaccia che da allora ripete ad ogni suo nuovo film 😀
nonchalance
23 Agosto 2018 alle 15:26Io ho la “Special Edition”. E, volendo, si trova anche quella a “disco singolo” a buon prezzo.
Il fatto è che, ha il formato pan & scan.. O.o Insomma, devi zoomare!
Però, ricordo di avere pure il file bello che pronto. 😉
P.S.: Sulla pronuncia..ora so qualcosa in più! 🙂
Lucius Etruscus
23 Agosto 2018 alle 16:11Ricordo quando agli inizi del Duemila uscirono le varie edizioni DVD, all’epoca a prezzo non certo amico: l’unico lavoro di Cameron per cui all’epoca ero disposto a spender soldi era Aliens, quindi non le presi neanche in considerazione. Col passare degli anni poi non mi sono mai capitate sott’occhio in alcun tipo di offerta, come invece il suo “Piranha 2” a cui sono molto più affezionato. Se negli ultimi dieci anni, in cui ho acquistato su bancarella la qualunque, mi fosse capitato il DVD di Abyss a 3 euro l’avrei preso senza batter ciglio, ma non è capitato. E per Cameron non ho alcuna intenzione di spendere più di quella cifra ^_^
Purtroppo non mi sono mai capitate in DVD neanche le due opere “marine” che uscirono insieme e crearono quell’indimendicabile “estate dei mostri”: né “Creatura degli abissi” né “Leviathan”, gioia di quell’estate 1990, le ho mai trovate in DVD a prezzi irresistibili…
Evit
23 Agosto 2018 alle 17:48Pan&Scan, il nemico naturale dello spettatore!
nonchalance
23 Agosto 2018 alle 16:27Cambia fornitore.. Scherzo! 😉
Io “Leviathan” lo presi proprio ad una bancarella un paio d’anni fa.
Mentre, “L’abìsso” alla Fnac di Milano a non so quanto..
P.S.: C’è anche un altro titolo del periodo > “Alien degli abissi”
P.P.S.: C’è anche “Abissi”.
Lucius Etruscus
23 Agosto 2018 alle 17:35Il mitico Abissi con Nick Nolte credo lo vidi in TV proprio all’epoca: sebbene sia del 1977 lo rispolverarono data l’assonanza del titolo. “Alien degli abissi” non voglio neanche pronunciarlo…
Ricordo lo speciale CIAK – unica mia fonte di informazione dell’epoca – che presentò i tre film insieme non mancando di far notare alcune somiglianze fra “Leviathan” ed “Alien”, e in effetti dovrei presentare quel mitico film nel mio blog alieno… col mitico Richard Crenna contro gli alieni ^_^ Se sapeva gestire Rambo, che problema c’era con gli alieni? 😀
Comunque in VHS “The Abyss” l’ho avuto sin dal primo giorno: all’epoca la videoteca del quartiere campava esclusivamente con le copie pirata, e faceva anche il servizio “locandine fotocopiate a colori”: con un prezzo irrisorio ti consegnava il film in una confezione in pratica identica all’originale, al massimo la fotocopia della locandina aveva un bordino bianco che potevi tagliar via.
Le mie amate tre C (Carpenter, Cameron e Cronenberg) hanno visto la propria filmografia in quella veste pirata…
Ti lascio immaginare la qualità di una VHS del 1991 circa in copia duplicata: diciamo che per anni “The Abyss” l’ho intravisto più che visto, ma all’epoca era quella la qualità – non è che in TV fosse meglio! – e quindi mi bastava.
Evit
23 Agosto 2018 alle 17:40Leviathan è il mio preferito dei cloni di Alien. Com’è che ancora non ha trovato spazio sul Zinefilo??? Tra l’altro girato in Italia quindi vai di orgoglio italico, pizza e mandolini.
Lucius Etruscus
23 Agosto 2018 alle 17:42Infatti è una colpevole mancanza! Ti ringrazio di avermici fatto pensare, che mi sa che ho pure già il titolo: “Il Leviatano che voleva fare Alien” ^_^
Evit
23 Agosto 2018 alle 17:44Bellissimo titolo! Vedi, si scrive quasi da solo!
Prima o poi ti sistemo un clone di Aliens invece, per lo zinefilo.
Lucius Etruscus
23 Agosto 2018 alle 17:48Ti aspetto ^_^
Evit
23 Agosto 2018 alle 17:43Curioso che la mia esperienza con Leviathan sia parallela alla tua con the Abyss, anche io avevo la copia pirata e per molti anni era anche l’unico modo che avevo per vederlo. Quella originale non si trovava nei negozi, in TV non passava… Cosa doveva fare un cristiano per vedersi un film di serie B onestamente!?!
Lucius Etruscus
23 Agosto 2018 alle 17:48In quel periodo cominciarono ad uscire le edizioni economiche – per esempio gli “Scudi” della Warner e la mitica “Silver & Gold” della Fox – ma si parlava di circa 20.000 lire, che era sempre poco rispetto alle scudisciate degli anni precedenti ma non è che potevi farti tanti film, con la paghetta. Le copie pirata in videoteca non ricordo quanto venissero ma di sicuro qualche biglietto da mille lire, altrimenti non ne avrei avute così tante!
Se poi avevi culo e beccavi in TV il film era meglio registrarlo da lì, facendo attenzione a mettere “pausa” per togliere la pubblicità, se no toccava tenersi la copia pirata.
Evit
23 Agosto 2018 alle 17:51Quando conoscevi bene il tuo VCR diventavi un ninja della pausa pubblicitaria, con tagli al fotogramma! Soddisfazioni analogiche
Lucius Etruscus
23 Agosto 2018 alle 17:52Vero! 😛 Sapevi di quanti fotogrammi tornava indietro su nastro e quindi potevi fare tagli minuziosi: il problema è che non sempre si capiva quando il film era ricominciato 😀
Evit
23 Agosto 2018 alle 17:48Come lo dice questo titolo? “Ah! Bis!”?
Il film è piacevole ma bello lungo, quando lo riguardi dopo tanto tempo è una piacevole sorpresa ma dopo una rivisitazione lascio sempre passare 10 anni prima della successiva. Magari nel 2028 intanto si sarà deciso a pubblicarlo in Blu Ray
Lucius Etruscus
23 Agosto 2018 alle 17:51All’epoca film da 2 ore e mezza non erano affatto comuni, anzi: giusto i filmoni d’autore potevano sfoggiare quella durata, se no si viaggiava sui canonici 90/100 minuti. Ricordo che con una VHS da 120 minuti potevi registrare quasi ogni film, e spesso con 180 te ne entravano due…
nonchalance
23 Agosto 2018 alle 22:00In Leviathan, oltre agli Alien(s) e al solito squalo, io ci vidi anche “La cosa”..
Mi mancherebbe da vedere “The Rift – La cosa degli abissi”. Conosci/conoscete?! 🙂
Per quanto riguarda le registrazioni senza pubblicità, si capiva da un certo stacco. Anzi, te l’aspettavi ogni 20/25 minuti! Mi fregava quasi sempre quella “breve” (sui 3 min.) aggiunta nei film più lunghi dopo 1h e 40: ricordo ancora quella di Terminator 2. grrr
Tra l’altro, già da quando dovevo “rientrare” – io avevo un Philips e, dovevo stare con entrambi i pollici su due tasti differenti per registrare – mi saliva una tachicardia assurda che, dopo un po’, riuscivo anche a gestire. Il brutto veniva quando non c’era la réclame del canale e rientrava subito il film..lì ti perdevi i primi 2 secondi di sicuro!
Lucius Etruscus
24 Agosto 2018 alle 06:59Se con “The Rift” intendi il farlocco titolo estero, allora sì: l’ho recensito anni fa e ricordo un palese ampio scopiazzo di Aliens 😛
Ad un certo punto Italia1 (forse tutti i canali Mediaset ma io registravo solo da lì) perse l’abitudine di chiudere il ciclo di spot pubblicizzando i film che avrebbero trasmesso, così sapevi che stava per ripartire il film che stavi registrando, ma i primi tempi non era così e dovevi capire dalla qualità delle immagini de il film era ripartito. Ricordo “Bananas” di Woody Allen, la cui particolarità è avere degli umoristici spot finti nel film: all’epoca (fine anni Ottanta) uno di questi era troppo uguale agli spot italiani per capire che invece il film era già iniziato! 😀
Quando nel ’91 o giù di lì ci abbonammo a Tele+ è arrivato il paradiso: potevi mettere registrazione una volta sola… che sogno!!!
Nel 2003 o giù di lì mi abbonai a SKY approfittando di scontoni, scoprendo che il canale FOX ambiva al guinness dei primati per la più alta densità di spot della storia, e purtroppo aveva solo due spot, che mandava in onda mille volte al giorno, prima dopo e DURANTE la programmazione! Quindi sono tornato indietro e per registrare dovevo stare pronto sul tasto pausa, perché a tradimento FOX poteva mandare spot in qualsiasi momento…
Comunque è durata poco, circa un anno, prima che sfanculassi SKY. Alla centoventesima replica di Harry Potter, l’unico film considerato abbastanza innocuo da essere trasmesso in prima serata, ho capito che il canale non faceva per me…
Evit
24 Agosto 2018 alle 10:07Comunque “Alien degli abissi” ce l’ho in DVD americano con traccia audio italiana che altrimenti non esiste altro che su VHS (che anche posseggo).
nonchalance
24 Agosto 2018 alle 12:03@Lucius: Sì, proprio quello! 🙂
Lo leggerò appena riuscirò ad “averlo”.
Io il cinema di Sky l’ho levato dopo diec’anni. Il brutto è che non posso più vedere quelli registrati – tramite MySky – a suo tempo!
@Evit: Ovviamente scaricato, io.. 😉
Lucius Etruscus
24 Agosto 2018 alle 12:41Quando mi sono iscritto io a SKY per puzza c’era il decoder, MySky non esisteva 😀 Il mio scopo era avere un film da vedere ogni sera, invece dal secondo mese era chiaro che solo Tele+ dava effettivamente questa possibilità: SKY comprava due o tre prime visioni e poi replicava solo Harry Potter come se piovesse. SKY1, SKY2, SKY3, Harry Potter 1, 2 e 3 😀
Visto che io odio anche solo il nome di quel film, ecco che mi ritrovavo a dover raschiare il barile, a registrare alle 4 di notte film sconosciuti sperando fossero almeno decenti, e spesso non lo erano.
L’unica cosa buona era Canal Jimmy, mitico canale che mi ha fatto scoprire una caterva di serie TV vecchie e nuove! Quello l’ho davvero sfruttato.
Evit
24 Agosto 2018 alle 12:44Ricordo Tele+ che nei primi anni ’90 dava roba tipo Tales from the Darkside. Vidi un solo episodio in chiaro che mi sconvolse. Mai goduto di canali a pagamento, già era tanto se i miei si comprarono il videoregistratore.
Lucius Etruscus
24 Agosto 2018 alle 12:55Per fortuna i miei non buttavano soldi in vacanze, cese e macchine, quindi si poteva investire nel cinema. Con il nostro fabbisogno di videocassette ci hanno campato tutti i negozi di tecnologia del quartiere 😀
E ricordo che nel 1986, quando entrò per la prima volta in casa il videoregistratore, le videocassette costavano 12.500 lire! Un’assurdità! Io avevo 12 anni e non contavo nulla, quando ho cominciato ad avere la possibilità di registrarmi film già costavano meno della metà, che se no con la paghetta mi sarebbe stato impossibile creare la mia videoteca.
Evit, sai che all’epoca registrai tutto lo speciale RAI “Due teste senza cervello”, il mitico documentario che doppiava anche sketch inediti di Stanlio e Ollio? Poi però conservai solo degli estratti, che ho ancora…
All’epoca Tele+ faceva doppiare film esclusivi, che non sempre poi finivano in home video.
E poi, al contrario di SKY o di qualsiasi canale odierno, quando lanciava dei cicli faceva davvero TUTTI i film. Ciclo Woody Allen? TUTTI i film di Woody fino a quel momento. Ciclo Ridley Scott? TUTTI i suoi film e via dicendo. Non come ora, che mi fanno un ciclo con due titoli per puzza…
nonchalance
24 Agosto 2018 alle 14:14Eh..ma, quello dipende dagli accordi che hanno con le case cinematografiche! Ad esempio, Premium ha l’esclusiva sui vari Warner e Universal. Quindi, non riesci più a coprire le intere filmografie di un regista..
Io, di recente, ho registrato le due notti che ha dedicato Rai3 a Mario Bava. Il fatto è che, con le TV di ora, la qualità dei master in loro possesso non basta più..
Lucius Etruscus
24 Agosto 2018 alle 15:02Erano appunto bei tempi, dove potevi spararti intere filmografie in un solo mese! Così ho conosciuto autori come Bergman e Von Trier, che altrimenti non avrei mai potuto conoscere visto che in home video italiano sono trattati da mettersi le mani nei capelli…
Cassidy
23 Agosto 2018 alle 15:22Sono un po’ nei casini in questi giorno, ma sappi che sono molto felice che questo pezzo esista, non vedo l’ora di leggermelo 😀 Cheers
Evit
23 Agosto 2018 alle 17:35Che possa essere di ispirazione per futuri articoli della Bara Volante!
nonchalance
23 Agosto 2018 alle 15:33Io credo che, in generale, in Italia siamo soliti “alleggerire” le cose. Insomma, anche i doppiaggi vengono realizzati apposta per avere più empatia con i personaggi del film. Per renderli più “alla mano”, diciamo..come noi italiani! 😉
Per il resto, penso che: certe frasi “tenniche” (proprio così) vengano tradotte pari-pari o per renderle sgradevoli (e, quindi, prive di senso..) oppure, semplicemente, non si son presi la briga di renderle il più veritiere possibili. Stavolta!
Andrea87
23 Agosto 2018 alle 15:35>>> mi riferisco a scoperte dell’acqua calda del calibro di Fener che in realtà si chiama Vader! Nooo, lo sapevate? Io no. E Se mi lasci ti cancello in realtà in inglese è un titolo elevatissimo… mai nella mia vita ne avevo sentito parlare, giuro)
ooooh! finalmente qualcuno lo ha detto 😀 😀 😀
Evit
23 Agosto 2018 alle 17:49Eccheccazzo!
Francesco Alessio Guicciardi
24 Agosto 2018 alle 11:36Ciao a tutti. Ciao Evit. Purtroppo non conosco il film (ma forse è meglio che lo guardi in inglese hahaha), ma ovviamente conosco James Cameron per Titanic e Avatar. A proposito, sai che sono (quasi) amico di sua moglie Suzy Amis, che appunto lo conobbe sul set di Titanic in cui lei interpretava Lizzy Calvert?
Evit
24 Agosto 2018 alle 11:38Decisamente da vedere in inglese la prima volta. Come hai coltivato questa quasi amicizia?
SAM
26 Agosto 2018 alle 22:40Questa cosa di cassare o adattare male le frasi fuori campo ( cioè senza labiale ) è tipica degli adattatori fancazzisti e ignoranti.
Dovresti sentirti i doppiaggi di tanti vecchi anime giapponesi ci sono perle italiote da antologia ( penso a Ken il Guerriero, che molte urla lasciate in jap nel doppiaggio ita, in realtà sono frasi con un senso parlato ! )
Mi viene però in mente un analogia sul “May Day ” : In Trider G7, in una scena, due astronauti chiedono aiuto via radio dicendo al suo posto “primo maggio , primo maggio ,”. 😀
Però è vero che negli anime adattatore e traduttore non sono quasi mai la stessa persona ( spesso il traduttore è un giapponese non proprio ferratissimo in italiano , che affida il testo a un adattatore che di giapponese e inglese sa meno di zero ), e questo rende la creeazione di perle italiote molto più alte che in un film in inglese .
Francesco Alessio Guicciardi
27 Agosto 2018 alle 09:14Dopo averla vista in ‘Plain Clothes- un poliziotto in incognito’ di Martha Coolidge con Alexandra Powers (che non riesco a trovare in italiano, eppure so che esiste!), l’ho trovata su Facebook e le ho chiesto l’amicizia. In più mi sono iscritto alla sua pagina Facebook, ho commentato quasi tutti i suoi post da quel momento e lei molto spesso ha messo Mi Piace. Una volta mi ha addirittura scritto un messaggio privato, quando le ho chiesto l’orario di inizio di una sua diretta imminente. Quindi ormai mi conosce bene.
Pingback:
30 Agosto 2018 alle 07:31Parsec
19 Giugno 2020 alle 14:49Ho cercato per tutto l’articolo ma non sono riuscito a trovare una delle peggio schifezze fatte a questo film (che venero, letteralmente) dal doppiaggio italiano 🙂
Almeno due volte, nel film, compare:
– “Touchdown! …and the crowd goes wild”
La traduzione poteva essere
“Touchdown!” (“Meta” in questo caso sarebbe stato proprio terribile) e la folla impazzisce”
Ma viene tradotto oltre ogni ragionevolezza o razionalità in
– “Toccato! …e l’equipaggio impazza”.
Possibile che il labiale abbia giocato il suo ruolo. In fondo “Crowd-goes-wild”… è un bel “A-O-A”… che mal si sposa con la corretta traduzione…
Evit
19 Giugno 2020 alle 15:06Penso che vista la nostra scarsa conoscenza di football americano, abbiano puntato sull’allunaggio come riferimento e quindi adattandola in modo diverso, da qui il “toccato” (celebre la frase italiana “ha toccato!” della diretta del 1969).
pavolist
25 Giugno 2020 alle 18:31Colpevole! Io prima non conoscevo questo film (e grazie, quindi, Evit, per avermelo fatto scoprire…). Devo dire che è spettacolare, ben fatto… Cameron doveva amare veramente tanto il mare e le immersioni (basti citare Titanic…). In merito all’adattamento… non ci son parole… di fronte ai rimaneggiamenti a sfondo maschilista, poi, mi viene un solo pensiero. “Perché?! Santa Pupazza, perché?!?!” Popolo di santi, poeti e navigatori, il nostro certo. E pure di misogini. Ma è pur vero, comunque, che da noi questo film è stato poco apprezzato: i critici nostrani osannavano maggiormente “Leviathan”, uscito nello stesso anno, sostenendo che la storia era molto simile, ma trattata meglio.
Evit
26 Giugno 2020 alle 09:06Grazie per il commento, mi fa piacere far conoscere questo film in giro. Come tanti di Cameron, inizia alla grande e si perde un po’ nell’ultimo atto, ma rimane un gran bel film. L’adattamento mi lascia ancora oggi perplesso, molti cambiamenti non sono giustificati dal labiale e lo stravolgimento delle frasi non so se sia per incomprensione del testo originale o per voglia di “adattarlo” al pubblico italiano abituato ad altre dinamiche di coppia (e questo pensiero fa ancora più rabbrividire), spero sia per incomprensione.
Anche Leviathan è un grande film, ma come clone di Alien (1979), tutt’altri motivi eheh
mortovivente
24 Gennaio 2021 alle 23:52Sulla curiosa circostanza che nessun film di Cameron ha avuto la possibilità di finire nella rubrica “Titoli italioti”: il titolo del suo primo film (da regista) in effetti non ha avuto una vera e propria traduzione in italiano, ma qui da noi è stato distribuito con una parola in italiano, scelta probabilmente a caso, inserita nel titolo: da “Piranha II: The Spawning” a “Piraña Paura”.
Evit
25 Gennaio 2021 alle 10:11Effettivamente, ti immagini Lo squalo 2 intitolato Squalo Paura? ? Non dovrebbe poi avere in trattino, tipo Piraña-paura per avere un qualche senso?
mortovivente
25 Gennaio 2021 alle 11:50E’ un titolo che si è impresso nella mia pur labile memoria proprio per la sua sintassi un po’ sconcertante, a me fa venire in mente Fabio de Luigi nella sua famosa imitazione di Carlo Lucaralli: “Piraña? Paura eh!”. Almeno non gli hanno riservato il trattamento che ha ricevuto “Young Sherlock Holmes” e non l’hanno intitolato “Piraña di Paura”.
Evit
25 Gennaio 2021 alle 14:25A dirla tutta il titolo italiano riprende semplicemente uno dei titoli alternativi già proposti nel mondo anglosassone (e non solo), questo lascia pensare che sia stata una decisione della Paramount stessa, anche se non capisco perché escludere interamente “Sherlock Holmes” dal titolo di alcuni mercati, manco fosse un personaggio sconosciuto. Forse pensavano che la sua presenza nel titolo avrebbe scoraggiato lo spettatore qualsiasi e speravano di attirare gli appassionati di horror
mortovivente
26 Gennaio 2021 alle 09:59Interessante, pensavo che l’essere distribuiti nei diversi paesi con una mezza dozzina di titoli diversi fosse un privilegio riservato soprattutto ai b-movie italiani. Nel caso specifico, pur da appassionato di horror, avrei trovato più intrigante come titolo “Il Giovane Sherlock Holmes” del generico e un po’ anodino “Piramide di Paura”, anche perché lo stesso Conan Doyle ha scritto poco e niente sulla giovinezza del suo personaggio più famoso
Evit
26 Gennaio 2021 alle 13:02È sempre sintomo di un prodotto difficile da vendere quando propongono così tanti titoli diversi. “Il giovane Sherlock Holmes” senza aver mai visto il film secondo me lo avrebbe fatto percepire in Italia come un film per bambini, probabilmente alla Paramount puntavano a un pubblico più ampio e così hanno ripiegato su “Piramide di paura”, gli horror andavano forte.