• Critica alla critica – 3° episodio – Thelma e Louise

    Siamo al terzo episodio della mia rubrica Critica alla Critica. Il film trattato è Thelma & Louise, definita da un critico come…

    Il ritmo vivacissimo, la musica di Hans Zimmer, il montaggio firmato dalla stessa autrice del copione, la fotografia di Adrian Biddle, l’enfasi generale, questa volta appropriata a una favola di grande respiro e divertimento.
    (Giovanni Grazzini, Il Messaggero)

    (una favola di grande respiro e divertimento? Ma che film hanno visto, Mary Poppins? Non che il film fosse di oppressione e tedio ma potrebbe mai essere descritto come “una favola di grande respiro e divertimento“? Mi sa che è sfuggito completamente il punto del film; nemmeno viene citato il nome del regista o delle attrici. Forse hanno visto la versione per famiglie dove Thelma e Louise si salvano.)

  • Fastidi quotidiani

    Vuvuzela con vignetta che legge generatore di pettegolezzi con riferimento alla traduzione di rumors come rumori
    Ad imitazione di usanze comunicative moderne (Facebook) condivido con voi lettori un fastidio momentaneo e in ultima analisi di poca importanza.
    Poco fa ho udito un giornalista televisivo parlare di RUMORI, come traduzione di “RUMORS” ovvero “dicerie“, “pettegolezzi” o “voci di corridoio“. Insomma una caduta clamorosa sul più noto dei “falsi amici” (false friends). Ma questa gente non rischia un licenziamento? È pur vero che la parola “rumore” ha anche il significato di “pettegolezzo” (fonte Zingarelli) ma è da intendersi come “fatto clamoroso che desta scalpore“, qualcosa insomma che “fa rumore”, non certo come sinonimo diretto di pettegolezzo/diceria da usare in QUALSIASI caso. In italiano si può dire “Wikileaks ha fatto molto rumore per nulla“, ma non che “secondo alcuni rumori del calciomercato il Roma si comprerà Alvarez“. È evidente che l’origine bastarda di questo “rumori” è “rumors“, non certo una ricercatezza letteraria del giornalista sportivo di turno.

  • Non violentate il titolo (e neanche Jennifer)

     

    In tempi di scarsezza di idee per il cinema e dopo aver abusato dei classici con inutili remake (mai all’altezza), adesso è cominciato il filone dei remake di film brutti degli anni ’70, quelli che all’epoca mal riuscirono e che anche successivamente ebbero un esiguo seguito di appassionati (si intende che “esiguo” è sempre un termine molto relativo nel mondo della distribuzione “home video”).
    Ebbene sì, sto per parlare di “Non violentate Jennifer“. Me lo ha rammentato Tommy, uno dei miei lettori stra-affezionati. Lo avevo in mente qualche tempo fa ma per vari motivi non mi ero mai sentito di parlarne… vabbè va’, vi dico la mia, cari affezionatissimi lettori italioti…

    Il film Non Violentate Jennifer nasce originariamente (1978) con il titolo anche piuttosto appropriato di “Day of the Woman” (letteralmente “il giorno della donna”, in inglese però dà anche l’idea che ci sia in ballo una qualche rivincita/vendetta). Dopo il povero successo al botteghino qualche furbacchione ne cambiò il titolo in “I spit on your grave” (letteralmente sputo sulla vostra tomba) cercando evidentemente di cambiare l’approccio pubblicitario, il titolo echeggia (anzi scopiazza) quello di un film francese del 1959 “J’irai Cracher sur vos Tombes”, conosciuto in Italia come “Il colore della pelle“.

    In Italia il film “I Spit On Your Grave” esce come “Non violentate Jennifer“. Considerata la trama, lo trovo un titolo piuttosto appropriato e che si mescola anche bene con vari titoli simili esistenti all’epoca (quelli del genere “non fate questo e non fate quello” (Non si sevizia un paperino, Non si deve profanare il sonno dei morti, Non aprite quella porta, etc…). Certo sarebbe stato sciocco chiamarlo “Sputo sulle vostre tombe”, ma chi può dirlo!

    Di recente ne hanno fatto un remake. Non me ne sono interessato più di tanto e dubito che lo vedrò mai. Guardai quello originale del 1978 e devo dire che Hostel a confronto è come una puntata di Un posto al sole (eccetto per l’occhio fuoriuscito dopo ustione da fiamma ossidrica). Personalmente non apprezzo i film sulla violenza che sono fini a sé stessi. Per farmi capire meglio: L’ultima casa a sinistra è un film, secondo me, fine a sé stesso che non ha messaggi da comunicare allo spettatore se non il bigottismo del “potrebbe succedere anche a voi, se andate in cerca di canne”, e il generico (e amato dalla destra) “il mondo è cattivo”. Arancia meccanica è un film che invece (e a buon ragione) permette da decenni di scrivere innumerevoli tesi universitarie.

    Se già non apprezzo i film sulla violenza fine a sé stessa, quando poi si tratta di violenza contro le donne mi fanno anche rivoltare lo stomaco. Crescendo all’insegna del femminismo ammetto di non sopportare film come I Spit On Your Grave, che fanno sempre leva sul macabro gusto di vedere donne torturate. Per questo motivo non credo che mi vedrò il remake, né mi sono sentito di mettere qualche vignetta divertente a riguardo (scusate per l’insolita mancanza di vignette comiche in questo articolo). Semplicemente in questo genere di film non ci trovo né intrattenimento, né tematiche interessanti o ben sviluppate, né un benché minimo messaggio culturale di cui far tesoro.

    Qualcuno si chiederà perché allora adoro Arancia meccanica? In Arancia meccanica si mettono a confronto due tipi di violenza, quella di un cittadino contro altri cittadini e quella dello Stato contro i cittadini. La violenza praticata del giovane Alexander De Large e dai sui drughi, seppur odiosa e rivoltante, è niente rispetto alla violenza istituzionale di un governo simil-fascista che impiega teppisti nella polizia, che lava il cervello ai violenti trasformandoli in esseri completamente impotenti, e che necessita di carceri per prigionieri politici. Insomma, le scene di violenza in Arancia meccanica non sono fine a sé stesse, tutto il contrario… ma ancora una volta sto divagando e alla grande.

    Non avendo visto il remake non posso aggiungere molto altro (e al massimo vi rimando all’articolo su “Vita di un IO”), ma una cosa su cui mi sento sicuro di scommettere è che il nuovo remake non supererà, in disgusto psicologico, l’originale. Oggigiorno i nuovi cineasti fanno tanto i disinibiti e si sentono di poter far veder qualsiasi cosa sullo schermo, ma alla fine si rivelano essere più pudici dei registi degli anni ’70 (che nel loro piccolo erano davvero dei pionieri). Potrei tranquillamente sbagliarmi ovviamente, ma non credo che lo saprò mai. Già il film originale mi tirò un pugno nello stomaco e non sono così masochista da ricercare tale sensazione. A qualcuno potrebbe anche piacere, de gustibus.

    Spero che per la distribuzione italiana lascino il titolo “Non violentate Jennifer“, altrimenti come capiremo che si tratta di un rifacimento?