• [Italian credits] Il sospetto (1941)

    Titolazione italiana di Il Sospetto, di Alfred Hitchcock. Fotogramma del titolo

    Pago con estremo ritardo una parte del debito di riconoscenza che ho con Matt, lettore del blog che mi ha inviato all’inizio dell’anno degli splendidi cartelli italiani da vari film: per non limitarmi alla semplice esposizione delle immagini e per spendere qualche parola sui film inviati da Matt, mi sembra il caso di partire con Il sospetto (Suspicion, 1941) di Alfred Hitchcock.


    Origini, produzione e distribuzione di Il Sospetto

    Wanger, Hitch e Grant

    Il 1941 è l’anno dei destini.

    Nel 1935 la RKO ha acquistato i diritti di un romanzo noir che il celebre giallista Anthony Berkeley Cox ha scritto firmandosi con lo pseudonimo Francis Iles: Before the Fact (1932). Da anni ogni tentativo di realizzare qualcosa con quel libro è andato a vuoto e ormai il progetto è destinato a giacere impolverato in una scrivania della casa produttrice. Nel 1941 lo raccoglie il produttore Walter Wanger, il quale è sicuro che solo un regista come Alfred Hitchcock possa portarlo sul grande schermo.

    Copertina della biografia di Cary Grant chiamata Before the factIl regista britannico ha appena finito il suo terzo film in America – Rebecca, la prima moglie (1940) – ed è distrutto, fisicamente per l’impegno gravoso ma soprattutto psicologicamente: ha passato la maggior parte del suo tempo a fare a botte col produttore David O. Selznick, che gli ha imposto così tante scelte di sceneggiatura indigeste che alla fine Hitchcock, anche dopo la secchiata di Premi Oscar (compreso quello come miglior regista), disconoscerà sempre Rebecca, considerandolo un film di Selznick. È ormai assuefatto alla benzedrina e ha disperatamente bisogno di soldi: Walter Wanger gliene offre parecchi per lavorare al suo progetto RKO ed “Hitch” accetta al volo.

    Dopo il destino del romanzo e il destino del regista, è la volta del destino di Cary Grant, che sta per dare l’addio al cinema: è amato dal pubblico e ha guadagnato bei soldi, ma il disprezzo dell’Academy lo ferisce nel profondo ed è convinto che i ruoli di spessore siano affidati sempre ad altri. Basta, ha deciso di farla finita… ma quando arriva la notizia che c’è possibilità di lavorare con quel regista britannico cicciottello di cui tutti parlano, Cary ci ripensa ed entra nel progetto chiamato Suspicion, le cui riprese iniziano il 10 febbraio 1941, per finire… chissà…

    Il Destino generale ha fatto sì che tutti i singoli destini di queste persone si incontrassero per fare il film, ma ha anche provveduto a renderlo loro il più doloroso possibile.


    Con lei/lui fino all’inferno

    Estenuato dalla lavorazione di Rebecca, la cui trama era stata massacrata in ogni modo, Hitchcock è pronto a non mollare la presa con Suspicion perché sa che il suo “trucco” non funzionerà. Perché il regista ha giocato “sporco” e non sa quanto reggerà questo bluff

    Copertina originale del libro Before the fact, di Francis Iles, 1965Il problema è che lo splendido romanzo originale è un noir britannico di quel genere particolare che io amo chiamare “Con lei fino all’inferno”, dal titolo italiano di un duro romanzo del 1965 di Elliot Chaze. Un genere in cui un protagonista maschio – non me ne vogliano le lettrici, ma il noir è storicamente maschio, almeno fino alla metà del Novecento – si invaghisce di una donna fatale, bella e pericolosa, la quale lo spinge in un gorgo criminale senza uscita, in una speranza d’amore sempre infranta. Il maschio è disposto a tutto e si danna l’anima, finendo o in carcere o al camposanto.

    Berkeley Cox/Francis Iles prende questo tema classico e, con un guizzo di creatività da lodare, lo ribalta: stavolta è una donna a ritrovarsi spinta dall’amore disperato nei confronti dell’uomo sbagliato: un mascalzone amorale, un gaudente squattrinato e truffatore che la porta con sé all’inferno. La protagonista non è cattiva, ma essendo innamorata di un uomo malvagio che cerca fino all’ultimo di “salvare” finisce per subirne in pieno il destino fatale.
    Copertina del romanzo Il Sospetto, di Francis Iles, numero 355 della collana i classici del giallo Mondadori, 1980Tutto questo è assolutamente infilmabile: per i dirigenti della RKO non una sola singola parola del romanzo di Iles può essere portata su schermo. Perché allora quei geni hanno comprato i diritti del romanzo? Perché acquistare una storia che la morale impedisce categoricamente di portare su grande schermo? Perché questo è il cinema: prende i buoni romanzi e le buone storie solo per il semplice gusto di distruggerli e annientarli.

    Non so per quale motivo il romanzo in questione sia rimasto inedito in Italia per decenni, ma l’unica sua edizione risale al 1980, quando viene presentato in edicola come numero 355 della collana “I Classici del Giallo Mondadori”, che teoricamente è una serie dedicata alle ristampe ma che spesso e volentieri ha presentato inediti. Ovviamente la copertina di Oliviero Berni ritrae alcuni celebri fotogrammi del film di Hitchcock che diano una vaga parvenza di thriller ad una storia che ne è totalmente priva: il film è una commediola romantica, il romanzo è un noir.


    Il bluff di Hitch

    Cary Grant e Joan Fontaine nel film Il sospetto di Alfred HitchcockHitchcock ci è già passato con Rebecca, sa benissimo che i produttori non accetteranno mai di prendere un’affermata star comica come il Cary Grant dell’epoca e renderlo un infame, uno spregevole individuo che forse sta pianificando l’omicidio della moglie, schiava d’amore per lui, al fine di ereditare ingenti capitali da sperperare in scommesse ed amanti. Quindi cosa fa Hitch? Il biografo Donald Spoto ha presentato le note che il regista ha consegnato ai produttori, in cui si diceva che il film racconta di una donna che vive in un suo mondo di fantasia: ecco il “trucco”.

    Facendo credere alla RKO che il film avrà tutt’altro stile rispetto al romanzo – cioè sarà una commedia sentimentale dove la protagonista si convince che il marito voglia ucciderla, ma è tutta una sua personale fantasia – spera che lo lascino stare così che lui possa girare il film come vuole. Invece non funziona, e gli avvoltoi planano: durante lunghi e interminabili mesi di riprese, la trama cambia e cambia… e cambia ancora. E per ogni fotogramma girato se ne cancellano due, che non vanno più bene.


    Una lavorazione disastrosa

    Cary Grant nel film Il sospetto, famosa scena del bicchiere di latteLa protagonista Joan Fontaine si ammala per lo stress e bisogna interrompere le riprese, intanto si sfora il budget e ancora non si conosce il destino del personaggio di Cary Grant: è colpevole o no? Si girano scene alternative, si monta e si rimonta, prima Grant è un assassino, poi no, poi sì, poi no. Poi, alla fine… succede l’impensabile. Sull’orlo della cancellazione del progetto, la RKO fa un tentativo disperato: prende il girato e… cancella tutti i fotogrammi dov’è presente Cary Grant! Ad un allibito Hitchcok presentano un incomprensibile film di 55 minuti con una donna che immagina non si sa più cosa.

    Con la morte nel cuore, Hitchcock si arrende e promette allo studio che trasformerà un durissimo e tesissimo noir in una commediola da cinema parrocchiale: gira così la raffazzonata scena della corsa in auto, dove Grant sembra che voglia uccidere la moglie ma in realtà vuole salvarla, in un patchwork di trame alternative sovrapposte che lasciano il film dolorante se non addirittura morente.

    Nella sua biografia, No Bed of Roses (1978), Joan Fontaine racconta che sono stati girati due finali, uno con Grant assassino e uno no: gli spettatori delle proiezioni di prova optarono per la seconda opzione.


    Conseguenze

    Locandina italiana di Il sospetto, di Alfred Hitchcock riproposta come poster del DVD Sony-RKOAlla sua uscita in sala, il 14 novembre 1941, Suspicion è un successo, guadagna tantissimo – si parla di circa 4 milioni di dollari dell’epoca contro un costo di un solo milione – la Fontaine vince un altro Oscar e per tutti è un lancio di carriera. Ma fisicamente e moralmente è un massacro. E la Academy ha di nuovo ignorato Grant.

    Le riprese sono appena finite quando, il 18 agosto 1941 (ci racconta il biografo Marc Eliot), Cary Grant rifiuta il ruolo protagonista ne Il signore resta a pranzo (1942), fa al volo le valigie e senza dire niente a nessuno parte per Città del Messico. Quando glielo domanderanno, dirà che aveva un disperato bisogno di riposo.

    La Fontaine si imbarca da sola sulla S.S. Mariposa diretta ad una crociera fra Hawaii, Samoa e Tahiti.


    La versione di Joan

    Nel maggio del 1941 Fontaine scrive ad un amico: «Ho appena finito il mio primo film dopo Rebecca. Abbiamo lavorato per sei mesi al costo di un milione e 250 mila dollari e ancora non abbiamo finito. Dovrà essere buono!»

    Copertina dell'autobiografia di Joan Fontaine intitolata No Bed of RosesJoan ha solo parole di elogio per il suo co-protagonista, ma in realtà non mancano le stoccatine. Quando sul set un fotografo di scena scattò loro una foto che Joan reputò fatta male, Grant subito la zittì, dicendole che faceva quel lavoro da 18 anni e non aveva bisogno di consigli da lei. Al che la donna gli ricordò che lei era nel cinema da 35 anni: non ebbe risposta.

    Secondo la Fontaine l’errore di Grant è stato di non rendersi conto che la vera protagonista del film era la donna, non l’uomo: lui era il cattivo della storia, ma Grant se ne rese conto solo a metà delle riprese. Questo, unito al vizio di Hitchcok di mettere zizzania fra gli attori, sempre secondo la Fontaine, creò una distanza fra i due, che in realtà già di loro non sembrano molto uniti.


    L’arrivo in Italia

    Sulle future videocassette italiane c’è scritto che il film ha ricevuto il visto censura del nostro Paese il 30 novembre 1945, ma il documento del Ministero dello Spettacolo dell’epoca è datato 12 maggio 1946, in una copia richiesta nel 1974 presentata da ItaliaTaglia.it.
    Visto censura del Ministero dello Spettacolo per il film Il sospetto, datato 1945Ecco la deliziosa sinossi così come è stata presentata all’epoca della commissione presieduta dal ministro Vincenzo Calvino:

    «Gianni Esgart, sventato fannullone di bell’aspetto e di modi cortesi si è conquistato la simpatia di Lina Mecludi ragazza ingenua vissuta ed educata in un piccolo villaggio. Il temperamento di Gianni vince le reticenze di Lina e i due fuggono per sposarsi all’insaputa del padre della ragazza. Poco dopo la giovane sposa viene a conoscenza degli imbrogli finanziari nei quali si trova il marito e teme che egli possa commettere qualche atto insano. Per la devozione che sente per il marito e per il suo amore decide di offrirgli un eroico perdono.
    L’aspetto d’esteriore calma nei personaggi maschera un cupo risentimento, ma, attraverso episodi di grande drammaticità, Lina riesce a convincere Gianni a cominciare una nuova vita convinti l’uno e l’altro del loro amore.»

    Ritaglio di giornale dell'uscita del film Il sospetto, al cinema LuxIl 29 aprile 1961 viene presentato nelle sale italiane con il titolo Suspicion e come «nuova edizione», quindi c’è da immaginare una precedente uscita in sala, come testimoniato dalle molte locandine cinematografiche dell’epoca vendute su eBay: se però l’ha fatto è stato talmente “sotto tono” che non sembra aver lasciato tracce.
    Da notare che sebbene oggi molti siano convinti che gli italiani nell’èra pre-internet fossero totalmente ignoranti di inglese – tanto perché il razzismo culturale è sport nazionale italiano – il film nel 1961 è stato presentato con il titolo originale, visto che gli italiani l’inglese l’hanno sempre conosciuto bene.

    Con il titolo Il sospetto viene presentato in prima serata dal primo canale nazionale (quello che sarebbe diventato Rai1) l’8 febbraio 1966.

    Conosce una vivacissima vita in VHS, ristampato più e più volte (soprattutto da minuscole case, senza data e spesso senza firma): una delle ultime ristampe è all’interno della collana “I grandi capolavori del brivido” (1994) di DeAgostini.
    Presentato in DVD da Sony e RKO nel novembre 2005 e poi nell’ottobre 2012 da Cecchi Gori e Profondo Rosso, la Dynit Rko lo ristampa dal 21 gennaio 2015.


    Pseudobiblia

    Sia nel romanzo originale che nel film il personaggio di Cary Grant è un forte lettore, e ad un certo punto ci viene anche presentata una romanziera di successo che darà alla trama la spinta necessaria: la donna infatti ha “scoperto” un ingrediente da cucina che, se usato in certe dosi precise, è un veleno mortale impossibile da identificare nell’autopsia. Ovviamente l’ingrediente non viene mai citato e l’idea serve solo per aggiungere un ulteriore “sospetto” alla protagonista che il suo amatissimo Johnny ora abbia lo strumento perfetto per farla fuori.

    Scena dal film Il Sospetto dove vediamo il retro di un libro giallo intitolato La morte ha il cuore caldo, dell'autrice Isobel Sedbusk

    La pseudo-romanziera Sedbusk

    Sia nel romanzo che nel film viene citato uno pseudobiblion dell’autrice (perché, malgrado ciò che potete leggere in Rete, il singolare di pseudobiblia NON è assolutamente pseudobiblium…)

    La terribile signorina Sedbusk parlava di omicidi. E, come il solito, ne parlava con enfasi, battendo perfino il pugno sul tavolo. […]
    — Certo, nella società attuale, per ammazzare qualcuno ci vuole un coraggio che pochi hanno — proseguì impavida la signorina Sedbusk rivolta al maggiore Scargill. — Non so se avete letto il mio libro La morte ha il cuore caldo.
    Il maggiore Scargill assunte un’aria colpevole. — Nnno, non credo.
    L’autrice non ebbe difficoltà a perdonarlo. — Non importa, l’ho citato perché è lì che ho esposto la mia teoria.

    Scena dal film Il Sospetto dove vediamo la copertina di un giallo intitolato La morte ha il cuore caldo, dell'autrice Isobel Sedbusk

    L’edizione filmica dello pseudobiblion

    Come si vede, nel romanzo – tradotto dalla storica Luciana Crepax – la romanziera Sedbusk cita il proprio giallo La morte ha il cuore caldo, contenente pericolose idee che la protagonista teme saranno utilizzate dal suo amato Johnny, mentre nel film l’autrice (interpretata da Auriol Lee) ha scritto un libro dal titolo diverso, non citato a voce e quindi non tradotto in italiano: Murder on the Footbridge (“Omicidio sulla passerella”), ovviamente una trovata da far combaciare con la scena in cui si ha l’impressione che Johnny stia per uccidere la moglie proprio su una passerella.


    I titoli italiani di Il sospetto

    Titoli di testa

    Fotogramma dei titoli di testa in italiano del film Il sospetto, leggono Gary Grant e Joan Fontaine in

    Fotogramma dei titoli di testa in italiano del film Il sospetto con il titolo del film

    Fotogramma dei titoli di testa in italiano del film Il sospetto, leggono con Sir CEDRIC HARDWICKE, NIGEL BRUCE, Dame MAY WHITTY

    Fotogramma dei titoli di testa in italiano del film Il sospetto, leggono Adattamento di S. Raphaelson, Y. Harrison, A. Reville, dal romanzo BEFORE THE FACT di FRANCIS ILES

    Fotogramma dei titoli di testa in italiano del film Il sospetto, leggono Musica di FRANZ VAXMANN

    Fotogramma dei titoli di testa in italiano del film Il sospetto, leggono regia di ALFRED HITCHCOCK


    Scritte interne

    Il film vanta un numero considerevole di lettere, telegrammi, missive, appunti, biglietti, ricevute e quant’altro, tanto da sembrare più un film da leggere che da vedere. Matt mi ha inviato una selezione di splendidi cartelli italiani, ricreati dalla distribuzione nostrana dell’epoca, che mi piace confrontare con l’originale.


    Titoli di coda

    L.

    P.S.
    Se simili resoconti vi interessano continuate a seguirci ogni due venerdì qui su Doppiaggi Italioti e vi invito a venire a trovarmi anche sul mio blog Il Zinefilo: viaggi nel cinema di serie Z.

    – Ultimi post simili:

  • Doppiaggi perduti – Fritz il gatto (1971)

    Locandina italiana di Fritz il gatto

    Fritz il gatto, anche noto come Fritz il pornogatto, è per molti appassionati l’emblema dei danni che può fare un direttore di doppiaggio a cui viene lasciata massima libertà creativa di sconvolgere l’opera che dirige. So che qualcuno di voi sta già annuendo ed è inutile dirvi che tali stravolgimenti in realtà sarebbero spesso da imputare alla distribuzione italiana e non necessariamente a chi adatta e dirige il doppiaggio ma poco importa, il risultato finale è ciò che conta e Fritz il gatto è considerato, a ragione, uno dei peggiori adattamenti italiani mai realizzati, con un pesante uso di dialetti nostrani in sostituzione dello slang americano e battute alterate che stravolgono lo scopo stesso dell’opera, dal nominare Mike Bongiorno (già sentito in Flash Gordon) al lamentarsi dell’IVA.

    Ma se vi dicessi che la “versione dialettale” tanto aborrita di cui tutti si lamentano non è altro che un ridoppiaggio?

    Un ridoppiaggio “d’epoca”

    Locandina pubblicitaria italiana di Fritz il gatto (1972), distribuzione Medusa

    Quello di Fritz il gatto sembrerebbe essere un caso più unico che raro nella storia del doppiaggio italiano. Chi lo vide alla sua uscita, nel 1972, testimonia un doppiaggio ben diverso, fedele alle intenzioni del regista Ralph Bakshi, senza dialetti e con il titolare protagonista doppiato da Giancarlo Giannini, come lo stesso Giannini confermò nel 2009 in un’intervista a La7 nel programma Niente di personale (al momento non più reperibile). Questo doppiaggio “normale” non fu mai più udito dal 1972.

    Infatti, già nel 1973, quando la versione che definiremo “normale” ancora girava per le sale italiane, alla stampa arrivavano le prime segnalazioni di un nuovo doppiaggio demenziale che abbandonava la denuncia e qualsiasi parvenza di impegno sociale in cambio di un uso spropositato dei dialetti italiani e battute italiote mirate evidentemente ad un pubblico meno intellettuale.

    Riporto qui un trafiletto de’ “L’Unità” del 1 febbraio 1973 dove il giornalista che si firma “g. f. p.” fa un preciso resoconto di ciò che stava accadendo alla distribuzione di Fritz il gatto sulla base di un’indagine del critico cinematografico Vittorio Albano de’ “L’Ora” di Palermo:

     

    Per « Fritz il gatto » versione manipolata

    Dalla nostra redazione
    PALERMO, 31

    Della edizione italiana di Fritz il gatto, il lungometraggio a disegni animati dello americano Ralph Bakshi, circolano sul mercato due diverse e praticamente opposte versioni: l’una (adoperata per le prime visioni) che ricalca correttamente la colonna sonora originale, rispettando l’ironia del velleitario inventore del cosiddetto « pornogatto »; e l’altra invece (rifilata al circuito secondario) che stravolge completamente il senso del film e appiattisce ogni cosa a livello dei peggiori sottoprodotti cinematografici, offendendo ogni criterio di buon gusto.

    L’esistenza di due differenti doppiaggi – evidentemente realizzati dalla casa distributrice per giocare la carta « culturale » senza precludersi la possibilità più grossolana di imporre a settori di pubblico relegati in una sorta di lager del sottosviluppo mentale – è stata accertata dal critico cinematografico dell’Ora di Palermo, Vittorio Albano, sulla base della segnalazione di un lettore. Albano ha quindi effettuato un sommario raffronto tra le due colonne sonore, traendone una impressionante ed emblematica misura della opera di travisamento, di mistificazione e mercificazione clandestina del distributore su Fritz il gatto.

    Nella edizione originale (e nel doppiaggio numero uno) il personaggio di Bakshi è una sorta di «contestatore » che nei bassifondi di New York viaggia attraverso droga e conflitti razziali, antisemitismo e violenza poliziesca, ipocrisie e mistificazioni in un universo assurdo e decadente che, secondo l’autore, costringe inevitabilmente alla evasione, all’erotismo appunto come fuga.

    Nel doppiaggio numero due tutto questo sparisce (quindi via, ad esempio, tutte le battute più pungenti di Nixon, sul problema negro, sulle altre scottanti realtà USA), tutto tranne il sesso naturalmente, che viene condito di qualunquismo, di razzismo, di incredibili volgarità « comiche ». Così, i membri del Black Power sono trasformati in immigrati meridionali che si lamentano per l’IVA («che non è la Zanicchi, come la Vanoni non è l’Ornella »!), i poliziotti parlano in siciliano o in napoletano, la gatta-ragazza di Fritz è una piemontese nostalgica di Torino, la prostituta negra parla in emiliano, una cavalla in calore parla come Sofia Loren stile « pizzaiola », (e quando lo amante la sevizia, lei sbotta in un: « Carletto, abbiamo rotto i… ponti »), eccetera.

    Insomma, a prescindere dal valore dell’originario Fritz come di qualsiasi altro film, c’è proprio da chiedersi con Vittorio Albano « in che modo gli autori di cinema vengano tutelati in Italia, se un intellettuale qual è Ralph Bakshi, velleitario finché si vuole, ma con pieno diritto di esprimere le proprie opinioni, può passare tranquillamente per un autentico imbecille »

    g. f. p.

    Le ragioni (presunte) del doppiaggio dialettale

    Quando negli uffici del distributore Medusa si sono trovati Fritz il gatto tra le mani qualcuno avrà sudato freddo; essere il primo cartone per adulti garantiva di non poter attingere al salvadanaio e alle paghette dei marmocchi, quindi a chi venderlo… e come? Gli spettatori italiani maggiorenni di quel periodo storico erano divisi in due gruppi agli antipodi: gli intellettualoidi e i gonzi. Il guaio è che generalmente un gruppo ignorava i film destinati all’altro e ciò voleva dire previsioni di guadagni ulteriormente dimezzati.

    Definizione Treccani della parola gonzo. Sciocco, sempliciotto, credulone.

    Chissà chi avrà avuto l’idea geniale (se spuntasse fuori il nome vorrei stringergli la mano) di creare da subito due versioni diverse per soddisfare il maggior numero di spettatori italiani; due doppiaggi, uno destinato agli intellettuali, l’altro per gonzi!

    Un’idea diabolica e persino comprensibile per l’epoca, solo che a noi, ai posteri, è arrivata solo la versione per gonzi!

    Scena dal film Fritz il gatto, l'orgia degli animali nel bagno

    Cosa sappiamo sul primo doppiaggio di Fritz il gatto?

    Della versione “normale”, destinata al pubblico intellettualoide degli anni ’70, si sa ben poco ma alcune cose possiamo supporle con cognizione di causa. Certa è la presenza di Giancarlo Giannini che all’epoca lavorava con la C.V.D., la stessa società di doppiaggio in cui lavoravano anche Mario Maldesi, Fede Arnaud e Oreste Lionello. Purtroppo oggi rimangono in vita pochissime persone che nel 1972-73 lavoravano per la CVD.

    In un articolo intitolato La radicalizzazione di Fritz il gatto (The radicalization of Fritz The Cat, Den of the Geek, 2016) l’autore Tony Sokol scrive:

    c’è un aspetto di Fritz che mi ricorda Mimì in Mimì metallurgico ferito nell’onore, uscito lo stesso anno, il 1972, e diretto da Lina Wertmüller dove Mimì, interpretato da Giancarlo Giannini, si imbatte nella rivolusione ma ne esce corrotto.

    Che un personaggio doppiato da Giannini possa ricordare il personaggio interpretato in un altro film… quando si dice le coincidenze!

    Riguardo all’adattamento, in base alle reazioni riportate anche dalla stampa possiamo dire con assoluta certezza che la prima versione non facesse uso di dialetti alla ricerca di effetto comico spicciolo e che fosse quindi più fedele alle intenzioni originali del regista.

    Al momento non ci sono prove dell’esistenza di versioni home video con questo doppiaggio.

    Dove si trova adesso il doppiaggio originale di Fritz il gatto?

    Tutte le riedizioni note di Fritz il gatto hanno il doppiaggio dialettale. Lo ritroviamo nella prima VHS Domovideo (databile marzo 1988), lo ritroviamo nella ristampa cinematografica del settembre 1994, quando tornò al cinema per il 25° anniversario con lo slogan “il ritorno del pornogatto” insieme ad un nuovo visto censura (non più VM18 ma abbassato a VM14), idem nella VHS datata dicembre 1995 della RCS che fa uso della locandina del 1994.

    Del doppiaggio originale possiamo supporre che in qualche garage privato si stiano decomponendo le ultime rara copie in formato 35 mm di quelle prime visioni del 1972-1973 destinate ad un pubblico meno volgare. Non so se esistono riduzioni 16 mm e Super8 per questo film, se esistono può sempre darsi che siano state fatte a partire dalla seconda versione, quella dialettale.

    Foto di una pellicola cinematografica deteriorata

    Probabile situazione attuale dell’originale Fritz il gatto

    È possibile che Medusa conservi un master della colonna sonora con doppiaggio originale nei propri archivi, ma più probabilmente è stato tutto gettato nel fuoco o è marcito. Mi dispiace concludere gli articoli con queste note di pessimismo ma le probabilità che esista ancora da qualche parte in buono stato di conservazione sono onestamente basse e non voglio darvi illusioni. Se volete assillare Medusa affinché le vada a cercare ditegli pure chi vi manda.

    La versione per gonzi

    Il doppiaggio dialettale di Fritz il gatto le spara grosse da subito quando, nel primo minuto di film, in cima ad un grattacielo di New York sentiamo questo scambio di battute tra un operaio barese ed uno toscano:

    Scena di apertura di Fritz il gatto con degli operai in pausa pranzo
    – Sai chi è arrivato dall’Europa? Ti ricordi Romeo, il gatto del Colosseo? Adesso si fa chiamare “il gatto Fritz”.
    – Ma cosa tu mi racconti?

    Invero, cosa mai ci stanno raccontando!? Vien da sé che Fritz parla in romano (con la voce di Oreste Lionello) e non so quanto seriamente fosse lanciato quel riferimento a Gli aristogatti – che potremmo quasi additare come istigatore di malsane trovate, avendo sdoganato l’idea che un gatto che parla romano possa far colpo sull’immaginario collettivo italiano (dell’uso dei dialetti ne’ Gli aristogatti ne abbiamo già parlato). Ogni altro personaggio newyorchese di Fritz il gatto è proposto in chiave italica, sfruttando tutti i dialetti esistenti con la scusa di aver spostato la trama a Little Italy e non più ad Harlem. Ma i dialetti non sono il vero problema.

     

    Scena di Fritz il gatto, poliziotti maiali che si avvicinano alla folla

    Il problema è l’adattamento “comico” che punta a far ridere con quel genere di battute disarmanti da comici dilettanti. Perché, dopo tutto, il Fritz the cat originale di comicità non ne ha poi tanta, o per lo meno niente che vada oltre il farci sghignazzare in specifici momenti. Magari può far ridere (internamente) che i poliziotti siano letteralmente dei maiali, proprio negli anni in cui venivano chiamati “pigs” dai sessantottini americani, oppure possono far ridere delle singole battute, ma in generale i dialoghi di Fritz the cat non mirano mai a strappare alcuna facile risata. Di prettamente “comico” non ha nulla.

    La versione per gonzi di Fritz il gatto invece decide di sfruttare le immagini che scorrono su schermo per creare un prodotto tutto ad uso e consumo del Bagaglino, così a tutti gli effetti diventa “il film animato del Bagaglino” perché l’adattamento sembra essere scritto dagli stessi autori di quel gruppo comico (presumibilmente Lionello stesso), un esperimento che poi verrà ripetuto pochi anni dopo per il film Monty Python e il Sacro Graal, già tristemente famoso proprio per il suo copione, adatto più alle routine “comiche” italiane di terz’ordine che ai rinomati comici inglesi.

    Fritz il gatto corvo che fa un facepalm

    il “facepalm” che ci accompagnerà per tutto il film

    Se non vi foste ancora convinti che Fritz sia in realtà Romeo il gatto del Colosseo degli Aristogatti, il doppiaggio dialettale ce lo ribadisce una seconda volta quando Fritz, in un fuori campo, intona uno stornello

    Lassateme passa’ / io so’ un Romeo / Sto qua perché me stava / pe crolla’ sopra er Colosseo

    La vera trama (in breve)

    Nella versione originale, Fritz è uno studente universitario in una New York della metà degli anni ’60 che, invece di studiare, preferisce spassarsela con droghe leggere e ragazze. Le sue peripezie da bianco privilegiato alla ricerca (mai molto sincera) di una qualsiasi causa sociale da combattere lo portano a indurre una rivolta ad Harlem e ad essere coinvolto in un’azione terroristica ad opera di sadici criminali neonazisti.

    La trama gonza

    Romeo, il gatto del Colosseo del film Gli Aristogatti, 50 anni dopo aver conosciuto la gatta Duchessa a Parigi, è sbarcato a New York dove si fa chiamare Fritz. È visibilmente invecchiato perché adesso il suo pelo si è ingrigito e non più arancione, ma riesce comunque a spacciarsi per uno studente universitario e fa strage di pollastrelle ingenue. Non sappiamo perché, ma negli oltre 50 anni che sono passati dagli eventi degli Aristogatti gli umani sono stati sostituiti dagli animali, che adesso lavorano in tutti gli strati della società – ma questi sono dettagli intuibili dalla battuta di apertura e mai esplorati veramente nel film.

    Scena da Fritz il pornogatto, Fritz in macchina con la fidanzata torineseNelle sue avventure da studente svogliato, Fritz si rende conto di aver speso troppo per una prostituta e va ad incitare una sanguinosa rivolta per chiedere l’abbassamento dei prezzi delle prestazioni sessuali e la riapertura dei casini. Per scappare dagli sbirri che lo cercano, la fidanzata torinese gli propone di tornare in Italia (in automobile) promettendogli un posto alla FIAT ma Fritz fugge dalle sue responsabilità e, facendo l’autostop, finisce in una gang di motociclisti nazisti (ex-SS con tanto di accento teutonico che più ovvio non si può), questi useranno Fritz per un atto terroristico che consiste nel piazzare dei botti di capodanno in una centrale elettrica per farla saltare. Al risveglio in ospedale viene visitato da tutte le sue ex con le quali inizia un’orgia. Potremmo considerarla quasi una scena parallela al finale di Arancia Meccanica se Malcom McDowell cominciasse improvvisamente a strillare come Gene Wilder in Frankenstein Junior.

    L’adattamento gonzo

    Sentir parlare di “scioperi, scioperi, scioperi” nelle prime battute del film potrebbe dare l’illusione che con l’adattamento italiano di Fritz il gatto si vogliano contestualizzare i dialoghi alla situazione nostrana di inizi anni ‘70, il problema è che non basta dire “scioperi” per rendere i dialoghi intellettuali.

    Il film, in lingua originale, apre in realtà con il monologo di un operaio (una registrazione “vera” catturata dalla strada dal mangianastri di Bakshi) che si lamenta di come sia inutile educare i propri figli alla vecchia maniera visto che alla fine la figlia ti si presenta comunque a casa con “un tizio”. Il pensiero semplice di un uomo qualunque che in italiano viene sostituito da un logorroico tentativo di ironizzare sul fatto che la notizia dei tanti scioperi è data da un programma che si chiama “Italia che lavora”. Cioè si va a cambiare le parole semplici dell’uomo comune, non sofisticato, in battute certamente artefatte ma più pedestri del discorso originale che quantomeno sembrava essere genuino. In altre parole la vera mediocrità dell’uomo della strada diventa l’accidentale mediocrità del comico “impegnato”.

    Il target, dal film originale all’adattamento dialettale, è cambiato radicalmente, se il target è l’italiano medio che ride alle battute del Bagaglino.

    Scena di Fritz il gatto con doppiaggio dialettale, il gatto Fritz al bar

    “Secondo me i vaffa si sprecheranno”

    La triste realtà è che i dialoghi italiani di Fritz il gatto fanno leva sulle peggiori banalità di cui il popolo disquisiva al bar dopo aver sentito di sfuggita il telegiornale. L’impegno politico in gran parte dei casi si limita a nominare più volte Settembre Nero, che in realtà serve da scusa solo per sottolineare la bruttezza di Golda Meir (per ben due volte) e far ridere il popolo dei baretti. Una donna brutta, ahah, che risate! Da qui a “culona inchiavabile” di berlusconiana memoria è proprio un attimo.

    Tanto per rimanere su discorsi ad alta levatura, Fritz non si fida della pillola anticoncezionale (“vedi a fidasse della pillola?”) e poi, attaccato al culo di una donna, canta…

    “tuppe tuppe marescia’, arapite so’ n’amico”

    Scena da Fritz il gatto, Fritz attaccato al culo di una donna gigante

    Questo per farci capire la finezza dell’adattamento italiano che cerca (e sottolineo cerca!) di far ridere in ogni singola battuta, aggiungendone di inedite e fuori campo anche quando in originale non ci sono dialoghi.
    Ebbene, se farci ridere è lo scopo dell’adattamento italiano, esploriamo tutte le battute di Fritz il gatto per verificare quanto sia efficiente nel farlo. Se non lo faccio io in questo blog, non lo farà mai nessun altro. E quindi…

    La dubbia comicità del Bagaglino

    Le battute (completamente inventate di sana pianta) del doppiaggio dialettale di Fritz il gatto si possono dividere in due grandi categorie: quelle del tipo “non state ridendo?” e quelle del tipo “ma perché!?” ed eccovi le migliori. (Vi ricordo che sono battute inventate di sana pianta.)

     

    Scena di Fritz il gatto con poliziotti maiali che salgono le scale

    – Fai le scale!
    – Do, re, mi, fa…
    – E non fare lo spiritoso!

    Non state ridendo?


    Scena dal film Fritz il gatto, un personaggio parla con accento siciliano elogiando l'hashish

    Evviva l’hashish! Evviva la Shishilia! (con cadenza siciliana)

    Non state ridendo?


    Scena di Fritz il gatto con doppiaggio dialettale, il gatto Fritz spara al cesso dopo aver rubato la pistola al poliziotto

    Ho fatto centro! Ho fatto centro! Che sur-cesso!

    Non state ridendo?


    Scena dal film Fritz il gatto, Fritz in sinagoga si nasconde nella barba di un rabbino

    Vuoi vede’ che so’ carabinieri? Si travestono sempre!

    Ma perché?


    Scena dal film Fritz il gatto, i poliziotti maiali in una sinagoga

    Scena dei poliziotti in una sinagoga

    Trattali bene, questi sono clienti.

    Ma perché?


    scena dell'incendio all'università

    – Oh, qua s’è incendiato tutto. Quanto me dispiace… che m’è annato a fuoco pure l’indirizzo della casa squillo. Mejo chiamare li pompieri. Pronto?
    – Pronto! (sempre Lionello, con accento “napoletano”)
    – 
    Accorete prontamente.
    – 
    Adesso non abbiamo macchine.
    – Allora mandate qualcuno che c’ha freddo.

    Non state ridendo?

    Scena di Fritz il gatto con doppiaggio dialettale, discorso al bar tra due corvi

    Io non posso mollare questa città… perché non riesco ad attraversare la strada.

    Mi sa che abbiamo trovato l’autore delle battute del Cucciolone.

    il gatto, Fritz in viaggio in auto con la fidanzata

    Soli come uno scaracchio su un tombino.

    La famosa solitudine degli scaracchi sui tombini (?). Mah.

    Scena violenta della mucca pestata a sangue
    Vieni dalla tua Sofia […] Carletto, guarda che a questo punto abbiamo rotto… i ponti.

    Il riferimento è a Carlo Ponti, produttore cinematografico sposato con Sofia Loren. Ma perché?

    Scena di Fritz il gatto con doppiaggio dialettale, battute del Bagaglino sulla FIAT

    Quando me ne sono venuto via dall’Italia, la FIAT era in crisi. E sapete perché? Perché dalla catena di montaggio era uscita una macchina uguale alla precedente.

    Arriva dopo un po’ ma comunque non fa ridere. Non state ridendo?

    Scena di Fritz il gatto, corvi che discutono al bar

    Tu lo sai perché mettono tanti semafori? Perché hanno capito che con i semafori è l’unico modo per aumentare il verde in città.

    Questa non la accetterebbero neanche per il Cucciolone.

    Scena di Fritz il gatto, corvi al bar

    – Ma te, scusa, hai capito la faccenda dell’IVA?
    – Che dici dell’IVA?
    – In CU-alche maniera sarà la diminuzione
    – In CU-alche maniera sarà l’INCU-l’aumento
    – Ma ci sarà qualcuno che ha capito la faccenda dell’IVA?
    – Un sistema facilissimo. Mi’ zio c’è morto.
    – In fatto de tasse io ho capito solo che l’IVA non è la Zanicchi… e l’Ornella non è la Vanoni.
    – 
    Ma che vuol dire IVA?
    – Secondo me iva…
    – Imposta sul valore aggiunto.
    – Secondo me iva…
    – Imposta sul valore aggiunto?
    – E ME FATE FINI’??? Secondo me… i vaffa se sprecheranno!

     

    Se non l’avete ancora capito, nel 1972 l’IVA era l’argomento caldo del momento, preda di facili battute, perché era stata appena introdotta! L’Unione Europea l’aveva suggerita in sostituzione della precedente e più complessa IGE anche se l’IVA è stata percepita come più ingiusta dal popolino. E l’autore dell’adattamento di Fritz il gatto era così compiaciuto da queste battute da bar che neanche quattro anni dopo le ripropose anche nel copione di Monty Python e il Sacro Graal.

    Estratto dal copione italiano di Monty Python e il Sacro Graal, battuta sull'IVA

    E si suppone che l’autore sia proprio Oreste Lionello che in questi copioni riciclava il materiale dei suoi sketch comici del cabaret e ne era tanto affezionato che dal ‘72 ha continuato a riproporli per più di un decennio visto che nel 1983 al programma “Al Paradise” ancora ritornava la medesima battuta:

    Più IVA. Che IVA? I va’ a morì ammazzati li devi mettere in conto

    Quand’è che il troppo è troppo?

    Ma torniamo al nostro adattamento per gonzi che inventa battute su battute mettendo completamente da parte il copione originale ed è così afflitto da horror vacui che, anche quando non ci sono dialoghi, la traccia italiana ne vomita in continuazione. Facessero mai ridere ne avremmo guadagnato qualcosa, ma è un copione pe’ fa’ ridere i gonzi e quindi giù di battute su donne brutte e froci. E come te sbagli?

    ‘Ndo stanno le femmine? Non è che poi arriva un frocio? Aò, mica voglio infrocia’ un frocio.

    L’epifania rivoluzionaria post-canna che Fritz ha durante il rapporto sessuale con una prostituta di colore viene sostituita da Lionello con un…

    il gatto Fritz ha un'epifania mentre fa sesso con una prostituta
    Oh! Ora che me ricordo… a’mo pagato un sacco de sordi per ‘sta budellona.

    Che classe quando la satira politica sui borghesi che si fanno prendere da smanie rivoluzionarie del momento cede il passo al denigrare le prostitute che si fanno pagare più di ciò che valgono! Ma ai gonzi fa ridere. E così invece di unirsi alla causa “nera” come nella trama originale, la rivolta del Fritz gonzo ruota intorno al prezzo delle prestazioni:

    il gatto Fritz sul tetto di un'automobile incita la folla a rivoltarsi
    Rivolta! Rivolta! Popolo, basta con le battone da 120 a botta, e così che s’arza il costo de la vita. Qui come s’arza il pesce cresce la carne. Alla rivolta! Rivoluzione! Aprimo le case e chiudemo li marciapiedi. È ora de finlla di mantene’ i papponi. So’ loro che succhiano il sangue a ‘ste povere creature, alle mignotte. Essi sono mignatte, le mignatte delle mignotte!

    Che sia un copione moderno e all’avanguardia ce lo ricorda anche la canzone del coro Cetra quando canta “tutte uguali queste donne, al momento di incastrarti sono sempre pronte a farti la promessa più solenne, ma poi quando hai detto sì, vedi che non è così. Tutte uguali queste donne, per avere da te tutto ti mentiscono di brutto, queste figlie di N.N., ma poi quando hai detto oui, cambian da così a così, ma poi quando hai detto ja hai finito di campa’, ma poi quando hai detto OK sono cavoletti tuoi”.

    Scena da Fritz il gatto, cavalla Sofia viene pestata a sangue

    “U Maronna miiij!”

    Quando la donna di un membro della gang di terroristi neo-nazisti viene pestata a sangue dal suo compagno e dagli altri membri della gang, la crudezza della scena (sangue a fiotti) viene smorzata dall’accento napoletano, e le offese originali rivolte alla gang sull’essere froci nazisti e omosessuali repressi (mentre loro la colpiscono a suon di catene di ferro) diventano “ricchione fallito”, “fetentone” e “voi non sapete come si tratta una donna”.
    Questo non è adattamento, è istupidimento.

    A questa scena segue Fritz/Lionello che canta (fuori campo) “fior di mimosa, si lui te mena nun fa’ a scontrosa. Tanto vedrai che prima o poi te sposa” per rincuorare la donna picchiata a sangue… e quando le mette una giacca sulle spalle per non farle prendere freddo non perde occasione (sempre e solo in italiano) per commentare sulla sua stazza: “mettiti ‘sta giacchetta. Ammazza che spalle! E quanto porta, 84?”. La cosa che rende gravi queste battute è che non hanno alcun corrispettivo in inglese, sono letteralmente aggiunte in momenti privi di dialoghi dell’originale. Dalle battute aggiunte è evidente la destinazione del prodotto, sono sicuro che molti gonzi hanno riso alla ridicolizzazione della donna corpulenta pestata a sangue. Porta la taglia 84 e il ragazzo l’ha menata…

    Scena dal film Quei bravi ragazzi dove il protagonista Ray Liotta ride in maniera esageratamente finta

    Sul finale, quando Fritz è ricoverato all’ospedale (dopo che era stato sfruttato per piazzare un ordigno esplosivo ed era saltato in aria insieme alla bomba), lo va a trovare la napoletana di prima che gli parla dell’annosa questione dei “botti” a Napoli.

    Insomma, questo film doppiato l’ho passato a setaccio ma di comicità non ne ho trovata. Le battute che ho riportato qui non sono che la punta dell’iceberg perché i dialoghi italiani in realtà sparano una cazzata al minuto, l’ho cronometrato facendone poi la media su un campione di minuti, è un vero record!

    Doc Brown dal film Ritorno al futuro che guarda l'orologio e dice: bontà divina, una cazzata al minuto

    Doppiatori italiani di Fritz il gatto

    Il cast di doppiaggio della versione dialettale di Fritz il pornogatto è scarsamente documentato (neanche una scheda sui principali siti enciclopedici sul doppiaggio) quindi abbiamo approfittato dell’occasione per confermare quel poco che era già noto da Wikipedia (4 voci) e per espandere la lista degli interpreti. Questa finora è la scheda più completa mai realizzata sul doppiaggio di questo film. Non ringraziateci tutti insieme.

    Oreste Lionello: Fritz il gatto

    Solvejg D’Assunta: prostituta (Big Bertha)

    Giampiero Albertini: Ambrogio (Duke)

    Renato Turi: poliziotto #1

    Vittorio Di Prima: agente Nicolino (Ralph)

    Claudio Capone: pappone di Bertha (Sonny)

    Isa Di Marzio: corva che parla dell’IVA

    Renato Cortesi: rabbino orbo/ “mandrillo” (formichiere) / “Carletto” (Blu il coniglio)

    Willy Moser: corvo magro nel bar

    Se volete segnalarci altri interpreti saremo felici di verificarli per voi, se possibile. Intanto adesso potete correre ad aggiornare la scheda sul sito antoniogenna.net.

    Conclusione

    Che questo film animato sia stato usato come mezzo per riciclare battutine e battutacce destinate al cabaret del Bagaglino è cosa ben più grave della semplice scelta stilistica di adoperare i dialetti italiani. Fritz il gatto e Monty Python e il Sacro Graal sono una pietra tombale su Oreste Lionello come dialoghista e adattatore (sempre che si tratti effettivamente di lavori suoi) che certo non intacca la sua meritata fama di interprete (tanti sono stati gli elogi a Lionello come doppiatore su questo blog) ma spinge a domandarsi: quali altri danni non documentati avrà fatto? I primi sospetti erano già venuti dalle tante scelte bislacche nel copione italiano di Ghostbusters II e sono certo che abbia curato anche adattamenti “normali”, ma se ne stanno accumulando troppi di tragici a suo nome.

    Curioso poi che lo stesso Oreste Lionello si sospetti possa essere stato il dialoghista per entrambe le versioni, quindi sia del doppiaggio dialettale sia di quello “ufficiale”, come sospettano alcuni doppiatori che ho contattato alla ricerca di maggiori informazioni su questo film. Questa rimane al momento una mera supposizione.

    Non ci sono mezzi modi per dirlo, Fritz il gatto va visto esclusivamente in lingua originale, se proprio vi interessa (di per sé non è proprio un capolavoro) perché il suo secondo doppiaggio — l’unico arrivato fino a noi — ci porta un film completamente diverso che ha solo le immagini in comune con l’originale e che al massimo potrei consigliare come un film di incoraggiamento per comici in erba, così che anche i peggiori possano dire: perfino io posso fare meglio di Fritz il gatto!

     

    Joker che dice: ho dato un nome al mio dolore... e il nome è Oreste. Battuta alterata dal film Batman 1989

    Ringraziamenti

    Per le ricerche voglio ringraziare Francesco Finarolli (cinefilo e studioso di cinema), Leo (collaboratore di questo blog), Anton Giulio Castagna (direttore di doppiaggio), Melina Martello (doppiatrice e direttrice di doppiaggio), Antonio Luca De Tomaso (collezionista), Mauro Ferrari (collezionista).

  • [Italian credits] SPY (The Long Kiss Goodnight, 1996)

    Questa sera (venerdì 30 gennaio 2018) il canale CineSony trasmetterà alle 21.00 un film molto particolare, che merita di essere riscoperto: Spy (The Long Kiss Goodnight, 1996) di Renny Harlin.
    Stando ai passaggi precedenti sullo stesso canale, la versione del film sarà quella “originale” (cioè con la titolazione in inglese) quindi ne approfitto dunque per rispolverare la mia VHS Cecchi Gori – recuperata nell’angolo polveroso di un mercatino dell’usato, al prezzo di 50 centesimi! – che invece sfoggia un perduto trasferimento da pellicola italiana.


    «Sono sempre franco e onesto con le donne.
    A New York sono Franco…
    A Chicago sono Onesto!»


    Copertina dell'edizione VHS italiana del film Spy, marchio CecchiGori

    VHS Cecchi Gori 1997

    Un film da riscoprire, dicevo, sia perché alla regia c’è il comunque bravo Renny Harlin – lo sfortunato finlandese che dopo la gavetta con filmacci come Prison (1987) e dopo il quasi successo di Die Hard 2 (1990) e Cliffhanger (1993) non ne ha più azzeccata una, fino all’imbarazzo de Il passo del diavolo (2013) – ma soprattutto perché alla sceneggiatura c’è il più controverso (e all’epoca il più pagato) sceneggiatore di Hollywood: Shane Black.

    Se tutto va bene dopo l’estate finalmente uscirà The Predator (2018), con cui Shane Black torna alle origini: aveva 26 anni quando il suo personaggio è il primo ad essere ucciso dal mostro del film Predator (1987) di John McTiernan, e dopo essere stato professionalmente morto più volte, Shane torna idealmente alle origini, stavolta scrivendo e dirigendo nel 2018 lo stesso cacciatore alieno che l’aveva ucciso trent’anni prima.
    Per l’occasione sto approfondendo la conoscenza di questo autore incredibile – che è passato da stipendi faraonici all’ostracismo totale, dagli onori della cronaca all’oblio professionale – traducendo in esclusiva alcune sue interviste, come quella su Fangoria nel 1987, ad inizio carriera, e quella sull’The Hollywood Reporter nel 2016, al momento della rinascita.
    Infine vi ricordo che il blogger “Cassidy” sta ripercorrendo l’intera carriera di Black per il ciclo “Back in Black” sul sito La Bara Volante dove oggi anche lui recensisce il film in contemporanea!

    banner del ciclo di recensioni dedicate allo sceneggiatore Shane Black

    Il ciclo dedicato all’autore che porta il pulp al cinema


    Un titolo marlowiano

    Copertina del libro di Raymond Chandler intitolato Il lungo addioIl cuore di Black batte per l’hardboiled d’annata, per quei romanzi in edizione tascabile pieni di eroi “duri” (come Mike Shayne) ai quali ha dedicato quello splendido omaggio che è il film Kiss Kiss Bang Bang (2005), purtroppo un nuovo flop al botteghino nella sua carriera. Proprio come quest’ultimo film è diviso in capitoli intitolati usando celebri romanzi di Raymond Chandler, anche The Long Kiss Goodnight è un titolo che palesemente strizza l’occhio al romanzo del 1953 The Long Goodbye (in Italia, Il lungo addio), con il celebre Marlowe di Chandler: l’inspiegabile rititolazione italiana rovina a prescindere questo gioco. (Magari Il lungo bacio d’addio sarebbe stato più adeguato, ma quanti italiani conoscono Philip Marlowe così tanto da capire il richiamo?)

    Se già il titolo non bastasse a far capire la strizzata d’occhio, ad un certo punto vediamo il personaggio interpretato da Jackson guardare in TV una replica de Il lungo addio (The Long Goodbye, 1973) di Robert Altman, con un Elliott Gould fuori dal normale nel ruolo di Philip Marlowe, cioè che in inglese viene definito larger-than-life. Vediamo la TV trasmettere la scena in cui Marlowe è al supermercato a cercare un specifico cibo per il suo gatto e un inserviente di colore gli risponde in modo divertito:

    — A che mi serve un gatto? Ho la ragazza.
    — Tu hai una ragazza e io ho un gatto.

    Al che si inserisce Samuel L. Jackson a parlare sopra a Marlowe, e all’inserviente che dice di avere una ragazza risponde:

    — Sì, e lei ha la micia.

    Si sente il divertito Shane Black che porta in video l’usanza che tutti noi abbiamo: storpiare le battute dei film in diretta. Anche se nella versione italiana si perde la battuta originale: «Yeah. Pussy’s pussy».

    Tu hai la ragazza, io ho una gatta: entrambi abbiamo una pussy


    La sceneggiatura più costosa di sempre

    Non resisto a presentare un delizioso brano dal romanzo Scusate il disturbo (One Fine Day in the Middle of the Night, 1999; in Italia, Meridiano Zero 2003) dello scozzese Christopher Brookmyre:

    Copertina del libro di Christopher Brookmyre intitolato Scusate il disturbo— Visto che hai un termine per tutto, come chiami questo tipo di situazione?
    — Di solito la chiamo un film di Renny Harlin. Il peggior regista di film d’azione del cazzo […] Non ne capisce niente. Fa saltare un po’ di roba e collega le esplosioni a sequenze di dialogo maldestramente girate e sempre male illuminate. E la cosa più tragica è che fa soldi, perciò gli permettono di continuare a girare.
    — Non ricordo mai troppo bene i nomi dei registi. Chi è?
    — Renny Harlin. L’imperdonabile autore di 58 minuti per morire, il sequel di Trappola di cristallo. Talmente indegno che John McTiernan ci ha scherzato su, ha detto che non era mai stato presente durante le riprese di Duri a morire, la vendetta, che poi è uscito ed è iniziato a circolare con il titolo di Duri a morire 3. Tra i crimini di Harlin, la resurrezione della carriera di Stallone con Cliffhanger e il peccato mortale di avere rovinato una sceneggiatura di Shane Black con Spy.
    — Oh, dai, quello l’ho trovato divertente.
    — Sì, è vero, però il merito è di Shane Black. Come thriller era uno schifo, e lì il merito è di Renny Harlin. Diavolo, Shane Black vale parecchio. Non si svende a chiunque. Dovrebbe esistere un elenco approvato di registi per le sue sceneggiature.

    (Traduzione di Vittorio Curtoni)

    Geena Davis in una scena del film Spy dove viene legata alla ruota di un mulino e immersa in acqua

    Prova sottana: superata!

    Il caso di Shane Black sembra uscire da una di quelle storie edificanti, del tipo “l’America è la patria delle opportunità”. Aveva circa 24 anni quando abitava in un bungalow di Los Angeles insieme a futuri sceneggiatori come Ed Solomon (Men in Black) e Jim Herzfeld (Ti presento i miei). Poco più che ventenne si fa conoscere nell’ambiente vendendo la sceneggiatura di Arma letale, un’esplosione nei botteghini di tutto il mondo e un film che da solo riscrive le regole di un intero genere, superando se stesso quando nel 1989 vende la sceneggiatura de L’ultimo boyscout per 1,75 milioni di dollari: la cifra più alta pagata all’epoca per un copione. Questo record viene infranto da Shane stesso, che il 20 luglio 1993 vende la sceneggiatura di Spy alla New Line Cinema per 4 milioni di dollari (altre fonti riportano 4,6), una cifra all’epoca impensabilmente alta.

    Con l’avvento del Duemila, M. Night Shyamalan vende il suo Unbreakable per 5 milioni, segno che all’epoca l’asticella non si è ancora alzata di molto rispetto a Shane, infatti il Guinness Book of Records del 1999 riporta ancora Shane come autore della sceneggiatura più pagata. Curiosamente però specifica che l’idea del soggetto è venuta in realtà alla fidanzata, che per questo ha ricevuto solo 20 mila dollari di compenso.

    Per una qualche beffarda legge del contrappasso le sceneggiature che più gli hanno fruttato a livello economico, che l’hanno reso il più noto sceneggiatore di Hollywood, sono anche quelle che gli hanno distrutto la carriera. L’ultimo boyscout delude ma è niente in confronto al terremoto di Spy: costato 65 milioni di dollari, in totale ne guadagna giusto una trentina. È la fine della carriera di Shane Black.

    Copertina del New York Magazine dove venne recensito SpyPer capire la reazione che il film ha suscitato all’epoca della sua uscita, ecco la recensione del “New York Magaine” del 18 novembre 1996:

    «Lo spettacolo è avvincente ma emozionalmente insignificante. Il cinismo è straordinario (agenti della CIA che fecero esplodere il World Trade Center [nel 1993] per spaventare il Congresso così da aumentare i fondi all’antiterrorismo) e il sadismo non conosce sosta (c’è gente sventrata, congelata, bruciata, affocaga, incatenata e presa a parolacce).
    The Long Kiss Goodnight è in parte salvato dal suo umorismo vecchio stampo: Geena Davis come super assassina e Samuel L. Jackson come suo compare sono divertenti insieme. Lo sceneggiatore Shane Black scrive ottimi dialoghi e turpiloquio d’effetto [gaudily effective profanity]: l’insolenza ha sempre il suo fascino. Ma a parte le battute, questo è un film assolutamente disperato, con così tanti cambi di sceneggiatura e sparatorie che anche un ragazzo di 14 anni diventerebbe irrequieto in sala e lo si potrebbe sentir chiedere quando mai finirà quella roba. Il problema è che non finisce mai.»

    Geena Davis e Samuel Jackson in una scena del film Spy

    Una coppia affiatata, ma destinata al flop


    L’assassina senza memoria

    Non so quanto sia voluto, ma il personaggio di Samantha Caine / Charly Baltimore è la versione femminile – nonché la reinterpretazione alla Shane Black – del tema dell’“assassino senza memoria”, reso celebre dal romanzo Un nome senza volto (The Bourne Identity, 1980, prima avventura di Jason Bourne) di Robert Ludlum e dal longevo fumetto XIII del belga Jan Van Hamme, iniziato nel 1984 e diventato in seguito anche (dimenticabilissima) serie TV.

    Entrambi questi due personaggi condividono con Samantha/Charly l’amnesia seguita ad un’operazione sporca firmata da un’agenzia governativa fin troppo solerte.

    Geena Davis in veste da assassina in una scena del film Spy

    Geena Davis in una rielaborazione del tema “Assassino senza memoria”


    The Nice Buddy Guys

    Il giornalista Zach Baron nel 2016 ha definito Shane Black «king of alpha-male-one-liners» – re di quelle che io chiamo “frasi maschie” – e in effetti nella storia dell’umanità ci sono solo due film che possono essere considerati distributori automatici di “frasi maschie”, Commando (1985) e L’ultimo boyscout (1991), e uno è firmato da Shane. Questi però è in realtà specializzato in un elemento più comune ai suoi film, che non sempre sparano battute da applauso: Black è specializzato in buddy movies, storie con due protagonisti diametralmente opposti che si ritrovano costretti a lavorare insieme.

    Da Arma letale (1987) – bianco pazzo e nero sconsolato – a L’ultimo boyscout (1991) – bianco sgualcito e nero ordinato – da Kiss Kiss Bang Bang (2005) – bianco fallito e gay risolvi-tutto – a The Nice Guys (2016) – bianco magro e bianco grasso. Il forte di Black è il dialogo frizzante fra due protagonisti agli antipodi, come appunto la “killer smemorata” Samantha Cain (Geena Davis) e Mitch Henessey (Samuel L. Jackson).

    Geena Davis e Samuel L. Jackson insieme in una scena del film Spy

    Geena Davis e Samuel L. Jackson: stessa accoppiata di “colori”, ma coppia diversa rispetto ad “Arma letale” (1987)


    L’angolo di Evit

    So che il “padrone di casa” ha in antipatia una battuta pronunciata da Geena Davis in questo film, che invece fa parte di uno scambio di battute che secondo me andrebbe rivalutato.
    Quando la casalinga si è trasformata in assassina, dovendo togliere una medicazione a Jackson mette in atto una tecnica curiosa: si apre l’accappatoio da vanti a lui, e mentre l’uomo fissa lo spettacolo gli strappa di getto la benda.

    Samuel: Fa un male cane.
    Geena: Lo so, per questo ti ho distratto. Come quando si deflora una vergine. L’ho letto in un libro di Harold Robbins: lui le morde l’orecchio per distrarla dal dolore. Mai provato?
    Samuel: No, io ci vado di gancio destro e urlo «Vai col tango”!» [possibile citazione da Febbre da cavallo con cui il doppiaggio italiano ha tradotto l’originale «Pop goes the weasel»?]

    A me sembra un dialogo divertente, ed è curioso ritrovarlo cancellato – insieme ad ogni altra “firma di Shane Black” – dalla novelization ufficiale firmata da Randall Boyll, che ha fatto in modo di togliere ogni frizzante umorismo dalla storia. (Curiosamente i titoli di coda italiani del film danno per edito in Italia da Sperling & Kupfer detto romanzo, di cui in realtà non esiste la minima traccia.)

    [Nota di Evit: a mia discolpa non ricordavo la risposta di Samuel Jackson che fa effettivamente rivalutare l’intero scambio di battute.]


    Una curiosità sugli stunt

    Il film vanta la presenza della stuntwoman Dana Lynn Hee, oggi nota solo come Dana Hee, in alcune scene come stunt double di Geena Davis. Medaglia d’oro di Taekwondo alle Olimpiadi di Seoul del 1988 poi speaker motivazionale, Dana diventa “cascatrice” per il cinema nel 1993, e prima di Spy appare in un alto numero di film di alto profilo, da L’uomo ombra (1994, stunt double di Penelope Ann Miller) a Batman Forever (1995, stunt double di Nicole Kidman). Nel 1996 è stunt double di Pamela Anderson in Barb Wire… probabilmente con l’uso di qualche protesi pettorale!

    Quando arriva sul set di Spy ha appena lavorato a Independece Day (1996), ha indossato i panni della creatura gigeriana protagonista di Specie mortale (1995) ma soprattuto ha sostituito nei combattimenti Kitana (Talisa Soto) in Mortal Kombat (1995).

    Intervistata dalla rivista “Femme Fatales” (volume 9, n. 1, giugno 2000), Hee ricorda la sua partecipazione a Spy:

    «Sono finita al pronto soccorso due volte in quel film. Mi sono rotta una mano in un incidente davvero stupido. È stato durante la scena in cui Geena esce fuori dalla cabina di un’autocisterna rovesciata, poi si lancia mentre la cisterna colpisce un’auto e viene catapultata via: il mio incidente è accaduto allora. Era una notte piovosa, c’è stato un problema di comunicazione ed io finii per cadere fra la cabina e la cisterna, rompendomi una mano.
    Mi sono anche ferita la testa mentre cadevo all’indietro in uno scivolo del carbone. Dopo una caduta di un metro e mezzo sono caduta sulle mie spalle e poi sulla schiena. L’impatto è stato così forte che ho sbattuto la testa, con una brutta commozione cerebrale. Ho avuto così tante commozioni cerebrali – alcune dovute alle arti marziali altre agli stunt nei film – che mi accorgo subito quando ne subisco una.»

    Una scena dal film Spy dove Geena Davis sta per eseguire un salto ad alto rischio

    Ora arriva Dana Hee a sostituire Geena… e a rompersi una mano!


    La distribuzione italiana di Spy

    Presentato l’11 ottobre 1996 in contemporanea sia negli Stati Uniti che in Canada, The Long Kiss Goodnight arriva nelle sale italiane il 4 dicembre 1997 con il misterioso ed immotivato titolo Spy, nuova tacca sulla pistola fumante della creatività italiana per i titoli idioti.
    La sua vita italiana è targata Cecchi Gori e al di là di una VHS nel 1997 e un DVD nel 2002 non c’è altro, il tipico trattamento CecchiGori che, per minimizzare le perdite, attende l’acclamazione popolare sui social media (ciò che loro chiamano “startup“) prima di considerare la pubblicazione in alta definizione, mentre all’estero il Blu-Ray di Spy esiste già dal 2011. Dubito però che questo film in Italia raccoglierà mai abbastanza firme da convincere CG a pubblicarlo in HD, quindi potrebbe rimanere in bassa definizione ancora per molto, molto tempo.


    Titoli di testa italiani di Spy (da VHS)

    Titoli di coda italiani del film Spy

    L.

    P.S.
    Se simili resoconti vi interessano continuate a seguirci ogni due venerdì qui su Doppiaggi Italioti e vi invito a venire a trovarmi anche sul mio blog Il Zinefilo: viaggi nel cinema di serie Z.

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