L’articolo di approfondimento che segue è firmato da Damiano Gerli (The Genesis Temple, IGN, Wireframe), giornalista che si è specializzato nel raccontare la storia dei videogiochi come in pochi altri hanno mai fatto, andando a intervistare le persone coinvolte, ricostruendo vicende di almeno 20-30 anni fa, senza mai fermarsi al copia-incolla da Wikipedia e quindi sempre tirando fuori storie inedite che aggiungono nuovi pezzi del puzzle di un argomento di nicchia. Questo suo pezzo deriva da una serie di interviste inedite ai protagonisti del doppiaggio di videogiochi, che il blog Doppiaggi italioti ha il piacere di ospitare in esclusiva. Quindi buona lettura e preparatevi ad aggiornare Wikipedia… che manca roba! Sì, si parla anche del doppiaggio di Half-Life 2!
Evit
Per l’intero decennio degli anni ’80, la localizzazione del prodotto videoludico non era considerata necessaria per il mercato italiano. La notizia potrebbe sorprendere, specie a fronte di un livello medio di conoscenza dell’inglese non particolarmente elevato, ma c’è da considerare come, in generale, il mercato videoludico italiano esprimesse cifre piccole, molto inferiori rispetto ad altri paesi europei, oltre al fatto che non sarà stato difficile intuire il significato di quelle poche parole che si ripetevano sugli schermi degli arcade: ‘GAME OVER’. Nei primi anni ‘90 poi, un titolo era considerato di successo nel nostro Paese se riusciva a raggiungere le 1000 unità vendute.
La traduzione dei videogiochi richiedeva investimenti che i distributori – spesso – non erano interessati né tantomeno spronati a fare, visti i numeri delle vendite. Ma i manuali cartacei inclusi nelle scatole spesso presentavano la lingua italiana, alcuni giochi beneficiavano anche di una traduzione, di solito quelli più semplici. I titoli più complessi invece, specialmente quelli con molti dialoghi come le avventure testuali o semi-testuali e i giochi di ruolo, venivano quasi sempre distribuiti in lingua originale.
Videogiochi tradotti in italiano – Una storia di pirati
L’argomento delle traduzioni finisce, per forza di cose, con l’incrociare quello della pirateria. Al di là di ovvi motivi di convenienza economica, nonché facilità di approvvigionamento (comprare titoli originali in Italia, in alcuni anni, era diventato pressoché impossibile), la copia pirata era ricercata dai giovani giocatori proprio perché arricchita da una traduzione, pur se spesso di livello amatoriale, raramente fedele all’originale.
Nella disperata lotta contro la pirateria informatica, prima che in Italia il legislatore arrivasse a sancire definitivamente l’illegalità della copia non autorizzata del software (nel 1993!), distributori di software come Leader e C.T.O. furono costrette ad innalzare la qualità del prodotto, così da renderlo competitivo e maggiormente appetibile rispetto al mercato nero.
Diverso era il discorso per le console, dove il problema pirateria era sostanzialmente inesistente: le aziende e i distributori erano maggiormente preoccupati dal combattere il fenomeno delle copie d’importazione. I manuali dei giochi Nintendo e Sega erano sempre disponibili in italiano, ma i giochi stessi raramente venivano tradotti, con la conseguenza che diversi fra i titoli più complessi non vennero mai distribuiti, proprio perché l’investimento nella traduzione non era ritenuto conveniente.
Dopo il 1993, la situazione inizierà a cambiare rapidamente. Oltre alla legge contro la pirateria, elemento significativo ma non essenziale, in quel periodo i videogiochi iniziano ad accrescere il giro di affari e a imporsi all’attenzione dei media, con conseguenti investimenti di marketing sempre maggiori. Gli stessi titoli diventano più complessi, graficamente e narrativamente: cresce il gradimento del pubblico verso le avventure grafiche, genere caratterizzato da lunghi dialoghi e da conversazioni tra i personaggi durante le sequenze animate (o cutscenes).
È proprio intorno ai primi anni novanta che nascono i primi uffici e team dedicati alla localizzazione: il tempo dei primi doppiaggi è vicino.
I primi videogiochi doppiati in italiano
Ignorando volutamente alcuni titoli doppiati all’estero che avevano pochissimi intermezzi parlati e che facevano uso di doppiatori palesemente non italiani (es. Alone in the Dark 3 nel febbraio 1995 e Inca 2: Wiracocha del 1993), oltre ad alcune esperienze legate al CD-i, sono Gabriel Knight 2 – The Beast Within, sviluppato dalla Sierra Entertainment e Sam & Max – Hit the Road, dalla LucasArts, tra i primi videogiochi a uscire sul mercato nazionale interamente tradotti e doppiati in italiano, da italiani. Affermare con assoluta certezza quale tra i diversi titoli detenga il primato, senza date di uscita precise alla mano, non è possibile. In ogni caso, al di là della poca utilità storica dell’esercizio, dalle conversazioni avute durante le ricerche per questo articolo, è ragionevole ritenere che Sam & Max sia un lavoro iniziato prima rispetto all’avventura Sierra.
Si tratta di due prodotti radicalmente diversi, non solo perché sviluppati da due software house storicamente “antitetiche” come Sierra e LucasArts, ma anche perché il loro adattamento italiano ha seguito strade sostanzialmente diverse nella filosofia, seppur parallele.
Sam & Max Hit the Road (doppiaggio italiano 1995)
Per Sam & Max, la C.T.O. – mi racconta Gabriele Vegetti, ex addetto dell’ufficio localizzazione per il distributore bolognese – si trovò davanti a una mole di lavoro non indifferente. Il publisher di Zola Predosa (BO) prese contatti con il vicino studio di doppiaggio Florian, gestito da Alessandro Zucchelli: un sodalizio lavorativo che si rivelerà vincente negli anni successivi, interrotto solo dal fallimento del distributore bolognese. Onde selezionare le voci adatte per doppiare i giochi, il cliente (principalmente LucasArts ed Electronic Arts, più altre software house minori) inviava un campione delle voci originali, affinché la C.T.O. potesse selezionare una serie di voci potenzialmente adatte. Sulla base dei campioni si procedeva a fare dei provini per i ruoli principali che venivano, in seguito, inoltrati al committente affinché scegliesse le voci adeguate.
Ma per Sam & Max, la strada fu ben più impervia: sia i provini che il casting dei personaggi richiesero parecchio tempo. Gli ostacoli che C.T.O. doveva affrontare, oltre che di natura artistica, erano anche squisitamente tecnici: la LucasArts fu costretta a provare diversi metodi d’invio dei file per la traduzione prima di trovarne uno efficace. Emblematico, a tal proposito, il ricordo di Federico Croci – ex PR per la software house bolognese Simulmondo – che racconta di esser stato fermato nei corridoi dell’azienda bolognese e invitato a recitare qualche frase, catturata su un registratore portatile, affinché potesse essere inserito nel gioco. Non sappiamo, però, se compaia o meno tra le “62 voci” che C.T.O. pubblicizzava all’epoca su riviste di settore come The Games Machine.
La complessità della lavorazione è confermata anche dal notevole ritardo con cui venne pubblicata sul mercato l’edizione contenente il doppiaggio italiano. Anche in assenza di date precise, la versione italiana sembra arrivare sul mercato solo nella primavera del ’95, quasi un anno e mezzo dopo l’originale uscita sul mercato di Hit the Road, avvenuta nell’ottobre del ’93. Nei ruoli dei protagonisti c’erano Riccardo Rovatti (Max) e lo scomparso Pier Luigi Zollo (Sam).
Gabriel Knight 2 – La bestia brutale (1995)
La parallela esperienza del doppiaggio a Milano, invece, nasce a metà anni novanta. Gabriel Knight 2 – The Beast Within (letteralmente: la bestia dentro) fu adattato per l’azienda meneghina Synthesis, fondata nel 1995 da Max Reynaud e Andrea Minini Saldini. I due, rispettivamente caporedattori di riviste specializzate come The Games Machine e Consolemania, avendo già contatti con publisher e sviluppatori, avevano deciso di fondare un’azienda che potesse rimediare alla storica mancanza di qualità e attenzione alle traduzioni. La direzione del doppiaggio di Gabriel Knight II viene affidata a Gigi Rosa, noto al pubblico – tra le altre cose – per essere la storica voce di Crystal nella fortunata serie animata I cavalieri dello zodiaco.
I due protagonisti, Gabriel Knight e Grace Nakimura, sono doppiati proprio dallo stesso Gigi Rosa e Dania Cericola. L’attore racconta che La bestia brutale rappresentò un lavoro sostanzialmente affine a uno cinematografico: si trattava di doppiare filmati già pronti, così come poi succederà per l’altra avventura/film interattivo della Sierra, Phantasmagoria, diretto dallo scomparso Silverio Pisu e uscito in italiano nel dicembre del 1995. “Furono lavori eccezionali e molto curati” ricorda Rosa “da lì in poi, si è passati a lavorare quasi sempre sulla forma d’onda. Mi sembra il caso, infatti, di parlare di localizzazione dei videogiochi piuttosto che di doppiaggio: senza che l’attore veda il labiale, mi sembrerebbe il termine più opportuno”.
Claudio Moneta, doppiatore del Barone Von Glower in Gabriel Knight II, concorda: “In effetti i primi videogiochi doppiati a Milano rappresentano un’esperienza piuttosto unica, avevamo un prodotto già finito su cui lavorare agevolmente. All’epoca, poi, non avevamo uno schermo del PC su cui lavorare: si ascoltava il file audio e si recitava sopra. Non lo visualizzavi, lo sentivi e basta. Ma furono esperienze che non durarono molto, già a fine anni ’90 si era passati alla forma d’onda.”
C.T.O. – La scuola di teatro approda a Bologna
Per quasi tutti i videogiochi di cui C.T.O. curerà l’adattamento e il doppiaggio, con lo studio Florian, la modalità di lavorazione – confermata da attori come Renato Cecchetto e Massimo Antonio Rossi – era, come definito da loro stessi, “al nero”, diversamente dalla classica “forma d’onda” che diventerà lo standard per la maggior parte dei successivi lavori di doppiaggio.
Ma non chiamatelo “doppiaggio”, precisa Renato Cecchetto, bensì si trattava di una “lettura interpretata” da parte dell’attore che leggeva dialoghi tradotti e adattati sempre dalla stessa azienda bolognese. Avere la possibilità di lavorare con gli stessi traduttori e adattatori presenti in sala, allo studio Florian, aiutava molto gli attori. Massimo Antonio Rossi, attore e doppiatore per lungo periodo con C.T.O., ricorda:
“Si iniziava ascoltando l’originale (quando era disponibile) quindi si interpretava modulando intonazioni e intenzioni secondo le sintetiche descrizioni delle scene che ci suggeriva in cuffia l’assistente al doppiaggio; il quale, a sua volta, seguiva le note a margine alle varie battute del copione.”
Era un tipo di lavoro che vedeva privilegiare chi veniva da una formazione teatrale, come lo stesso Rossi. “Avendo alle spalle molta prosa radiofonica, non mi era nuovo l’impegno di cercare di dare una resa “evocativa” alla recitazione, senza doversi basare sulle immagini. Certo a volte si lavorava in carenza o vera e propria incompletezza di descrizioni. Soprattutto su luoghi dell’azione e prossemica tra i personaggi. Facile immaginare quanta differenza ci sia se i personaggi si parlano da 10 metri all’aperto o seduti a un tavolo in una biblioteca o, ancora, in una bettola medievale tra ubriachi urlanti. Erano quindi fondamentali le informazioni disponibili, lo scrupolo del supervisore al doppiaggio (in questo senso con Vegetti mi trovai ottimamente) e, credo, la capacità di ogni singolo doppiatore di sopperire, alla bisogna, con fantasia e acume.”
Gli fa eco Renato Cecchetto, direttore del doppiaggio di Grim Fandango (1998) e storica voce del protagonista Manny Calavera: “L’attore si trovava un numero considerevole di battute da recitare, non si trattava proprio di doppiare, bensì di leggere. Da un lato, è vero, una lettura interpretata richiedeva mediamente meno tempo di un doppiaggio sul labiale, nonostante fosse comunque richiesto un rispetto piuttosto rigoroso dei tempi e dei timecode. Benché non fosse una pratica diffusa, entrai immediatamente con relativa facilità in questo modo nuovo di lavorare: l’ottica di C.T.O. era molto attenta in questo senso.”
I doppiaggi curati dalla C.T.O. con lo studio Florian rappresentano un’esperienza unica nel panorama dei doppiaggi, vuoi per il calibro degli attori utilizzati, vuoi per l’attento e scrupoloso lavoro sui copioni. L’azienda bolognese sembrava aver compreso pienamente quella che sarebbe stata la portata emotiva dei titoli della LucasArts in Italia, ricordati ancora affettuosamente dai giocatori quasi trent’anni dopo. Sono gli stessi attori a esprimere meraviglia quando ricordano che – tanti anni dopo – ancora vengono riconosciuti e celebrati per lavori su avventure grafiche degli anni ’90. Renato Cecchetto ricorda: “Avevo finito di recitare a teatro, quando mi è passato a salutare un mio amico che si è portato dietro un suo conoscente. Sono rimasto meravigliato quando questi – entusiasta – mi ha fatto i complimenti per il lavoro fatto su Manny Calavera! Così tanti anni dopo c’è ancora chi lo ricorda con così tanto affetto, fa davvero piacere.”
Massimo Antonio Rossi, ripensando all’esperienza con C.T.O. commenta che, a prescindere da chi avesse più o meno confidenza col microfono, attori professionisti di esperienza e buona formazione, in un contesto per molti versi “pionieristico”, liberi da sync labiali ma con ottimi adattamenti, potrebbero aver dato al pubblico emozioni meno filtrate o interpretazioni meno scontate. Anche la stessa Lucasarts non ha mancato di apprezzare i lavori di C.T.O. e Studio Florian: lo stesso Rossi ricorda una lettera, mostratagli con comprensibile fierezza dal direttore dello studio Florian, Zucchelli – firmata dall’intero staff della software house statunitense – che attestava come quello italiano fosse “il miglior doppiaggio tra tutti”. “D’altronde” conclude “furono loro tra i primi a insistere per inserire i nomi dei doppiatori per tutte le diverse traduzioni del gioco, come per Fuga da Monkey Island. Fu la prima, e forse unica volta che vidi i “credits” delle voci, tra i quali il mio nome, riportati con tanto risalto in un videogioco.”
Il doppiaggio di videogiochi a Milano
L’esperienza del doppiaggio a Milano nasce a metà anni novanta ruotando intorno ad aziende come Binari Sonori, Synthesis e Jingebell. Chiunque sia stato un videogiocatore nel decennio tra il 1995 e il 2005, ricorderà come le voci degli attori fossero spesso ricorrenti. Impossibile non riconoscere immediatamente attori come Giorgio Melazzi, Claudio Moneta, Marco Balzarotti, Emanuela Pacotto, Pietro Ubaldi, Luca Sandri. Nomi familiari anche a chiunque sia cresciuto con i cartoni animati della TV dei ragazzi di Mediaset negli anni ‘80 e ‘90.
Le motivazioni di questa concentrazione dei lavori di doppiaggio intorno al capoluogo lombardo sono facilmente spiegabili con l’accentramento geografico delle aziende distributrici di videogiochi. Editori come Leader o Halifax nascono, infatti, nella zona milanese. Per quanto il mercato esprimesse numeri maggiori rispetto a pochi anni prima, i budget a disposizione rimanevano comunque limitati. Era, dunque, sicuramente più agevole portare avanti dei lavori con professionisti già impegnati con i cartoni animati trasmessi da Mediaset. Questi, d’altronde, erano generalmente meno pretenziosi dei loro colleghi della scuola romana, maggiormente legati al doppiaggio cinematografico. Parola degli intervistati!
Doppiatori di videogiochi, un lavoro “poco onorevole”
“La piazza meneghina è piuttosto piccola, ci si conosce un po’ tutti” racconta Luca Sandri, storica voce legata a protagonisti in videogiochi come l’italianissimo Tony Tough e Abe’s Exxodus. “Personalmente, ho iniziato perché la Jinglebell cercava voci e, oltre a me, hanno risposto diversi miei colleghi”. Claudio Moneta aggiunge: “All’epoca eravamo in pochi disposti a fare i videogiochi, venivano considerati dalla maggior parte il gradino più basso per un attore. Non esagero quando dico che era considerato più onorevole fare uno spot locale, magari anche del ferramenta, piuttosto che un videogioco”.
Lara Parmiani (storica doppiatrice di cartoni animati come Daria e Dragonball) commenta che, in diversi casi, la considerazione del prodotto videoludico era davvero bassa: “i primi titoli erano fatti in maniera estremamente artigianale. Mi è capitato diverse volte di lavorare su videogiochi dove, vuoi anche per la maggior semplicità del lavoro, si ragionava in stile “buona la prima”. Alcuni li consideravano molto inferiori agli stessi cartoni animati”.
In Italia, insomma, c’era poca consapevolezza della rivoluzione che i videogiochi stavano portando nel mondo dell’intrattenimento e – secondo alcuni – tuttora la situazione non è del tutto cambiata. Questa considerazione del videogioco come prodotto inferiore porterà anche conseguenze inattese, come ricorda il direttore del doppiaggio Leonardo Gajo (Assassin’s Creed II, Bioshock): “All’epoca gli attori avevano poca consapevolezza della novità del prodotto videoludico. Noi come direttori capivamo che per l’utenza erano prodotti importanti, poi per carità, non che avessimo questo gran gusto… La recitazione da cartone animato – per quanto valida – era spesso poco adeguata per un videogioco comunque destinato a un pubblico più maturo del cartone animato che andava in onda su Italia 1.”
Claudio Moneta conclude: “Per quanto mi riguarda, non mi sono mai posto il problema dell’onorabilità. Siamo doppiatori: facciamo tutto quello che ci compete quando ci chiamano e al meglio delle nostre possibilità.”
Il doppiatore di videogiochi, una figura inventata a Milano
Per quanto l’esperienza C.T.O. rimanga importante, resterà separata oltre a tramontare con il fallimento dell’azienda bolognese nei primi anni duemila. Lecito, dunque affermare come la figura del “doppiatore di videogiochi” nasca ufficialmente a Milano, in seguito all’aumento vertiginoso dei lavori dalla metà anni ‘90 in poi.
Emanuela Pacotto (The Last of Us, Resident Evil 2) ricorda come, inizialmente, ci fosse molta libertà e pochissimi controlli da parte del committente, spesso le battute venivano cambiate anche in studio. La maggior rilassatezza viene menzionata anche da diversi direttori del doppiaggio, Gigi Rosa ricorda come le stesse aziende di distribuzione attendessero l’eventuale successo di un prodotto sul mercato estero, prima di procedere a un costoso lavoro di adattamento e doppiaggio. Giorgio Melazzi ricorda: “Milano era diventata una base, queste esperienze nacquero prima a sprazzi per poi diventare via via una sequenza sostanzialmente ininterrotta di lavori.”
Abbiamo visto come la figura del doppiatore di videogiochi nasca in parallelo ai doppiaggi dei cartoni animati Mediaset (all’epoca Fininvest, ma sono dettagli). Furono gli attori stessi a decidere le regole del mercato, comprese le tariffe. Marco Balzarotti (Batman nella serie animata e in innumerevoli videogiochi ) commenta: “i prezzi per le nostre prestazioni li abbiamo decisi praticamente noi [riferendosi al gruppo dei doppiatori di Milano NdR], non c’era alcun precedente in materia”. La situazione viene confermata anche dalle poche doppiatrici, tra cui proprio Emanuela Pacotto “sono arrivata più tardi rispetto ai miei colleghi maschi ed economicamente ho accettato la situazione da loro decisa in precedenza, specialmente perché il contratto nazionale non è mai stato aggiornato!”. Leonardo Gajo commenta: “Pagavamo regolarmente a fine mese: lavoravi il 18, il 30 ti arrivavano i soldi. Per gli attori era del tutto inedito”. La situazione non era altrettanto stabile nel mondo doppiaggio del cinema e dei cartoni animati.
Dalle “letture interpretate” alla forma d’onda
A fronte dei primi doppiaggi cinematografici, molti dei veterani del settore come Claudio Moneta e Gigi Rosa confermano come arrivò presto il passaggio alla forma d’onda. Pietro Ubaldi, inconfondibile voce d’innumerevoli personaggi nei cartoni e trasmissioni per ragazzi Mediaset, ricorda il diverso modo di lavorare nei videogiochi: “si trattava d’imparare da zero un lavoro nuovo, ma d’altronde siamo attori e il nostro mestiere è proprio quello d’interpretare! L’ideale è fare un lavoro decente nel minor tempo e costo. Noi viaggiamo a cottimo, stando dietro alla forma d’onda”.
La forma d’onda è un modo di doppiare ove l’attore ascolta l’audio originale e recita la propria battuta mantenendosi su un tono simile e, soprattutto, nel tempo specificato. Con l’ausilio del monitor, l’attore ha anche modo di capire le pause e i tempi, visualizzando – appunto – la forma d’onda dell’audio originale.
In dettaglio, lavorare sulla forma d’onda pone l’attore di fronte a diversi casi:
- battute che non necessitano un’interpretazione che resti nella lunghezza (“tolleranza libera”, come nei casi della registrazione “a nero”, voice-over);
- battute in “soft time-constraint” (un tempo della battuta con una tolleranza tempistica maggiore);
- battute in “time-constraint” (il tempo della battuta è fisso, con una tolleranza minima non oltre il 20%);
- battute in “sound-constraint” o, più banalmente, lip-sync (l’attore deve rispettare le pause interne e la medesima scansione).
Riguardo a quest’ultima modalità di doppiaggio, nel caso dei videogiochi, Claudio Moneta commenta che trattasi di un metodo non perfetto di sincronizzazione: “Si tratta di quel modo di doppiare che ti sarà capitato di vedere in alcuni programmi moderni, è un sincrono artificioso a cui non siamo proprio abituati, specie noi Italiani che abbiamo inventato il doppiaggio in sync! È qualcosa che andrebbe controllato a video, non sull’audio.”
Vi sono anche, ovviamente, casi – sicuramente diventati più frequenti negli ultimi anni – in cui si doppia direttamente sul labiale dei personaggi, come per esempio nei filmati di presentazione dei nuovi personaggi di Overwatch. In quei casi valgono le stesse regole del doppiaggio cinematografico.
Nei primi lavori, vuoi anche per la scarsità d’informazioni, i doppiatori erano spesso coadiuvati da un disegno o uno storyboard, avendo almeno la possibilità di vedere il volto del personaggio, specie se si trattava di uno tra i principali. “All’inizio si doppiava anche su sequenze video brevi, magari vedendo delle facce o con degli sketch” ricorda Pietro Ubaldi “poi è cominciata l’epoca dei file audio, l’onda è presto diventata quasi sempre l’unico punto di riferimento. Spesso se devi fare un personaggio nuovo, ti fanno vedere un’immagine ti danno un’idea di quello che vorrebbero ottenere”. Emanuela Pacotto sposta l’attenzione sui rapporti con il committente: “dipende anche dalle tempistiche, noto che oggi c’è una gran paura che trapeli in rete qualcosa, essendo tutto più accelerato. Mi è capitato di recente di fare prodotti di cui non mi è stato detto nemmeno il titolo! Certamente, negli anni ’90 questo problema non c’era”.
Per l’attore, il pericolo “bolla” è in agguato. Marco Balzarotti spiega: “Quando registro, sono in colonna separata. Non ho quasi mai la fortuna di poter ascoltare l’altro attore con cui sto dialogando (a volte potrebbe essere anche me stesso!) e il tono con cui mi risponde. È sempre difficile capire, in loco, se hai fatto un buon lavoro o meno. Quando mi dicono che è ben riuscito, sono il primo a rimanere stupito!”. In effetti, è agevole notare come nei videogiochi capiti di essere spiazzati dallo scollamento di tonalità tra una battuta e l’altra di personaggi diversi. “Spesso – spiega Moneta – non è neanche colpa del direttore del doppiaggio, magari vi sono motivazioni strettamente tecniche o il materiale all’origine non è stato fornito nella maniera corretta.”
“Lo scostamento di toni è qualcosa assolutamente da evitare” commenta il direttore del doppiaggio Leonardo Gajo “so di aver fatto un buon lavoro quando la conversazione suona quanto più naturale possibile, senza forzature di alcun tipo”.
Anni 2000, il doppiaggio dei videogiochi comincia a farsi notare
Negli anni duemila, confermato da tutti gli intervistati, il lavoro del doppiatore di videogiochi diventerà un ruolo importante per la piazza meneghina. I videogiochi, con l’arrivo delle nuove console Playstation 2 e Xbox, nonché al conseguente aumento dei budget di sviluppo e marketing, allargano sempre più il pubblico di riferimento. Viene meno anche quel residuo di artigianalità che ammantava precedentemente il doppiaggio videoludico, muovendosi in un’area definitivamente professionale. Il direttore del doppiaggio Leonardo Gajo ricorda, infatti, come sia venuta meno la rilassatezza dei tempi, specie con l’arrivo di serie come Call of Duty: “il giocatore non avrebbe più aspettato mesi per avere un titolo tradotto, bisognava arrivare sul mercato con tempestività. La versione italiana doveva uscire contemporaneamente a quella originale.”
Con una comunità di attori ridotta e dei budget perennemente limitati, anche una produzione di alto rilievo come il seguito di uno dei più famosi giochi di ruolo di Blizzard Entertainment, Diablo 2 (2000), utilizzava 10 attori per quasi 60 personaggi diversi. Il risultato, ovviamente, è che medesimi attori vengono usati anche per ruoli completamente antitetici come Giorgio Melazzi nei panni del buon Deckard Cain… e in quelli del demone Diablo stesso.
Lo stesso doppiatore, Melazzi, commenta: “Chiaramente, non è un tipo di doppiaggio cinematografico, poiché non hai necessità di aderire alle mille sfumature del viso dell’attore. È vero che la recitazione lo avvicina più a un radiodramma, per fortuna io ho avuto molta esperienza sul campo, quindi ero facilitato. Non sono mai stato d’accordo sul considerarlo un lavoro di serie B, si arriva anche a fare delle cose emotivamente molto belle.”
Il pubblico nutriva sicuramente curiosità verso questa novità nel campo dei videogiochi sul territorio nazionale, ma, a quanto pare, non c’era altrettanto interesse da parte della stampa e dei giornalisti di settore ad approfondire l’argomento doppiaggio nei videogiochi, eccetto casi sporadici. Claudio Moneta ricorda un episodio in cui, cercando un titolo in un negozio di videogiochi nel 2010, dopo qualche minuto riconobbero la sua voce e molti clienti del negozio si dimostrarono entusiasti dell’incontro. “Fu davvero un caso clamoroso quello, rimasi molto stupito io stesso!”
Giorgio Melazzi ricorda di aver raggiunto una certa inaspettata fama, specie negli anni tra il 1999 e il 2003 in cui era coinvolto nel doppiare diversi protagonisti, come nelle serie Max Payne e Halo (eccetto il primo titolo, dove il protagonista, Master Chief, era doppiato da Dario Oppido). “Godevo di una piccola popolarità, sono anche stato contattato per interviste da diverse webzine” ricorda Melazzi, ma c’è anche un’occasione più particolare: “Diversi fan mi contattarono affinché tornassi a prestare la voce a Max Payne per il terzo titolo, mi ricordo che fecero anche una petizione; ma alla fine il gioco non fu mai doppiato.”.
A tal proposito, Emanuela Pacotto racconta come fu la prima a – finalmente – decidere di parlare di doppiaggi dei videogiochi, in un evento del 2011 all’importante fiera Lucca Comics. “L’attenzione del pubblico era particolarmente rivolta sempre ai cartoni animati, ho voluto così proporre questo nuovo argomento che diventava sempre più importante. Da parte degli organizzatori non mi pare ci fosse molta fiducia nell’interesse nel pubblico e invece l’evento era pienissimo, con tanto di fila all’esterno! Da lì in poi, è diventato un evento annuale, un luogo dove si parla e discute di doppiaggi dei videogiochi regolarmente.”
Su YouTube è presente una ripresa dell’intero intervento di Emanuela Pacotto al LuccaComics del 2011 nell’incontro chiamato: “Emanuela Pacotto dà voce ai videogames”. Dura 42 minuti e lo trovate qui.
Doppiatori cinematografici nei videogiochi
Nonostante gli apprezzamenti e i numeri importanti, nei primi anni duemila il doppiaggio di videogiochi in Italia resta una nicchia assicurata da un numero limitato di professionisti. La domanda sorge spontanea: come mai non si chiamavano i doppiatori di esperienza cinematografica? Può essere utile richiamare uno dei primi casi in materia, il titolo LucasArts Indiana Jones e la macchina infernale. Gabriele Vegetti ricorda come fu lo stesso sviluppatore a richiedere che si utilizzasse il doppiatore “ufficiale” dell’intrepido archeologo: Michele Gammino. “Non era qualcosa che succedeva normalmente all’epoca”, racconta Gabriele Vegetti “chiamare un doppiatore professionista, oltretutto da Roma, per farlo venire a Bologna a registrare presso lo studio Florian aveva dei costi che avvicinavano il budget a quello di un film”.
Lo stesso anno, sempre il doppiatore romano verrà anche chiamato a doppiare il protagonista nel videogioco di Blade Runner, della Westwood Studios, distribuito in Italia da Leader. Gammino non verrà richiamato per i successivi giochi di Indiana Jones, venendo sostituito invece da Dario Oppido per La tomba dell’imperatore e, infine, proprio da Claudio Moneta nel Bastone dei Re. Parlando con Claudio della sostituzione, mi conferma che, tutto sommato, non si è sentito di esser stato influenzato da quanto fatto da Gammino nei film e nei giochi. “È stata sicuramente un’esperienza che ho tenuto presente, ma è anche giusto che io portassi al personaggio il mio bagaglio di conoscenze e di tecniche”.
Per quanto non fu l’unico caso (i giochi Disney legati a Monsters & Co. dei primi anni 2000 sono un ottimo esempio), per molto tempo – principalmente per questioni economiche – il coinvolgimento di doppiatori cinematografici in produzioni videoludiche rimarrà un’eccezione. Sei anni dopo La macchina infernale, nel 2003, Luca Ward inizierà un duraturo rapporto con Ubisoft per doppiare Sam Fisher, protagonista della serie Splinter Cell. “Certe esperienze hanno anche aiutato a far cambiare l’opinione generale del doppiaggio dei videogiochi” commenta Gajo. Il mancato uso dei doppiatori cinematografici, infatti, incrocia proprio il tema del cachet: ci furono casi in cui alcuni doppiatori della scuola romana furono pagati generosamente per riprendere, in alcuni prodotti videoludici, personaggi doppiati in precedenza. “Da allora” ricorda sempre il direttore del doppiaggio “le pretese dell’intera scuola romana salirono, la conseguenza è che fummo costretti a usare dei sound-alike in diversi casi, per esempio nel videogioco tratto dalla serie TV Lost o per Pirati dei Caraibi – Ai confini del mondo.”
A proposito di cachet da capogiro, il proprietario di questo blog, Evit, aveva già narrato di cifre esorbitanti sborsate dalla Vivendi Universal Italia per far doppiare Ghostbusters: il videogioco (2009) da molti dei doppiatori del cast cinematografico. Un suggerimento caldamente sostenuto dal fanclub italiano della serie, come emerge dalla sua intervista al fondatore di Ghostbusters Italia.
La situazione cambierà definitivamente solo nel momento in cui proprio Gajo – attraverso conoscenze nell’ambiente – riuscirà ad allargare il novero degli attori a disposizione, in occasione del doppiaggio dei numerosi personaggi nell’originale World of Warcraft. Gigi Rosa definisce quanto fatto da Gajo come “pionieristico”: quell’esperienza segnerà lo spartitraffico. Da lì in poi sempre più attori, anche dell’ambiente romano, si avvicineranno ai videogiochi con una conseguente maggior varietà e qualità del prodotto finale.
Arrivano i talent anche nel doppiaggio dei videogiochi
L’esperienza di Luca Ward con Splinter Cell presta il fianco a un altro argomento che – per un periodo – interesserà diversi videogiochi, principalmente di Ubisoft ed Electronic Arts: i “talent”. Con questo termine s’indica generalmente una celebrità, attore o meno, utilizzata per doppiare un personaggio in un prodotto d’intrattenimento. Nel mondo videoludico non se ne ricordano moltissime di esperienze del genere, ma quelle poche hanno lasciato un segno indelebile nei ricordi di molti giocatori.
Dal 2002 in poi, specialmente, alcuni publisher ritenevano fosse astuta mossa di marketing far partecipare al doppiaggio di un videogioco, personalità che spesso avevano poco o nulla a che vedere con il doppiaggio o il mondo videoludico in sé. “Tutta colpa di Disney!” ricorda Renato Cecchetto. “Furono loro i primi a iniziare a introdurre personaggi celebri per doppiare personaggi in vari cartoni animati.”.
In particolare, possiamo ricordare la partecipazione a Dead Space (2008, Electronic Arts) di Dario Argento che doppiò il personaggio del Dott. Terrence Kyne. “Rispetto a un doppiatore professionista, i talent spesso fanno un lavoro piuttosto discutibile, oltre ovviamente a richiedere un cachet di media almeno 20 volte superiore al nostro!” commenta Marco Balzarotti.
Interrogato sul senso di certe scelte, difficilmente spiegabili a livello recitativo, Gigi Rosa menziona il marketing: “si tratta di mettere un bollino “con la voce di” su un prodotto così da renderlo più appetibile al mercato”. Eppure, è riscontrabile un evidente scostamento dall’effettivo target di mercato lì dove, per esempio, Ubisoft chiamò Gabriel Garko a doppiare il protagonista di Prince of Persia – Warrior Within nel 2004, sostituendo l’originale Domenico Strati.
“C’è un grosso equivoco alla base di queste scelte” mi dice Moneta “si pensa che abbia senso sostituire un attore celebre che doppia un protagonista nella versione originale con un talent pescato a caso dal mondo della televisione o spettacolo”. D’altronde, per il pubblico nostrano, sono pochissimi i nomi del doppiaggio cinematografico che è in grado di riconoscere, per questo motivo si pensa che l’unico modo di compensare sia l’inclusione di talent. Gli fa eco Emanuela Pacotto: “nei cartoni Disney, i personaggi sono spesso disegnati intorno agli attori stessi, come successe per il Genio e Robin Williams in Aladdin. La stessa cosa certamente non capita né per i videogiochi né per la versione italiana degli stessi prodotti Disney: si finisce con l’avere dei risultati incredibilmente forzati!”.
Altro caso è quello delle sostituzioni, lì dove un doppiatore meno famoso sostituisce quello cinematografico. Pietro Ubaldi menziona aver doppiato il personaggio di Hagrid in alcuni prodotti videoludici relativi a Harry Potter in sostituzione del noto collega Francesco Pannofino: “Le produzioni ci tengono a spendere di meno quando si tratta di videogiochi. Chiaramente, per un doppiatore pretendere più soldi è anche un modo per valorizzarsi, in un certo senso”. Claudio Moneta conferma l’opinione di Ubaldi, riferendosi in particolare alle esperienze videoludiche dove ha avuto modo di riprendere il personaggio di Spongebob.
Tornando al coinvolgimento di Luca Ward, anche lui è stato “toccato” dall’esperienza con un talent lì dove fu affiancato, per il secondo titolo nella serie Splinter Cell, Pandora Tomorrow, da Morgan Castoldi (dei Bluvertigo), chiamato a doppiare l’antagonista di Sam Fisher. Sostanzialmente il giocatore passava dall’ascoltare una voce profonda e impostata come quella di un doppiatore professionista, alla discutibile recitazione di un cantante. Marco Caprelli, ex-brand manager per Ubisoft e responsabile del marketing per la serie Assassin’s Creed, Splinter Cell e Rainbow Six, afferma: “Servivano dei nomi che potessero interessare un target di pubblico oltre il mercato degli appassionati: da una parte, per motivi di vendite e dall’altra, perché un talent garantiva sempre una maggiore attenzione da parte dei media. Di certo non volevamo gli attori, ci interessavano i personaggi. Morgan era un nome in ascesa con delle pretese di budget non eccessive, aveva poi anche una vaga somiglianza col cattivo del gioco, ci parve una scelta sensata.”. Marco Balzarotti chiude con un sorriso sardonico: “Per caso, se io andassi a sostituire Morgan sul palco, la gente ne sarebbe contenta?”
E, riscontrando un curioso collegamento con i citati ‘Morgan’ e Dario Argento, una menzione finale riguarda anche l’altro membro della famiglia: Asia Argento. L’attrice romana è stata coinvolta nel doppiaggio della protagonista, Faith Connors, di Mirror’s Edge (2008) pubblicato da Electronic Arts. Sempre la Argento presenziò il lancio in Italia, a solo un mese di distanza dalla presentazione di Dead Space da parte del padre Dario. Un anno pieno per gli Argento nei videogiochi.
Il lavoro non è stato affatto apprezzato da critica e pubblico, comparendo spesso nelle classifiche dei peggiori doppiaggi di videogiochi degli ultimi vent’anni.
L’esperienza dei doppiaggi italiani all’estero
Vi è una particolare categoria di doppiaggi su cui vale la pena spendere qualche parola: i doppiaggi realizzati da aziende inglesi all’estero. Si tratta di casi sicuramente residuali, una percentuale di lavori intorno al 5-10% nel panorama complessivo dei titoli doppiati. Erano, però, piuttosto frequenti nei primi tempi della Sony PlayStation, tra il 1996 e il 1998, più alcuni casi sporadici in seguito e nella prima metà degli anni ’90. Oltre all’ovvio fattore economico, bisogna tenere in considerazione che l”industria dei doppiaggi in Italia era ancora giovane e senza la necessaria esperienza, per cui Sony – evidentemente – preferiva una gestione accentrata di questi lavori da parte di agenzie estere che doppiavano, oltre all’italiano, anche altre lingue europee.
Alessandro Ricci, doppiatore per diversi titoli tra cui Spyro the Dragon e Medievil, oltre ad aver diretto doppiaggi come The Legend of Zelda: Breath of the Wild, ricorda: “eravamo in pochissimi all’epoca disponibili a lavorare sul doppiaggio italiano a Londra. Era quindi facile che non tutti avessero certo la professionalità necessaria e, io in primis, di certo non mi son mai definito un attore! Mi piaceva lavorare con la voce, ma non avevo esperienza teatrale né di altro tipo. Poi figuriamoci, il mio direttore di doppiaggio era un francese… pur volendo, non avrebbe saputo giudicare in dettaglio la mia performance.”.
Ricci è anche ricordato per essere stato il primo (temporaneo) doppiatore di Solid Snake nell’originario Metal Gear Solid: “me la ricordo come la miglior esperienza dell’epoca, c’erano sicuramente professionalità di un certo rilievo come Andrea Piovan, però la mia dizione era ben lungi dalla perfezione e ricordo diversi errori nell’adattamento. Si poteva sicuramente fare di più, specie perché avevamo sia la presenza degli sviluppatori giapponesi (Konami), sia di Halifax (Italiana) in sala, ma nessuno intervenne più di tanto sul lavoro”.
Sia Alessandro Ricci che Lara Parmiani ricordano diversi doppiaggi all’estero in cui c’è stato pochissimo controllo qualità sul lavoro svolto. Si trattava di lavori molto frettolosi, svolti quasi a catena di montaggio, dove oltre alla poca preparazione professionale degli attori, anche la traduzione stessa lasciava spesso a desiderare. Poi, per buona grazia dei fruitori dei suddetti titoli, la buona esperienza dei doppiaggi milanesi iniziò a imporsi per qualità e professionalità e i lavori all’estero cominciarono a ridursi numericamente.
Non possiamo non citare altri titoli con doppiaggi esteri come Codename: Tenka (1997, per PC e PS1), Nocturne (1999, PC), Hitman: Pagato per uccidere (2000, PC), Time Crisis: Project Titan (2001, PS1), Haven: Call of the King (2002, PS2), King’s Field IV (2003, PS2). Se li volete anche sentire qui c’è un bel video riassuntivo.
Il curioso caso del doppiaggio di Half-Life 2
Bisogna, però, parlare di un altro caso molto particolare di cui molti videogiocatori conservano ancora ricordi non proprio positivi: il doppiaggio in italiano di Half Life 2 (2004) e il seguito Half Life 2: Episode One (2005). Tra gli sparatutto che maggiormente hanno influenzato il corso della storia dei videogiochi, oltre al classico Doom, ci sono certamente Half Life della Valve e il suo seguito, che hanno avuto un peso esponenziale nella storia videoludica. Il primo titolo ebbe un adattamento discreto, oltre a un doppiaggio piuttosto generico: scelta comprensibile poiché non si aveva ancora idea del successo che avrebbe avuto. Discorso ben diverso per il seguito, titolo attesissimo dal grande pubblico e graziato da uno dei doppiaggi professionali maggiormente discutibili nell’intera storia videoludica. Molte delle voci coinvolte nel progetto, utilizzate per i personaggi secondari, non erano di madrelingua italiana, recitando con pesante accento tedesco/austriaco che portava tanti momenti, pensati per essere drammatici, a prendere un’involontaria verve comica.
A tal proposito è Lara Parmiani, tra le poche voci professionali su Half Life 2 (Judith Mossman), a fare luce per la prima volta nella storia di questo famoso doppiaggio:
“Penso quel gioco sia stato doppiato a Londra. Fino al 2005/6 nella capitale c’era una serie di agenzie che si occupavano di videogiochi, siccome all’epoca non c’era ancora la facilità di doppiare a distanza, come oggi, l’agenzia aveva selezionato una serie di voci che riteneva “italiane”, senza alcun controllo qualità. Ricordo diversi attori, in particolare svizzeri, che nonostante fossero selezionati per interpretare ruoli nella nostra lingua, parlavano con un netto accento tedesco. I giochi doppiati a Londra di solito vengono controllati direttamente dai produttori, invece che dallo studio: loro selezionano per tono ma non si rendono conto che l’accento non è naturale. Ricordo che ero andata a fare una sessione e questi erano arrabbiatissimi perché avevano letto critiche online: ho cercato di spiegare quale fosse il problema, perlomeno.”
Insomma, si trattò di un altro prodotto su cui mancò completamente il controllo qualità. Di certo, nessun italiano ha mai riascoltato quel doppiaggio prima che il prodotto andasse nei negozi, il che, per un titolo così atteso da tutti e fondamentale per la storia dei videogiochi come Half Life 2, è davvero una macchia indelebile, ancora più inspiegabilmente ripetuta per il successivo Episode One. Probabilmente per motivi economici o per facilità organizzativa, quel titolo è stato colpito da una congiuntura sfavorevole che ne ha rovinato la fruizione in lingua italiana. Fortunatamente, comprando oggi il titolo su Steam c’è l’agevole possibilità di giocarlo con il doppiaggio originale inglese e i sottotitoli nella nostra lingua. Per quanto nessuno la biasimerebbe, a quanto pare Valve non ha proprio alcuna intenzione di andare a toccare quella sacra localizzazione!
Il futuro del doppiaggio dei videogiochi
Nel 2021, l’esperienza dei doppiaggi di videogiochi in Italia compie 26 anni e possiamo affermare che di passi in avanti ce ne sono stati tanti. L’esperienza milanese è cresciuta nel tempo, con i doppiatori storici che oggi, vuoi per motivi d’età vuoi per esigenze di prodotto, si ascoltano meno, pur risultando ancora presenti, spesso in ruoli minori. Sicuramente molti sono i contatti tra il doppiaggio cinematografico e quello videoludico, oggi sempre più vicini come filosofia e qualità. Ne è stata fatta di strada da quando i videogiochi erano considerati “poco onorevoli”.
Ciononostante, alcuni attori esprimono perplessità per il futuro, specie riguardo alla decadenza della cosiddetta scuola di teatro. Emanuela Pacotto ricorda “prima tutti si arrivava da accademia o formazione attoriale/teatrale. Adesso, da quando la figura del doppiatore è balzata alla ribalta, in tanti si son svegliati con l’idea di voler fare la professione. Conseguentemente sono nate tante scuole di doppiaggio che illudono i ragazzi a pensare che, dopo poche lezioni, siano già pronti al mestiere. Purtroppo i videogiochi sono uno di quei mercati dove persone con poca formazione riescono anche a lavorare”. Gigi Rosa conferma: “purtroppo non esistono più scuole di teatro, quelle serie. Il mio corso di recitazione è durato 3 anni, andavo dalle 7 di sera fino a mezzanotte, tutti i giorni, con sole 8 ore di sabato/domenica. Poi per carità, ci sono anche casi di persone senza gran gavetta di teatro che si confermano bravi doppiatori, ma sono casi rari.”.
Luca Sandri a proposito della decadenza della scuola di teatro, commenta che trattasi di un male atavico derivante dalla scarsa lungimiranza dei produttori e gestori teatrali negli anni ottanta: “a forza di chiamare nomi televisivi per riempire le sale, le compagnie si sono praticamente estinte, oltre a mancare del tutto i registi”.
Fabrizio De Flaviis dichiara: “per me è una combinazione di fattori: lavorare al risparmio, la necessaria velocità odierna del portare a termine i lavori e il progresso tecnologico. Questi sono i motivi per cui il doppiaggio oggi soffre. Non c’è nemmeno più tempo per la formazione, non esiste più la vecchia bottega. È diventato una catena di montaggio.”
Insomma, oggi sta al pubblico pretendere la qualità, un argomento su cui molti doppiatori tra cui Claudio Moneta ed Emanuela Pacotto sono convinti. “Il pubblico si deve arrabbiare con l’azienda che non gli fornisce un prodotto doppiato come si deve!” s’infervora Claudio Moneta “e così anche l’attore, se non viene messo in grado di fare il proprio lavoro, dovrebbe arrabbiarsi e pretendere la qualità, per sé e per l’utenza”. Se si lascia andare alla deriva il prodotto, si rischia davvero di lasciare spazio a prodotti di dubbia qualità e fattura, oppure agli stessi fandub, “bisogna avere rispetto del lavoro che si fa” conclude Emanuela Pacotto: “siamo la voce che accompagna il giocatore per ore e ore! Un approccio completamente diverso dal doppiaggio anime/tv, diventiamo quasi un amico del giocatore e per lui questa figura rappresenta tanto. Dobbiamo esserne orgogliosi!”.
Infine Gajo: “doppiare i videogiochi è esattamente come doppiare i film… solo molto più difficile! Io lo paragono spesso a guidare una macchina bendato. Il bravo direttore di doppiaggio deve somigliare più a un Dungeon Master che a un regista”.
Damiano Gerli
Ringrazio Damiano per averci regalato questo articolo sul doppiaggio nei videogiochi, so che lo ha tenuto occupato per mesi, tra ricerche e interviste, e invito chiunque a scoprire le incredibili e inedite storie narrate nel suo Genesis Temple dedicato al mondo dei videogames, spesso incentrate proprio su storie italiane di distributori, programmatori, marketing, game design, mancati successi e tradimenti! E non sto nemmeno esagerando.
(Evit)