Il testo che segue è la copia di una mia recensione sul film 6 Underground, pubblicata il 22 gennaio 2020 sul sito web di riferimento per il cinema di serie Z, Il Zinefilo di Lucius Etruscus. È lì che ogni tanto mi diverto a recensire “film brutti”, niente a che vedere con doppiaggi e adattamenti.
Chi non ha seguito le cronache fiorentine di fine agosto 2018 potrebbe essersi perso qualche perla dell’uomo-cappellino Michael Bay che, a fronte delle polemiche cittadine (quelle a Firenze sono sempre di casa), cercò di tranquillizzare la popolazione in un’intervista per le TV locali:
Aumenterà il turismo perché darà alla città un aspetto sexy.
È ciò di cui Firenze aveva certamente bisogno. Bay in quell’intervista però viene colto subito da allucinazioni competitive quando dice che il film porta all’Italia quasi 90 milioni di dollari («It brings close to 90 million dollars to Italy»). Ma non era costato 150 milioni di cui 30 milioni sono andati a Ryan Reynolds? Gli altri attori come li pagavano, in noccioline? Diciamo che le sue sparate mi lasciano un attimo perplesso. Sono certo che se glielo chiedete, Bay vi dice che è stato anche azzurro di sci.
Mentre qui a Firenze aspettiamo l’arrivo di un nuovo tipo di turisti, quelli che l’hanno vista in Six Underground (grafia alternativa del titolo originale) e sono stati attirati dal suo “aspetto sexy”, vi scrivo qualche parolina sul film in sé.
Una recensione prevenuta
La mia recensione di 6 Underground è prevenuta non solo perché ne scrivo da fiorentino (già questo un difetto gravissimo), ma anche da persona che ha perso completamente i contatti con quel tarapia tapioco che si fa chiamare Michael Bay [ho controllato, è il suo vero nome], questo già dai tempi del secondo Transformers, quando capii che ormai faceva film tutti identici: stessi i ritmi, stessa la personalità, stesse le inquadrature sui culi, stessi i temi. Quali temi? Sempre lo stesso da 20 anni: la costruzione di una famiglia putativa, fatta di persone (o robot) a cui vuoi bene. Del resto, perché soffrire per la mancanza di una famiglia vera quando hai dei veri amici?
Dagli USA, il paese dove il senso di famiglia è spesso un’utopia, nel 2020 Michael Bay ancora parla di famiglia…
Se Bay non ci racconta niente di nuovo rispetto a molti altri suoi colleghi statunitensi, si può dire che riesce a nascondere bene questo tema banalissimo e abusatissimo dietro il costante suono di armi da fuoco che saltuariamente viene interrotto dal suono di esplosioni e dallo stridio di gomme sull’asfalto, quindi magari non ci avevate fatto caso. E non c’è niente di male a farsi piacere ammazzamenti continui e un bel messaggio sulla famiglia. Nella mia vita da spettatore mi sono accontentato di molto meno.
Ci potremmo chiedere come abbia fatto Bay a passare da quel capolavoro di The Rock (1996) ad una marea di film virtualmente identici e dalla medesima personalità ma, almeno, chi ne apprezza lo stile e i ritmi non avrà certamente niente da ridire su questo Six Underground. È sempre lui, è sempre riconoscibile, non cambia di una virgola, non cambia mai stile. È praticamente il Luciano Ligabue del cinema.
La trama
Vi dirò, ho avuto serie difficoltà a seguire la trama di “6 sottoterra”. Proverò a dirvi ciò che ho capito.
Deadpool-senza-maschera (oh, non è colpa mia se i personaggi di Ryan Reynolds so’ tutti uguali) è un insospettabile miliardario che finge di essere morto pur continuando ad incassare soldi dai suoi migliaia di brevetti da genio. (E Tony Stark muuuto!)
Invece di godersi i soldi e la vita agiata, ha assemblato una sorta di A-Team che fa missioni sparacchiose in tutto il mondo ed è formata da ex-specialisti in qualcosa: c’è un ladro, c’è un killer, c’è l’atleta di parkour etc… il finale della barzelletta inventatelo voi. Per entrare a far parte della squadra sparacchiosa è necessario simulare la propria morte, proprio come ha fatto il fondatore. È così che si evadono le tasse da veri professionisti e si fanno i miliardi con le royalties del cubo di Rubik.
Proprio come l’A-Team, anche “i 6 sotterrati” fanno un po’ le missioni che cazzo gli paiono a loro. La prima missione è a Firenze (per me dunque era un film da vedere d’ufficio) dove il film si apre con una fuga sparacchiosa in auto tra le strade del centro, i nostri sono inseguiti da una quarantina di SUV di mafiosi (?) i quali, come tutti i mafiosi che si rispettino, sparano impunemente con mitragliette in pieno centro storico. Il motivo? Un qualche sgarro al boss (sempre con sede a Firenze). Boh. Se dicevano alla loggia massonica ci avrei creduto di più.
Ma tanto non avrete tempo di pensare, l’inseguimento prosegue incessante come la mia calvizie, i mafiosi sparano facendo solo danni estetici, l’abilità del pilota infatti consente di evitare la morte a costo di rovesciare qualche Vespa e far cascare per terra delle suore che poi ti mandano affanculo con il dito medio (e il Vaticano muuuto!), intanto il team in fuga deve intercettare/recuperare il loro specialista di parkour che, per raggiungerli, discende dalla cima della cupola del Duomo, correndo dall’esterno (furbamente la scena viene tagliata prima che la pendenza diventi di quasi 180%). Poco dopo si ritroverà a saltare tra i tetti di Firenze. Dev’essere proprio bravo col parkour. Che ci faceva in cima alla Cupola? Boh. Non c’è tempo per pensare! L’auto dei nostri protagonisti è ancora inseguita da dozzine di SUV mafiosi che sparano in pieno centro, in pieno giorno, c’è solo tempo di fermarsi ad osservare una bella ragazza in Vespa, con vestito rosso da sera e che si muove a rallenty per titillare la fantasia americana sulle donne italiane. Del resto è pur sempre Michael Bay, se una scena così non ce la mette lo rimandano davvero a fare il gelataro a New York.
Comunque a Firenze si può anche viaggiare tra le anguste strade del centro per 15 minuti filati, a tavoletta, a bordo di un bolide da corsa senza mai incontrare il numero 23 che t’ha bloccato un intero incrocio per via di un’auto parcheggiata in doppia fila che gli impedisce la svolta. Forse era domenica.
L’inseguimento è letteralmente fantastico: svolti un angolo e ti ritrovi a Siena, svolti un altro angolo e sei di nuovo a Firenze. È veramente una città magica. Potrei essere pignolo e dire che il film non rispetta la geografia della città (Inferno di Ron Howard lo faceva!), infatti ogni inquadratura di mezzo secondo mostra l’auto dei nostri protagonisti in un angolo diverso dalla città, ma se non siete del posto non ci farete caso.
Altre magie di questa città: entri a tutta velocità nel portone di palazzo Medici Riccardi e ti ritrovi nel Salone dei Cinquecento, al secondo piano di Palazzo Vecchio. Se ci siete stati potreste ricordare le scalinate non proprio a prova di automobile. Però era bello farci sgommare una “super car”, chi se ne frega. Le vetrate non vengono pulite dal 1800 perché c’è il vincolo, ma sul pavimento in cotto del salone invece si può sgommare… aò, è proprio vero che c’è un prezzo per tutto.
Michael Bay stesso, in un’intervista su Vanity Fair (che qui traduco), si è dichiarato sorpreso che il Comune gli permettesse simili follie:
«In questo film compare tanta di quella roba inestimabile, tipo nella scena delle auto che saltano in aria vicino ad un obelisco. Perché mi abbiano permesso di avere macchine che saltano in aria vicino ad un obelisco di 800 anni fa, proprio non lo so. Ma non abbiamo danneggiato niente.»
Insomma a 15 minuti di film è già chiaro chi ha pagato la linea 2 del tram. La città di Firenze ve ne è grata. Inferno di Ron Howard aveva già contribuito a finire in tempi record la linea 1 della Tramvia, la cui costruzione, se non lo sapete, è stata (ed è ancora) uno degli argomenti principali e più ricorrenti nei salotti fiorentini.
Per farla breve, muore il pilota, scappano da Firenze, Deadpool-senza-maschera ingaggia un nuovo componente della squadra, nuove missioni a caso li attendono in altri bei posti del mondo, Hong Kong, Abu Dhabi… Boh, in tutti questi posti si spara comunque, il che è un po’ come viaggiare all’estero e ordinare sempre gli spaghetti.
Lo sparare è così abbonante e così continuo durante tutto il film da diventare un costante rumore di fondo, come il suono delle rotaie su un treno, che ha portato ad addormentarmi per almeno 20 minuti. Al risveglio ancora sparavano, non credo di essermi perso più di tanto.
I pochi momenti di dialoghi purtroppo fanno rimpiangere lo spara-spara, privi di alcuno interesse ma, proprio perché superficiali e banali, risultano essere le scene più difficili da seguire. Per questo ho trovato difficoltà a raccontarvi una trama e, sebbene non vi sappia dire quale fosse la scusa che portava i nostri sparacchiosi 6 in varie parti del mondo a sparare alla gente, l’arco narrativo del protagonista in compenso lo si può capire anche a occhi chiusi (stavo solo riposando le palpebre!): da un’iniziale non volersi affezionare ai suoi compagni di squadra ai quali aveva persino proibito di conoscersi per nome e imposto la regola del Menga (cioè chi rimane indietro s’attacca), alla fine del film arriva ad accettare l’idea che questi suoi sei macellai sono diventati una famiglia dove tutti si guardano le spalle a vicenda e nessuno viene più lasciato indietro.
Nessuno ha mai detto che Bay parli dei massimi sistemi.
L’A-Team patinato riesce a far fuori un generico dittatore arabo e al suo posto sale il fratello che, per quanto ne sappiamo, potrebbe essere altrettanto terribile, ma non ce ne frega niente e la missione è compiuta: i membri della squadra hanno imparato a volersi bene, non è questo che conta in fin dei conti?
Aspettando 7 Underground
Il finale si apre tranquillamente all’idea di un seguito e, sicuramente, la squadra dei 6 sottoterra (diventati poi 7 dopo mezz’ora di film), ora unita come una famiglia, potrebbe trovare nuovi posti bellissimi dove sparare alla gente. Magari con l’ausilio di una sceneggiatura potrebbero anche conquistare una loro nicchia di mercato. Non essendoci un botteghino su Netflix, è anche difficile valutare se sia stato un film di successo o meno.
Come dice Cassidy del blog La Bara Volante il film è indubbiamente autoriale, quindi mi risulta difficile valutarlo secondo i semplici parametri del “mi è piaciuto” o “non mi è piaciuto”, valutazione che comunque lascerebbe il tempo che trova. L’azione c’era? Costantemente. Era memorabile? Non particolarmente. Mi ha fatto dormire? Beatamente. Lo rivedrei? Noncipensopropriamente. Merita un seguito? Sicuramente.
Spero vivamente in un seguito (7 Underground?), nuovamente ambientato per soli 10 minuti a Firenze, perché la linea 3 della Tramvia dovrebbe arrivare proprio sotto casa mia riducendo notevolmente i tempi di spostamento al lavoro, quindi prima arriva meglio è. Viva Michael Bay! Torna presto!
Se non lo avete ancora visto e non avete intenzione di farlo, il trailer vi può bastare. Tutte le cose memorabili del film sono lì.
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