Benvenuti a Squahamish, dove la gente è doppiata male
Il 1 maggio compare su Netflix il film L’altra metà (The half of it, 2020), una reinterpretazione del Cyrano de Bergerac in salsa adolescenziale con una variante inedita, l’avere un protagonista di sesso femminile (Ellie, ragazzina nerd snobbata da tutti) al posto di un Cyrano maschio. Così, come nella commedia del 1897, la nostra Cyrano, aiuta l’amico impacciato (qui Paul, compagno di scuola che gioca nella squadra di football) a conquistare una ragazza, Aster, grazie ad una serie di lettere che possano far innamorare questa ragazza popolare in cerca di una via di fuga intellettuale. L’innamoramento epistolare scatterà invece tra le due ragazze. Sì, è uno di quei film impietosamente etichettati “LGBT”, quindi, omofobi, state alla larga.
A parte la reinterpretazione del Cyrano de Bergerac, L’altra metà è dopotutto uno dei tanti racconti di formazione dalle premesse forse un po’ trite, come quella gli adolescenti americani in attesa di andare al college per fuggire da una piccola città di provincia, Squahamish (o come dicevano a scherzo nel film Schifohamish), e forse questo film di Alice Wu non rimarrà nella storia del cinema, né rimarrà troppo a lungo nella memoria degli spettatori, ma di certo non si meritava niente di male. Arriva invece con un doppiaggio da subito lamentato, giustamente ridicolizzato e spernacchiato, ben al di sotto degli standard di decenza. E subito la memoria torna al recente caso di Summer ’84, sempre doppiato nel 2020. Ma che è quest’anno?!
Netflix, al contrario di alcuni distributori nostrani (LuckyRed ce l’ho con te), non è sordo alle lamentele del pubblico e il 14 maggio quel primo doppiaggio viene sostituito da un nuovo doppiaggio italiano, questa volta professionale. Un ridoppiaggio sostitutivo per cancellare la memoria di quel primo disastro che, mi dispiace per Netflix, non è andato perduto per sempre ma rimane conservato nei miei archivi, memento dell’ennesimo tentativo americano di prendere in mano le redini di un mestiere che richiede una professionalità che spesso diamo per scontata e che certamente non si può improvvisare. Non basta essere attori decenti per essere anche doppiatori decenti.
Su questo blog (non lo dirò mai abbastanza) è raro che mi metta a parlare o a giudicare la qualità delle interpretazioni. La traduzione di audiovisivi e l’adattamento linguistico sono gli argomenti di mia competenza, non la recitazione. E ci sono tanti doppiaggi, tra quelli televisivi e quelli dell’home video, che personalmente reputo mediocri o che non reggono il confronto con quelli più “cinematografici”, ma salvo rari casi questi argomenti non trovano grande spazio su questo blog, perché si tratta comunque di doppiaggi professionali e l’argomento “questo doppiatore è più bravo di quest’altro” è materia da forum di appassionati, se non da salotto, e lì possono rimanere per quanto mi riguarda. Tuttavia, questo è uno dei rari casi in cui mi trovo a infrangere la regola non scritta. Con il primo doppiaggio di L’altra metà, così come con il doppiaggio di quel Summer of ’84, già recensito, ci immergiamo purtroppo nel regno del dilettantesco e non ci vuole un esperto per poterlo affermare.
Anche questa volta lascio che delle clip dal film parlino da sole. Il video dura una quindicina di minuti e raccoglie alcune delle parti “migliori”.
Concorderete che peggio di così c’è solo un rutto nel microfono. Un’iperbole? Mica tanto. Sentire questo genere di cose è svilente per i professionisti del settore, per gli spettatori e anche per le persone coinvolte (potrei mai prendermela con un lavoratore che accetta un ingaggio per tirare a campare? Certo che no!). Il problema è nella testolina dei distributori americani che ancora oggi, nel 2020, credono che sia pensabile doppiare film a casina loro, spendendo il meno possibile. Basta prendere gente che sa parlare italiano, no? Che ci vuole. È successo esattamente ciò che accadeva nei primi tempi della storia del doppiaggio e ancora oggi ogni tanto ci provano, con i risultati appena sentiti. Cos’è quest’anno, un qualche anniversario della nascita del doppiaggio italiano? Netflix voleva celebrarlo così?
Il cast del primo doppiaggio Netflix
Una breve ricerca sui nomi che comparivano nei cartelli finali della prima versione è stata una tappa obbligata per cercare di sbrogliare la matassa del “che cosa è successo con questo doppiaggio?”. I nomi dei doppiatori comparivano nei cartelli di coda del film, questo fino all’arrivo del secondo doppiaggio, quello definitivo, che ovviamente ha portato alla sostituzione anche dei cartelli finali. Qui riporto i nomi del primo cast di doppiatori, con una breve descrizione basata su informazioni pubbliche e liberamente accessibili, quali pagine Linkedin, profili di agenzie di casting e pagine IMDb. Noterete forse un filo conduttore che li lega tutti:
Chi sono i doppiatori
Ellie Chu è Iaeli Anselmo, di Roma, attrice, in produzioni americane almeno dal 2017, attualmente vive e lavora a Los Angeles.
Il nostro Paul Munsky è Roberto Aurelio Cerletti, musicista, batterista, vive e lavora a Los Angeles. Non ho trovato informazioni biografiche ma suppongo che sia italiano anche lui, o forse lo sono i genitori? In questo sito potete sentire anche delle clip audio in tre lingue diverse: French, German e Italian (“le strade di Pariggi e di Giggibbuffon si separano dopo una sola staggione…“).
Aster Flores è Daria Sarmientos, italiana, nata e cresciuta a Milano, presente in produzioni USA almeno dal 2017, attualmente vive e lavora a Los Angeles.
Edwin Chu è Andrea Iaia, suppongo questo Andrea Iaia, attore italiano.
Trig Carson è Francesco Capussela, altro attore italiano che vive e lavora a Los Angeles.
il Diacono Flores è Peter Arpesella, attore italiano, di Bologna, lavora da una vita a Los Angeles (ed era comparso anche in Le Mans ’66 – La grande sfida ad interpretare un membro dello staff Ferrari).
La professoressa Geselchap è Barbara Magnolfi, attrice italiana, vista anche in Suspiria di Dario Argento. Ultimi lavori attivi in produzioni americane. A giudicare dal suo profilo Instagram vive in California e fa anche “voice over“.
Solange è Enrica Manni, di Sondrio, attrice, vive e lavora a Los Angeles almeno dal 2015.
Amber è Denise Faro, cantante e attrice italiana, compare in produzioni a Los Angeles almeno dal 2015.
Nel cast aggiuntivo troviamo inoltre:
Max Pregoni, altro attore con agente a Los Angeles; Gaia Passaler di Milano, anche lei attrice che lavora da anni a Los Angeles; Gabriele Martinelli, nato a Napoli e trasferitosi da adolescente in America, anche lui lavora come attore a Los Angeles; Massimiliano Frongia, italiano, con produzioni internazionali in curriculum. Per finire: la direzione del doppiaggio è di Gabriele Di Sazio, italiano, regista, con alcuni corti all’attivo, girati indovinate dove? Los Angeles.
Doppiaggio e sonorizzazione a cura della Igloo Music Corporation, di Burbank, una contea di Los Angeles. È una delle aziende del programma di post-produzione NP3 di Netflix in cui è classificata con un bollino “argento” (silver) ma considerata idonea soltanto per la lingua inglese (nello specifico “inglese americano”) secondo il sito di Netflix.
Avete già trovato il filo conduttore? Il cast è composto da italiani che vivono e lavorano nella città di Los Angeles. Quello di L’altra metà è un doppiaggio americano realizzato utilizzando attori italiani che Netflix aveva a disposizione in zona, con l’aggiunta di un musicista (che spero si sia almeno fatto qualche risata a doppiare Paul) ed un regista, che in inglese si dice director, quindi a Netflix avranno pensato vabbè, director, dubbing director… è a stessa cos’! Sono assolutamente certo che siano tutti dei veri professionisti nel loro campo, a prima vista il loro CV lo dimostra senza ombra di dubbio (Cerletti ad esempio è percussionista per Disney, Fox e altre aziende famose), e anche se molti di loro lavorano regolarmente con la propria voce in quanto attori, chiaramente non sono doppiatori professionisti. Nessun professionista direbbe mai “Poll, ma ti ci stai sposando co’ a spazzatura?” (voce fuori campo in romanesco che chiama Paul, a esattamente 1 ora e 57 minuti). Fa ridere ma fa anche piangere.
Che non si offendano dunque gli attori menzionati, del resto anche tanti attori italiani bravissimi e famosissimi non sono poi così bravi in sala di doppiaggio, quando devono andare a ricreare emozioni altrui o addirittura le proprie. Aggiungiamo a questo il fatto che i doppiatori della prima versione italiana di L’altra metà, di fatto, non erano diretti, e che le voci da abbinare ai personaggi siano state scelte seguendo un criterio essenzialmente “geografico”, questo è il quadro. Di quel cast, l’unica persona con un curriculum attivo nel mondo del doppiaggio sembra essere la dialoghista Carolina Quitadamo. La direzione delle voci invece è virtualmente inesistente! Da qualche “hey” pronunciato all’americana (invece di “ehi”), a vari errori di pronuncia incluso un “tu” detto “tiù”, tipo Stanlio e Ollio… e buona la prima! Anche quegli attori che sono stati bravini al microfono ogni tanto pronunciano frasi o recitano in modi che un direttore di doppiaggio professionista non approverebbe neanche con una pistola puntata alla testa.
Ad esempio quando la protagonista (Ellie) legge ad alta voce la lettera scritta dal ragazzo imbranato (Paul) sentiamo:
“Dicono che sia il più carino della mia famiglia, cioè, lo pensa mia nonna… che è morta adesso.”
Qui non c’è nessun errore di adattamento, ancora una volta è il doppiaggio che fa danno. L’errore è nel modo in cui questa frase viene recitata [più precisamente nell’appoggiatura, mi suggerisce Mauro Stoppa, conduttore radiofonico, esperto sull’argomento recitazione], infatti nel primo doppiaggio la ragazza sembra dire che la nonna sia morta in questo momento, cioè mentre legge la lettera (o meglio, mentre Paul la scriveva), cosa che ovviamente non ha alcun senso (“who is dead now” in originale, cioè la nonna “che ora è morta”). Come cambia radicalmente la stessa frase nel secondo doppiaggio! Il copione infatti rimane identico ma si capisce chiaramente dal mondo in cui viene recitata (cioè appoggiando non più su “adesso” come nel primo doppiaggio ma su “è morta”) che la nonna invece è già morta in un non ben determinato passato. Il confronto tra un doppiaggio professionale, “diretto”, e uno “arrangiato” non può che essere impietoso in questi casi.
La reazione del pubblico italiano
Il cast del ridoppiaggio
Per completezza riporto anche il cast del secondo doppiaggio Netflix, effettuato dalla VSI Rome, un’altra azienda della lista Netflix, anche loro con bollino “silver”, evidentemente c’è silver e silver. I cartelli finali di questo nuovo doppiaggio sono solo due, quindi l’elenco riportato con personaggi e loro corrispettivi doppiatori è limitato.
Direzione del doppiaggio: Maura Cenciarelli Assistente al doppiaggio: Francesca Vichi Dialoghi: Carolina Quintadamo
Ellie Chu: Emanuela Ionica Paul Munsky: Marco Briglione Aster Flores: Erika Necci Edwin Chu: Emilio Barchiesi Trig Carson: Manuel Meli Diacono Flores: Sergio Lucchetti
L’adattamento italiano di L’altra metà
“Tesoro? Taco time!”
L’adattamento è in generale decente ma non manca di momenti in cui avrebbe giovato una revisione in più, oppure la supervisione competente di figure normalmente presenti (e non a caso!) in un doppiaggio professionale ma che sicuramente gli americani potrebbero vedere come ridondanti, inutili costi in più. Molti dei casi elencati qui di seguito sono stati poi corretti con il secondo doppiaggio. Quasi tutti almeno.
Non è questo il caso di Liberal Arts diventato “arti liberali” (“Sta lontana dalle arti liberali“) invece di scienze umanistiche/materie umanistiche/”lettere e filosofia”/studi umanistici, la scelta è vasta prima di buttarsi su un “arti liberali”, sconosciute al pubblico di lingua italiana, a meno che in America non abbiano piani di studi di stampo medievale.
Da wikipedia: Arti liberali era l’espressione con la quale, durante il Medioevo, s’intendeva il curriculum di studi seguito dai chierici prima di accedere agli studi universitari. Più in generale le arti liberali erano quelle attività dov’era necessario un lavoro prettamente intellettuale, a fronte delle “arti meccaniche” che richiedevano lo sforzo fisico.
Questo “arti liberali” è rimasto anche nel secondo doppiaggio, quello “correttivo”. Ma cosa studiano nei college americani? Andiamo avanti.
Il padre richiama l’attenzione della figlia dicendo: “Tesoro? Taco time!” (e io posso dire “cazzo”?). Nel secondo doppiaggio questa battuta è stata trasformata giustamente in “Tesoro? È l’ora dei tacos“, a riprova che dopotutto i tempi delle battute non sono un limite così invalicabile se poi deve costringere a lasciare delle frasi in inglese (solo perché cool?). Cos’è che esprime esattamente “taco time” che non esprime anche la frase “è l’ora dei tacos”? E chi direbbe “taco time” in italiano? Perché il film… è doppiato in italiano, no? [NdA: che poi dovrebbe dire che è l’ora dei taco, non dei tacos, perché parole importate rimangono sempre al singolare in italiano, ma lasciamo perdere]
All’appuntamento a base di patatine e frappè, Paul il sempliciotto non sa cosa dire e così esclama: “They use Reddi-whip” (cioè “Usano la Reddi-whip”, una marca di panna montata spray). Nel primo doppiaggio italiano questo diventa:
È una panna commerciale.
Buona la decisione di abbandonare una marca, ignota in Italia (altre note anche da noi invece sono rimaste)… ma che cavolo è una “panna commerciale“? Voleva una panna spray… di pregio? O forse una panna con qualità artistiche? Insomma ‘sta panna è ‘na commercialata, non ci sono più le panne di una volta. Il secondo doppiaggio parla più correttamente di una panna industriale.
Nessun copione viene sfornato perfetto, per carità, e piccole rifiniture arrivano sempre in fase di revisione da parte di un supervisore competente, o anche in fase di doppiaggio, al microfono, sotto suggerimenti di attori o del direttore del doppiaggio. Questo almeno è ciò che avviene o che può avvenire in una normale filiera del doppiaggio audiovisivo, ma evidentemente viene meno in un doppiaggio arrangiato alla meno peggio a Los Angeles, quando si ha a che fare principalmente con persone che non hanno esperienze specifiche nel settore. È logico poi trovare anche nel copione piccoli errori o frasi poco chiare, che nessuno ha avuto l’ardire di “aggiustare”.
Un’altra frase poco chiara arriva all’inizio, quando Paul, riceve la prima lettera di risposta e la fa leggere alla sua “ghostwriter” Ellie:
Lettera di Aster: “Anche a me piace Wim Wenders, non l’avrei copiato però.”
Paul: Chi è Wim Wenders? E perché l’hai copiato?
Ellie: Non l’ho copiato.
Paul: Sì che l’hai copiato, l’ho pure cercato!
Ditemi voi… cosa può aver cercato Paul? Ha forse cercato chi sia Wim Wenders? Direi di no, perché all’inizio chiede “chi è?”. Forse ha cercato la frase o citazione copiata? In tal caso non dovrebbe dire “cercata”, al femminile? Capirlo da questo testo è impossibile. Il secondo doppiaggio cerca di attenuare l’effetto e cambia in “Sì che l’hai copiato, l’ho cercato!“. Ancora però non si capisce cosa abbia cercato. Ok, l’italiano evidentemente non ci viene in aiuto.
In lingua originale la parola usata è “plagiarized” lì dove il testo italiano parla di “copiare”, la battuta gioca sul fatto che Paul è un sempliciotto ignorante e non conosce un parolone come PLAGIARIZED. È quella la parola di cui Paul aveva cercato il significato. Purtroppo il nostro “copiare” non è così inarrivabile e nessuno in italiano avrebbe dubbi sul suo significato, quindi è impossibile pensare che quel “l’ho cercato” voglia dire “ho cercato il significato della parola copiare“, né si lega ad altri elementi del dialogo. Cosa abbia cercato, in italiano non si capisce. Questa frase andava cambiata leggermente. Insomma, rifiniture. Il copione aveva bisogno solo di qualche aggiustatina in più, impossibile quando risparmi così tanto che ci sono più assistenti al doppiaggio che doppiatori.
Diamo la colpa al COVID-19?
Netflix ha cercato di cancellare la memoria di quel primo doppiaggio eliminando dai propri profili social qualsiasi post che parlasse del film, così da far sparire anche la cornucopia di infamate che, a buon ragione, riempivano la sottostante area commenti. In loro difesa, poi il film lo hanno fatto doppiare una seconda volta e in tempi rapidissimi (del resto il copione è rimasto quasi lo stesso). C’è da chiedersi dunque: non si poteva avere un doppiaggio decente da subito? Tante serie sono ancora in attesa di doppiaggio, con episodi disponibili soltanto sottotitolati, che fretta c’era di sfornare questo film con un doppiaggio così imbarazzante?
Certo possiamo dare la colpa al COVID-19 e al blocco delle attività, ma se è stato possibile farlo doppiare in Italia una settimana dopo, quella del virus è davvero una scusa valida? O piuttosto è stata l’occasione per riproporre una vecchia abitudine americana, quella di cercare di doppiare in proprio i film, per risparmiare sui costi di post-produzione… come se doppiare in italiano volesse dire semplicemente “far parlare gli attori in italiano”.
Insomma, bella scusa quella del virus, sembrava quasi plausibile! Certo che agli occhi di un distributore americano il pubblico italiano sembrerà una manica di sofisticati snob a cui non va mai bene niente e che rompono i coglioni su cose che a loro sembrano fatte pure bene. Chi doppia sono italiani, no? So’ pure attori! Che volete deppiù?! Pensa che stronzi che siamo, a esigere doppiaggi recitati bene, in maniera “invisibile” e che rappresentino correttamente il prodotto originale. Siamo proprio stronzi.
Ad una recente rivisitatina di The Predator di Shane Black, ho fatto un grande sforzo mnemonico per cercare di ricordare se lo avessi visto addirittura al cinema, ma esistono dei miei post sui social che, sì, dimostrano senza ombra di dubbio che ci sono stato. Di solito questo non sarebbe un buon segno, ma mentirei se vi dicessi che il nuovo capitolo della saga non mi ha divertito. Per un motivo o per un altro ormai sono arrivato alla terza visione e, pur ammettendo che non si tratta di un film memorabile, né particolarmente intelligente, non mi sento di detestarlo, né mi diverte meno ogni porca volta che me lo vado a rivedere (cit.). Fa già ridere il solo fatto che esista.
Ammetto però che nel formulare questa opinione sul film potrebbe aver influito anche un mio gusto perverso. Infatti il 16 ottobre 2018 andai al cinema già sapendo che questo The Predator (uscito nel resto del mondo già un mese prima!) aveva fatto incazzare fan e appassionati in tutto il mondo, e deluso gli altri. Quindi ogni scemenza presente nel film mi portava a ridere internamente di chi, nell’anno del Signore 2018, aveva addirittura delle aspettative per un seguito di Predator. Per aiutarvi a bollarmi come nemico pubblico, forse dovrei anche ammettere, qui e ora, che Predator 2 è il mio film preferito della serie, soprattutto nella sua versione italiana con Paolo Buglioni come voce del protagonista. È quello che riguardo più spesso e più volentieri. Il primo Predator (1987) lo riguardo se mi capita in TV mentre Predators del 2010 l’ho visto una volta sola e non lo rivedrò mai più finché campo, non so neanche chi lo abbia diretto, forse un software della 20th Century Fox. Non era brutto, semplicemente non era di alcun interesse. Per me, s’intende. Ma ai fan piace tanto, sembra.
Quindi potete immaginare le mie aspettative davanti a poster con uno slogan come questo:
Lo slogan pubblicitario più spaventoso del mondo: “darà ai fan ciò che vogliono“
The Predator del 2018 altalena tra il serio e il comico, e secondo me dovrebbe essere un caso di studio perché non fa ridere quando vorrebbe far ridere… e proprio per questo fa ridere. Mi seguite? Bene. Va visto con lo spirito giusto, insomma. È l’effetto che avremmo se un film degli anni ’80 venisse girato e presentato oggi, con sceneggiatori e regista ignari del fatto che intanto siano passati 40 anni da quel decennio e il linguaggio del cinema (e anche le aspettative del pubblico) sono cambiate, tornare indietro è impossibile, come dimostra anche il fatto che la locomotiva dei Lumière non ci fa più scappare dalla sala cinematografica.
Le visioni cinematografiche per me sono sempre l’occasione per saggiare anche l’adattamento ovviamente, e se The Predator (2018) ha fatto incazzare tutti gli spettatori per via del suo umorismo (a tratti sembra una parodia dei precedenti), come se la sarà cavata con il doppiaggio?
Armiamoci e partiamo alla sua esplorazione.
L’adattamento di The Predator (2018)
In un confronto diretto tra testo originale e battute doppiate potrebbe subito saltare all’occhio che la versione italiana non è una traduzione alla lettera, non ha paura a cambiare le battute mantenendone il senso e lo spirito, e gran parte di queste alterazioni sono sensate. Se seguite questo blog da qualche tempo avrete già capito che questa è cosa buona. Se la battuta “fucking you up is their idea of tourism” (letteralmente: “farci il culo è la loro idea di turismo”) diventa “e spaccarci il culo è il loro sport preferito“, ci possiamo sentire subito il sapore di un buon adattamento. E da quand’è che non sentivate un “porca troia!” in un doppiaggio italiano? (“Holy shit!” in originale). Il film ce ne regala ben due. Certo, un’espressione misogina che oggi può far storcere il naso, ma indubbiamente vicina ai doppiaggi degli anni ’80 anche sul piano linguistico, e quindi in linea con il gusto del copione di Shane Black, che, come il pesce ratto, può piacere o può non piacere. Il doppiaggio italiano di The Predator, insomma, è fedele alle intenzioni del copione originale, che vi piaccia o no.
Le parolacce sono sempre un buon punto di partenza per valutare un adattamento e in questo film di certo non mancano, sempre naturali e mai sembrano traduzioni troppo dirette, dal “maledetti stronzi” che traduce semplicemente un “fucking” messo in mezzo ad una frase, al “avete rotto il cazzo alla famiglia sbagliata” (“you fucked with the wrong family”). E tante altre ce ne sono.
La maledizione dei buoni adattamenti è che sono invisibili, quindi è anche difficile fare liste di battute ben riuscite e renderle anche interessanti, quindi mi limiterò ad un paio di casi sui quali voglio aggiungere una qualche nota.
Te li do io gli anni ’80!
Dialoghi anni ’80
Alla domanda “che cazzo è quello, capitano?” (what the fuck is that, Cap?), il protagonista risponde:
Originale: It’s above our pay grade.
Doppiaggio: Non siamo pagati abbastanza per questo.
La battuta originale sarebbe più strettamente un “è al di sopra delle nostre competenze”, che non ha proprio la stessa sfumatura ma, dopotutto, chi lo direbbe mai in italiano? La versione italiana “non siamo pagati abbastanza per questo” ci è familiare e sa molto di anni ’80. Alzi la mano chi non ha pensato almeno per un attimo al “sono troppo vecchio per queste stronzate” di armaletaliana memoria! Una frase scritta da Shane Black (autore di Arma letale, 1987), resa popolare proprio da Danny Glover, protagonista anche di Predator 2 (di cui un giorno dovrò assolutamente parlare). Quante connessioni attinenti in una sola battuta! Per tutto ciò che ha a che fare con Shane Black, che possiamo tranquillamente dire essere uno dei creatori del cinema anni ’80, vi consiglio caldamente la rubrica del blog La bara volante di Cassidy che ne ha esplorato la carriera in questa serie di articoli.
Se le battute non fanno ridere, è colpa del doppiaggio?
Sono certo che ad una prima visione qualche spettatore italiano avrà ingiustamente accusato il doppiaggio di aver portato battute non particolarmente divertenti o efficaci. Del resto il pensiero che viene a tutti oggi è: forse era più divertente in inglese, perché dare automaticamente colpa al doppiaggio senza vedere il film in originale è ormai lo sport nazionale. Invece ad un confronto diretto è chiaro che sono stati tenuti con estrema eleganza anche gli stessi giochi di parole. Un esempio tra tutti lo troviamo nei dialoghi di presentazione sull’autobus, quando un “Maker” (Creatore) diventa “make her” (me la faccio) o, più precisamente, quando “before your Maker” (= davanti/dinanzi al Signore) viene trasformato goliardicamente in “before I make her” (= prima di farmela), sottolineato da un volgare fischio finale e un movimento del bacino.
Originale – When you’re standing at attention before your Maker… – I always stand at attention before I make her.
Doppiaggio – Quando sarai sull’attenti davanti al Signore… – Sono sempre sull’attenti davanti alle signore.
Se comunque non vi ha fatto particolarmente ridere… non è certo colpa dell’adattamento italiano. Il film comunque non manca di battute effettivamente spassose, ogni tanto ce la fa a strappare una risata.
Sapeva dire anche baule, Aurelia, aiuola e Palaia…
Essere in grado di capire qualcosa
Per quanto abbia elogiato una traduzione non diretta del testo originale in favore di una maggiore naturalezza, il testo non manca di classici (la conio qui ed ora) “doppiaggesismi” che tradiscono traduzioni un po’ più artificiose. Come spesso capita, alcune vengono da esigenze di labiale o dei tempi della battuta, altre forse potevano godere di un’alternativa più efficace. E capisco che qui sto per spaccare il pelo in quattro, ma senza molto togliere al resto dell’opera.
Quando la madre propone al figlio una scelta tra due maschere da indossare durante la notte di Halloween, il bambino si preoccupa dei bulli:
– I ragazzi, ecco… loro saranno in grado di capirlo. – Capire cosa? – Che sono io.
La frase che suona un po’ artificiosa è quella che contiene il “saranno in grado di” che, a naso, direi che si tratta del classico “will be able to”+verbo, cioè semplicemente il modo in cui in inglese si costruisce il futuro di “can” (potere), da non tradurre letteralmente come “essere in grado di”. In realtà il “can” in questi casi non si traduce nemmeno. Non molto sorprendentemente scopro che la frase originale era la seguente:
The guys will… they will still be able to see. / See what? / That it’s me.
Bene tradurre “see” (vedere) come “capire”, ma non era più naturale dire “i ragazzi lo capiranno lo stesso“? Cito un sito che riporta questo stralcio di grammatica inglese: “Can” è utilizzato [anche] con i verbi di percezione. In questo caso spesso non viene tradotto in italiano. (es. Can you hear that noise? / Lo senti quel rumore?). “Riuscire” o “essere in grado di” hanno invece sfumature diverse.
Non è neanche una battuta che necessita del labiale perché chi la dice è praticamente di spalle.
I ragazzi… lo capiranno lo stesso. / Capire cosa? / Che sono io.
L’unica ragione che, intuisco, giustifichi una tale scelta è la ricerca di una risposta concordante: in questa scena, la risposta “capire cosa?” ha un labiale fin troppo visibile che non dà spazio ad un “capiranno cosa?”, né a un più semplice “che cosa?”. Ma ritengo che sia più naturale sentire “Lo capiranno lo stesso. / Capire cosa?”, invece di forzare un “saranno in grado di capirlo” che sa proprio di doppiaggese, cioè una di quelle frasi che sentiamo nei film doppiati ma che nessun italiano userebbe in quella stessa situazione, men che mai un bambino. Mi rendo conto che si tratta di un tipo di frasi che per pubblico passano pressoché inosservate, un po’ perché comunque “si capisce lo stesso” e un po’ perché si tratta di quel tipo di frasi già familiari a molti, le hanno sentite migliaia di altre volte nei doppiaggi moderni finché non sono diventate “invisibili”. Ma questo tipo di espressioni sono tra i difetti principali di gran parte dei doppiaggi di questa era, in cui è più importante la durata di una battuta che la naturalezza delle frasi, anche se queste sono dette di spalle.
Siete in grado di capirlo? 😉
“Uccide le persone, così puoi fare il postino”. Eh? cosa???
All’inizio del film, il postino consegna tutta la posta arretrata a casa del protagonista, gli apre la porta il figlio autistico con il quale instaura il seguente dialogo:
– I pagamenti della sua casella postale sono scaduti. Dipartimento della Difesa. Lavora per il governo, giusto? – 1-1-3-B-3-V-W-3. (originale: “MOS 1B3VW3“) – ??? – Il suo incarico militare. (originale: “Military designation“) – Ah! – Uccide le persone… così puoi fare il postino. (originale: “He kills people… so you can be a mailman“)
Quest’ultima frase può lasciare confusi ad un primo ascolto. È una di quelle frasi patriottiche molto americane dove si dà a intendere che il duro lavoro dei soldati in guerra permette ai civili in America di condurre una vita pacifica nel loro paese. Purtroppo, una traduzione diretta, per quanto comprensibile sulla carta, lascerà sempre perplessi ad un primo ascolto perché non è un genere di frase con la quale abbiamo familiarità. Nessuno in Italia direbbe mai “mio padre combatte in Afghanistan, così puoi fare il postino”, le due porzioni della frase non cascano automaticamente in una sequenza logica, ed è difficile capirne il senso vista la rapidità della battuta. Forse andava ripensata un po’. Anche la sola aggiunta di un semplice “tu” (così TU puoi fare il postino) avrebbe forse portato qualche perplessità in meno. Facendo un giro nei forum di Wordreference.com ho notato che un utente indiano (che l’inglese lo conosce ma non ha familiarità con i modi di esprimersi degli americani) si chiedeva addirittura cosa significasse la frase originale in inglese, sentita appunto in questo film.
Nell’articolo intitolato The Predator’s Biggest Flaw Is That It Thinks It’s a Comedy (titolo traducibile come: “Il difetto più grande di The Predator è che si crede una commedia” ) pubblicato su Vulture.com, l’autore dimostra come questa scena, che si conclude con la frase “così puoi fare il postino” dopo una pausa significativa, sia chiaramente progettata come gag comica, con tanto di battuta finale messa lì per far sghignazzare il pubblico. Sembra però che abbia fallito nei suoi intenti persino nei confronti dello spettatore americano che ha familiarità con questa espressione. In sala infatti sembra che non abbia reagito nessuno.
E allora posso forse prendermela con il doppiaggio se il film in italiano ottiene il medesimo non-effetto? Nell’adattare un film che semplicemente non funziona e non raggiunge i suoi intenti, o si reinventa tutto (e giù questioni etiche sul doppiaggio che non dovrebbe “inventare” niente!) oppure si ottiene esattamente quello che abbiamo visto anche nelle sale italiane. Scene che lasciano punti interrogativi, spettatori perplessi. “Cosa? Ma che vuol dire”. Boh. Magari faceva ridere in inglese. Purtroppo no.
Però “così tu puoi fare il postino” l’avrebbe resa almeno più comprensibile, secondo me. Non che il film sia completamente privo di battute efficaci, lungi dall’affermare questo.
Passando ad una frase potenzialmente fraintesa…
Lo psicologo che interroga il nostro protagonista, sfogliando un fascicolo, dice:
So che lei passa la maggior parte del suo tempo in missione, lontano da sua moglie e da suo figlio.
In inglese sembrerebbe essere una frase di significato opposto:
You spend most of your time now in-country… estranged from your wife and son?
Che per adattarvela direttamente in italiano potrei tradurla così: “So che adesso passa la maggior parte del suo tempo in patria… ed è separato da sua moglie”. Ho omesso “figlio” perché a questo punto del film abbiamo già visto che il figlio vive con la moglie, ma ancora non sapevamo che moglie e marito erano separati. Ci viene rivelato solo in questo momento, molto prima di vederlo tornare a casa, dove la moglie infatti gli dirà che non dovrebbe trovarsi lì (“Ehi, questa non è più la tua casa!”). Capisco che possano esserci esigenze di labiale e di tempi, molte volte queste sono l’origine di alterazioni quasi obbligate ma, essendo lo spettatore lontano dai dietro le quinte dell’adattamento, viene sempre da domandarsi se sia stata effettivamente compresa la frase originale al momento della traduzione.
Le piacerebbe incontrare un Predator?
Il film The Predator (2018) gode nell’abbattere la famosa quarta parete, ammiccando più volte agli spettatori, con scelte che sono sicuro avranno lasciato perplesso più di uno spettatore. Una di queste colpisce quando per la prima volta nella saga cinematografica di Predator, qualcuno li chiama letteralmente “Predator”, e non con la p minuscola per definire questa razza aliena come generici predatori! No, no… dicono proprio “il Predator”, “un Predator”, con la P maiuscola e il simbolo ™ alla fine. Che è un po’ come se nel film Tremors, qualcuno chiamasse i mostri “Tremors”. Non so se mi spiego. È il tipo di ammiccamento che in un certo modo è presente anche in Ghostbusters II, dove il nuovo logo degli acchiappafantasmi è lo stesso fantasma della locandina del film che fa il “due” con le dita della mano. Siamo a quel genere di stranezza.
originale: Would you like to meet a Predator?
doppiaggio: Le piacerebbe incontrare un “Predator”?
il che fa doppiamente strano in italiano, dove il nome rimane (giustamente e soprattutto giustificatamente) in lingua inglese: “Predator”. A differenza del simbolo dei Ghostbusters o di altri esempi simili, qui lo sceneggiatore Shane Black se la gioca meglio nel creare una spiegazione del perché la razza viene chiamata Predator anche NEL film, giustificandolo quindi nel film stesso, e la spiegazione funziona anche per la versione italiana. Quindi è cosa buona.
Traeger: Avrà parecchie domande.
Dott.ssa Casey Brackett: Solo due veramente. Perché lo chiamate “il Predator”? (Why do you call it “the Predator”?)
T: Ehm, un soprannome. (It’s a nickname) Sa’, i dati ci dicono che traccia le sue prede. Sfrutta le loro debolezze. Sembra che… be’, si diverta. Come un gioco.
B: Non è un predatore, caccia per sport. (that’s not a predator, that’s a sports hunter)
T: Scusi?
B: Un predatore uccide le sue prede per sopravvivere, ma quello che descrive è un pescatore di branzini. (A predator kills its prey to survive. I mean, what you’re describing is more like a bass fisherman).
T: Beh, è già deciso. “Predator” è più figo, giusto, cazzo? Già. (Well, we took a vote. “Predator” is cooler, right? Fuck, yeah.)
Colleghi in coro: Sì.
[Per intenderci il “bass fisherman” è il pescatore sportivo che si fa la foto con il pesce catturato. Molto divertente quella del “pescatore di branzini“]
Trovo che sia una spiegazione più che degna e che funzioni molto bene anche in italiano: lo hanno soprannominato “Predator” perché è più figo, cazzo! Non penso che abbiamo bisogno di sapere altro. Che poi, se ci pensate, è anche il motivo per il quale hanno lasciato il titolo originale nel 1987, quando c’era il fascino delle parole inglesi che finiscono per -TOR, solitamente associati a film di fantascienza/horror e con Terminator probabile apripista (uscito nel 1985 in Italia). Predator in particolare è ancora più comprensibile, gli manca solo una “e” per essere “predatore”, ma preserva quel fascino fanta-horror dei titoli in inglese che finiscono per -or.
Insomma, nel 2018 come nel 1987, chiamarlo “Predator” è più figo, cazzo.
I riferimenti ai precedenti film
Sei un bel mostro schifoso. / You’re one beautiful motherfucker.
La protagonista fa il verso allo Schwarzenegger che nel primo film diceva “you’re one… ugly motherfucker!” con il suo accento austriaco, e che in italiano diventò “mio Dio! Sei un mostro schifoso!“. Quella di appellare l’alieno con “ugly motherfucker” possiamo dire a questo punto che sia una pratica legata indissolubilmente alla serie di Predator. Se in Predators (2010) qualcuno diceva “What an ugly face you have!” solo in riferimento alla battuta di Schwarzy, in Predator 2 (1990) la battuta era ripresa pari-pari dal primo (omaggio per i fan), anche se in italiano era diventata “brutto figlio di puttana!” e quindi per anni non ho mai sospettato che fossero legate in alcun modo. In questo senso, The Predator del 2018 con il suo “Sei un bel mostro schifoso” fa meglio di Predator 2 nel citare le sue fonti e nel fare i suoi ammiccamenti… almeno quando può farlo. E non sempre può.
Sto parlando ovviamente di un’altra battuta di Schwarzenegger dal primo Predator del 1987, il celebre (in lingua originale) “GET TO THE CHOPPA!” (“get to the chopper”, cioè “raggiungi l’elicottero”, ma pronunciato alla Schwarzy), battuta divenuta celebre più per il modo in cui viene urlata dall’attore austriaco che per il suo reale messaggio. Nel primo film questa frase era urlata dal protagonista ferito per esortare la donna a raggiungere l’elicottero e mettersi in salvo. Nella versione italiana la battuta “Run! Go! Get to the choppa!” diventa “Scappa! Corri all’elicottero! Scappa!“. Il labiale di “scappa” su “choppa” è assolutamente perfetto, sebbene non particolarmente memorabile, e se ci pensate, non poteva proprio esserlo. In The Predator (2018) Shane Black ha riutilizzato questa battuta “get to the chopper” ma con riferimento ad un altro tipo di veicolo, un tipo di motocicletta chiamata proprio “chopper” (quella di Easy Rider per intenderci). È chiaro che questo riferimento auto-ironico non era possibile preservarlo in alcun modo.
“Get to the choppers!” è diventato semplicemente “Andiamo alle moto!“. Non si poteva usare né la parola elicottero, né tanto meno “scappa!”. Di meglio, insomma, non si poteva fare. Nessuno ha mai detto che la traduzione non abbia i suoi limiti. Anche questa voleva essere una gag, un po’ tristarella onestamente. Non è che ci siamo persi chissà quale grande omaggio.
C’è anche un bel “contatto!” urlato ripetutamente durante lo scontro nella foresta, un’espressione che sicuramente Shane Black ha messo lì come rimando alla famosa scena della devastazione di un intero angolo di giungla nel Predator del 1987, in questa scena Bill Duke avvistava il predatore alieno e urlava “contatto!” prima di radere al suolo la foresta con la sua mitragliatrice a canne rotanti. Certo, “contatto” fa parte di un gergo militare che ritroviamo in milioni di altri film e sicuramente lo avrebbero tradotto in questo modo anche senza preoccuparsi dell’accuratezza dei riferimenti a precedenti film, ma visto il livello generale, dubito che sia un caso fortuito. “Contact” vuol dire che un bersaglio è stato avvistato e ci si prepara ad attaccarlo. In entrambi i film (1987 e 2018) infatti viene urlato dopo aver avvistato l’alieno e prima di mettere mano al grilletto. Insomma, il doppiaggio italiano di The Predator 2018 è accurato anche nelle piccole cose e non si perde neanche i riferimenti più invisibili.
Il “Predator Killer”
Tutto bello insomma, almeno fino alla battuta finale, quando una misteriosa capsula, contenente un dono dei Predator buoni all’umanità, comincia ad aprirsi per rivelare il contenuto.
– Quindi questo è il suo regalo per il genere umano? […] Rory, cosa c’è in quella capsula?
– Oh, wow! Oh, cavolo! Ha un nome!
– Un nome, che nome?
– Io… credo che lo chiameresti… il Predator killer.
Se uno spettatore italiano guarda un film in lingua italiana è lecito pensare che interpreterà le battute del film in quella stessa lingua, una lingua dove “killer” è un sinonimo comune per assassino e dove il significato di “Predator” ci è già stato spiegato (anche se questo fosse il primo film della saga che vediamo e fossimo entrati ad occhi chiusi in sala senza guardare il titolo sul poster), quindi un “Predator killer” non può che essere interpretato come un “Predator assassino”, un nome molto pleonastico visto che durante tutto il film i predator non hanno fatto che uccidere persone. Del resto, “Predator killer” come altro potremmo interpretarlo? Se in italiano diciamo uno squalo killer, parliamo di uno squalo che ha ucciso esseri umani, cioè uno squalo “assassino”. È un uso fin troppo familiare, come ci conferma anche la Treccani: “Nel linguaggio giornalistico, anche con funzione appositiva, chi o che provoca la morte, assassino: in Africa la malaria è un killer spietato; squalo, zanzara killer.“.
Senza farla troppo lunga, la battuta originale era proprio “I guess you’d call it… the Predator Killer!” che tradotto vuol dire letteralmente “il killer di Predator“. Già subito chiaro, no? Italiano e inglese dopotutto invertono la posizione dell’aggettivo, non possiamo dire “squalo killer” e pensare che si tratti di un “killer di squali”. Questa è grammatica inglese di base. E allora posso dirlo…? Posso dire quanto sarebbe stato più appropriato, più immediato e comunque in linea con il film, se avesse detto:
Io… credo che lo chiameresti… l’ammazza-predator.
Semplice, applicabile a qualsiasi cosa possa uscire dalla capsula, sia esso un’arma, un animale, un essere umano, maschio o femmina. “Il Predator Killer” è un errore bello e buono che poteva facilmente essere evitato.
Visto il resto del copione, non mi sento di dare la colpa a chi si è occupato dei dialoghi, qui ci sento tantissimo lo zampino della supervisione della Fox che probabilmente esige che certi nomi rimangano in inglese per una qualche ragione di marketing, come del resto era sicuramente successo anche con Independence Day: Rigenerazione dove trovavamo navi “harvester” e una regina “harvester”… Ma che vor di’? Mbò, è un nome come n’artro! Sicuramente un marchio registrato e quindi dichiarato immodificabile; la mia è una supposizione ma sembra essere quasi un modus operandi della Fox, visto che questo genere di scelte le ritroviamo in qualsiasi loro titolo facente parte di un loro “franchise”.
Qualcuno alla Fox potrebbe dirmi che Predator Killer è un nome “tra virgolette”, quindi rimane in originale, cioè scritto così: Lo chiameresti, il “Predator-Killer”. Beh, scusate se ad una prima visione non ho sentito il suono del trattino o delle virgolette! Chissà che suono fa il marchio “™”? Ricorda molto la droide-armata di Star Wars – Episodio I: La minaccia fantasma, che era un film adattato in modo tragicomico (già esplorato nella mia recensione). La Fox evidentemente ci tiene tanto ai marchi registrati, non sia mai che un dialoghista di un paese estero li adatti valutando il contesto del film e non i copyright! La logica aziendale è: ci fosse mai un seguito, un fumetto o un videogioco, dove torna questo nome “Predator killer”, il consumatore lo potrà così riconoscere all’istante, in qualunque paese del mondo. Questo genere di ragionamento ha però senso soltanto negli uffici del marketing, durante la visione del film invece lascia solo confusi e disorientati (cit.). Ancora più ironico il fatto che, molto probabilmente, questo The Predator non avrà alcun seguito diretto, visto che la direzione presa da Shane Black non è piaciuta praticamente a nessuno ed ha recuperato appena il doppio del budget speso per girare il film, che in termini di Hollywood vuol dire un non-successo.
Se in alcuni casi, traduttori improvvisati necessitano di una supervisione capace, questo chiaramente non era il caso di The Predator, in cui i dialoghi generalmente godono di una traduzione attenta, ma sono le imposizioni dall’alto che introducono l’unico errore veramente degno di nota (Il Predator killer), ed è meglio che queste logiche da marketing applicato all’arte restassero fuori dalla sala di doppiaggio. Se poi è stata una scelta voluta e non imposta, che vi devo dire, “Predator-killer” è una grave scemenza! Ma se non altro l’unica grave scemenza.
La lingua dei predator
Prima di concludere non posso non nominare la presenza di alcuni momenti che per me sono stati a dir poco stranianti. Questi arrivano ogni qual volta i predator comunicano tra loro e noi vediamo dei “sottotitoli” nella loro lingua a ideogrammi, che vengono poi tradotti nella nostra.
Qui un esempio che viene dalla pellicola in versione americana.
L’effetto di per sé è già abbastanza strano, è la prima volta che vediamo dei sottotitoli al linguaggio degli alieni in un film di Predator, e che per di più si traducono da soli mantenendo il colore e lo stile, come se ci fosse un dispositivo alieno che li traduce per noi seduti in sala. Che dire… è certamente una scelta curiosa che va contro molti canoni del linguaggio cinematografico e potrei farci un articolo intero solo per spiegare perché secondo me sono una scelta stravagante (tranquilli, non lo farò). Ad aggiungere un effetto ancora più straniante è il fatto che al cinema, in Italia, questi si traducevano, ovviamente, in italiano. Troppi cortocircuiti nella mia testa. Spero di non essere stato il solo ad averli trovati un tantino strani. Il classico “bianco e centrato”, che fine ha fatto?
Do per scontato che la versione italiana del film non la vedremo mai più, quindi sul Blu-Ray (correggetemi se non è così) ci saranno questi sottotitoli arancioni su schermo che si traducono da soli in lingua inglese, e poi sotto, al centro, la traduzione italiana degli stessi. Un eccesso di testo. Vogliamo metterci pure un libro di testo che scorre a fianco del film?
Conclusione
Per quanto sia stato fatto un lavoro più che decente sull’adattamento italiano di questo The Predator, purtroppo non c’è modo di trasformare la merda in oro, i limiti del copione italiano sono gli stessi del copione originale, di cui la versione italiana fa una fedele trasposizione. Qualche frase poco chiara qui e là è possibile incontrarla (piccole cose, non sono stato neanche a nominarle) ma in generale sembra esserci stata molta attenzione nel rendere i dialoghi il più possibile naturali, dialoghi che denotano una vera comprensione del testo ed un attento rispetto dei riferimenti al film del 1987, ove possibile. Sarà contento l’amico Lucius del blog Il Zinefilo che nella sua recensione, arrivata in anticipo di un mese sull’uscita italiana, temeva che il doppiaggio potesse non essere all’altezza. Per fortuna si è dimostrato più rispettoso di molti altri.
Peccato che sul finale si siano intromesse figure che impropriamente chiamerò “quelli del marketing” della Fox, con le loro regole su quali nomi debbano rimanere “in inglese”, perché il “Predator killer” è l’unica battuta che stona con tutto il resto. Per favore, sistematela, non fateci sentire “il Predator Killer” e dateci piuttosto “l’ammazza-Predator” che ci meritiamo. Shane Black apprezzerebbe sicuramente.
In questo blog di solito non parlo mai delle voci del doppiaggio, preferendo l’argomento adattamento linguistico di cui sono competente, ma certo fa strano trovarsi in prima visione TV su un canale Rai un film del 2018, Summer of ’84, che fa sollevare persone da ogni luogo d’Italia per lamentarsi di un doppiaggio definito da molti “amatoriale”… per non dire di peggio. È ciò che è avvenuto il 10 febbraio 2020 durante la sua prima TV italiana.
Il doppiaggio di Summer of ’84 – Che diavolo è successo?
La recitazione da parte di molti membri del cast di doppiaggio di questo film, inutile negarlo, non è a un livello che dovrebbe essere consentito in televisione, ma neanche ricorda i doppiaggi rumeni che sono comparsi in passato su Netflix ad esempio, piuttosto siamo ai livelli di adolescenti che per passione si dilettano su YouTube a doppiare scene di film famosi: alcune battute sono passabili, altre sono terribilmente amatoriali. È brutto da dire di chi magari è agli inizi e si affaccia a questo mestiere ma da osservatore esterno del doppiaggio vedo un grosso problema all’orizzonte quando società di doppiaggio che sfornano prodotti da far storcere il naso anche allo spettatore qualunque ottengono lavori dalla Rai, e che questa poi ne consenta la messa in onda. Una situazione allarmante in un’Italia dove i doppiaggi vengono fatti all’insegna del risparmio sempre più estremo. Perché pagare 100 quando qualcuno dice di poterlo fare a 10? Forse una risposta a questa domanda potrebbe essere: magari per non avere spettatori che da casa pensano “lo facevo meglio io”.
Un doppiaggio commissionato da Rai4
In occasione del Lucca Comics & Games 2019, la Rai stessa annunciava un’anteprima nazionale del film Summer of ’84:
Anche quest’anno, Rai4 è a Lucca Comics & Games […] L’Area Movie del popolarissimo festival ospiterà l’anteprima nazionale del film Summer of ’84, una novità esclusiva del palinsesto Rai4 2020. Appuntamento a ingresso libero, fino a esaurimento posti, venerdì 1° novembre alle 18.00, presso il cinema Centrale. Scritta da Matt Leslie e Stephen J. Smith, e diretta a tre mani da François Simard e dai fratelli Anouk e Yoann-Karl Whissell, Summer of ’84 è una scatenata black comedy, che traspone il soggetto del grande classico La finestra sul cortile su uno sfondo anni ’80, sicuramente caro al pubblico di Lucca: una spericolata sintesi tra Hitchcock e I Goonies, che attinge a piene mani dall’immaginario nostalgico di Steven Spielberg, come da quello a tinte forti di John Carpenter.
Sorvolando sulla definizione di black comedy usata completamente a caso, posso intuire che al cinema lo abbiano visto in pochi, vista la concorrenza che c’era al Lucca Comics in quella giornata e nello stesso orario.
Da un lato Gualtiero Cannarsi che presenta qualcosa da lui adattato e la gente italica ormai va ad assistere a queste presentazioni anche solo per la curiosità di vedere con i propri occhi il personaggio, dall’altra il convegno “di menare” del blog i400calci. Insomma, di scuse per non andare a vedere Summer of ’84 ce n’erano tante quel fatidico venerdì 1° novembre. Il resto dei siti che riportano la notizia non hanno fatto che copiare-e-incollare il comunicato stampa Rai quindi non è stato facile trovare traccia di qualcuno che lo abbia visto per davvero, ma nei commenti a un articolo a tema pubblicato sul blog Moz o’clock, scopro che in occasione della proiezione lucchese il film è arrivato al cinema in lingua originale sottotitolato in italiano. Mi rincuora sapere che questo doppiaggio non abbia mai visto una sala cinematografica.
In un altro comunicato del sito della Rai, datato 19 novembre e intitolato Wonderland racconta Lucca Comics & Games, pochissime parole sono spese sul film, si conferma semplicemente che “Rai4 ha portato a Lucca il film Summer of ’84, una novità esclusiva del palinsesto Rai4 2020”. Non è né un film di Netflix, né è arrivato precedentemente su altri canali italiani, quindi è più che lecito ritenere Rai4 pienamente responsabile della distribuzione e del doppiaggio di Summer of ’84, poco importa chi abbia effettivamente eseguito il doppiaggio.
Le scuse di Rai 4 e la promessa di un ridoppiaggio
Certo, la rete Rai4 si è scusata e ha dichiarato che avrebbe considerato di farlo ridoppiare per le future messe in onda, ma il perché sia andato in onda un prodotto di simile qualità in primo luogo rimane comunque un mistero. Questo doppiaggio sub-professionale andava benissimo così a Rai4 solo finché non sono arrivate le prime lamentele? Eppure qualcuno deve averlo ascoltato prima di mandarlo in onda. Che un ridoppiaggio possa effettivamente arrivare in futuro è tutto da vedere e terremo le orecchie attente in occasione delle prossime messe in onda. Io intanto ho registrato il film come testimonianza di un doppiaggio che potrebbe scomparire per sempre.
Non ci è dato sapere quale società di doppiaggio abbia lavorato al film perché, come sempre, Rai 4 taglia di brutto i titoli di coda, né hanno voluto rispondere a questa domanda tramite i canali social dove sono comunque attivi. Quindi ovviamente non si sa niente sui doppiatori e su chi abbia lavorato al film e forse è meglio così, non avere nomi rende il mio lavoro di analisi del suo adattamento molto più facile, e quante ce n’è da dire sull’adattamento italiano di questo film!
Fischi per fiaschi: l’adattamento italiano di Summer of ’84
Se il doppiaggio di Summer of ’84 non passa inosservato, potrebbero invece passare inosservate alcune dubbie scelte di traduzione e di adattamento che non sono sfuggite a me. Dico “alcune” ma in realtà è quasi l’intero copione (tra errori gravi e di poco conto) e qui lo analizzo in dettaglio, come d’abitudine su questo blog. Mettetevi comodi, ci vorrà un po’. Delle gustose clip dal film doppiato in italiano faranno da intermezzo tra un argomento e un altro.
Primi minuti, primi errori
Si parte subito dai primi minuti con una cosa abbastanza tipica, la frase I’m an amateur photographer, tradotta come sono un fotografo amatoriale, invece di “fotografo dilettante”. Mi direte: ma come, “fotografo amatoriale” si dice! È vero, oggi si dice anche “fotografo amatoriale”, è una di quelle espressioni che originano dall’inglese e che si sono diffuse nel nostro paese in virtù di una loro facile comprensione (un fotografo dilettante potrà certamente essere anche “amatore” di questo hobby), ma cose come fotografo amatoriale restano comunque calchi dall’inglese, che potrebbero passare nel caso di un film ambientato nel presente e doppiato oggi, ma non proprio le più adatte da ritrovare nel doppiaggio di un film ambientato nel 1984, come dimostrato da questo grafico sull’incidenza delle due definizioni. Questa mostra come “fotografo amatoriale” sia comparso in Italia essenzialmente solo dagli anni ’90 e 2000, e comunque la sua presenza è poco significativa rispetto al più usuale “fotografo dilettante”.
Chi ha lavorato ai testi di questo film dunque è un adattatore amatoriale o un adattatore dilettante? Oggi si possono certamente usare entrambi i termini, ai posteri l’ardua sentenza.
La frase immediatamente successiva in realtà è la più interessante poiché cambia senza un vero motivo il contenuto del discorso tra il protagonista adolescente e il suo vicino di casa che si sospetterà essere un serial killer di bambini. Questa alterazione è cosa un po’ strana di questi tempi, quando la fedeltà assoluta al testo originale è considerata uno standard verso cui puntare (con i pregi e difetti che ne conseguono).
dialoghi originali
doppiaggio italiano
Sig. Mackey: So I’m an amateur photographer.
Sono un fotografo amatoriale.
Davey: Yeah, it’s cool. I’m sort of an amateur videographer, so I get it.
Oh, figo. Anche io sono un fotografo amatoriale.
Sig. Mackey: Just like the old man.
Abbiamo qualcosa in comune.
Nei dialoghi originali, il ragazzo, Davey, invece di dilettarsi con le macchine fotografiche, si diletta con le videocamere, uno strumento che sul finale diventerà elemento chiave nella trama. Non è dunque egli stesso un fotografo “amatoriale” come dice il doppiaggio italiano, bensì ha la passione della videocamera, proprio come suo padre (“just like the old man”) che, scopriremo presto, lavora come cameraman. Non hanno qualcosa in comune come dice in italiano. E temo che a monte ci sia stata un’incomprensione su quel “old man”, forse chi ha tradotto pensava che il signor Mackey si stesse riferendo a sé stesso, cioè come dire “proprio come me”. Partendo da questa incomprensione, non è difficile che una pareidolia (illusione uditiva) possa aver fatto credere al traduttore di aver sentito davvero la parola “photographer” al posto di “videographer”, così da dare un senso al resto della frase.
Da quella che era una battuta che giustifica o anticipa cose che vedremo successivamente nel film (una videocamera professionale che comparirà più avanti in mano ai ragazzini, il padre con il furgone da giornalista etc…), è diventata invece la tipica versione italica all’insegna del ma sì, facciamogli dire qualcosa che poi non avrà alcuna conseguenza o riscontro futuro nella trama! I dialoghi di questo film non sono da Oscar ma neanche così inutili.
I casi sono due: sturarsi le orecchie o familiarizzare meglio con la lingua inglese. Se fosse l’unico errore del genere non lo avrei neanche nominato, purtroppo non si tratta di un caso isolato. È la punta dell’iceberg.
Fraintendimenti e limitata conoscenza dell’inglese
In molti altri dialoghi del film vengono omesse informazioni in maniera apparentemente arbitraria. Come ad esempio la domanda “lanes tomorrow?” cioè “domani bowling?” che nel film doppiato diventa un più semplice “ci vediamo domani?” e i successivi riferimenti alla sala da bowling vengono rimossi di conseguenza. Ora, l’alterazione non è da punire automaticamente, ma deve avere il suo senso, una sua necessità. Di tutti gli esempi accennati in questo articolo, di esigenze non ne ho trovate. Difficile giustificarle con il labiale degli attori perché in questo film non c’è un’abbondanza di primi piani ed è girato prevalentemente in ambienti con scarsa illuminazione. Come è possibile saggiare dalle clip in questo articolo del resto, è evidente che le voci risultano completamente scollate dai personaggi in ogni caso, quindi anche eventuali scuse di labiale e tempi della battuta lasciano proprio il tempo che trovano. Viene da pensare che alcuni dialoghi non siano stati proprio capiti.
Il doppiaggio di una qualità discutibile sta diventando il secondo dei nostri problemi, la traduzione e l’adattamento mostrano lacune ancor più gravi. Per esempio, prendiamo in analisi i dialoghi di questo (apparentemente semplice) scambio di battute dove il figlio deve ripulire i bidoni della spazzatura:
[NdA: La mia traduzione diretta potrebbe essere più lunga del necessario ma è per far capire il senso della battuta originale anche a chi non conosce l’inglese, così da poter confrontare quanto sia cambiata nella versione doppiata.]
dialoghi in inglese
traduzione diretta
doppiaggio italiano
Can you at least make mom double- bag her meatloaf next time? It smells like werewolf crap.
Almeno potresti dire alla mamma di usare un doppio sacchetto con il polpettone? Puzza di escremento di licantropo
Potreste chiudere bene la spazzatura la prossima volta? C’è una puzza tremenda.
Well, if you would have remembered to put the cinder blocks back on the garbage cans like I told you, we wouldn’t have this mess.
Be’, se ti fossi ricordato di mettere i blocchetti di cemento sopra i secchi dell’immondizia come ti avevo detto, non avremmo questo casino.
Be’, se la mamma l’avesse coperta bene, questo casino non sarebbe successo.
I hate raccoons. You should do an exclusive, get pest control in here. I could film it
Detesto i procioni. Dovresti farci un servizio, chiamare il controllo animali. Potrei filmarlo io.
Odio i procioni. Dovresti fare un servizio per sterminarli. Posso filmarti io.
Vada l’abbandono di cose puerili come la cacca di lupo mannaro, che sono ridicole pure in inglese, ma qui il padre dà la colpa alla mamma perché non aveva coperto bene la spazzatura invece di dare, come fa in inglese, la colpa al figlio per essersi dimenticato di mettere dei mattoni di cemento sui bidoni della spazzatura così da evitare che i procioni li rovesciassero. Lo so che in Italia non abbiamo esperienza diretta con i procioni che rovesciano i bidoni dell’immondizia ma la situazione ci è già familiare da almeno 50 anni di film americani.
Sento odore di Topexan in questa stanza
A volte è la stranezza di una frase che ci può far sospettare una traduzione fuori luogo. Quando i ragazzi giocano a nascondino (in inglese giocano a “manhunt”, cioè caccia all’uomo, ma pur sempre nascondino è) ritroviamo questa battuta.
He’s close. I can practically smell the Noxell on him.
Sento che è vicino, sento il suo profumo schifoso.
Noxell non è un profumo ma un prodotto antibrufoli, crema o sapone che vogliate chiamarlo. Qualcosa come “È vicino. Sento l’odore del suo sapone antibrufoli” avrebbe avuto più senso, senza ovviamente dover nominare un prodotto a noi ignoto come il Noxell e senza usarne uno chiaramente troppo italiano come il Topexan. Del resto quale adolescente si profuma? Al massimo poteva parlare di deodorante, ma non sarebbe stato comunque la giusta traduzione. Siamo solo al minuto 5.
L’estate Super8 dei ragazzi di Stranger Things alla finestra sul cortile del ’84
Ci sono poi ragazzini che scompaiono in Hazelton e in Freeport, ma queste sono città, non aree geografiche, quindi dovrebbero essere scomparsi a Hazelton o a Freeport, non in Hazelton o in Freeport. Direste mai che sono scomparsi dei ragazzi in Roma, o in Torino? Queste sono carenze in italiano, non in inglese.
Scambiare “sculacciate” per “seghe”
– Devo tornare a casa altrimenti scoppia la terza guerra mondiale. – Buona idea, altrimenti mi prendo due scappellotti in testa. – Siete degli animali.
Perché vengono accusati di essere animali per volersene andare a casa? Perché ovviamente la frase degli scappellotti in testa è completamente inventata, probabilmente per un’incomprensione della frase in inglese in cui l’adolescente dichiarava la sua intenzione di tornare a casa per masturbarsi. Il modo in cui viene detto in inglese è con una battuta a doppio senso come solo gli adolescenti dei film possono inventarsi:
I’m gonna go make a withdrawal from the spank bank.
Cioè, vado a fare un prelievo dalla “spank bank”. Spanking è sinonimo di masturbarsi, e “spank bank” è un repertorio mentale di immagini pornografiche (i ragazzi fino a quel momento stavano proprio guardando delle riviste pornografiche), ma se andate sul dizionario troverete la definizione “sculacciare”. Quindi invece di capirne il modo di dire, è stato interpretato come un “prelievo dalla banca degli scapaccioni”, cioè che il ragazzo sapeva che avrebbe preso le botte una volta tornato a casa.
Potevano esserci molti modi di rendere questa frase, a patto di capire che cosa volesse dire in origine. Queste sono carenze proprio nella conoscenza dell’inglese, e non parlo della conoscenza grammaticale della lingua, parlo del suo vero uso nella cultura americana (già diversa ad esempio da quella britannica). Il lavoro del traduttore e adattatore non si improvvisa solo perché si pensa di “sapere l’inglese”.
Anche quando osservano la vicina di casa che si denuda alla finestra, uno dei ragazzi dice “bank it and spank it, boys”. Cioè invita gli amici a memorizzare per… uso futuro. ‘Sti ragazzi non è che siano proprio delle promesse della società civile, eh.
Nel 1984 “w la figa”, nel 2020 chiederanno “foto piedini” alle ragazzine su FB
Ho accennato prima a tante ingiustificate omissioni e al gioco “manhunt” a cui i ragazzi giocano di notte, nascondendosi tra i cespugli delle case del quartiere. Questa è una cosa che capireste guardandolo però in inglese, perché in italiano quasi tutti i riferimenti a questo gioco notturno sono omessi dal doppiaggio, che non li nomina proprio. Infatti non si capisce che ci facciano sempre in giro di notte con le torce in mano. Al punto che, quando il protagonista usa quella del gioco a nascondino come scusa dopo essere stato pizzicato fuori la finestra del vicino, in italiano sembra una scusa un po’ strana e improbabile. Nel film in inglese è chiaro che tutti i ragazzi del quartiere ci giocassero costantemente. Il piano per incastrare il vicino poi, “Operation Manhunt”, diventerà in italiano “Operazione incastra Mackey” (dal cognome del vicino). Quel “manhunt” proprio non piaceva.
Quando Google Translate è l’opzione migliore…
Quando il serial killer invia la prima lettera alla stampa firmandosi come l’assassino di Cape May (the Cape May Slayer), in TV annunciano che
Questo squilibrato si è assunto la responsabilità per la morte di 13 ragazzi e due adulti
(in originale: claiming responsibility for the deaths of at least 13 teenaged boys along with two adults)
il termine usato (“si è assunto la responsabilità”) sembra un po’ inconsueto. Quanto sarebbe stato più naturale usare “sostiene di essere il responsabile della morte di…” o quello ancora più comune nel giornalismo: “ha rivendicato…”. A volte basta così poco per passare da dialoghi invisibili a dialoghi che invece si fanno notare per i motivi più sbagliati o che lasciano una sensazione strana, come di non aver capito.
Anche Google Translate concorda e traduce claiming come rivendicando.
Google Translate non è più la barzelletta dei primi tempi, valuta anche il contesto. Che è più di quanto hanno fatto le persone che hanno tradotto questo film. Quando Google Translate fa meglio di te, una domandina me la farei.
Di sicuro Google Translate non traduce library come libreria, come invece fa questo adattamento. Per non lasciare proprio nessuno indietro avrebbe dovuto dire “biblioteca”. Grazie a Mr. Wolf nei commenti per avermelo fatto notare, nella cornucopia di disastri di questo adattamento, “libreria” mi era sfuggito.
Rosso, rossiccio, o roscio?
Nel film troviamo che la parola “ginger” (dispregiativo usato per definire persone dai capelli rossi) è stato tradotto come “rossiccio” per differenziarlo da “redheads” che invece è stato tradotto (correttamente) come “i rossi”. Sebbene ogni regione avrà sicuramente il suo modo di parlar male di persone dai capelli rossi, c’è un modo offensivo di farlo che accomuna tutta l’Italia: pel di carota, dal romanzo breve di Jules Renard (prima edizione italiana 1915) che ha lasciato il solco nella cultura popolare ed ha avuto trasposizioni cinematografiche, tra cinema, televisione e teatro, praticamente in ogni decennio dalla sua pubblicazione fino agli anni 2000. Negli anni ’80 ancora se ne parlava e ricordo anche io che negli anni ’80 ci veniva fatto leggere a scuola. Pel di carota è esattamente come avremmo tradotto ginger all’epoca.
Invece il doppiaggio di Summer of ’84 ci propone questo “rossiccio“, che vuol dire “tendente al rosso” quindi lo si può dire della barba al massimo, o di un oggetto di una tonalità di rosso non ben definita (un libro con una copertina rossiccia, cit. Treccani), non di una persona che ha effettivamente i capelli rossi. Certo potremmo nasconderci dietro un inventato linguaggio giovanile… magari quei ragazzi di quel posto dicevano così anche se non completamente corretto o sensato (lo sono mai i nomignoli dispregiativi?) e magari qualcuno ci dirà “dalle mie parti si dice”, ma il “ginger” usato nei diaoghi originali non è una parola inventata, reinterpretata, o ricercata, è un termine (purtroppo per i rossi) molto comune, riconoscibile in tutti i paesi di lingua inglese, banale quasi nella sua cattiveria. Quindi nel tradurlo o si opta per un semplice “rosso” o “pel di carota”. Invece ci becchiamo “il rossiccio scomparso”.
er roscio
Perdersi TUTTI i riferimenti di cultura pop anni ’80, ma proprio tutti eh!
La prossima piacerà molto ai fanatici di Star Wars! In una scena del film, i ragazzi stanno parlando del film Il ritorno dello Jedi e hanno opinioni avverse sull’intelligenza degli ewoks (fino al 1999 sono stati la lamentela più grande tra i fan, prima che arrivasse Episodio I):
originale: You think a bunch of glorified Care Bears in hoods could take down the Empire? doppiaggio: Pensi davvero che gli orsetti del cuore possono combattere l’Impero?
originale: They are aliens and they’re highly intelligent! I mean, did you see how fast that one learned to drive a speeder bike, and then ditch it without even being spotted? – Whatever, dude. doppiagio: Sono degli alieni e sono super intelligenti, ma non hai visto come hanno imparato velocemente ad andare in bicicletta per poi scomparire, eh? – Chi se ne frega!
I ragazzi fanno riferimento alla scena in cui gli ewoks rubano ai soldati imperiali uno dei loro “motosprinter” (questa la traduzione di “speederbike” nel doppiaggio de’ Il ritorno dello Jedi).
Chiaramente non una bicicletta. Chi ha lavorato al copione è arrivato facilmente a tradurre Care Bears come Orsetti del cuore ma non ha catturato il senso del discorso. Era un riferimento di cultura popolare che andava oltre le competenze del traduttore evidentemente. Peccato. Altri riferimenti di cultura pop (essenziali in questi film che rivangano gli anni ’80) che vengono abbandonati, a questo punto, penso, perché non compresi. Forse pensavano davvero che i ragazzi stessero parlando degli Orsetti del cuore.
Una traduzione corretta poteva essere questa:
– Pensi davvero che quella specie di Orsetti del cuore possano sconfiggere l’Impero? – Sono alieni, e super intelligenti! Ricordi quello che ha imparato subito a pilotare un motosprinter e poi se n’è sbarazzato senza farsi vedere? – Sì, vabbè.
Chi ha visto il Ritorno dello Jedi sa di cosa parlano, la frase adesso ha senso, sembra scritta in italiano, ed è della stessa lunghezza di quella originale, ma soprattutto non include orsetti del cuore che “imparano ad andare in bicicletta”. Sento il suono del palmo delle vostre mani mentre vi colpite la fronte.
ZITTO che fai più bella figura!
Continuiamo con i riferimenti perduti? Quando uno dei ragazzi sospetta che l’assassino abbia un “lair”, una parola usata per indicare un nascondiglio segreto da cattivo di James Bond, l’amico scettico lo prende in giro per la scelta di quella parola:
– Forse ha, che ne so, un nascondiglio segreto da qualche parte? – Un nascondiglio? Cos’è, un militare d’assalto?
Nascondiglio segreto… militare d’assalto. Mmh… Non ha alcun senso logico! Infatti in inglese non era un militare d’assalto bensì Cobra Commander, cioè il cattivo della serie G.I. Joe e da noi tradotto come “Comandante Cobra”.
– He could have, uh, like a lair or something. Somewhere. – A lair? He’s Cobra Commander now?
Zittite subito quei ragazzi!
È vero, è vero, G.I. Joe in Italia è arrivato solo nell’ottobre 1987, anni dopo rispetto al 1984 in cui è ambientato il film, quindi scartarla o meno come citazione perché anacronistica rispetto al pubblico italiano è opinabile. Ma che c’entra “un militare d’assalto”? Questa scelta mi fa pensare all’ennesimo fraintendimento, ci hanno letto un qualche tipo di “commando” ed ecco che viene tradotto i militari d’assalto. Se non si voleva puntare per Cobra Commander, la scelta sarebbe dovuta ricadere certamente su qualche personaggio popolare all’epoca noto per possedere un nascondiglio segreto… questo si poteva esprimere ad esempio con la frase “Nascondiglio? Chi è, un cattivo di James Bond?”, vi piace? I dialoghi di solito dovrebbero avere anche un senso, no? Boh.
Dopo che Stranger Things e prodotti simili ci hanno fatto un quadro falsato degli anni ’80, con fintissime ricostruzioni nostalgiche che ripescano solo quello che vogliono loro, potrebbe non sembrare, ma James Bond in quegli anni era una presenza importante nella cultura popolare (5 film solo in quel decennio), di grande attrattiva soprattutto per i ragazzi, ed era l’unico personaggio veramente noto a tutti per avere cattivi in basi segrete (lair, in inglese). Quindi se non era il caso di usare un anacronistico Comandante Cobra, Bond rimaneva l’unica alternativa. Che cazzo c’entra un militare d’assalto?
Vi piacciono i riferimenti culturali? Che dire di quanto propongono di farsi i pop corn e guardare, e vi giuro che lo dicono per davvero, Racconti ravvicinati al posto di Incontri ravvicinati? Si parla ovviamente del film Incontri ravvicinati del terzo tipo, cioè uno dei film di Spielberg più famosi all’epoca (Close Encounters of the Third Kind, 1977). Poteva essere anche stato un lapsus del doppiatore ma il bello è che in sala di registrazione nessun altro se n’è reso conto. Buona la prima.
Tranquilli, la polizia del doppiaggio è qui
La rimozione dei riferimenti anni ’80 da questo film sembra essere quasi sistematica. Quando il protagonista dice agli amici che la sera precedente, Nikki, la vicina per la quale prova attrazione, è venuta a bussare alla sua porta, uno di loro risponde incredulo:
There is a parallel universe with butt-fucking Wookies where Nikki showed up at your house last night.
Letteralmente: “esiste un universo parallelo popolato da wookie inchiappettatori, dove Nikki si è presentata a casa tua ieri notte“. E cosa ci arriva invece dal doppiaggio del film?
C’è un universo parallelo dove magicamente Nikki ti viene a bussare alla porta?
Ancora una volta si abbandonano i riferimenti di cultura pop, i wookie sono una razza aliena ben nota a chiunque abbia visto anche una mezza volta un film di Star Wars. L’uso della parola “magicamente” al posto di “wookie che inchiappettano” fa intuire che il senso generale della battuta sia stato compreso, cioè quello di incredulità espressa con l’idea di un universo parallelo impossibile, e potremmo anche supporre che in questo caso ci fosse un limite imposto dai tempi della battuta, ma non solo viene meno un certo linguaggio scurrile dei ragazzi (che comunque rimane nei limiti dell’adolescenziale), continuano a non comparire i riferimenti “anni ’80” che tanto piacciono agli autori di questo genere di film. Fosse solo questo il caso di omissione, poco male, non sarebbe neanche da sottolineare, ma qui manca tutto!
E Guerre stellari niente, e G.I. Joe niente, e i film di Spielberg niente… qui le cose sono due, o chi ha tradotto/adattato non ha mai visto un film in vita sua, oppure era parecchio sordo. In ogni caso non si doveva trovare lì a fare questo lavoro, di sicuro non per questo film intriso di nostalgia anni ’80 e riferimenti pop.
Il dialoghista del film
Non mi sorprendo per niente quando poi un “però non voglio guardare L’isola di Gilligan” (“but I’m not watching Gilligan’s Island”) diventa “ma scelgo io cosa guardare”.
Censura preventiva?
Ho anche il lieve sospetto che l’adattamento di questo film possa aver subito una sorta di censura preventiva. Essendo un prodotto destinato a Mamma Rai, forse i dialoghi sono stati pensati per un pubblico di prima serata? Non solo per l’omissione del riferimento ai wookie sodomiti, ma anche per tante altre piccole battute “alleggerite” come ad esempio:
in originale: We catch this fucker and become heroes. (traduzione: “becchiamo il bastardo e diventiamo degli eroi.”)
doppiaggio: Lo becchiamo sul fatto e diventiamo degli eroi.
E non mi parlate di tentativi aderenza al labiale che mi metto a ridere.
Altro esempio:
in originale: He has dinner alone every night at 8:30- ish, then probably wanks it, and cries himself to sleep. Loser. (traduzione: Ogni sera cena da solo intorno alle 8:30, poi probabilmente si fa una sega e si addormenta piangendo. Sfigato.)
doppiaggio: Cena sempre intorno alle 8:30, per poi andare a dormire da solo. Che sfigato.
E scomparso il riferimento alla masturbazione. Tempi ristretti della battuta? Forse, chissà. Oppure quando protagonista sul walkie-talkie esclama: “Guys, shit! He switched cars.” e questo diventa “Ragazzi, ci siete? Ha cambiato macchina”. Il mio è solo un sospetto personale rinforzato soltanto da tanti micro-esempi, ma comunque personale, prendetelo con le pinze. Era anche una scusa per inserire altre differenze tra versione originale e versione doppiata.
Non sapere né l’inglese, né l’italiano
In italiano la frase “avevamo finito la merenda” vuol dire inequivocabilmente: avevamo finito di fare merenda. Nel film viene usata come traduzione di “we ran out of snacks”, che invece vuol dire che erano finiti gli spuntini o le merendine, era finito ciò con cui fare merenda. È la scusa che i ragazzi usano con un poliziotto loro conoscente quando questo li ferma alla guida di un’auto (senza patente).
in originale: – Does your mother know you stole her car? – No. We, uh, we were just borrowing it. We ran out of snacks and she was asleep so I just-
doppiaggio: – Hai rubato la macchina a tua madre? – No, avevamo finito la merenda e mamma sta dormendo, e per non svegliarla abbiamo-
In italiano sta letteralmente dicendo un’altra cosa, anche se immagino che cercava di essere una traduzione fedele. Ma chi è che dice “ho finito la merenda” per intendere dire che ha finito “cose” con cui fare uno spuntino/una merenda? Questo film doppiato in italiano è costantemente assurdo. Vi propongo una mia traduzione che mi auspico vi suoni un po’ più naturale:
– Tua madre sa che le hai rubato l’auto? – No. L’abbiamo presa solo in prestito. Avevamo finito le merendine e lei dormiva, così ab-
Non contenti, il poliziotto gli dice di avere le mani legate. Davanti a un’affermazione simile si presume che lo avrebbe punito in qualche modo, seppur controvoglia perché le loro famiglie si conoscono. Invece il poliziotto li lascia andare, questo perché la sua frase “ho le mani legate, sai?” non è la giusta traduzione di “You got me in quite a bind” che invece è traducibile come “mi metti in seria difficoltà”.
La frase che segue in italiano rinforza l’idea che il poliziotto non avrebbe chiuso un occhio:
Come faccio a chiudere un occhio, per poi incontrare tua madre in chiesa la domenica?
mentre in inglese è tutto l’opposto
I just can’t bust you because ‘cause then how am I gonna look your mother in the eye at church?
(traduzione: non posso arrestarti perché poi in chiesa con che coraggio potrei guardare tua madre negli occhi?)
Quel “mani legate” dell’inizio deve aver sviato la comprensione dell’intera conversazione (bind vuol dire legare ma in a bind è un modo di dire). Non un grave delitto al film ma comunque è rappresentativo della qualità del lavoro di traduzione. Gran parte di questo dialogo avviene poi senza vedere la bocca di chi lo pronuncia, quindi le scuse stanno a zero. Qui o non si conoscono i modi di dire della lingua inglese, o non si conosce il significato di quelli italiani. Non so cosa sia peggio. Manco avessimo a portata di click un patrimonio di dizionari facilmente accessibili e gratuiti per verificare qualsiasi informazione in 0,38 secondi…
Ah, vi piacciono le traduzioni a caso? Che ne dite di “Alla centrale sono tutti nel panico“. Non proprio qualcosa che vorreste sentir dire a un poliziotto. Infatti non lo diceva. In inglese dice che al municipio (town hall) sono tutti nel panico, non alla centrale di polizia.
Incominciate a seccarmi col vostro porto
Situazione simile (dire l’opposto nel doppiaggio italiano) quando il presunto serial killer dice al protagonista:
Capisco. È lo stesso motivo per il quale sono entrato in polizia. […] Vuoi aiutare gli altri, è fantastico. Ma devo dirti che le tue prove verso di me non avevano senso. Sei bravo però con queste cose.
In originale non gli diceva che le sue prove non avevano senso, non esattamente almeno. Diceva che avevano senso, se prese fuori contesto:
I get it. That’s the whole reason I became a cop […] you wanna help, and that’s great. And I’ll admit that the stuff that you thought was proof looks pretty bad out of context. You got a pretty good brain for this kind of work.
Una frase che io avrei tradotto così:
Capisco. È lo stesso motivo per il quale sono entrato in polizia. […] Vuoi aiutare gli altri, è fantastico. E ammetto che le tue prove sembravano schiaccianti, se prese fuori contesto. Hai la stoffa per questo genere di lavoro.
Dialoghi al limite del comprensibile
Il film ne è costellato, e molti non sono neanche abbastanza significativi da riportarli qui altrimenti questo articolo da pamphlet fa il salto a tesi di laurea. Ne riporto soltanto alcuni dunque, uno di questi è della serie “motivare gli amici con minacce incomprensibili”:
e allora… se dicessi a Eats che gli hai rubato il giornalino?
Ma che giornalino? Dialoghi per niente chiari. In originale era:
What if I told Eats about that Hustler magazine we have, that you stole?
(traduzione: e se dicessi a Eats di quel Hustler che abbiamo e che tu gli hai rubato?)
Ahhh, una rivista pornografica! Ora è chiaro. Poteva essere facilmente trasformato in “quel Playboy” o una più generica “rivista porno”. Ma lo sanno cos’è un “giornalino”? Facciamo una verifica su internet, ci vogliono 0,38 secondi…
Forse volevano dire “giornaletto”?
Altri momenti “cringe”, come dicono i giovani (cioè momenti imbarazzanti), non mancano ma direi che l’umiliazione possa fermarsi qui. Concludiamo.
Ve lo buco ‘sto doppiaggio
La sensazione che si ha, sia sentendo il doppiaggio sia analizzando l’adattamento dei dialoghi di questo Summer of ’84, è quella di un lavoro approssimativo, amatoriale, anzi, dilettantesco, ma solo perché, essendo un prodotto audiovisivo, viene automatico confrontarlo mentalmente con migliaia di altri prodotti dello stesso tipo. In realtà è della stessa identica qualità che potevamo ritrovare nei videogiochi doppiati in italiano negli anni ’90, quelli dove traduttori e doppiatori, po’racci, dovevano lavorare senza un prodotto finito davanti, spesso traducendo e doppiando senza conoscere bene il contesto. Erano tutti doppiaggi bolognesi e milanesi e, suppongo che lo sia anche questo. Torinese al massimo, ma non dei migliori.
Il film è uscito in America nel 2018, non mi possono certo dire che siano stati costretti a doppiarlo come si doppiano i film della Marvel, con soltanto la bocca dell’attore visibile e tutto il resto oscurato. Né ci potranno mai pienamente convincere che con tempi anche strettissimi non si possa capire che Close Encounters sia Incontri ravvicinati di Spielberg, non è un riferimento così ricercato da dover necessitare tempo extra per fare ricerca.
L’adattamento dei dialoghi di Summer of ’84 è tanto problematico quanto la recitazione di molti dei suoi doppiatori.
Pochi dialoghi hanno traduzioni veramente azzeccate e poche sono le interpretazioni che si salvano per intero (il presunto assassino per esempio non sbaglia una frase e tiro a indovinare che sia anche il direttore di doppiaggio, l’unico che sembra avere della vera esperienza dietro al microfono). È insomma un disastro su tutti i fronti questa versione italiana di Summer of ’84.
Tutto male-male male, dunque? No ovviamente, ma è la prima volta che, invece di pescare singoli errori da un copione altrimenti ottimo, mi tocca fare il contrario. In questo caso sorprendono le frasi non sbagliate. Per esempio mi è piaciuto che alcune espressioni americane fossero per una volta contestualizzate. Un “Oh, fuck!” che ad esempio mi diventa “che figura di merda” in un momento contestualmente adatto è il genere di alterazione benvenuta, che raramente oggi troviamo nei doppiaggi di alto livello, dove si preferisce invece un diretto “oh, cazzo!”, e così tutte le imprecazioni si riducono a “cazzo” e “merda”, dimenticandoci che, in quanto a parolacce e offendere il prossimo, in Italia non siamo secondi a nessuno. Nel doppiaggio italiano si sta perdendo ad esempio “coglione”, perché gli americani non hanno un diretto corrispondente, visto che “asshole” diventa sempre e inderogabilmente “stronzo”. Ma questa è un’altra storia.
Se la ride perché è l’unico doppiato decentemente, noi invece “piagnamo”
Visto il numero esiguo di “cose fatte bene” potremmo anche sospettare che siano venute bene per puro caso. Statisticamente non puoi topparle proprio tutte, anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno. Malissimo per Rai4 però, la pessima figura e la vergogna non devono ricadere su chi, in maniera molto coraggiosa, spavalda direi quasi, si propone come società di doppiaggio pur non potendone dimostrare competenze e professionalità dei propri collaboratori, ma alla Rai che commissiona a un’azienda simile un doppiaggio che si rivela poi essere ciò che è stato descritto in questo articolo… e nonostante tutto decide che tutto sommato è di qualità accettabile per una messa in onda!?
Per aver voluto risparmiare dal principio, adesso finiranno per doverlo far doppiare una seconda volta, doppia spesa per lo stesso film, quindi dove sta veramente il vantaggio risparmiare sempre al massimo? Se a Napoli si dice che il risparmio non è mai un guadagno, qui a Firenze, vista questa loro furbata di dubbio vantaggio economico, si potrebbe quasi dire che Rai4 con questo film l’ha fatto i’guadagno d’i’ Lica… che lo pigliava in culo per pagarsi la fica.
Aggiornamento 3/9/20: il nuovo doppiaggio Rai ruba il mio adattamento
In data 3 settembre 2020 il canale Rai4 ha trasmesso nuovamente il film Summer of ’84 con il promesso nuovo doppiaggio professionale. A mio modesto parere il nuovo cast di doppiatori assegnati ai personaggi adulti non è proprio ideale, dalle voci sembrano coetanei dei loro stessi figli… ma almeno sanno recitare. E che sorpresa! Non si tratta solo di un nuovo doppiaggio ma anche di un nuovo adattamento riparatore che palesemente fa tesoro delle osservazioni riportate in questo articolo e include anche alcune delle mie correzioni, PAROLA-PER-PAROLA.
Ne cito alcune: Ginger tradotto come Pel di carota, dire di aver “finito le merendine“, l’intera frase “non posso arrestarti perché poi in chiesa con che coraggio potrei guardare tua madre negli occhi?” (che omette solo “in chiesa” per stare nei tempi della battuta), ma anche l’esatta frase “Pensi davvero che quella specie di Orsetti del cuore possano sconfiggere l’Impero?” (seguìto però da un “motospider” detto al posto della corretta parola “motosprinter”, errore di trascrizione?) sono tutte traduzioni già proposte da me lo scorso febbraio. Anche altre frasi risultano identiche a quelle suggerite nel mio articolo ma sono così generiche che chiunque con una conoscenza dell’inglese le avrebbe tradotte allo stesso modo. [Nota: rimane però “libreria” su “library” non è stato corretto con “biblioteca” neanche nel ridoppiaggio “riparativo”]
Le soluzioni linguistiche e le frasi identiche (o quasi) adottate dal nuovo doppiaggio di Summer of ’84 sono dunque tutte coincidenze dovute semplicemente a una corretta e indipendente traduzione del testo originale? Come no, infatti chi non tradurrebbe “Cobra Commander” come “James Bond“? “Chi è, un cattivo di James Bond?” era l’adattamento che avevo immaginato io e che ritroviamo identico nel nuovo doppiaggio. La mia era una proposta alternativa a quel “Cobra Commander” dei dialoghi in inglese, un mio omaggio a un tipo di adattamento che oggi certamente non si fa più. Non potete dirmi che non venga da questo articolo.
Sono contento che alcune delle mie proposte siano piaciute, tanto da finire in un doppiaggio per la Rai, e per quanto questo sia un buon servizio al film, lasciatemi dire che è una mossa un po’ bassa da parte di un collega dialoghista che non ha avuto il tatto di contattarmi. Sì, anche io sono dialoghista da un po’ di tempo a questa parte, e forse per aziende molto più rinomate di quelle che usa Rai4, ecco, l’ho detto. Bastava anche un informale: “oh, ci piace la tua soluzione, abbiamo deciso di usarla”, ma ben volentieri! Temevano che gli avrei chiesto un compenso? Tanto lo so che a Rai4 l’hanno letto tutti questo mio articolo.
Cast del ridoppiaggio di Summer of ’84
L’identità della nuova squadra di doppiaggio è stata nascosta ancora una volta tagliando immediatamente i titoli di coda per mandare la pubblicità, ma a Doppiaggi italioti abbiamo le nostre fonti (vogliono rimanere anonime) che ci comunicano il seguente cast di doppiaggio per la seconda versione italiana di Summer of ’84 andata su Rai4 per la prima volta il 3 settembre 2020:
Direzione doppiaggio: Simone Marzola Studio: Arkadia di Firenze
Insomma me l’hanno fatto sotto casa. Ora vediamo come anche questa informazione verrà “rubata” dal mio blog senza ringraziamenti. Continuano a rimanere ignote le voci del primo doppiaggio di cui non sappiamo assolutamente niente. Io intanto metto in curriculum: “consulenza adattamento dialoghi per film Summer of ’84“, mica no. Dimostratemi che non è vero!
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