In un momento molto alla Balle Spaziali, una piccola comunicazione di servizio per annunciarvi l’arrivo delle t-shirt sfiziose di Doppiaggi Italioti! Mettiamo il nome su tutto (cit.). Non tarderanno ad arrivare anche: il libro da colorare, il cestino da pranzo, il lanciafiamme e la bambola, me.
Alcuni di voi mi avevano chiesto da molto tempo qualcosa del genere e finalmente, dopo anni, mi sono deciso a far stampare alcune magliette con il logo del blog, in tiratura molto molto limitata. Fruit of the Loom nere, 100% cotone, taglie: M, L e XL.
Nel gennaio del 1818 vedeva la luce il romanzo Frankenstein, or The Modern Prometheus: sebbene originariamente senza firma, era il primo passo per il successo immortale di Mary Shelley. Per festeggiare i duecento anni della “creatura”, i media italiani hanno spesso utilizzato le immagini di Frankenstein Junior (1974), perché la sensazione è che ad essere noto è il personaggio parodico, non l’originale.
L’idea di Frankenstein entra subito nell’immaginario collettivo appena nasce, e per capire quanto sia altamente “contagiosa” basti pensare che nei primi anni Trenta del Novecento il suo spunto – la creatura che si rivolta contro il creatore – viene citato nei quotidiani italiani quando addirittura il film non è ancora uscito nel nostro Paese. Quando addirittura si ignora che esista un romanzo con quel titolo e che esista un’autrice di nome Mary Shelley. Perché Frankenstein sa giocare bene le sue carte: le carte del mito. Il mito di Prometeo non è mai tramontato e la Shelley specifica già nel titolo che la sua storia vi fa palese riferimento. Il personaggio che vuole rubare la sapienza agli dèi è parte integrante della cultura occidentale, tanto da essere in pratica un archetipo. La Shelley è stata in grado di prendere un elemento-base e invece di limitarsi a sfruttarlo pigramente è riuscita a creare un nuovo elemento-base: qualcosa per nulla scontato e che non riesce a molti. Capita per esempio che un autore ormai alla frutta, in cerca di facili consensi perché non più in grado di creare nulla, decida di sfruttare lo stesso tema della Shelley e si inventi un personaggio che rubando la conoscenza agli dèi finisca a creare mostri, magari xenomorfi, che sfuggono al suo controllo. Questa fotocopia-sbiadita dell’archetipo potremmo benissimo chiamarla Prometheus (senza Modern), ma questa è un’altra storia…
Come festeggiare dunque questo bicentenario? Parlando del mito che tutti conoscono… o del film che in Italia è più “sentito dire” che “noto”? Visto che è altamente probabile che la maggioranza degli italiani abbia visto la parodia di Mel Brooks ma non l’originale, è dell’originale che voglio parlare. E della frase che lo rende più Prometeo di Prometeo. Il personaggio greco voleva aiutare gli umani donando loro la conoscenza degli dèi, rendendo pubblico quel sapere segreto che pochi custodiscono per detenere il potere: il dottor Frankenstein del 1931 invece vuole diventare un dio egli stesso… e questo suo intento è stato sin da subito censurato. Troverete scritto dappertutto che alcuni tagli apportati all’epoca alla pellicola sono stati in seguito restaurati: ma “in seguito” quando? E da chi? E come hanno reagito i doppiaggi esteri? Tenetevi forti, perché il temporale è arrivato e i fulmini cominciano a scrosciare: sarò il vostro Fritz in quest’opera di creazione blasfema…
Per la storia della lavorazione del film di James Whale mi sono basato sul saggio The Genius of the System: Hollywood Filmmaking in the Studio Era (1988) di Thomas Schatz, storico del cinema a cui di solito fanno riferimento i critici successivi, integrando con altri saggi e altre fonti, tutte citate nel testo. Quando esprimo un’opinione lo dico chiaramente: tutto il resto è frutto di ricerca.
Se avete altre fonti, o testi più precisi ed accurati, sarò felicissimo di integrare o correggere, accreditandovi.
La creazione del mostro
Il 1931 è un anno strano per la Universal Pictures. A marzo esce Dracula e comincia a riscuotere subito un successo immenso, eppure i debiti della casa sono ingenti: si parla addirittura di due milioni di dollari dell’epoca. Una cifra esorbitante. Il capo Carl Laemmle, che ha creato la Universal con le proprie mani, comincia a licenziare centinaia di persone per consentire al figlio di proseguire nella sua politica di presentare film ad altissimo budget.
Tutti i critici sono convinti che il successo del tutto inaspettato di Dracula sia un unicum, l’operazione non riuscirà di nuovo e questi film costosi manderanno in rovina la casa. Laemmle junior non ne vuol sapere di rinunciare alla sua filosofia e vuole partire con il suo progetto ambizioso, che pare avesse sulla propria scrivania già prima che Dracula iniziasse le riprese. Un progetto che gli aveva segnalato John L. Balderston, sceneggiatore che lavorava per il teatro – autore della versione teatrale di Dracula – e che qualche anno prima aveva adattato per i palcoscenici americani un testo del 1927 della londinese Peggy Webling. Un testo dal titolo Frankenstein. Nell’aprile 1931 Laemmle junior acquista i diritti dell’adattamento di Balderston e paga 20 mila dollari alla Webling, più l’1% dei ricavi di ogni film tratto dal suo lavoro. La donna non lo sa ancora, ma sta per diventare leggermente ricca… Così come Dracula, anche Frankenstein ha ben poco a che vedere con il testo originale, ma scrivere “tratto dal romanzo” in locandina è sempre un grande richiamo pubblicitario.
A fine agosto del 1931 iniziano le riprese del film. Sono previsti trenta giorni di lavorazione: si sfora solamente di cinque, così come si sfora il budget iniziale di 262 mila dollari. (Il regista James Whale dirà che comunque si è rimasti sotto i 300 mila.) Laemmle junior è presente e pressante nella fase di montaggio, e quello stesso ottobre ha in mano una versione completa del film da far “testare”.
La proiezione di prova
Proprio dal 1931 la Universal adotta il sistema di organizzare delle anteprime per tastare il polso al pubblico, e nel caso tagliare o rigirare scene a seconda delle reazioni e dei suggerimenti degli spettatori, quindi Laemmle junior organizza una proiezione di prova: il 29 ottobre 1931 gli spettatori chiamati a fare da test vedono qualcosa che non aveva alcun tipo di precedente. Filmati fantastici e horror ce n’erano già stati parecchi, ma il Frankenstein della Universal può contare su un effetto totalmente devastante: il sonoro. Per la prima volta il pubblico in sala assiste a personaggi che muoiono urlando, ascolta l’agonia e il disumano grugnito di una creatura immonda, l’acuto strillo di una donna in balìa d’un mostro… L’effetto è devastante, unito poi a scene di cadaveri dissezionati e cervelli in bottiglia. Laemmle junior è ormai sicuro che sarà un successo, anche perché ottiene il visto censura della MPPDA (Motion Picture Association of America): può proiettarlo in sala… ma c’è una piccola nota di cui tenere conto.
«Alcuni censori probabilmente avranno da obiettare al grido di Frankenstein, dopo che ha creato l’uomo: “In nome di Dio” e lui dice “Dio, ora so cosa si prova ad essere un Dio“. Siamo dell’opinione che questa frase si possa utilizzare perché non è pronunciata in modo profano, ma è molto probabile che non sarà accettata da alcuni censori.»
Qui l’ambizioso produttore si sta giocando tutto: Carl Laemmle jr. ha solo 23 anni eppure l’intera Universal dipende da lui. Grazie alla fiducia del padre l’ha portata al limite, ma se Frankenstein fallisce c’è solo il baratro. La concorrente Paramount sta montando il girato del Dr. Jekyll and Mr. Hyde – in uscita il 3 gennaio 1932 – che sarà un antagonista molto difficile da affrontare, e se disgraziatamente il pubblico comincia a boicottare Frankenstein per quella frase su Dio… è la rovina. Il produttore decide di andarci con i piedi di piombo.
La manomissione post-test
Laemmle jr. richiama Edward Van Sloan, che nel film interpreta lo scienziato che cerca di salvare il protagonista, e gli fa recitare un prologo in cui mette in guardia gli spettatori:
«Il signor Carl Laemmle ritiene che non sia opportuno presentare questo film senza due parole di avvertimento. Stiamo per raccontarvi la storia di Frankenstein, un eminente scienziato che cercò di creare un uomo a sua immagine e somiglianza, senza temere il giudizio divino. È una delle storie più strane che siano mai state narrate, tratta dei due grandi misteri della Creazione: la vita e la morte. Penso che vi emozionerà, forse vi colpirà, potrebbe anche inorridirvi. Se pensate che non sia il caso di sottoporre ad una simile tensione i vostri nervi, allora sarà meglio che voi… Be’, vi abbiamo avvertito.»
L’effetto è duplice: stuzzicare la curiosità degli spettatori e allo stesso tempo mettere in chiaro con i sensibili e i moralisti che «vi abbiamo avvertito» (well, we warned you…). Il 25 ottobre 1990, al momento di inaugurare la fortunata consuetudine de “La paura fa novanta” (Treehouse of Horror), la serie animata I Simpson pensa bene di usare Marge in una scena palesemente ispirata al warning di Van Sloan.
Marge Simpson che, nel 1990, rifà l’Edward Van Sloan del 1931
Il secondo passo è tagliar via la scena in cui la creatura getta in acqua la bambina: è una scena di grande emozione ma è troppo forte per l’epoca.
Il terzo passo è cambiare il finale. Com’è stato appurato in seguito, l’effetto più soddisfacente per l’epoca è quando una vicenda dai toni truculenti si conclude bene e con la composizione di un nucleo familiare tradizionale. (A fine film, insomma, il protagonista uomo deve sposare la donna.) Non importa le mostruosità fatte da Henry Frankenstein, a farlo finire tra le fiamme del mulino – come prevede il primo girato – si manda a casa gli spettatori con il magone. Lasciarlo in vita e nel tepore familiare è invece la formula perfetta. Laemmle jr. ignora il regista Whale che vuole mantenere il finale tragico e gira un happy end: il film esordisce in sala il 21 novembre 1931 ed è il successo di cui la Universal ha disperatamente bisogno, rimanendo negli annali della storia e dando vita ad un filone cinematografico più che prolifico.
E la frase su Dio? Che fine ha fatto?
Curiosamente i saggisti ben informati da cui ho tratto le informazioni fin qui raccontate non ne fanno parola. Scott Essman nel suo Frankenstein: 80th Anniversary (2011) dice che la battuta è stata tagliata nelle prime copie del film e poi riattaccata nelle versioni successive. La cosa è abbastanza ovvia, il problema è rimediare informazioni più precise di questa. Ci affidiamo dunque a John T. Soister, che nel suo Of Gods and Monsters (1999) specifica:
«Vennero fatti alcuni cambiamenti aggiuntivi dettati dall’indignazione pubblica [public outrage]: il riferimento di Henry Frankenstein al fatto di sapere cosa si provi ad essere Dio, per esempio, colpì molti spettatori come assolutamente blasfemo. Il rimedio fu di inserire un rombo di tuono che mascherasse i suoni frammentari superstiti al taglio della scena.»
Quindi la soluzione adottata da Laemmle junior è quella di tagliare la frase incriminata, e per mascherare il fatto che la scena ne rimane monca si va giù di fulmini e si sfuma in dissolvenza. Questa è probabilmente la versione vista dagli spettatori dell’epoca, almeno negli Stati in cui il film è stato proiettato in versione censurata. Dopo la prima di New York del dicembre 1931 è il momento di attraversare l’oceano: bisogna portare il film in Europa. Il 25 gennaio 1932 Frankenstein esordisce al Tivoli di Londra (ce lo racconta il primo numero della rivista britannica “Hammer’s House of Horror” nel 1978), ma intanto si va anche dall’altra parte del globo: si va in Australia.
L’esperienza australiana
il 10 giugno 1932 il “The Telegraph” di Brisbane (Australia) ci informa che durante una proiezione mattutina del film ben tre donne ed un uomo sono stati portati fuori dalla sala ed accuditi da un’infermiera, ingaggiata appositamente in previsione di quell’evento. (Come a dire che il proprietario se l’aspettava.) Altri spettatori sono stati rifocillati con acqua e “sali” (a sniff of smelling salts) ma – ci tiene a specificare il signor E. Lane, dirigente del celebre Tivoli Theatre di Brisbane – tutti poi hanno voluto tornare in sala e proseguire la visione. Questo è niente in confronto a come il film è stato anticipato nel Paese.
“The Sun” del 13 maggio 1932, con la frase “incriminata”
Venerdì 13 (giorno perfetto!) maggio 1932 il “The Sun” esce con una pubblicità quasi a tutta pagina dedicata all’imminente uscita di Frankenstein, con tanto di avvertimento «Non osate vederlo!» Mentre alcune scritte avvertono che i Lloyd di Londra hanno mandato di pagare 1.000 dollari in contanti al parente più prossimo di chi morirà durante la visione del film (!!!), ci sono due fra le scritte più furbe della storia del cinema. Dietro sembra avvertibile il pensiero di Laemmle jr.: mi avete fatto togliere due scene potenti? E allora io… ve le racconto in pubblicità!
Un intero box racconta la “scena del lago” «che vi rimarrà in mente», cioè la scena in cui la creatura getta la bambina in acqua, un altro ci racconta l’operato del dottore finché
«egli proclama al Cielo il suo primo spasmo di trionfo: “Ora so cosa si provi ad essere Dio!” grida.»
“The Sun” del 13 maggio 1932
E così, anche se la scena è tagliata, il pubblico ne è venuto a conoscenza in altro modo e tanto basta. Ma è davvero tagliata, in questa prima proiezione australiana?
Forse no, perché un mese dopo l’uscita australiana il reverendo N. Claridge Goss di Sydney cita la pellicola addirittura in un sermone, riportato l’8 giugno sempre dal “The Sun”, dove viene citata di nuovo la frase relativa a Dio. «[Il film] dipinge il terribile quadro di come sia la natura umana quando si perde il divino». Il pubblico australiano ha potuto udire la frase incriminata… o come al solito ci si è limitati a citare una frase in bocca a tutti, senza aver visto il film?
Ora, però, è il momento di andare a casa nostra. È il momento di sbarcare in Italia.
L’arrivo in Italia
Nell’agosto del 1932 la Biennale di Venezia decide di inaugurare un nuovo settore, dedicandolo alla “nuova arte” di successo: il cinema. Quel mese dunque nasce la Mostra del Cinema di Venezia, «il primo festival cinematografico mai organizzato nel mondo», specifica ancora oggi il sito ufficiale: forse ci si riferisce al fatto che venissero presentati film da tutto il mondo, perché gli Academy Awards (il Premio Oscar) c’era già dal 1929…
Al Lido di Venezia giungono attori italiani ed americani, con film presentati in anteprima… ma in quale lingua? Va ricordato che solo da pochissimo (dal 1927) il cinema ha inaugurato il sonoro, e solo dal 1931 sembra nascere la pratica del doppiaggio italiano: è plausibile pensare che i film proiettati in anteprima durante questo festival siano sottotitolati invece che doppiati.
Come hanno reagito i nostri connazionali all’epoca ce lo racconta “La Stampa” del 10 agosto 1932:
«Il film più giallo sinora proiettato pare sia Frankenstein che è il nome di un bandito mostruoso: gente scannata e trucidata ve ne è a josa, ma il peggio si è che tutta questa gente, per via del sonoro, prima di morire urla, singulta, sbraita, strepita, suscitando emozioni facili ad intuirsi. Tant’è che spesso gli spettatori e più di frequente le spettatrici, atterrite e suggestionate, fanno coro e allora la sonorità meccanica e umana nella sala diviene indescrivibile. Ma che stupendo spettacolo…»
Il film piace ma c’è un problema: dopo quella proiezione… scompare. I giornalisti lanciano appelli perché si spieghi il motivo di questa assenza dai cinema, loro che adoravano il tema molto prima che il film sbarcasse da noi.
«Adesso la vecchia Europa si meraviglia che la gentile creatura uscita dal suo seno sia diventata un pauroso colosso, nel timore che esso, come il mostro di Frankenstein, si rivolga contro il proprio artefice.»
Come fa Amerigo Ruggiero a scrivere queste parole su “La Stampa” il 12 giugno 1929… cioè due anni prima che nascesse il film e ben 15 anni in anticipo rispetto alla prima edizione italiana nota del romanzo di Mary Shelley? Forse aveva letto il romanzo in lingua originale o magari ci sono state edizioni italiane poi dimenticate. Comunque rimane il fatto che molti lo evocano ma il film non spunta nei nostri cinema.
Finalmente viene annunciato il 2 dicembre 1935, distribuito dalla Artisti Associati. È «il film del terrore che il pubblico italiano attende da due anni», anche se in realtà gli anni sono di più. Purtroppo non sappiamo altro, di quell’arrivo in sala.
Manifesto del 1936 (visto il riferimento al film con Paula Wessely)
L’autorevole Mario Praz il 4 marzo 1938 presenta un ritratto di Mary Shelley – talmente ignota all’epoca che il film in sala viene presentato come «tratto da una novella di Percy Shelley»! – e l’uscita del romanzo nel 1944 non sembra lasciare molte tracce nell’opinione pubblica, visto che ancora il 18 novembre 1952 Leo Pestelli scrive su “La Stampa”:
«Non tutti sanno che Frankenstein, uno dei più popolari spauracchi dello schermo, non è farina di Hollywood, ma come il suo confratello dottor Jekill, un derivato letterario. L’orrendo mostro dagli occhi acquosi e non finiti, è figlio di mamma gentilissima, e prende sulfurea pappa da due autentici geni.»
Il pubblico del 1935 ascolta il dottor Frankenstein parlare con la voce di Giulio Panicali (stando ad Antonio Genna), e quel doppiaggio italiano della CDC gira per alcuni anni nelle sale italiane… per poi scomparire nel nulla.
Perché però quel ritardo, fra il 1932 e il 1935?
Visti censura
Quando ci sono dubbi, mi piace andare alla fonte, e Frankenstein come tutti gli altri film è passato per il Catalogo AFI (American Film Institute), la cui pagina ufficiale è sciabordante di incredibili informazioni. Per esempio ci racconta che negli archivi della Academy c’è una lettera della MPAA (Motion Picture Association of America) datata 18 agosto 1931 in cui l’ufficio del Codice Hays (quel codice che dal 1930 imponeva una certa “morale” al cinema) informava la Universal delle scene considerate sensibili, che molti Stati avrebbero potuto censurare. Il Kansas per esempio fece tagliare un primo piano di una siringa che entrava nelle carni della creatura, durante la lotta con il dottor Waldman, mentre il Quebec bloccò l’intero film a meno che la casa madre non facesse pesantissimi tagli.
Scopriamo così che nel 1932 il film fu vietato nell’Irlanda del Nord, in Svezia… e in Italia. Ma come, se proprio nell’agosto del ’32 venne proiettato a Venezia! Che sia stata quell’occasione a far nascere il bando, così da slittare l’arrivo in sala fino al 1935?
Per saperne di più andiamo a consultare il sito del Ministero dei Beni Culturali dedicato al cinema, e più precisamente la banca dati della revisione cinematografica (Italia Taglia). Un meraviglioso PDF fotografa un documento rilasciato il 27 maggio 1941 che duplica il nulla osta che il Ministero della Cultura Popolare, Direzione Generale per la Cinematografia, nel XV anno dell’èra fascista rilascia riguardo al film “Frankestein”. (Va be’, una “n” si è persa per strada, ma in fondo chiama “Collin Cliv” l’attore protagonista.) Quindi solamente il 19 novembre 1935 il film ottiene il nulla osta dell’autorità italiana per essere distribuito in sala: perché tre anni di attesa dalla proiezione di Venezia del 1932? Magari possiamo ipotizzare che, seguendo quanto dice il documento citato sopra, la commissione di censura italiana abbia in primo momento bloccato il film per poi consertirne la proiezione a patto di far rimuovere alcune scene troppo forti – per esempio è stata tagliata con l’accetta la scena che mostra il povero Fritz impiccato dal mostro – ma forse l’attenzione italiana non è così opprimente come potremmo pensare.
Visto censura del 1935
Merita di essere riportata la “descrizione del soggetto” riportata da questo documento del 1935: lascio intatti anche gli errori.
«Frankenstein, studente in medicina, crede di poter scoprire, il segreto della vita. Si ritira in una torre isolata, nella quale ha installato il suo laboratorio, e, mediante l’elettricità atmosferica, in una notte di tempesta, riesce a dar movimento alle membra irrigidite di un morto. Ma il suo maestro nega che quella sia vera vita. Non si possono infatti violare le leggi della natura. L’automa ha, d’un tratto, delle reazioni violentissime, minacciose. I due scienziati decidono di togliere a quel corpo la fittizia energia e ci riescono con un narcotico. Frankestei convinto dell’impossibilità di crescere una nuova vita, ritorna alla casa paterna. Ma l’energia chiusa nell’automa non si è spenta. Egli si risveglia, si alza ed esce all’aperto. Mentre Frankenstein, felice, stà per passare a nozze, l’automa entra nella sua casa, atterrisce la fidanzata e fugge. Tutto il paese è in subbuglio. E’ organizzata una caccia, guidata llo stesso Frankestein. Mentre tutti si disperdono per la campagna, Frankenstein si trova faccia a faccia con l’automa che lo afferra e lo porta in un mulino a vento. Nella lotta Frankenstein riesce a liberarsi mentre l’automa scompare nell’incendio del mulino. Frankenstein guarisce ben presto dalle ferite riportate e, sopratutto, dal suo folle sogno.»
Nessun accenno a Dio, addirittura si parla di «violare le leggi della natura», frase quanto mai laica visto che di solito quando si critica l’operato del protagonista si parla di violare le leggi di Dio. Inoltre l’approvazione non richiede alcun intervento aggiuntivo: per spiegare cosa questo significhi, prendo per esempio il nulla osta del 31 dicembre 1927 del film Metropolis di Fritz Lang, “approvato con riserva”.
«Nel 1° atto, la sequela di scene di operai che vanno al lavoro a passo lento, sia appena accennata. Nel terzo atto siano soppresse le didascalie: “Fratelli io vi dico: Colui che compirà il miracolo è in cammino; Quegli ch’è in cammino vi darà la felicità senza macchia”. Nel 6° atto sia soppresso l’ultimo periodo: “Tra il cervello e le braccia”: ecc…»
Queste sono le “condizioni” (chiamate così proprio dal documento) perché il film possa essere proiettato: nulla del genere si legge nel caso di Frankenstein.
“Famous Monsters Filmland” n. 57 (1969) mostra la scena tagliata della morte di Fritz
Il suddetto documento ci informa che l’edizione approvata per la proiezione nei cinema misura 1.659 metri di pellicola, e stando a Wikipedia:
«per la pellicola in formato 35 mm, proiettata alla normale frequenza di 24 fotogrammi/secondo, un minuto di proiezione corrisponde a 27,36 metri e un’ora a 1.641,60 metri.»
Il calcolo sembra confermato dai forum che ho spulciato, e stando anche a questa tabella i 1.659 metri del Frankenstein vistati si riferiscono a circa un’ora. Il problema è che le copia giunta miracolosamente fino a noi dura 53 minuti: sarà stata tagliata rispetto a quella cinematografica o si tratta semplicemente di differenza di velocità dei fotogrammi?
Ritrovamento e recupero
da “Fangoria” 72 (1988)
Nei citati archivi della Academy c’è anche la corrispondenza con la PCA (Production Code Administration) in cui scopriamo che nel 1937 la Universal accetta il consiglio di tagliare il punto in cui si nomina Dio quando Fritz tormenta il mostro con una torcia: malgrado non venga citata, la frase ben più scabrosa su Dio avrà plausibilmente subìto lo stesso destino.
Infine la AFI ci informa che le scene tagliate sono state ritrovate nel 1986, “riattaccate” dalla Universal che subito ha presentato in video la nuova versione del film, con la nuova durata di 72 minuti. La rivista “Castle of Frankenstein” (2000) dice che risale al 1987 la pellicola con le scene tagliate (fra cui il mostro che getta la bambina nel lago). Ecco invece la presentazione del Frankenstein (restored), targato MCA, da “Fangoria” n. 72 (1988):
«Sì, fan dell’horror golden age, ci siamo! Il classico, com’è stato concepito per esser visto, alla fine è sfuggito alle catene del terribile Codice Hayes, gli autoproclamati custodi della moralità su celluloide che costrinsero la Universal a tagliare alcuni “spettacoli gratuiti” dal capolavoro.»
Riguardo alla frase incriminata, ecco cosa dice:
«Curiosamente, quella batttuta non è stata montata nel film originale ma in una ristampa successiva.»
L’edizione 1988 della “Video Movie Guide” di Mick Martin e Marsha Porter, compilata 1987, ci informa che ora il film
«può essere visto nella sua interezza per la prima volta in oltre cinquant’anni, visto che la Universal Pictures ha finalmente dissotterrato [unearthed] la scena mancante dove la creatura getta la bambina nel lago nella speranza che galleggi.»
“Video Movie Guide 1988” di Mick Martin e Marsha Porter
Nel 1989 su alcune riviste di settore, come “Slaughterhouse Magazine”, “Fangoria” e lo speciale “Horror Video”, la Fantaco Enterprises pubblicizza l’uscita della VHS del film a $ 29,95, ma per saperne di più dobbiamo rivolgerci ad Allan Kozinn, che sul quotidiano “The New York Times” così scrive il 5 febbraio 1989:
«La versione video del compact disk, registrata sotto il nome di CD video, è appena uscita e già ha un catalogo di migliaia di film, musica e documentari di alta qualità del suono.»
Il giornalista sta presentando il CDV (Compact Disk Video), il progenitore del DVD che in realtà la Philips e la MCA hanno inventato nel 1978 con il nome Magnavision. Ora è il momento di rispolverare questa tecnologia per i puristi di video e suono, e Allan ci racconta delle case che stanno puntando su questa tecnologia per ripresentare film storici. La CBS/Fox per esempio ha già sfornato la trilogia di Star Wars (sui 50 dollari di prezzo), «per quelli che vogliono studiare gli effetti speciali da vicino», mentre la stessa MCA Home Video che ha inventato il formato mette a disposizione film classici a 35 dollari.
«Questi dischi inoltre contengono i trailer cinematografici e in alcuni casi (come per esempio in Frankenstein) materiale aggiuntivo in precedenza tagliato dalla versione originale. [restored footage cut from the original release]»
“Monsters Attack!” n. 5 (dicembre 1990)
Sul numero 5 (dicembre 1990) della rivista “Monsters Attack!”, interamente dedicato al cinema di Frankenstein, Kevin McMahon ci informa:
«Per anni ci sono state due scene chiave tagliate dalla versione originale del film. La prima è quando il mostro dopo aver gettato fiori nel fiume con la giovane Maria (Marilyn Harris) e averli guardati andare alla deriva, prova a fare lo stesso con la bambina. Questa, non sapendo nuotare, affoga e la creatura si dà alla fuga presa da sgomento. Carl Laemmle, capo della Universal, all’epoca pensò che la scena fosse troppo violenta, e anche le proiezioni di prova testimoniarono il turbamento degli spettatori, così la scena venne tagliata, spezzando il grande impatto della sequenza che rivelava il lato vulnerabile della creatura e la sua natura infantile. L’altra scena tagliata era quella in cui Henry Frankenstein (Colin Clive) al culmine dell’eccitazione, durante la creazione del mostro, grida “È vivo! È vivo!” e poi esclama “Ora so cosa si provi ad essere Dio”. Questa frase fu accusata di blasfemia da censori bacchettoni [religious minded censors].»
Quindi possiamo azzardare una cronologia: nel 1986 la Universal ritrova le scene tagliate dal film (le due grandi citate da quest’ultima rivista e plausibilmente tutte quelle brevi sforbiciate nei vari Stati americani); la notizia gira per anni finché solo nel 1988 la VHS (o addirittura il laserdisc) di Frankenstein (restored) viene effettivamente messa in vendita, presentata a spron battuto dalle riviste specialistiche fino al 1990.
E in Italia? Quando arriva in Italia questa videocassetta? Ma soprattutto… è arrivata?
La breve vita in TV
Quando gli italiani iniziano a ridere di gusto davanti alla parodia di Mel Brooks, nessuno ha ormai più idea di cosa sia il film Frankenstein, scomparso dagli anni Trenta.
A sorpresa nel luglio 1982 viene presentato al XX Festival del Cinema di Fantascienza di Trieste, nell’ultima edizione prima che il festival venga soppresso per molti anni. Malgrado non esista menzione nel sito ufficiale dell’evento, il giornalista Piero Zanotto ce ne dà notizia il 14 luglio su “La Stampa”, annunciando che in quella edizione del festival ci sarà un ciclo “Dal romanzo al film”. Frankenstein in questa occasione è proiettato in lingua originale o con doppiaggio italiano? E quale versione è stata presentata? Nessuno sembra occuparsene.
Novelization del film uscita in tre puntate nel 1969 su “Famous Monsters of Filmland”
Il primo segno di ritorno in vita del film si ha venerdì 29 ottobre 1982, quando viene trasmesso su Reteuno alle 21,20. Vista la data, questa versione non può essere quella restaurata, risalente almeno al 1986, allora è quella vista al cinema nel 1935? Domenica 17 luglio 1983 Reteuno replica alle 14,00, poi sabato 30 settembre 1989 ripresenta il film all’interno del contenitore “Sabato Club”. Domenica 30 dicembre 1990 tocca a Raidue presentarlo, alle 1,05, finché la pellicola passa a Rete4, che lo trasmette mercoledì 29 settembre 1999 alle 1,25. Tutta qua la vita televisiva provata di uno dei film che hanno scritto la storia del cinema…
Che versione è stata trasmessa dalla Rai? E quando il film è passato a Mediaset nel 1999 presentava le scene censurate o no? A meno che qualche lettore non abbia registrato all’epoca uno di questi passaggi, purtroppo è impossibile rispondere.
L’unico ad essere arrivato fino a noi – per vie “traverse” – è un passaggio su StudioUniversal, canale a pagamento che ha trasmesso il film per la prima (e forse unica!) volta domenica 15 novembre 1998 alle 9,00 del mattino. (Ringrazio di cuore Francesca della NBC Universal per l’informazione!) La versione del film trasmessa è identica alla prima VHS italiana: che lo siano state anche le versioni trasmesse dalle altre emittenti?
La misteriosa vita in VHS
Per l’arrivo in home video italiano del film purtroppo non esiste alcuna fonte se non la mia testimonianza personale, di quando nel luglio 1990 con i miei genitori siamo andati alla sede romana della Skema Video per comprare alcuni film visti in un catalogo.
VHS Skema 1990 (circa)
Al ragguardevole prezzo di 25 mila lire cadauno, mia madre acquistò Ivan il terribile, La congiura dei boiardi ed Aleksandr Nevskij, tutti di Sergej M. Ejzenštejn e in un caso (Ivan) riversamento da splendida pellicola italiana con tanto di italian credits: io invece mi limitai al solo Frankenstein, che la paghetta di 16enne non mi permetteva altro. (Né in fondo altro volevo). Plausibilmente era la prima edizione VHS italiana del film, a quanto mi è dato sapere: purtroppo non c’è alcuna datazione sulle prime videocassette del film. Se qualche lettore ha informazioni più complete – supportate da prove – è il benvenuto.
Questa VHS della Skema ha lo stesso audio che tutti possiamo ascoltare anche nelle varie attuali edizioni DVD e Blu-ray, un doppiaggio di cui si ignora TUTTO: sia i nomi degli attori sia quando sia stato fatto. E perché. Qui entra in scena mia madre come testimone: interrogata sulla questione, ricorda perfettamente che all’epoca la Skema si occupava di riversare pellicole in VHS, vendendole poi per corrispondenza. Essendo noi di Roma, invece di usare la posta siamo andati di persona a comprare dunque prodotti derivanti da pellicole cinematografiche. Sottolineo che questa non è una fonte, bensì un semplice ricordo: rimango in attesa un giorno di poterlo confermare in qualche modo.
Questa misteriosa edizione italiana è stata prodotta nel 1982 per il primo passaggio RAI? Oppure, se ha ragione mia madre, deriva da una pellicola proiettata nei cinema in tempi non meglio definiti? Come dicevo, tutto ciò che riguarda l’edizione che ancora oggi potete acquistare in digitale è totalmente ignoto.
Una cosa è sicura: questa edizione non è la Frankenstein (restored). Manca tanto la scena del lago quanto la frase su Dio, però è assente il prologo di Van Sloan che invece era persente nelle vecchie copie americane: nel luglio 1969, quando la rivista “Famous Monsters of Filmland” n. 56 presenta il cine-racconto del film, lo fa iniziare proprio con l’avvertimento di Van Sloan, che quindi almeno all’epoca faceva parte integrante della pellicola.
VHS CIC Video 1994
Dall’Archivio MCA scopriamo che prima dell’edizione del dicembre 1986, con le scene inedite riattaccate, Frankenstein risultava in catalogo nell’ottobre 1980: è possibile che sia quest’ultima edizione ad essere stata acquistata dalla Rai per trasmetterla nel 1982? Magari per l’occasione è stato organizzato un doppiaggio che poi è stato riciclato per il mondo dell’home video anni dopo? Purtroppo, in mancanza di qualsiasi tipo di informazioni e fonti, rimaniamo nel campo delle ipotesi.
Risultano almeno sei edizioni VHS del film, tutte difficilissime da datare:
Skema
Fonit Cetra Video
Pantmedia (Gruppo Editoriale Bramante)
CIC Video (finora l’unica con data certa)
Mondadori Video
AVO Film
Chiunque abbia notizie sicure è il benvenuto.
Tagli e ritagli
Dall’avvento del digitale esiste un’unica edizione di Frankenstein, che ogni Paese ha adattato con il proprio doppiaggio precedente. Il problema è che la frase su Dio era assente fino a che non è stata ritrovata nel 1986, quando ormai ogni Paese aveva già doppiato il film: cosa hanno fatto? In occasione del DVD hanno doppiato quei secondi di film? Ovviamente no: ognuno ha messo una toppa a modo proprio. Solo l’edizione italiana attuale lascia un “buco” talmente lungo da cui si può sentire il doppiaggio originale sottostante…
Lascio però la parola ad un filmato esplicativo di mia produzione: è caricato su GoogleDrive quindi potete scaricarlo facilmente, se volete.
Titoli di testa
È giunto il momento di presentare i meravigliosi cartelli italiani del film, nell’edizione del 1935 miracolosamente ritrovata e presentata dalla Sinister Film (Cecchi Gori) nel 2013: dove l’ha trovata? Dov’è stata tutti questi anni? Ovviamente nessuno l’ha detto né qualcuno l’ha chiesto…
Ringrazio di cuore Matt sal e javriel per aver messo questo splendido materiale a disposizione.
La lettera
Il dottor Waldman, prima di procedere alla dissezione della creatura (o comunque a provarci), prende una breve nota su carta che però nell’edizione italiana diventa un momento per tranquillizzare il pubblico: il mostro di Frankenstein non è proprio vivo, è più un…
«corpo saturo di una energia sconosciuta, di origine elettrocosmica, che ha dato apparenza di vita ad un cadavere».
Lettera originale del dottor Waldman
Versione italiana del 1935
Titoli di coda
L.
P.S. Se simili resoconti vi interessano continuate a seguirci ogni due venerdì qui su Doppiaggi Italioti e vi invito a venire a trovarmi anche sul mio blog Il Zinefilo: viaggi nel cinema di serie Z.
L’attento e disponibile lettore javriel regala al blog questi splendidi cartelli italiani tratti dal film Il grande cielo (The Big Sky, 1952), distribuito dalla RKO e diretto del mitico Howard Hawks. Il prolifico sceneggiatore Dudley Nichols – che ha curato un numero impressionante di capolavori del cinema negli anni Trenta e Quaranta, da Ombre rosse (1939) a Dieci piccoli indiani (1945) – adatta per lo schermo il romanzo omonimo del 1947 di A.B. Guthrie jr., portato in Italia da Mondadori nel 1950 (“Medusa” n. 264), rispolverato da Rizzoli nel 1978 (BUR n. 224) e riscoperto da Mattioli 1885 nel 2014.
Hawks adorava Guthrie e il suo stile, ma sapeva che non si confondono mai stima e soldi. Comprati i diritti del romanzo e pronto a produrne un film con la sua casa Winchester Pictures, mise nero su bianco che Guthrie non avrebbe mai potuto mettere bocca sulla sceneggiatura: qualsiasi cosa avesse scritto Nichols, quand’anche avesse totalmente stravolto il romanzo, era insindacabile… anche perché su schermo non si poteva portare una ragazza indiana femme fatale dodicenne! Il saggio antologico Fifty years after the Big Sky (2001) calcola che giusto un terzo del romanzo di Guthrie sia stato realmente utilizzato per la pellicola di Hawks.
Il film arriva in Italia il 27 novembre 1952 (fonte: IMDb) e di sicuro è in sala il 2 gennaio 1953: sembra incredibile, ma gira i cinema italiani per più di dieci anni! Ancora nel 1964 lo si può trovare in cartellone, finché il 22 gennaio 1968 viene trasmesso in TV dal primo canale (Raiuno), iniziando una lunga e prolifica vita televisiva.
da “La Stampa”, 2 gennaio 1953
Risulta uscito in edizioni VHS della Panarecord e Ricordi Video, di datazione ignota. La MHE (Mondo Home Entertainment) lo porta in DVD dall’ottobre 2003 mentre Elleu dal novembre 2008 presenta un’edizione con 2 dischi, contenente anche la versione colorizzata del film. Infine nel luglio 2013 la Quadrifoglio lo presenta in un DVD che promette d’essere una “versione restaurata”. (NdR: un’occhiatina ai prezzi dell’usato e la risata è garantita.)
Si fa presto a dire “western” e a dividersi fra gli amanti e i detrattori del genere, ma in realtà qui siamo davanti ad un prodotto “generico”, termine che è l’esatta antitesi del cinema di genere. L’irrefrenabile ed istrionico Kirk Douglas interpreta l’irrefrenabile ed istrionico Kirk Douglas visto in mille film: esagera ogni espressione (credo che gli itanglesi lo chiamino overacting), sorride a 34 denti (se ne fa prestare un paio per l’occasione), mostra le sue fossette che conquistano, balla, canta, ama e fa tutto ciò che il tipico cinema hollywoodiano dell’epoca preferisce. Che faccia tutto questo in un’ambientazione bucoclica di fine Ottocento comune al genere western è puramente secondario. La cosa incredibile è che prima di arrivare a Kirk siano stati presi in considerazione Gary Cooper, John Wayne, Montgomery Clift, Robert Mitchum e Charlton Heston. Nessuno di questi mostri sacri ce lo vedo a ballare, cantare e a fare boccacce in overacting…
Affiancato da Boone Caudill (un Dewey Martin che riesce ad andare in overacting addirittura più di Kirk), il protagonista viaggia nel Misùri (pronuncia italiana dell’epoca per Missouri) al seguito di una allegra comitiva di contrabbandieri che trafficano con i Piedi Neri, comprando da loro pellicce di alta qualità.
La mezza cherokee Elizabeth Threatt
Per evitare di essere massacrati dai fieri selvaggi – che come capita spesso in questo tipo di opera, sembrano più matti del villaggio che fieri guerrieri – la comitiva porta con sé la figlia del capo indiano, salvata e protetta lungo il viaggio: un lasciapassare sicuro per avere l’esclusiva del commercio dai Piedi Neri. La ragazza indiana è interpretata dall’esordiente Elizabeth Threatt, attrice di madre cherokee: è davvero raro che un personaggio nativo americano sia interpretato da un attore che abbia lo stesso sangue nelle vene, anche se in parte: due anni dopo per il ruolo protagonista de L’ultimo apache (1954) verrà scelto quel tipico sangue indiano di Burt Lancaster! Comunque la Threatt non dev’essere rimasta soddisfatta di questa esperienza, visto che non ha recitato mai più.
Un po’ si balla, un po’ si canta, c’è un po’ d’avventura, un po’ d’azione, un po’ d’amore, un po’ di caro vecchio razzismo d’annata, il mito del buon selvaggio che serve a mascherare altro razzismo, un dito mozzato a Kirk Douglas come se fosse una semplice procedura di profilassi medica, paesaggi cartonati particolarmente fittizi – magari sono veri, ma sembrano finti – personaggi tagliati con l’accetta e tutto ciò che rende datato un film. Questa però è una critica (condivisibile o meno) che si può muovere solo oggi, visto che appena uscito nell’agosto 1952 il film è un successone, e nel settembre successivo è al secondo posto fra i più grandi incassi degli Stati Uniti. Il problema è che è stato anche fra i più costosi.
Il film alla sua uscita piace e non si discute, ma allora com’è che non è rientrato neanche dei costi? Perché in contemporanea inizia a girare per i cinema americani un filmetto di cui potreste aver sentito parlare. Un certo Mezzogiorno di fuoco (High Noon, 1952): contro lo sceriffo Gary Cooper, che affronta da solo tutti i cattivi senza muovere un sopracciglio, l’istrionico Kirk non può nulla.
Il citato saggio del 2001 racconta che dopo due mesi dall’uscita in sala la RKO dovette prendere una decisione importante. Il film guadagnava, sì, ma non quanto sperato e Mezzogiorno di fuoco era una concorrenza imbattibile. Come se non bastasse, 128 minuti di durata costringevano le sale a fare pochi proiezioni al giorno. C’erano due alternative: far allungare l’orario di apertura delle sale così da consentire una proiezione in più, o andare giù di forbici. La RKO optò per la seconda, togliendo sedici minuti totali da cinque scene. La pellicola tagliata è stata ritrovata negli anni Ottanta – decennio ricco di scoperte di questo tipo – ma era in 16 millimetri e di qualità pessima. Al 2001 il saggio lamenta che non esista alcuna versione home video completa del film, ma che sia passato in TV, colorizzato per Turner Classic Movies: proprio quest’ultima versione a colori si può trovare in italiano, quindi se qualcuno volesse oggi può vedere il film nella sua interezza, con però le scene riagganciate prive di doppiaggio italiano.
Howard Hawks è un mito ad alti livello ma non è certo per questi film che è ricordato ed amato da tanti fan ancora oggi: mi basta ricordare che qualche anno dopo gira Un dollaro d’onore (Rio Bravo, 1959) per far capire quanto siamo lontani dal regista che è entrato nella storia del cinema. Lì però può contare su un cast in grande spolvero e una spettacolare sceneggiatura – scritta dall’autrice di fantascienza Leigh Brackett che, su mandato di Hawks, crea espressamente una “parodia” di Mezzogiorno di fuoco – mentre ne Il grande cielo ci sono solo le fossette di Kirk Douglas…
Titoli di testa
Titoli di coda
L.
P.S. Se simili resoconti vi interessano continuate a seguirci ogni due venerdì qui su Doppiaggi Italioti e vi invito a venire a trovarmi anche sul mio blog Il Zinefilo: viaggi nel cinema di serie Z.
Questo sito rispetta la tua privacy e non installa cookie di profilazione, fa solo uso di cookie tecnici, necessari al suo corretto funzionamento e di cookie che forniscono statistiche anonime sul traffico degli utenti. Puoi anche decidere di negare i cookie non indispensabili al funzionamento del sito, in ogni caso la tua privacy sarà rispettata.
Funzionale Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.