• [Post perduti] Liebster Award 2017 – Altre 11 domande all’autore di Doppiaggi Italioti

    liebster-award-2017Altro anno, altra fregatura altro riconoscimento! Il premio Liebster, un premio assegnato da blogger ad altri blogger per auto-promozione, anche quest’anno mi viene gentilmente (e virtualmente) consegnato dall’autore del blog umoristico dedicato al cinema La Bara Volante. Se nella passata edizione del 2016 i miei 389 iscritti superavano già quelli previsti dalla squalificante regola di “non più di 200” (regola recente che serve ad aiutare i blog emergenti), quest’anno i miei attuali 1104 mi tagliano fuori completamente (per consolarmi posso dire che avrei vinto anni fa quando in Germania nacque questo premio informale ed era limitato a meno di 2000 iscritti) quindi mi considero esentato dal seguirne le regole ma risponderò comunque alle domande inoltratemi da Cassidy di La Bara Volante, che ringrazio col gesto dell’ombrello.

    1. Cosa ti ha spinto ad aprire un blog?

    Semplice. Mi piaceva l’idea di essere insultato da emeriti sconosciuti sull’annosa questione del doppiaggio in Italia. Missione compiuta.

    2. Se potessi tornare indietro nel tempo, cambieresti qualche fatto storico? Se sì, quale e in che modo lo cambieresti?

    Qualcuno lo ha già fatto mi sa, c’è Trump a capo degli Stati Uniti. Siamo già nel 2017 di una linea temporale alternativa. Comunque no, chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia e non sa quel che trova. Richiedimelo nel “day after”.

    3. Hai qualche ricordo particolarmente emozionante legato ad una serata al cinema?

    Ho avuto il piacere di vedere la trilogia di Guerre Stellari al cinema ben due volte nella vita, prima nel 1997 con le “edizioni speciali” (all’epoca si chiamavano così) e poi l’esperienza definitiva nel 2013 quando andai alla proiezione della trilogia originale in pellicola storica 35mm (trovate un piccolo resoconto qui). Da amante di quei film, quella del 2013 fu un’esperienza particolarmente emozionante ma in generale ho memoria di quasi tutte le esperienze al cinema.

    4. Con quale criterio collezionate DVD/Blu-Ray?

    Vista la mia fissazione con la preservazione storica, acquisto DVD e Blu-Ray prediligendo almeno uno dei seguenti elementi:
    1) Blu Ray con doppiaggi originali qualora il film sia stato ridoppiato (di recente Il senso della vita dei Monty Python è uscito in Blu Ray con doppiaggio originale che temevamo essere scomparso e quindi l’ho comprato pur avendolo già in DVD, normalmente ne avrei fatto a meno).
    2) Edizioni home video che riportino la versione italiana del film, ovvero con i titoli tutti tradotti nella nostra lingua, cioè esattamente come arrivarono al cinema in Italia. Meglio se in alta definizione. The Hateful Eight e Machete sono due esempi di film usciti in Blu Ray con titoli italiani. Mai mi sarei sognato di comprarmi Machete ad esempio, ma come ci insegna il detto… tira più una versione cinematografica italiana che un carro di buoi. Era così, no?
    Con l’aiuto di coloro che seguono i nostri progetti di preservazione storica stiamo stilando una lista di tutti i film con i titoli italiani da versione cinematografica, in futuro la pubblicherò sul blog così che anche altri pazzi come me possano usufruirne.

    5. Un mega-produttore viene da voi e offre un budget spropositato per produrre una vostra sceneggiatura. Cosa raccontate?

    Un western ambientato nel sud Italia durante l’unificazione, un racconto scevro da revisionismi post-bellici e rivisitazioni neo-borboniche. Ci sarebbero carabinieri che da cavallo tagliano teste con la sciabola. I fatti storici in Italia sono più sensazionali dell’immaginazione hollywoodiana. Musica di Morricone ovviamente, almeno finché è vivo.

    6. Ti svegli e sei l’uomo più ricco del mondo. Come cambia la tua vita?

    Semplice. Compro la Disney e rilascio la trilogia di Guerre Stellari non alterata in Blu Ray UltraHD a 4k, in seamless branching così che ogni paese possa rivedere la propria “versione originale”. La possibilità di svegliarsi come “più ricco del mondo” è più plausibile di un rilascio ufficiale della suddetta versione.

    7. Cosa pensi dell’annosa questione “il blog è morto”, ucciso dai social network e da #laggente che non legge?

    Non sapevo fosse annosa. Quando aprii Doppiaggi italioti nel 2011 il blog come forma di espressione era già morto perché tutti erano corsi a scrivere i propri pensieri su Facebook. Adesso è rinato ma è anche più difficile da definire visto che quasi tutti quelli che una volta chiamavamo “siti web” sono adesso blog camuffati. Inoltre la rinascita del blog è dovuta anche ai social network stessi… gli acchiappaclick che spopolano su Facebook dove pensate che conducano se non a blog mascherati da siti web che qualcuno ha creato unicamente per guadagnarci con i banner pubblicitari? #Laggente legge ma legge principalmente cose riciclate da altri siti acchiappaclick americani quando non direttamente stronzate belle e buone (spesso anche infondate). A questo proposito consiglio la pagina Facebook Stop click-bait Italia che fa lo “spoiler” di tutte le notizie acchiappa-click che circolano così, da risparmiarvi di cliccarci sopra. Diciamo che il loro principio è buono ma è ironico che crescano poco dato che non sfornano acchiappaclick.

    8. Sei a casa, stai cenando e in TV inizia il solito film, quello che hai visto decine di volte e di cui conosci a memoria i dialoghi; ma niente, proprio non ce la fai a staccarti da lì e lo rivedi sino alla fine per l’ennesima volta. Che film è?

    Probabilmente Caccia a Ottobre Rosso. Non conosco i dialoghi a memoria (solo qualche frase) e non credo che lo metterei nella mia personale lista di 10 film più belli di sempre eppure mi cattura ogni volta. Ce ne saranno sicuramente altri che non mi vengono in mente al momento. Tanti altri.

    9. Qual è il film o la serie che durante l’infanzia o l’adolescenza adoravi e che adesso ripudi?

    La mia infanzia si è consumata tra anni ’80 e ’90 e quasi tutte le serie che passavano in TV all’epoca erano imbarazzanti, ma non ripudio niente. Le serie e i film che non mi piacevano a quei tempi continuano a non piacermi adesso (Power Rangers ad esempio non capisco come possa essere la passione di qualcuno, non l’ho capito all’epoca e non lo capirò certo adesso), per altre ho perso interesse crescendo. Di sicuro hanno avuto il loro perché in uno specifico periodo della mia vita.

    10. E – al contrario – qual è il film o la serie TV che alla prima visione non ti ha comunicato nulla, ma, magari a distanza di anni, è entrato/a di diritto nella rosa dei tuoi preferiti?

    Starship Troopers! Non è un film di cui puoi capire le intenzioni all’età di 12 anni, sebbene esso abbia proprio l’aspetto di un film per adolescenti. L’ironia e la genialità di Verhoeven sono solo alla portata di individui adulti e neanche tutti.

    11. Qual è la scena che – oh – ogni volta ti fa piagne a fontanelle?

    Se posso limitarmi al complesso di occhi lucidi e groppo in gola, ce ne sono più di quanti sia disposto ad ammettere. Ne cito qualcuno che mi viene in mente così al volo: la lettera di Nicola Sacco al figlio nel film Sacco e Vanzetti e le scene finali con la musica di Morricone-Baez; il finale di Schindler’s List quando Oskar Schindler si dispera per non aver salvato qualche vita in più. Per restare in tema, anche il finale di La vita è bella non mi lascia impassibile. Di recente Alla ricerca di Dory mi ha smosso. Sto invecchiando.


    Note a piè di pagina

    Questo post è stato ritrovato tra gli articoli mai pubblicati e non ricordo il perché. Ho deciso di renderlo disponibile sebbene ormai fuori tempo massimo.

  • La questione Laurel & Hardy

    All’appassionato non far sapere… quant’è buona l’opinione di Leo con le pere

    L’arrivo online (pochi giorni fa) del trailer del film di imminente uscita, Stan & Ollie di Jon S. Baird, non può che risvegliare curiosità legittime su come questo film verrà doppiato in italiano ed è quindi giunta l’ora di parlare di un argomento che mi sembra a questo punto inevitabile.

    Questo film biografico su Laurel & Hardy ha come protagonisti Steve Coogan e John C. Reilly, entrambi detentori di candidature all’Oscar, e verrà presentato in anteprima al BFI Film Festival questo 21 ottobre. Uscirà poi ufficialmente nei cinema britannici a partire dall’11 gennaio 2019. Al momento in cui si scrive questo articolo non si sa nulla di una eventuale uscita italiana, ma si ipotizza al più tardi una proiezione primaverile.

    Stanlio e Ollio nell’immaginario collettivo italiano

    La coppia comica per eccellenza ha una presenza ancora forte nell’immaginario collettivo nostrano e in gran parte è dovuta ai memorabili doppiaggi storici, interpretazioni fortemente caratterizzate da un accento inglese/americano. La storia di queste versioni è ampiamente documentata ed è possibile saggiare alcuni dei doppiaggi arrivati fino a noi grazie a questo filmato antologico sulla storia delle voci di Stanlio e Ollio, estratto da un documentario del 2002 curato da Benedetto “Enciclopedia” Gemma dell’Oasi 165 dei “Figli Del Deserto”, la società internazionale dedita all’apprezzamento di L&H.

    Gli accenti di Stanlio e Ollio nacquero quando, agli albori del sonoro, non era stato ancora inventato il doppiaggio. La nascente industria cinematografica era già attentissima ai mercati stranieri e, non volendo perdere vendite in quei paesi (finita l’era muta non bastava più cambiare le didascalie!), escogitò uno stratagemma: girare lo stesso film più volte in lingue diverse. A seconda dei casi potevano rimanere fissi i protagonisti e cambiare soltanto i comprimari, in altri frangenti si sceglieva di sostituire tutto il cast con attori che parlassero bene la lingua di destinazione, quello che è successo con Dracula del 1931, dove gli stessi set venivano usati di giorno per girare il film in inglese con Bela Lugosi e, nottetempo, la sua versione spagnola con Carlos Villarìas.

    Due scene a confronto di Dracula (1931) nella sua versione americana con Bela Lugosi e la versione in spagnolo

    Stesso film, stessi set, attori e lingue diverse

    Nel caso invece che gli interpreti americani rimanessero gli stessi, questi dovevano leggere da lavagne poste fuori campo sopra cui venivano scritte foneticamente le battute in lingua straniera. Ciò vuol dire che gli attori leggevano frasi scritte approssimativamente “come si dovevano leggere”, senza conoscere la lingua e quindi senza sapere veramente ciò che dicevano, scena per scena.
    Così fu infatti per Laurel & Hardy, che girarono tra il 1930 e il 1931 le versioni “fonetiche” di alcuni cortometraggi (nonché un lungometraggio) in spagnolo, tedesco, francese… e italiano.

    Ecco un esempio tratto dalla versione ri-girata in spagnolo (ed espansa) di Chickens Come Home (1931), intitolata Politiquerìas dove è possibile vedere Oliver Hardy che recita in spagnolo.

    Sono certo che anche quelli di voi non ferratissimi in spagnolo avranno notato il forte accento americano. Ebbene, immaginate dunque che qualcosa di molto simile fu ciò che si poteva sentire nei cinema del Bel Paese quando uscì da noi la versione ri-girata per il mercato italiano del loro primo lungometraggio, Pardon Us (1931), qui intitolata Muraglie.
    Sì, immaginate e basta! Ad oggi questa versione “alternativa” del film è considerata perduta. Stesso destino è presunto per Ladroni, versione italiana del corto Night Owls (1930).

    Il resto, per usare un cliché già vecchio ai tempi di Gutenberg, è storia. L’accento straniero fece ridere gli italiani che videro Muraglie, e qualche anno dopo arrivò il doppiaggio e con esso il film Fra’ Diavolo nel quale, per la prima volta i loro personaggi vengono chiamati “Stanlio” e “Ollio”, sensatamente direi, perché la storia era ambientata proprio in Italia. Da allora Laurel & Hardy vennero sempre doppiati con accento straniero e si chiamarono sempre Stanlio e Ollio, anche se l’ambientazione non era più italiana.

    Per approfondimenti sulla storia delle voci italiane, rimandiamo a questi due ottimi articoli: Introduzione alla storia delle voci di Stanlio e Ollio (di Andrea Ciaffaroni, 2012) e La vera storia delle voci italiane di Stan Laurel e Oliver Hardy (di Antonio Costa Barbè, 2000).

    La pratica del doppiaggio con accento straniero si è estesa perfino ai film in cui Oliver Hardy recitava senza Laurel e il personaggio non era per niente (nella versione originale del film in questione) quello di “Ollie”; non solo dando la voce e l’accento buffo di Sordi a un personaggio che non li richiedeva, ma arrivando anche a chiamarlo “Ollio” e a stravolgere completamente il copione, come nel caso del film Zenobia (1939) poi ri-titolato per il mercato italiano Ollio, sposo mattacchione (nel quale gli dà la voce Carlo Croccolo). Un vecchio caso di titolo italiota e sequel apocrifo!

    Locandina italiana del film Zenobia (1939), intitolato in italiano come Ollio sposo mattacchione

    In questo film Hardy interpreta il dottor Henry Tibbett, medico condotto in una commedia ambientata ai tempi della guerra civile americana. La distribuzione italiana ha pensato bene di chiamarlo Ollio Hardy, di affiancargli una moglie che parla come Stanlio e di inserire la foto dell’amico magro nell’album di famiglia. Ah, e non dimentichiamo gli schiavi neri ghe barlano gozì, badrone, che in un doppiaggio del dopoguerra erano ancora considerati cosa normale.

    Nel film Il ritorno del kentuckiano (1949) poi si è voluti affiancare “Ollio” addirittura a John Wayne, quando in realtà il personaggio interpretato da Oliver Hardy si chiamava semplicemente “Willie”. Ormai Oliver Hardy e il suo personaggio “Ollio” erano un’entità unica e inseparabile… in Italia.

    Il doppiaggio “buffo” per tradizione è continuato fino ai giorni nostri quando, in ultimo, Mediaset richiamò nel 2008 il duo Ariani e Garinei, che aveva già prestato le voci ai S&O negli anni ’80, per doppiare il film I maestri di ballo (1943), il cui doppiaggio storico è andato perduto.

    Qui vorrei tirare una riga immaginaria con la matita. Perché è arrivato il momento di parlare della eventuale uscita italiana di questo tanto atteso film biografico su Laurel & Hardy, un progetto dalla lunga gestazione che finalmente sta vedendo la luce. Inutile dire che tutti i fan e gli appassionati sono in attesa e fiduciosi, vista la risposta ampiamente positiva al trailer. Resta l’incognita italica dell’adattamento e del doppiaggio i quali, qualunque sarà la direzione intrapresa, si porteranno dietro non pochi problemi.

    Stan & Ollie (2018) coming soon poster

    Stanlio e Ollio nel film biografico del 2018

    Chi conosce le voci originali di Laurel e Hardy può constatare con piacere che Coogan e Reilly, a giudicare dal trailer, hanno fatto un eccellente lavoro di ricalco vocale.
    Il film, da quello che si sa già, parlerà del periodo finale della loro carriera di coppia e della loro relazione personale lontano dalle cineprese. Nell’ottobre del 1953 Stan Laurel e Oliver Hardy si imbarcano in quello che sarà il loro terzo e ultimo tour teatrale nel Regno Unito, terminato bruscamente a causa di un improvviso malore di Hardy nel maggio del 1954.

    Una pellicola biografica, dunque, che si suppone drammatizzerà, romanzerà e dipingerà, magari con qualche libertà artistica, la vicenda umana di due persone veramente vissute. Ci si aspetta momenti in cui si sorride, ma lungi dunque dal voler essere una commedia “slapstick”.

    Cosa aspettarci dalla versione italiana di questo film?

    Tutto ciò che si sa, per il momento, è che la distribuzione sarà di Lucky Red (secondo il sito Mymovies) quindi si deve presumere per forza di cose che il titolo “tradotto” che troviamo su IMDb (Stanlio e Ollio) sia venuto da loro ma altri dettagli su una versione italiana non sono pervenuti, tutti i siti di informazione hanno semplicemente riportato il trailer (al momento soltanto in inglese, senza sottotitoli) facendo poi un copia&incolla di notizie generali sul film e ripetendo ciò che già sappiamo.

    Non ci è dato di sapere a questo punto se il titolo italiano sia definitivo o provvisorio, messo lì intanto per battere un po’ il tamburo e svegliare chi potrebbe essere interessato all’uscita del film. Non ci è dato neanche di sapere, ancora, che linea prenderà l’adattamento dei dialoghi e il doppiaggio, e dunque se anche in questo film biografico faranno capolino i vecchi accenti “buffi”, anche solo per le scene in costume.

    Immagine dal film Stan and Ollie (2018), Stanlio e Ollio in posa

    Opinione di chi scrive è che sarebbero assolutamente fuori posto in un film come questo, rappresentano ormai un anacronismo, una tradizione della quale non tutti ricordano l’origine e che ormai si è ridotta a una catena di imitazioni dell’attore che lo ha preceduto, sempre più sbiadite. E, ad ogni modo, sarebbero un madornale errore di tono all’interno di quello che, a tutti gli effetti, vuole essere comunque un film “serio”. Allo stesso tempo c’è il problema della nostalgia che in Italia è legata indissolubilmente al doppiaggio con voci buffe.

    Chiunque concorderà con il fatto che non potranno farli parlare in modo macchiettistico anche nelle scene “fuori dal set”, ma c’è sempre la possibilità che li doppino con i familiari accenti inglesi nelle scene in cui Coogan & Reilly sono “nel personaggio”. Non è una prospettiva così lontana perché ancora oggi, come è stato rimarcato spesso su questo stesso blog, quando si vuol indicare un cambio di codice, la risposta più veloce e semplice per il doppiaggio italiano è usare un accento, che sia esso straniero o regionale. Vedasi per esempio il controverso caso de Il concerto di Radu Mihăileanu: un film che nasce bilingue, parlato sia in francese che in russo. La maggior parte degli interpreti parla appunto in russo, e i comprimari in francese. Allora per quale ragione si è dato l’italiano standard ai francesi, e l’italiano accentato in russo ai russi? Forse la spiegazione sta nel fatto che i russi in questo film rappresenterebbero “gli stranieri” in Francia e quindi il codice vorrebbe indicare “l’altro”, ma resta il fatto che il risultato sia grottesco perché questa operazione è stata fatta nel 2009 e non in piena guerra fredda con gli ufficiali sovietici che domandano a Totò se è veramente lui l’ammiraglio Canarinis.

    È forse giunta l’ora di scrollarci di dosso queste abitudini? Sarà ormai superato il trovare “buffo” l’accento straniero di una persona che si sforza di parlare nella nostra lingua?

    Stan & Ollie, poster del film su Stanlio e Ollio, in uscita nel 2018

    L’opinione fuori dal coro

    Chi scrive ha imparato la lingua inglese grazie, in primo luogo, proprio a Stan & Ollie, avendo avuto la curiosità, più di dieci anni addietro, di andarmi a cercare i loro film in lingua originale. Imparando l’inglese ho imparato ad amare questa coppia comica che, come tanti della mia generazione, avevo comunque conosciuto in televisione, in film doppiati in italiano e spesso attraverso copie super tagliuzzate, sbiadite, col contrasto a mille o magari colorate male al computer; e voglio che sia chiaro, apprezzo i doppiaggi italiani dei loro film… ne apprezzo molti ma non tutti (quelli anni ’80 in particolare sono di un trash puro quindi chi ama Stanlio e Ollio in italiano dovrebbe sempre specificare esattamente quali film include nella sua lista di adattamenti da difendere). Conoscendoli più approfonditamente in lingua originale però ho compreso che effettivamente non avrebbero bisogno di questi accenti per essere divertenti, erano due “clown” che facevano uso (venendo dal cinema muto) principalmente del linguaggio fisico.

    A proposito dei doppiaggi anni ’80 di Stanlio e Ollio, se il nostro amato Evit scoprisse la qualità degli adattamenti anni ’80 firmati da un tale Guido Leoni, fautore di molti infausti adattamenti televisivi “italioti” (La tata è uno dei suoi, ma anche Pappa e ciccia), potrebbe dare un nuovo nome al suo dolore.

    Il fatto che le loro voci originali abbiano funzionato è stata la loro salvezza a cavallo tra il 1928 e il 1930 perché tanti loro colleghi non riuscirono a fare il salto al sonoro. In lingua originale ci hanno dato tantissime battute memorabili, ma resta il fatto che Stan & Ollie possono essere visti anche senza il sonoro e fanno cascare lo stesso giù il teatro dalle risate!

    Provate però a proporre a un fan italiano di Stanlio e Ollio di sentirli doppiati “normali”. Vi dirà che nessuno li vuole così o al peggio vi chiamerà “stupìdi”.
    E posso anche capirlo, so benissimo di essere un fan atipico, una voce fuori dal coro tra gli appassionati del duo comico, in minoranza, specie perché realizzare nuovi (ulteriori) doppiaggi delle vecchie comiche con il pretesto di doppiarli “normali” sarebbe sempre una operazione bislacca vista l’età di questi film. D’accordo, lasciamo in pace i doppiaggi storici (e magari impegniamoci a preservarli e restaurarli ove ancora possibile) ma, per quanto riguarda il nuovo film, direi che quella dell’accento “buffo” è una tradizione che possiamo lasciarci alle spalle, e salutare con un bell’arrivedorci!

    John C. Riley nei panni di Oliver Hardi che saluta con un arrivedorci. Photo by Joan Wakeham/REX/Shutterstock (8595101y) John C Reilly 'Stan and Ollie' on set filming, Bristol, UK - 10 Apr 2017

  • The Abyss (1989) – La tortura della goccia

    Gif animata con Guzzanti che esclama subbaqqueria, nella serie di sketch Rieducational Channel con Vulvia, la presentatrice.

    The Abyss è il sogno (e anche il film) più bagnato di James Cameron perché riunisce tutte le sue più grandi passioni: personaggi femminili forti, le immersioni nelle profondità marine, la paura della guerra nucleare, il maltrattamento di attori e troupe e, tempo permettendo, pure gli alieni. Ciascun film di Jimmy contiene sempre almeno due o tre di questi elementi ma mai prima del 1989 era riuscito ad infilarceli tutti quanti in un colpo solo. E me cojoni, direte!

    Poster del film The Abyss modificato in The Abuse

    Working title

    Ma quando l’attore protagonista ti tira un cazzotto in faccia perché stavi per farlo affogare nel tuo film sugli alieni subacquei con donna forte e testata nucleare che rischia di esplodere, forse è il momento di domandarsi se fosse davvero necessario far coesistere tutti questi elementi in un solo film.
    Ma voi siete qui per l’adattamento, giusto? E non per le curiosità dai dietro le quinte tipo Mary Elizabeth Mastrantonio (uè, cumpà!) che scappa dal set in lacrime urlando “siamo attori, non animali!”.

    Ebbene, se ne saranno accorti in pochissimi ma l’adattamento italiano di The Abyss fa acqua da tutti le parti ed è pieno di errori più o meno gravi che, se sommati insieme, come tante gocce d’acqua, diventano quasi una tortura medievale che rischia di portarvi alla pazzia.

    Fate un bel respiro, ragazzi. Stiamo per immergerci negli abissi della mia pedanteria. Sì, questo sarà un altro dei miei articoli da mister tritacazzi (semi-cit.).

    Scena dal film The Abyss, il personaggio di One Night che si mette un dito in bocca per vomitare

     

    Tutta colpa di Netflix

    La mia prima esposizione a questo film è avvenuta, così come per molti altri, nell’era analogica, quando le videocassette imperavano e il confronto con l’originale in inglese era cosa assai poco pratica, diciamo pure impossibile; in DVD poi non credo lo abbia mai comprato nessuno e se lo avete fatto sta sicuramente lì, a prendere polvere nella terza fila dello scaffale, ammettetelo!
    In Blu-Ray poi ancora non esiste. Cameron ce lo promette da anni ma fino ad ora è stato troppo occupato a ritoccare continuamente i suoi Terminator e a pianificare quattro o cinque nuovi seguiti di Avatar di cui nessuno sente il bisogno, quindi devo solo ringraziare Netflix che, finalmente, dopo 29 anni mi ha consentito di vederlo in inglese.

    L’articolo sull’adattamento italiano che segue è la conseguenza di tale visione.

    Una scena del film The Abyss (1989)

    È una di “quelle” recensioni. Armiamoci di santa pazienza.

    Lo sapevate? L’adattamento di The Abyss è terribile. Sapevatelo

    The Abyss è uno di quei casi in cui abbiamo un ottimo doppiaggio (la scelta degli interpreti e la loro interpretazione è davvero eccellente) che però si basa su un pessimo adattamento, ma prima di parlare dell’adattamento voglio togliervi un dubbio che probabilmente non vi eravate mai neanche posti: come si pronuncia il titolo del film?
    Per una pronuncia corretta l’accento va sulla y, quindi “abìss” e non “àbiss”, ecco, ce lo siamo tolto di torno. Avete notato come nessun film di James Cameron abbia mai avuto un titolo tradotto in italiano? Curiosa ‘sta cosa. Comunque, tornando ai miei tormenti, qual è il problema della versione italiana? Non ce n’è solo uno, questo film infatti ne è colmo, tra frasi omesse, frasi che cambiano il significato dei dialoghi, frasi che anticipano sorprese… questi sono alcuni dei tanti problemi che affliggono il suo doppiaggio.

    Oltre a questi, la versione italiana è costellata di tante piccole scelte di traduzione discutibili, piccole goccioline che dopo 145 minuti possono anche portarvi alla pazzia, io vi ho avvertiti. Contiamo le goccioline insieme e forse The Abyss diventerà una tortura insostenibile anche per voi. Orsù accomodatevi, comincia il film.

    Raffigurazione della tortura della goccia

    Seduti comodi?

    Prima scena, primi errori

    Il film comincia subito con una battuta che, come si dice nella terra del tè con il latte a tutte le ore, “it’s not quite right”, non è proprio corretta. Qualcosa non quadra.

    In un sottomarino americano, il marinaio addetto al sonar sta seguendo gli spostamenti di un oggetto subacqueo non identificato che si muove a velocità impossibili per un sommergibile sovietico. Ci viene detto che l’oggetto non emette cavitazione, né rumori di un reattore e che “non si avvertono neanche segni di eliche” . Detto così sembrerebbe che non emetta proprio alcun rumore, che sia quindi del tutto silenzioso. Questo è ciò che percepiamo dai dialoghi italiani.
    Interpretazione subito smentita dal superiore che preme un pulsante e ci fa sentire ciò che il marinaio stava ascoltando in cuffia. Un suono alieno.

    Scena iniziale del film The Abyss, tre sommergibilisti davanti al sonar

    Una banale occhiata ai dialoghi in inglese e scopriamo invece che l’ultima frase del marinaio era ben altro: “non sembra neanche il suono di eliche” (it doesn’t even sound like screws). La battuta in inglese dovrebbe far scattare una curiosità nella mente dello spettatore in merito all’oggetto misterioso e al suono che emette, un suono sconosciuto e indescrivibile. Che suono sarà? Cosa diavolo lo emette? Faccelo sentire anche a noi!

    Da questo primo esempio è già evidente come una piccola alterazione apparentemente da poco possa alterare completamente la percezione di una frase e della scena stessa. Cameron la sa lunga su come creare aspettative con i dialoghi e su come poi distribuire piccole ricompense. Già le primissime battute del film riescono nell’intento, a patto che lo stiate guardando in inglese però.

    Se in italiano ci fai pensare che l’oggetto misterioso non emetta alcun suono e poi un suono invece lo sentiamo hai già ammazzato i dialoghi dalle primissime battute. Anche noi spettatori ignoranti vogliamo poter confermare che non si tratta di un rumore di eliche dopo esserci chiesti “che rumore sarà mai?”.
    Il modo in cui è stato tradotto potrebbe far sospettare ad una superficiale conoscenza dell’inglese ma lasciamo il beneficio del dubbio imputandolo ad una scelta di traduzione… magari per rispettare il labiale? Speriamo e andiamo avanti.

    Che sarà mai, dite? Sottigliezze, dite? Sofismi? Questa è soltanto la prima goccia.

    goccia d'acqua che cade sulla testa

    Plic!

    Linguaggio da marinai o da scaricatori di porto?

    Da spettatori italiani di blockbuster (doppiati), siamo facilmente portati a credere che in una situazione di pericolo dei marinai possano dire cose come “siamo nella merda” oppure “i serbatoi di prua sono fottuti“, frasi molto plausibili in bocca a dei sommergibilisti di un film d’azione statunitense, se non fosse per il fatto che tale linguaggio stereotipato non ha corrispondenze in lingua originale.

    In situazioni d’emergenza sul mare non c’è spazio per un linguaggio così informale e ridondante perché può solo costare la vita a tutti. Lo sa bene Cameron, appassionato di immersioni, che ci mette più realismo possibile nei dialoghi di film su i suoi amatissimi abissi, e lo sa anche mio padre, ex-ufficiale di marina (mercantile), che davanti a queste frasi storce sempre il naso (se vedesse The Abyss in italiano lo storcerebbe di sicuro). È vero che questo genere di dialoghi è quasi la norma nei film americani ma non in questo. Allora perché dovremmo accettare dialoghi italiani da film di Michael Bay come “i serbatoi di prua sono fottuti” quando in inglese diceva semplicemente “falla nei serbatoi di prua” (forward tanks are ruptured)? La sostanza non cambia ma lasciamo che il film si esprima con il lessico scelto dal regista.

    Non passano neanche pochi secondi che ci arriva un altro scambio di battute dove l’adattamento italiano decide di andare un po’ a braccio:

    – We’re losing her! (Letteralmente “lo stiamo perdendo”, il sommergibile)
    [scambio di sguardi]
    Launch the buoy. (“Lancia la boa”)

    Ancora una volta nella situazione di emergenza non c’è tempo da perdere, ciascuna frase è significativa ed ha un suo peso. Nessuno perde tempo con inutili sottintesi o frasi ridondanti. Viene subito detto che il sottomarino è ormai spacciato. Chiaro. Semplice. Quel lancio delle boe è un tentativo probabilmente futile ma è l’unica cosa che resta da fare. Tutto molto accessibile, ci arriva anche il bifolco americano.

    Nel doppiaggio della terra di poeti, santi e navigatori, la prima battuta diventa invece “lanciamo una boa“, seguìta da una drammatica riconferma:

    “Lanciamo una boa…

    dramatic prairie dog gift

    …di segnalazione!”.

    Cosa cambia? La frase italiana vuole essere ad effetto e, invece di dichiarare subito e in modo chiaro che il sommergibile è “perduto”, sentiamo l’ordine di “lanciare le boe”, il sottoposto guarda con preoccupazione ma non muove un dito, ha capito qualcosa che gran parte degli spettatori ancora non sa, cioè cosa implica lanciare “le boe”. Non lo capiamo anche noi finché il capitano non specifica che le boe sono “di segnalazione”. Ora possiamo finalmente intuire che il sommergibile e il suo equipaggio sono spacciati e che non hanno altro che la speranza di essere recuperati dalla Marina.
    Lo spettatore americano e quello italiano percepiscono la scena in modo leggermente diverso. Questa è la prima di tante omissioni o alterazioni che ci accompagneranno per il resto del film. Nessun grave delitto, è soltanto un’altra gocciolina. Plic!

    goccia d'acqua che cade sulla testa

    Ahia, porco D…

    Siamo a poche frasi dall’inizio del film e l’adattamento italiano già fa acqua da tutte le parti. speriamo che non affondi.

    Il linguaggio tecnico dei subbaqqui: scogli per precipizi

    Di linguaggio tecnico in The Abyss ce n’è tanto e sembra essere quasi sempre corretto, forse frutto di un’ottima consulenza, lo dimostrano cose come il winch (termine che include sia il significato di verricello che di argano), usato proprio in nautica anche in lingua italiana. Eppure, in maniera inattesa, la traduzione ci casca nei momenti più banali come ad esempio quando una messa a terra (“ground connection”) diventa letteralmente una “connessione al suolo“.

    Bypassa la connessione al suolo sul sequenziatore di separazione

    Tale frase viene fuori nella scena in cui i sommozzatori dei Navy Seals armeggiano con una testata nucleare che di certo non è connessa “al suolo” come una tenda da campeggio. A riconferma di ciò, se cerchiamo “connessione al suolo” su Google troviamo la bellezza di un centinaio di risultati, nessuno legato all’elettronica (contro gli oltre 2 milioni di “messa a terra”, tutti legati all’elettronica). Certo, Google non c’era nel 1989, ma la “messa a terra” esiste dai primi esperimenti di Faraday dell’800.

    Scena dal film The Abyss

    Doppiaggio: “Bypassa la connessione al suolo sul sequenziatore di separazione”

    Ancora più fuorviante è un’altra battuta che arriva poco dopo, quando sentiamo che invece di essere trascinati verso il precipizio la nostra Mastrantonio (nella versione italiana) ci avverte che stanno per essere trascinati verso uno scoglio.

    Definizione di scoglio: “porzione di roccia che affiora o emerge dalla superficie del mare, di laghi o di fiumi”.

    Ora, dubito che questo si qualifichi come “scoglio”.

    Scena dal film The Abyss, un sommozzatore sul bordo di uno strapiombo

    In inglese infatti non si parla affatto di scogli.

    Scena dal film The Abyss

    Doppiaggio: “Stiamo andando contro lo scoglio”

    La frase italiana fa pensare che si sarebbero presto schiantati contro una parete o un masso, ben altra cosa rispetto al rischio di CADERE DA UN PRECIPIZIO nelle profondità marine! Mamma mia, sento già la tensione che sale in me… ma solo in inglese! Infatti lo strapiombo di cui parlano nella versione originale lo vediamo solo successivamente, quando la gru alla quale sono rimasti ancorati precipita giù rischiando di trascinarli oltre il baratro. Resosi conto di ciò che sta per accadere, Capitan Ovvio urla “ci trascina via!” mentre in inglese la battuta era semplicemente “reggetevi a qualcosa” perché ciò che stava per accadere era chiaro persino al bifolco americano.

    Scena dal film The Abyss

    Doppiaggio: “Ci trascina via!”

    Da notare che quasi tutte le frasi incriminate sono dette fuori campo, non vediamo mai la bocca di chi le pronuncia quindi sono scelte difficili da poter giustificare in qualche modo.

    A proposito di pronuncia, con il doppiaggio di The Abyss è la prima volta che sento il segnale di soccorsoMAYDAY” pronunciato come “mai-dei” invece di “mei-dei” (o come viene spesso trascritto MEDE’), molto curioso visto che lo stesso personaggio (Sonny, doppiato da Franco Zucca) nella medesima scena pronuncia poi il nome della piattaforma Deep Core come “dip COAR”, forse ad emulazione della pronuncia americana. La pronuncia di parole estere evidentemente rimane a discrezione degli interpreti.
    Visto che stiamo a parlare di pronunce, perché i mini sommergibili radiocomandati “Big Geek” e “Little Geek”, vengono chiamati “little gic” e “big gic”? Forse “bigghick” suonava male? Chissà in quanti avranno pensato di sentirci “Big Jim” all’epoca. (La pronuncia corretta di geek è “ghiik”.)

    Mentre nel caso dello scoglio/strapiombo i dialoghi italiani restano incomprensibili finché non vediamo con i nostri occhi cosa sta per accadere, in altre scene invece anticipano persino troppo. È il caso del famoso incontro con la protuberanza fatta d’acqua. Dico famoso perché questa scena certamente la conoscete anche senza aver visto il film.

    Scena dal film Abyss, una protuberanza fatta d'acqua imita il volto dell'attrice Mastrantonio

    Protuberanze acquatiche, su Rieducational Channel!

    Successivamente a questo primo contatto, la protuberanza si allontana, addentrandosi in altre parti della struttura sottomarina. Dove starà andando? In inglese la protagonista pensa che sia diretta verso il modulo B della struttura (“I think it’s headed for B module“). La musica è gioiosa finché non vedono che si è fermata ad osservare la testata nucleare portata a bordo dai militari paranoici.
    Nella versione doppiata, la costruzione dell’intera sequenza è rovinata da uno “spoilerino”: invece di dire che sta andando verso il modulo B, in italiano il personaggio di Lindsay (Mastrantonio) mostra doti paranormali di preveggenza quando dice: sta andando verso la testata!

    Scena del film The Abyss, l'equipaggio segue la protuberanza acquatica verso la testata nucleare

    Doppiaggio: sta andando verso la testata!

    Che ne sai, Lindsay? Hai letto il copione? È una gigantografia del copione quella che vedo appesa alla parete nell’immagine qui sopra?
    In italiano, dunque, la musica rimane gioiosa nonostante Lindsay abbia detto che la protuberanza aliena sia diretta verso la testata nucleare, a questa informazione gli spettatori italiani non danno quindi il giusto peso perché la musica si fa più seria soltanto dopo. Questo non ha senso nel linguaggio del cinema.

    goccia d'acqua che cade sulla testa

    Ahhhhh!

    Abissali fraintendimenti

    Per essere un film sulle profondità marine e sulle immersioni, The Abyss ha dialoghi davvero alla portata di tutti, immediatamente comprensibili a patto che conosciate l’inglese. Non mi spiego infatti come mai molte frasi siano state fuorviate in fase di traduzione e adattamento, complicando anche le cose più banali. Qualcuno deve proprio essersi perso in un bicchier d’acqua.

    Siamo ancora all’inizio del film, l’ingegnere Lindsday Brigman (Mary Elizabeth Mastrantonio) è in un piccolo sommergibile con i marinai delle forze speciali Seal. Una volta attraccati alla piattaforma sottomarina Deep Core devono ancora attendere l’equilibratura della pressione prima di poterci entrare.

    A questo punto Lindsay annuncia una brutta notizia e una notizia ancora peggiore:

    Il personaggio di Lindsay che porta una brutta notizia

    Il personaggio di Lindsay che porta una notizia ancora più brutta

    The bad news is, we got eight hours in this can blowing down and the worse news, it’s gonna take us three weeks to decompress later.

    La brutta notizia è che dovranno rimanere 8 ore in quella scatoletta per la compressione, la notizia ancora più brutta è che al ritorno in superficie poi gli ci vorranno tre settimane per la decompressione.

    In Italia, terra di poeti, di navigatori e di quelli che si complicano la vita inutilmente, il dialogo è stato tradotto in questo modo:

    Siamo stati più di otto ore a zonzo dentro questa scatola e mi dispiace per voi ma ora ci aspettano tre settimane di decompressione.

    TUTTO ciò è sbagliato. Otto ore non è il tempo già speso per raggiungere la piattaforma Deep Core bensì quello che dovranno attendere prima di poterci entrare. Dicendo poi “ora ci aspettano tre settimane di decompressione” sembra che faccia riferimento al tempo di attesa per l’equilibratura della pressione (che invece è di 8 ore). Sono quei dialoghi che forse sulla carta avevano un qualche senso ma che nella pratica risultano fuorvianti.

    Scena dell'equalizzazione della pressione dal film The Abyss

    Tre settimane a guardare l’orologio

    I fraintendimenti non finiscono certo qui. Dopo un diverbio tra Lindsay e il tenente Coffey in cui quasi ci scappa il morto, si parla di un “fattore culo” che in italiano porta irrimediabilmente a pensare al culo inteso come fortuna, come del resto testimoniano le molte pubblicazioni che riportano questo nome (spesso abbreviato in “fattore c”) e addirittura un programma televisivo.

    Io dico che in tutta questa storia do al fattore culo un’importanza di 9 punti su 10.

    Ben altra valenza ha la battuta originale…

    I got to tell you, I give this whole thing a sphincter factor of about 9.5

    …nella quale si parla di un “fattore sfintere” a cui viene attribuito un livello di strizza di 9,5 su 10 per via della situazione rischiosa in cui si erano trovati. Un modo divertente per dire che quasi si cagava addosso e su questa battuta si conclude la scena. Certo, erano stati anche fortunati, ma un fattore strizza è una migliore conclusione della scena rispetto ad un generico fattore fortuna. Se è stato scelto “culo” sperando che si capisse la battuta originale hanno sbagliato di grosso, se invece si è optato per un cambio di battuta, quella originale funziona comunque meglio.

    Ed Harris nella scena del gabinetto, guarda nel cesso dopo averci gettato l'anello

    Come vedete, qui a Doppiaggi italioti…

    Ed Harris nella scena del gabinetto, cerca di recuperare l'anello

    …si scava proprio a fondo nelle questioni.

    Tra moglie e marito non mettere il dito (antico consiglio per traduttori)

    Una delle cose più memorabili dell’intera vicenda (oltre agli alieni di plastica alla fine) è certamente il rapporto di odio e amore tra il capitano della stazione subacquea, Virgil “Bud” Brigman (Ed Harris) e la moglie da cui sta divorziando, l’Ing. Lup. Mann. Lindsay Brigman (Mary Elizabeth Mastrantonio), che ha progettato la piattaforma. La giornalista Silvia Bizio nell’articolo Troppi misteri in fondo al mare nel 17 agosto 1989 ci riporta ciò che all’epoca sospettavano in tanti, cioè che ci sia qualcosa di autobiografico nel rapporto tra moglie e marito che vediamo in The Abyss.

    […]nonostante i suoi dubbi inizi nel 1981 (con Pirana II) ha firmato, in tandem con la moglie produttrice Gale Ann Hurd (il loro matrimonio è andato a fondo durante le riprese di The Abyss), film come Terminator (1984) e Aliens (1986). Non a caso molti sostengono che il soggetto di The Abyss che Cameron aveva scritto a solo 17 anni, sia stato integrato con molti elementi autobiografici relativi a Cameron e alla Hurd: due persone unite dal lavoro e separate dal conflitto fra carriera e famiglia.

    È certamente una di quelle semplificazioni che piacciono tanto ai pettegoli appassionati di gossip e agli spacciatori di curiosità (quasi sempre false) sul cinema e anche io farò come Silvia Bizio, prendendo le distanze da simili congetture in attesa di conferme o smentite da parte degli interessati; possiamo però constatare che raramente capita di vedere conflitti di coppia così ben rappresentati su pellicola, qualunque ne sia l’origine.

    I due protagonisti del film The Abyss

    Realistiche conversazioni di coppia

    Purtroppo nell’adattamento italiano anche i battibecchi di coppia tra Lindsay e “Bud” non sono esenti da errori di traduzione o reinterpretazioni, a partire dal marito che ricorda alla moglie che non le è mai piaciuto essere chiamata “signora Brigman” e lei risponde “mi è piaciuto quando significava qualcosa” mentre originariamente era l’esatto contrario “not even when it meant something” (neanche quando significava qualcosa). E faccio notare che questi dialoghi sono di spalle, la scusa del labiale non sussiste.

    E non è il solo esempio. Il dialogo che segue cambia ancora una volta l’atteggiamento della co-protagonista che da persona orgogliosa che fa molta fatica ad elargire un complimento al marito, in italiano diventa quasi lo stereotipo della casalinga preoccupata.

    La frase…

    You know, you did okay back there, Virgil. I was fairly impressed.
    (= sai, te la sei cavata bene prima, Virgil. Sono alquanto colpita.)

    è stata adattata in questo:

    Menomale che sei rientrato in tempo. Ero davvero preoccupata.

    Se l’obbiettivo di questo adattamento era quello di riempire il film di frasi banali hanno fatto uno splendido lavoro. Manca solo qualche “non correre, papà”, ci sarebbe stato bene durante la discesa negli abissi, alla fine.
    Il botta e risposta da coppia che fa scintille continua in entrambe le lingue concordemente a quanto detto nelle precedenti battute:

    ORIGINALE Yeah? Well, not good enough. We still got to catch Big Geek.
    (=Ah, sì? Be’, non abbastanza. Dobbiamo ancora recuperare Big Geek)

    DOPPIAGGIO: In tempo per cosa? Per perdere Big “Gick”?

    E poi sul finale di questo battibecco ritorna una diversa interpretazione del personaggio di Lindsay che, invece di avere l’ultima parola, diventa comprensiva e non competitiva.

    ORIGINALE. Lindsay: Yeah. Well, not in this thing.
    (=Be’ di certo non con questo affare)

    DOPPIAGGIO: Be’, non intendevo questo.

    “Bud” può essere acido, Lindsay per qualche ragione no, ma si sa, dietro ogni marito burbero c’è una moglie comprensiva. Si è dimenticata solo di ricordargli di prendere il latte al ritorno dal lavoro. Basta pochissimo per stravolgere la psicologia dei personaggi.

    Roba troppo sottile? Allora che ne dite di quando Lindsay propone al marito di tornare indietro e prenderle una muta prima che la falla nel sommergibile la faccia annegare? Lui conta che ci vorranno 7-8 minuti per andare e tornare a nuoto e in italiano le dice che potrebbe farcela, mentre in inglese dice l’esatto opposto.

    Scena da The Abyss, il personaggio di Bud conta quanto gli ci vorrà a nuotare per prendere una seconda muta

    That would take me about 7, 8 minutes to swim, get the gear, come back.

    Ci vorranno 7 o 8 minuti per andare e tornare.

    Fin qui niente di male.

    Il personaggio di Ed Harris in The Abyss calcola di non potercela fare a salvare la moglie

    I wouldn’t make it. Look at this, by the time I got back you’d be…
    (=non ce la farei. Stammi a sentire, al mio ritorno saresti già…)

    che nel doppiaggio italiano diventa

    Va bene, dovrei farcela. Tu mi aspetti qui ma devi restare molto calma.

    Le frasi che seguono sono state alterate concordemente. Se in inglese lei cambiava idea e diceva di guardarsi intorno alla ricerca di altre soluzioni, in italiano accade tutto l’opposto, lei promette che sarebbe stata calma ma che lui avrebbe dovuto fare in fretta. Non si capisce poi perché dopo il marito tergiversi e ai due caschi il mondo addosso quando trovano un respiratore ma questo non funziona. Ma non doveva arrivare a nuoto a prenderle una muta il più presto possibile? Che sta aspettando? Ahh, già, i dialoghi sono stati cambiati e non hanno senso. Scemo io.

    Una situazione drammatica diventa così un’incomprensibile perdita di tempo con tanto di “calmati, donna”.

    Correction guy meme con vignetta: ti salvo ma calmati

    Se non sapessi che dialoghi e direzione del doppiaggio sono di una donna, Susanna Javicoli, avrei certamente pensato al peggiore dei maschilisti.

    Mi copi o mi ricevi? Boh, facciamo entrambi

    I dialoghi di questo film sono in gran parte radiotrasmessi e quindi strapieni di termini noti ai radioamatori (un po’ meno al grande pubblico) con cose come “mi copi?”, cioè “mi ricevi?”, una diretta traduzione maccheronica (ma storica) di “do you copy?”. Una iniezione di realismo forse eccessiva quando nello stesso film i “serbatoi di prua”, invece di “avere una falla”, possono essere descritti come “fottuti”.

    E così il film abbonda di “mi copi?” laddove un “mi ricevi” non avrebbe infastidito nessuno e dove non mancano neanche i “roger” (ne avevamo già parlato con Star Wars – Episodio I), un’espressione di conferma/risposta affermativa che in questo film non viene sempre tradotta allo stesso modo: a volte rimane “roger”, altre volte diventa “affermativo”, altre ancora “ok”.
    Anche i “copy” non sono sempre tradotti come “mi copi” ma ogni tanto diventano “mi ascolti?” o “mi senti” (persino all’interno della stessa scena) e quindi pure la scusa del labiale se ne va al diavolo.

    Dunque non solo abbiamo inglesismi superflui ma anche incoerenti. Doppia libidine, proprio!

    Jerry Calà che fa il gesto della doppia libidine

    Parlavamo di maschilismo… mi sembra una vignetta adeguata.

    Aggiunte e omissioni italiote

    Possiamo aggiungere al quadretto l’enorme quantità di frasi mai pronunciate in italiano, almeno non nella versione che ho visto io su Netflix ma lascio sempre il beneficio del dubbio perché non sarebbe il primo film in cui il missaggio audio fa scomparire intere frasi dalla versione home video italiana (come in Terminator, per dirne una).
    Ne cito solo qualcuna, come ad esempio la frase “loro non possiamo aiutarli ma forse troveremo dei sopravvissuti più avanti“, totalmente assente nei dialoghi originali della scena dell’esplorazione del sommergibile affondato, oppure la risposta “I’m dealing“(=ce la faccio) alla domanda “tutto a posto ragazzi?” (la risposta era assente in italiano), oppure ancora quando il tenente Coffey, ormai impazzito, dichiara ad un suo sottoposto che è ora di passare alla fase tre e il sottotenente Monk gli risponde con una frase inesistente nella colonna sonora italiana: “we don’t have orders for that“, cioè che non hanno autorizzazioni dall’alto (evidentemente necessarie) per poterlo fare. Questa risposta è particolarmente importante perché sottolinea come il tenente Coffey stesse agendo di sua spontanea iniziativa guidato solo dalla psicosi e questo dovrebbe anticiparci anche la defezione del sottotenente Monk che poi si metterà dalla parte dei protagonisti in quanto l’unico della squadra Seals a riconoscere la follia del suo superiore.

    Siccome non vogliamo farci mancare niente in questa terra di poeti, marinai etc, etc… il film doppiato sfoggia anche frasi inesistenti in inglese e frasi insensate in italiano, come durante la preparazione del protagonista all’immersione finale quando sentiamo questo dialogo

    Gli attori Ed Harris, Mary Elizabeth Mastrantonio e Adam Nelson in una scena di The Abyss

    Lindsay: vorrei restare un po’ con lui.

    Sottotenente Monk: Ok.

    Lindsay: Grazie.

    Soltanto che nessuno si allontana per lasciare Lindsay sola con il marito, la procedura di vestizione procede normalmente come se lei non avesse detto niente. Questo perché lo scambio di battute appena menzionato esiste solo in italiano e posso supporre derivi da un errore nel missaggio audio del film, perché niente nei dialoghi in inglese può far pensare ad un errore di traduzione. Quel “okay” del sottotenente Monk era solo riferito al corretto inserimento del casco.

    Altre battute alterate non tardano ad arrivare, quando Lindsay deve parlare a “Bud” per distrarlo dai dolori della discesa a profondità estreme e lo fa ridere dicendo che “non è facile essere una stronza di ferro [traduzione letterale], ci vogliono disciplina e anni di allenamento. Tanta gente non lo capisce.”.

    Una scena sottotitolata del film The Abyss: it's not easy being a cast-iron bitch  Una battuta del film The Abyss, sottotitolata in inglese: it takes discipline and years of training

    Una battuta del film The Abyss, sottotitolata in inglese: a lot of people don't appreciate that

    Scena dal film The Abyss, Ed Harris ride ad una battuta mentre è in immersione nel liquido ossigenato

    Per qualche strana ragione, al posto dell’auto-ironico “cast-iron bitch” (traducibile anche come “stronza patentata” o, come altri hanno tradotto prima di me, “stronza di proporzioni bibliche“), in italiano si parla di “rigida professionista” quindi il discorso si sposta sulla sua professionalità invece che sulla consapevolezza di passare da stronza:

    “Non è facile essere una rigida professionista, ci vuole disciplina e molti anni di studio”.

    È molto meno chiaro perché il marito dovrebbe ridere a questa battuta. Lo sappiamo tutti che per diventare professionisti (rigidi o meno) ci vogliono anni di studio e disciplina. Questo è complicare anche le battute più semplici e ancora una volta la psicologia della protagonista femminile ne risulta alterata in qualche modo.

    Questo delle donne che passano da stronze (bitch) evidentemente è un tema molto caro a Gale Anne Hurd che nel 2016 al festival cinematografico “South by Southwest” ha raccontato le difficoltà nell’essere una produttrice cinematografica donna e durante la sessione di domande e risposte un’aspirante produttrice le ha chiesto suggerimenti su come trovare un compromesso tra il passare da debole e passare da stronza. La risposta della Hurd non è stata per niente ambigua:

    Io voglio passare da stronza (bitch). Nessun uomo verrebbe etichettato allo stesso modo, non c’è un termine equivalente per il genere maschile [NdT: non c’è in inglese come non c’è in italiano per “troia”]. Non è tanto un “passare da stronza” quanto piuttosto farsi rispettare, difendersi e potersi esprimere.

    Viene facile trovare un nesso tra ciò che disse Hurd alla conferenza del 2016 e il personaggio da lei scritto negli anni ’80 per The Abyss, quello di Lindsay che abbraccia l’idea di passare da stronza anche se chiaramente avrebbe voluto farne a meno. Un nesso che però è difficile da trovare se facciamo riferimento ai dialoghi italiani. Nella versione italiana non c’è spazio per donne indipendenti che passano da scassacazzi solo per potersi far rispettare in un ambiente dominato da uomini, ci sono solo rigide professioniste. Sapevatelo.

    Scena dell'annegamento di Lindsay in The Abyss

    Scena in cui il marito affoga letteralmente la moglie, per poi far pace con lei dopo.

    Errori invisibili ai più, ma perché?

    È certamente curioso che nessuno abbia mai fatto veramente caso ai tanti errori madornali presenti nell’adattamento di questo film, che ho esposto per la prima volta e che sono certamente più gravi di quella manciata di esempi più frequentemente discussi sulla rete (mi riferisco a scoperte dell’acqua calda del calibro di Fener che in realtà si chiama Vader! Nooo, lo sapevate? Io no. E Se mi lasci ti cancello in realtà in inglese è un titolo elevatissimo… mai nella mia vita ne avevo sentito parlare, giuro).

    Il motivo di questa svista è in parte da imputare alla scarsa popolarità del film (diciamocelo, è un bel film ma non se lo incula quasi nessuno) ma in gran parte è anche merito di James Cameron e della sua bravura comunicativa. Il film, infatti, aiuta sempre visivamente lo spettatore quindi anche se qualche battuta è stata alterata non vi sarete persi niente che il film non riesca a farvi capire con le immagini. E se lo conoscete già non noterete i momenti in cui i personaggi anticipano eventi della trama ancora non avvenuti.

    Questa è una spiegazione plausibile del perché nessuno si è mai veramente lamentato dell’adattamento di The Abyss prima di me, ma di certo non è il modo di lavorare correttamente e si poteva certamente far di meglio, come ci dimostra la scena (in lingua originale) in cui la protagonista chiama il tenente Coffey Roger Ramjet, un personaggio dei cartoni animati che incarna (al ribasso) lo stereotipo dell’eroe americano: patriottico e non troppo sveglio. In italiano è diventato “signor Commodoro”, ignorando l’offesa implicita della battuta originale. Del resto in Italia non abbiamo mai sentito parlare di Roger Ramjet, sebbene un generico “Capitan America” sarebbe stata un’ottima alternativa.

    Curioso che la stessa azienda di doppiaggio abbia sfornato in quello stesso anno, 1989, il doppiaggio italiano di Batman di Tim Burton, quello sì un capolavoro di adattamento.

    Scena del topo che respira sott'acqua, nel film The Abyss

    Ma cosa spinge il topo ad immergersi? Spingitori di topi subbaqqui. Su Rieducational Channel!

    Un adattamento di poeti, santi e navigatori

    Con questo articolo sulla versione italiota di Abyss abbiamo dunque coperto sia i poeti (ai dialoghi di questo film, quelli che si inventano cose a caso), sia i navigatori (i sommergibilisti visti nel film) che i santi, quelli offesi dalle mie bestemmie durante la visione del film. Ma voglio concludere con le cose positive.

    Ci sono momenti che ritengo superiori in italiano pur nelle loro variazioni e il cast di doppiaggio è superlativo sia nell’abbinamento delle voci ai volti degli attori, sia nelle loro interpretazioni: Luca Biagini su Ed Harris (in quello stesso anno Biagini era anche la voce di Batman), Silvia Pepitoni su Mary Elizabeth Mastrantonio (curiosamente presente anche in Robin Hood il principe dei ladri dove però non doppiava Lady Marian della Mastrantonio bensì la sua damigella), Saverio Moriones (già Ed Harris in altri film ma qui come voce di Michael Biehn, per la prima e ultima volta), Pasquale Anselmo, Loris Loddi, Luca Ward, Franco Zucca (guardatevi un film britannico chiamato “Segreti e bugie” per rendervi conto di quanto è bravo Franco Zucca). Piccoli ruoli anche per Luca Dal Fabbro, Stefano De Sando, Luigi Ferraro, Silvio Anselmo, Angelo Maggi, Stefano Benassi e Stefano Pietrosanto-Valli.
    Leggo che gran parte di questi doppiatori sono ritornati ai loro ruoli per la versione estesa del film pubblicata nel 1996 anche se non ho mai avuto modo di vedere questa “director’s cut” doppiata in italiano, però fa sempre piacere quando la distribuzione ci mette abbastanza cura da richiamare i doppiatori originali.

    Un’altra cosa positiva è il linguaggio tecnico che, come già detto, è molto accurato anche quando fa uso di parole in inglese ma è proprio nelle frasi più banali che casca l’adattamento italiano di The Abyss impedendomi di capire cose che invece sono chiarissime per chi lo guarda in lingua originale. E questo non è bene.

    Scena di The Abyss, il personaggio One Night seduta nella cabina di pilotaggio del sommergibile

    Evit mentre si guarda The Abyss per recensirlo