Sta per arrivare in Italia il nuovo film di Tom Cruise, The Mummy, e quindi è il momento di scatenare un raffica di post a blog unificati: è il momento di parlare di mummie nell’immaginario collettivo! (Siete tutti invitati.) In questo grande ciclo inter-blog, mi sembra doveroso presentare i deliziosi titoli italiani del film La mummia (The Mummy, 1932) di Karl Freund, con il mitico Boris Karloff: per l’occasione presentato unicamente come “Karloff the Uncanny”. Presentato in patria il 22 dicembre 1932, arriva nei cinema italiani il 7 novembre 1933.
da “La Stampa”, 7 novembre 1933
Le schermate che vi presento sono precedenti alle edizioni rimasterizzate – e ridoppiate – in digitale: appartengono alla vita più “rozza” del film, quando durava solamente 62 minuti (contro i 72 originali!) e le stupende voci dei personaggi erano ricoperte di fruscio. Era il tempo in cui questo Boris Karloff era doppiato da Mario Ferrari – come dice Antonio Genna e confermo, grazie alla consulenza di Evit – e in cui le scritte venivano tradotte. Mi piace illudermi che sia la versione del film che videro i nostri connazionali nel 1933, ma non oso sperare tanto… Da dove arrivano dunque queste schermate? Da un’edizione VHS della M&R che definire rara è poco, ma che per fortuna si può ancora trovare.
da “La Stampa”, 11 luglio 1933, quando il film si chiamava ancora “La mummia di Thot”
La vita in home video
Stupisce quanto sia rara una copia in VHS de La mummia pur essendo stato abbondantemente ristampata. Il titolo appare infatti nei cataloghi M&R, Swan Video, Skema, Videobox, Ricordi Video, Fonit Cetra Video, Eden Video, 20th Century Fox Home Entertainment, CDE Home Video, Hobby&Work, Universal. Tutto scomparso nel nulla – a parte Hobby&Work (1994) e Universal (1999). E qui scatta un ricordo personale. Fra il 1990 in cui acquistai la VHS di Frankenstein (1931) e il 1992 in cui l’uscita del Dracula di Coppola fece rispolverare ai distributori nostrani il Nosferatu di Murnau, in edicola iniziò una serie di videocassette dedicate ai grandi classici dell’orrore: una serie che ho amato molto ma di cui purtroppo dopo tanti anni non sono riuscito a conservare neanche il titolo. Agli albori del fenomeno delle “edicole-videoteche”, diversi titoli d’annata – alcuni celebri altri molto meno – venivano venduti a prezzi abbordabili quando le videocassette originali non erano ancora economiche. Purtroppo non sono riuscito a recuperare altre informazioni dalla mia memoria, ma i titoli usciti sicuramente in questa collana sono quelli che ho acquistato, di cui dunque posso dare testimonianza diretta: Nosferatu il vampiro (1922), La mummia (The Mummy, 1932), Il bacio della pantera (Cat People, 1942) e Notti di terrore (The Devil Bat, 1940), film costruito a tavolino con scene ripetute con protagonista Bela Lugosi. Sicuramente ne ho acquistati di più ma questi sono gli unici che, spremendomi le meningi, riesco a ricordare. Mi piace pensare che l’edizione VHS di cui riporto qui le immagini sia la stessa che comprai nei primi anni Novanta. Segnalo che, con un nuovo doppiaggio, la Universal Pictures presenta La mummia in DVD Original Monsters dal 19 ottobre 2005 e in edizione DVD Speciale (2 dischi) dal 17 settembre 2008. Poi lo riprende la Sinister Film che lo ristampa dal 15 aprile 2014 nella collana “Horror d’Essai”, con presentazione di Luigi Cozzi, e infine dall’8 giugno 2017 la Universal presenta il film in una edizione Blu-ray (2 dischi).
Il racconto della mummia
Come regalo speciale per il ciclo dedicato alla mummia, ecco il racconto di Imhotep – con la voce di Mario Ferrari, fino a prova contraria – in cui racconta eventi di tremila anni precedenti. «Vi sveglierò memorie d’amore, di delitti e di morte…»
(Potete anche scaricare l’mp3, aprendo in una nuova finestra con il tasto in altro a destra)
Titoli di testa
Scritte di presentazione
Titoli di coda
L. P.S. Se simili resoconti vi interessano continuate a seguirci ogni due venerdì qui su Doppiaggi Italioti e vi invito a venire a trovarmi anche sul mio blog Il Zinefilo: viaggi nel cinema di serie Z.
Quando un nuovo film di Alien girato da Ridley Scott si rivela essere la più grande stronzata da quando l’uomo inventò l’alieno (cit.), puoi solo sperare che il doppiaggio italiano lo deturpi in maniera ridicola, così da farsi due risate almeno su questo blog. Invece no, il disappunto con Alien: Covenant è totalizzante: la versione italiana non fa schifo. Hanno fatto un buon lavoro.
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C’è soltanto un piccolo particolare…
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È vero, di inglesismi stupidi o inutili non ce ne sono in Alien: Covenant, ad esempio non si parla mai di “airlock” bensì ritornano le vecchie care (e familiari) “camere stagne” e vi assicuro che di questi tempi il non sentire certe parole in un doppiaggio italiano è un autentico sollievo. Da qualche anno infatti sembra che la parola airlock abbia cominciato a farsi strada nel doppiaggese (quell’italiano che sentiamo solo nei film doppiati ma che nessun concittadino userebbe mai nella vita reale) senza però un valido motivo. Se i blaster dell’adattamento italiano dei nuovi Star Wars possono rifarsi ad un linguaggio presente tra i videogiocatori e che quindi qualcuno troverà familiare (e di quanto sia triste e culturalmente abietto ne ho già parlato fin troppo in passato), non si può certo dire che “airlock” sia tra le parole straniere attualmente in uso nella cultura popolare del momento. Eppure, con le giustificazioni più varie, airlock si sta insinuando sempre più spesso (e più insidiosamente) nel cinema doppiato senza alcuno sforzo per renderlo comprensibile a tutti (Interstellar e The Martianrei convinti e,più di recente, anche Life – Non oltrepassate il limitenon è stato da meno nonostante il resto del film fosse adattato perfettamente).
Già nel 2014 introducevo Interstellar con questa vignetta che mi pare adatta all’occasione:
…come non disse mai nessuno nella saga di Alien.
Il mio commento sotto quelle vignette continua ad essere valido: la saga di Alien, Covenant incluso, rimane priva di “airlock” per il momento… per fortuna! La parola “airlock” non porta con sé nessun concetto ignoto o inesprimibile in lingua italiana e se l’equivalente italiano risultasse troppo lungo per il labiale di certe scene vuol dire che bisogna fare qualche salto mortale in più. Se sono riusciti ad infilarci un equivalente nostrano per 70 anni, non vedo come improvvisamente possa diventare un problema insormontabile del doppiaggio italiano, tanto da dover lasciare la parola in inglese. Ma va be’, “airlock” non c’era nei dialoghi doppiati di Covenant. [*Piccolo applauso*]
Non farti mordere dai ragni e altri idiotismi alieni
La versione italiana di Alien Covenant, per quanto nel suo complesso veramente ottima (quindi valutate la mia seguente critica con il dovuto peso) purtroppo non è esente da strascichi di esigenze aziendali moderne, quelle che impongono un’inventiva pari a zero da parte dei dialoghisti e, per l’amor di Dio, di non azzardarsi mai ad adattare niente. Il testo originale è sacro e inviolabile, anche a costo di tradurlo alla lettera e quindi, paradossalmente, anche a costo di renderlo meno comprensibile in italiano.
E qui voglio puntare il dito su eventuali figure estere che supervisionano i doppiaggi italiani perché quando sentiamo questa frase della buonanotte “non farti mordere dai ragni“, il bilingue che è in me si domanda se possano realmente aver avuto il coraggio di tradurre alla lettera il detto “don’t let the bed bugs bite” (letteralmente: non farti mordere dalle cimici dei letti) che nel mondo anglosassone è una frase rituale della buonanotte, in rima (la frase intera è: Goodnight/Sleep tight, don’t let the bed bugs bite) e che in Italia ha equivalenza solo con “buonanotte e sogni d’oro“, cioè la nostra tipica frase da coperte rimboccate. Diversa concettualmente? Certo che sì, origina da una cultura diversa dalla nostra! Non possiamo certo aspettarci di poter ricavare l’italiano ritraducendo alla lettera una lingua estera. Poco importa che abbiano cambiato il parassita di riferimento (ragni invece di cimici. Quali ragni? Quelli rossi domestici con cui abbiamo più familiarità qui in Italia?), la frase è comunque tradotta alla lettera ed è insensata. Punto.
Con questo esempio appare molto evidente il limite della traduzione letterale, tanto amata dai supervisori americani al doppiaggio e da alcuni utenti ignoranti che popolano il web. In inglese si tratta di una frase di rito che come tale viene percepita dal pubblico anglosassone, il personaggio di Michael Fassbender la usa per dare la buonanotte e non sta realmente consigliando alla protagonista di non farsi mordere dalle cimici del letto durante il sonno, né tanto meno da ragni. Le espressioni idiomatiche di solito funzionano proprio così.
Ve la stampate sul muro, per favore?
Trasporre questa frase in maniera letterale vuol dire ribaltare la percezione della stessa. Per il pubblico italiano infatti non può che risultare come uno stravagante consiglio che sbuca letteralmente dal nulla (non farti mordere dai ragni? Che c’entrano i ragni? QUALI RAGNI?), di certo non è una frase che può essere percepita dal pubblico italiano come una tipica buonanotte. Già ce lo vedo il supervisore americano che inorridisce quando scopre che le “cimici del letto” possano diventare “sogni d’oro” in italiano. Giammai! Ed ecco dunque che traducendo alla lettera in modo da rispettare la (sacra) fonte si è stravolto lo scopo della frase originale, ottenendo l’effetto opposto.
Se qualcuno venisse a dirmi che in inglese l’androide-Fassbender stava facendo un velato riferimento ai mostri che si attaccano alla faccia per impiantare embrioni alieni (noti agli appassionati come “facehuggers“) si aspetti un mio ceffone, virtuale.
Una traduzione più accettabile di “goodnight, don’t let the bed bugs bite” poteva essere “dormi bene e non fare brutti sogni” (altra frase plausibile nel contesto), non certo “non farti mordere dai ragni”, a meno che non si voglia alienare il pubblico italiano. ALIEN-are, capito? ALIEN-… capito? [*Flauto a coulisse*]
“Quando sei a Roma…”
Un’altra espressione idiomatica lasciata alla lettera è “When in Rome…“, che sì, letteralmente significa “quando sei a Roma”, come sentiamo dire nel film. Lo dice l’androide quando gli viene offerto da bere un alcolico per fare un brindisi, essendo lui un essere umano sintetico, non avrebbe bisogno di fare brindisi o bere alcolici, ma con l’espressione “when in Rome…” accetta di partecipare al rituale adattandosi all’usanza che si trova davanti. Infatti l’espressione “When in Rome do as the Romans do” (letteralmente: quando sei a Roma fa’ come i romani) è equivalente al nostro “paese che vai, usanza che trovi“, che risulta immediatamente familiare alle nostre orecchie. Quella di “when in Rome” invece è un’espressione tanto celebre nel mondo anglosassone quanto sconosciuta in Italia, poco importa che la sua presunta origine sia Sant’Ambrogio da Milano nel 300 dopo Cristo! Lo spettatore italiano che sente questa frase idiomatica sconosciuta tradotta alla lettera e lasciata a metà che cosa dovrebbe pensare? Quando sei a Roma… bevi?
“Mater è morta, stronzo”.
L’aderire a tutti i costi al testo originale in favore di traduzioni più alla lettera non di rado manda a puttane la continuità con altri film della stessa saga. Lo abbiamo visto con tutti i nuovi Star Wars e lo troviamo anche qui, sebbene limitato ad una singola scelta: il computer di bordo adesso si chiama Mother (come in inglese) e non più Matercome accadeva nella versione doppiata di Alien.
eh già.
Poco male se la discontinuità nell’adattamento si limitasse ad un singolo film della saga ma, forse, si sono dimenticati che in Alien – La clonazione (Alien: Resurrection, 1997) il computer di bordo, Father, era stato adattato in Pater(“Pater è morto, stronzo” cit.), una scelta di Tonino Accolla che era rispettosa dell’adattamento del primo film e dei fan, dava coerenza al tutto. Ah, la coerenza! [*frinire dei grilli*]
A proposito di coerenza, una brevissima nota sul titolo dato da Scott a questo seguito di Prometheus. Per chi non avesse visto il film, il titolo rimane in inglese perché “Covenant” è il nome della nave presente nel film, esattamente come accadeva in Prometheus, solo che lì non veniva preceduto dal marchio registrato “Alien”. Speriamo che alla fine della nuova trilogia quel rincoglionito di Scott non andrà a ri-titolare tutti i film così da avere “Alien: Prometheus”, “Alien: Covenant”, “Alien: Nostromo”, “Alien: Sulaco”, etc… fine della parentesi sul titolo (che niente ha a che vedere con l’adattamento italiano ovviamente).
Per farla breve, Mother , “Quando sei a Roma…” e la buonanotte aracnoidea mi puzzano di imposizione dall’alto, ma posso soltanto tirare a indovinare.
Tutto qui? Solo tre errori, Evit? Be’, che io ricordi, sì. Se vogliamo proprio andare a scavare, potrei anche aggiungere che la pronuncia del cognome di Robinson Crusoe (“un Crusoe, per intenderci” cit.) è la prima volta che la sento dire all’inglese (Crùso… /’kruzo/) e, per carità, è tecnicamente corretta, ma certamente non la più familiare per il pubblico italiano.
Crusoe è sempre stato pronunciato in moltissimi modi, da “Crusò” a “Crusoè” con più varianti della ricetta per la pastiera napoletana. Teoricamente parlando potremmo sostenere che, essendo britannici sia l’autore sia il personaggio, la cosa più corretta da fare sarebbe quella di pronunciarlo all’inglese (Crùso) e se tale romanzo fosse stato scritto l’anno scorso vi darei pienamente ragione. Ma con personaggi entrati nella cultura italiana da qualche secolo è un po’ più difficile fregarsene, perché dovremmo anche ignorare lo storico adattamento italiano che da 217 anni (prima edizione italiana è del 1800) lo vede nominato come Robinson Crusoè (pronuncia: /robinˈsɔŋ kruzoˈɛ*/), come ci ricorda anche la voce del dizionario di ortografia e di pronunzia della Rai [NdA: purtroppo il link è defunto]. Chi siamo noi per ignorare oltre 200 anni di pronuncia italianizzata? È dunque un errore? Non esattamente, ma quando sento “un crùso, per intenderci“, da italiano con 217 anni di Crusò/Crusoè alle spalle, diciamo che rimango spiazzato per qualche ventiquattresimo di secondo. Mi piace immaginare il robot David (che si era studiato tutte le lingue del mondo) come una sorta di talebano della letteratura con momentanei slanci di estro filologico che solo in pochi possono apprezzare.
Come suggeritomi dal lettore “Napoleone Wilson” nei commenti, a voler essere estremamente pignoli, in Italia in genere se si vuole fare un paragone con il personaggio di Defoe si usa direttamente il nome proprio Robinson, invece del cognome. Sarebbe stato più chiaro e immediato “un Robinson, per intenderci” piuttosto che “un crùso”. E concordo in pieno.
Nazi vs grammar nazi
Solo tre/quattro errori allora? Per coloro che valutano la qualità di un adattamento soltanto come una somma algebrica, sì, solo due-tre errori in tutto, per il resto si trattava di un adattamento quasi invisibile, ovvero il massimo complimento che si possa fare ad un adattamento. Io però spero di fornirvi altri metri di giudizio e spunti di riflessione in merito a elementi sui quali molti sorvolano pericolosamente. Vedere una traduzione letterale di “don’t let the bed bugs bite” nel 2017 fa più male al cuore di un silicon che nel 1979 viene tradotto ingenuamente come silicone invece che come silicio (vedi Alien (1979) – L’alieno è siliconato), ma sono certo che non rifletta il livello di bravura o le mancanze del dialoghista di turno, né del direttore di doppiaggio, piuttosto un modo di fare comune da parte dei committenti che mettono bocca in quella che alla fine continua ad essere una vera e propria arte, la traduzione, l’adattamento linguistico.
L’ossessione della fedeltà al testo originale da parte dei supervisor talvolta è così estrema e dettata da tale ignoranza che porta ad insensate traslitterazioni di frasi idiomatiche. Nel mondo della traduzione non c’è niente di più grave. Se passasse l’idea che dopotutto non si tratta poi di chissà quale reato linguistico, magari presto o tardi cominceremo anche a tagliare gli angoli per risparmiare, a perdere la nave, a sedere sullo steccato, a prendere le cose con un pizzico di sale e ad attraversare i ponti. Perché questa è la strada intrapresa dal doppiaggio italiano: traduzioni dirette e termini inutilmente lasciati in inglese perché tanto… “che fa?”. Il più delle volte il pubblico neanche lo nota.
Se poi si dovesse trattare davvero di un errore umano commesso dal traduttore o dal dialoghista mi sentirei molto più sollevato.
Disse Ridley Scott in livornese parlando della saga.
Se volete una recensione del film e non solo del suo adattamento, vi rimando all’autorevole articolo del blogger Lucius Etruscus. Non dimenticate anche la nostra discussione pre-film…
In preparazione alla visione di Alien: Covenante di dozzine di altri film tra sequel e reboot (seguiti e rifacimenti) tra i quali Blade Runner 2049, IT, The War – Il pianeta delle scimmie (qualcuno alla distribuzione italiana la deve proprio detestare questa nuova serie sul pianeta delle scimmie perché ogni singolo titolo è sbagliato o stupido), abbiamo pubblicato una breve conversazione di svago cinematografico a tema. Seguiranno articoli sui loro adattamenti italiani se necessario.
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