• "Nome in codice? Rogue Uno" – L’adattamento italiano di Rogue One

    rogueone_logo
    La cosa più liberatoria dello sbattersene di come dagli anni 2000 espandano una trilogia iniziata alla fine degli anni ’70 e finita agli inizi degli anni ’80 è che si comincia anche a fregarsene della qualità dell’adattamento italiano e del doppiaggio. Ed eccoci qui a parlare dell’ennesimo “Star Wars” della Disney.
    C’è poco da girarci intorno, anche Rogue One prosegue lo stesso adattamento italiano che avevamo già trovato in Episodio VII… i nomi che compaiono nei titoli di coda sono infatti sempre quelli ma se avevo fatto un lungo articolo in merito a Star Wars 7 – Il Risveglio della Forza e al suo adattamento “da videogioco”, non credo che Rogue One meriti la stessa energia.

    Adattare senza adattare, a Disney Story

    I problemi sono sempre gli stessi: in una saga in cui si aggiungono sempre più episodi che vanno a disporsi prima e dopo gli eventi di quei tre film su cui si regge tutta questa baracca e in cui è palese lo sforzo da parte degli attuali possessori dei diritti nel cercare di realizzare nuovi film che si integrino senza soluzione di continuità con quelli girati quasi 40 anni fa, è curioso che la stessa attenzione non venga data anche ai dialoghi tradotti.

    Già con Episodio III ci fu un veto aziendale sull’opzione, per altro intelligente, suggerita dal direttore di doppiaggio (Francesco Vairano) di aggiungere una piccola battuta in cui si ordinava il cambio di matricola dei due famosi droidi, così da unificare anche nel doppiaggio italiano due trilogie già di per sé difficili da percepire come un tutt’uno. Ma evidentemente all’epoca i piani erano altri, la Lucasfilm nella prima metà degli anni 2000 già bramava di far ridoppiare la trilogia classica così da riprendere pienamente in mano le redini di un universo fatto soprattutto di nomi stampati su confezioni di giocattoli e prodotti videoludici da localizzare grazie all’ausilio rapidi e quindi economici sistemi automatizzati, croce e delizia dei traduttori professionisti.

    I marchi registrati hanno la precedenza sulla traduzione

    Quando i titoli dei film diventano marchi registrati e quando i nomi dei personaggi sono poco più che loghi intorno ai quali tradurre dialoghi in centinaia di altre lingue, così da semplificare la vita a chi si occupa di tradurre per i mercati esteri milioni di prodotti di consumo, è chiaro che si semplifica tanto la vita anche agli strateghi del marketing di un’azienda multimilionaria… ieri la Lucasfilm post-1997, oggi la Disney, la quale già da decenni ci propina nomi come Aladdin ed Hercules (e più recentemente Rapunzel) in quanto marchi registrati di un vasto franchising e non per via di qualche contorta aspirazione didattica mirata ad insegnare l’inglese all’estero, né tanto meno per uno zelante rispetto artistico verso la scelta dell’autore nella creazione dei suoi personaggi, come qualcuno ingenuamente potrebbe credere.

    Scena di Rogue One: A Star Wars Story, con Donnie Yen che impugna un bastone circondato da soldati imperiali. La vignetta fa dire a Donnie Yen: ora iniziano le mazzate. Il soldato risponde: posa il bastone, Evit. Sei vecchio.
    Se questo mese, come è capitato di fare a me, andaste al cinema in Spagna ad esempio, ci trovereste un film dallo spiccato senso artistico non appartenente al genere “di questo ne facciamo sequel fino al 2046”, come ad esempio Arrival di Villeneuve. Film simili vengono ancora distribuiti con titoli tradotti (La Llegada) mentre Star Wars sarà Star Wars ovunque, in Spagna come in Italia, come in Turchia… né più né meno come per i McDonald’s.
    Anche il nuovo McRogueOne arriva in Italia con gli ingredienti già assaggiati nel doppiaggio di Episodio VII diretto da Cosolo: “Veider” non ve lo toglie più nessuno e poco importa se quando li andrete a guardare in ordine “cronologico” (Ep.1⇒Ep.9) vi ritroverete il Fener di Episodio III seguito da “Veider” in Rogue One, poi si ritorna a Fener della trilogia classica (4⇒6) ed infine di nuovo “Veider” nella trilogia Disney (7⇒9, si presume che anche i futuri episodi 8 e 9 cadranno nella trappola dei nomi originali a tutti i costi).

    Ma se, come sembra, l’unica preoccupazione è quella di riportare i nomi alla sacralità dell’originale allora, forse, cara Disney, sarebbe il caso di ridoppiare proprio tutto, dal 1977 al 2005, e togliersi il pensiero. Pensate che ne sarei contrario? Io attendo quel giorno più di qualsiasi altro, sarà il giorno del vero trionfo! Così anche nei vecchi film, in cambio della correzione di un paio di errori storici (rimando a futura data l’analisi degli adattamenti della trilogia classica), potremo finalmente goderci le più deliziose perle del peggior inglesorum che va di moda in questi anni: via quindi i folgoratori, o fulminatori che dir si voglia, e ben vengano i blaster, perché la giustificazione degli sprovveduti è che così già viene riportato da tanti anni in dozzine di videogiochi derivativi e che ormai i fan “ci sono abituati”… un modo di pensare l’adattamento (e persino la propria lingua) che è proprio delle menti più piccole.

    Scena da Rogue One dove compare una giovane Mon Mothma, nascosto in secondo piano c'è un anziano con la barba che rappresenta Evit l'autore di questo articolo

    Evit è evidenziato da un cerchio rosso.

    Ben vengano (sono ironico) gli Star Destroyer al posto dei “caccia stellari”, abbreviativo di “cacciatorpediniere” ovviamente, altra definizione che sentiamo nella trilogia classica. In Rogue One si opta per menzionare il marchio registrato invece di proporre alcun adattamento, così dopo aver visto il film potrete ordinare a colpo sicuro i giocattoli su Amazon senza il rischio di confondere un caccia monoposto della ribellione con un caccia(torpediniere) stellare dell’impero. Un gran bel vantaggio.

    È esemplare come su Wikipedia Italia qualcuno ci renda partecipi della sua ignoranza quando scrive impunemente:

    Star Destroyer: nel doppiaggio italiano chiamato “Caccia Stellare” o “Torpediniera Stellare”, sebbene la traduzione letterale sia “Distruttore Stellare”.

    Star Destroyer descritto su Wikipedia come Distruttore stellare

    ad imperitura memoria

    Come se “distruttore stellare” fosse la traduzione corretta, alla lettera! Alla lettera un bel cavolo, “destroyer” in inglese è una classe di navi che in italiano si traduce proprio, manco a dirlo, come cacciatorpediniere. E qui riciclo una mia vecchia battuta, consentitemelo… quella del volete raccontarla proprio a De Leonardis (dialoghista della vecchia trilogia) che prima di diventare adattatore aveva studiato all’Accademia Navale per seguire le orme del padre ammiraglio? Se vi sembra che dire “cacciatorpediniere” sia un italiano un po’ da pezzenti e che non c’entri molto con l’avventura spaziale di Guerre Stellari o che travisi il significato originale, consiglio a voi e ai più ferventi curatori di pagine di Star Wars su Wikipedia di non frenare la vostra voglia di approfondire la conoscenza della lingua inglese (se di voglia ne avete) fermandovi alla superficialità del “so l’inglese perché gioco ai videogiochi e guardo film sottotitolati da quando avevo tot anni” perché potreste scoprire di credere di sapere bene una seconda lingua ma di dare molto per scontato, è così che si giunge alla mentalità di subalternità culturale di chi pensa che in inglese è tutto più “cool” e alle figure di merda su Wikipedia.

    A chi vende McRogueOne andrà certamente bene che Star Destroyer rimanga invariato anche in italiano, serve così una doppia funzione: facilita operazioni di marketing su scala globale e in più, per le piccole menti italiche che pensano di sapere la lingua inglese, suona come un DISTRUTTORE DI STELLE, vuoi mettere? Molto più imponente! Molto più cool.

    Gag di Guzzanti nei panni della presentatrice Fulvia che dice: distruttori di stelle, su rieducational channel.

    Adattare senza coerenza, a Disney Story

    Inutile dunque aspettarsi che l’adattamento di Rogue One nella nostra lingua da subumani possa proporre una traduzione per quella corvetta “hammerhead”, qualsiasi traduzione risulterebbe troppo… “pizza e mandolino”, secondo alcuni. Anzi, a ben pensarci, perché nel doppiaggio si parla di “corvetta”? Non dovrebbe essere anche quella all’inglese, “corvette”? Se il cacciatorpediniere rimane “destroyer” non si capisce perché altre classi di navi si debbano tradurre, ma del resto parliamo di adattamenti Disney-Cosolo e abbiamo già visto che non brillano per coerenza interna. Forse della corvetta non ci sono dei giocattoli in vendita quindi non c’era bisogno di lasciarla in inglese? Oppure si è voluto tradurla perché corvette ricordava troppo un’automobile? Eppure non dovrebbe essere un problema quando poi si fa credere che un destroyer possa essere un DISTRUTTORE.

    Ma è rincuorante sapere che nell’adattamento per il cinema si continua a preferire una coerenza con i videogiochi e le serie animate, piuttosto che con gli altri titoli con cui questi film dovrebbero integrarsi.

    CGI Tarkin is not amused, meme. Rogue One

    Questa battuta ve la traducete da soli.

     

    Le tanto lamentate voci nel doppiaggio di Rogue One

    Parlando solo brevemente del doppiaggio e della scelta delle voci, è curioso leggere una marea di critiche sulle interpretazioni o sulla scelta dei doppiatori, scatenatasi da subito su internet prima ancora di vedere l’originale e quindi non basate su un confronto ma su una sensazione. Per carità, le scelte bislacche ci sono sempre state da quando esiste il doppiaggio e non nego a priori che le lamentele possano essere in parte fondate, ma qui voglio porre una domanda provocatoria: non sarà che la recitazione del doppiatore, se fatta troppo a fotocopia di quella originale, possa essere la causa principale delle sempre più numerose lamentele mosse da subito, all’uscita dalla sala cinematografica, contro il doppiaggio e la scelta dei doppiatori?

    Forse sapete già che, per varie concause (più o meno comprensibili), il doppiaggio italiano moderno tende ad essere una fotocopia (in quanto a espressività e spesso modo di recitare) delle interpretazioni originali (per lo meno di quelle americane). Se questo a molti potrà sembrare un vantaggio incredibile, in realtà porta con sé un grosso problema: l’espressività di altri popoli non è sempre equiparabile alla nostra.
    “Voci assurde… voci tremende…”, esclamazioni elargite un po’ gratuitamente (spesso seguite da un “devo ancora rivederlo in inglese ma…”) che sottolineano come certi modi di recitare di attori di altre culture non siano sempre immediatamente “trasferibili” al modo di recitare italiano, e così a molti spettatori italiani, giustamente, risultano istantaneamente… strani.

    Dunque, siete proprio sicuri che ciò che a pelle vi dà fastidio siano davvero le interpretazioni dei doppiatori quando vi lamentate delle… voci? Io non ne sarei così sicuro. Un doppiatore che fa voci “strane”, oggi, di solito lo fa perché deve imitare ciò che ha sentito nel film in lingua originale, non c’è né tempo né l’intenzione di fare in altro modo e di reinterpretare più di tanto. Se proprio volete lamentarvi subito di qualcosa quando uscite dal cinema allora consiglio piuttosto di lanciarvi contro la pratica di proporre la fotocopia di recitazioni estere che non sempre viene accettata dalle nostre orecchie perché proviene da una cultura che, globalizzazione e tutto, non ci appartiene.

    Whitaker in Rogue One, la vignetta legge: il cattivo con la voce grassa. Un omaggio a CarlettoFX dei Gem Boy che parlava del cattivo con la voce grossa

    Planet-killer non si traduce come Pianeta killer… e altri ridicoli errori nell’adattamento di Rogue One

    Nome in codice? Rogue Uno (cit.)

    Piccole note positive (ogni tanto arrivano anche quelle), ho sentito nominare una “camera di equilibrio” e, visto l’andazzo, temevo quasi potessero mantenere il termine “airlock”, come successe con Interstellar (uno dei suoi pochi errori). Ma airlock in questo caso non è un marchio registrato e non aveva esigenze di labiale quindi abbiamo avuto il lusso di sentirlo nominare nella nostra lingua. Wow, mi state proprio viziando!

    Le note positive sono poche in realtà, inutile sottolineare i tanti calchi dall’inglese come il “serve una mappa – vuoi che non ne troviamo una per terra? (???), l’espressione sarcastica really? che diventa “davvero?” (quando uno “scherziamo?” sarebbe subito più comprensibile), oppure ancora il “fatelo!” (do it!) del crudele ufficiale imperiale che ordina l’esecuzione sommaria della madre della protagonista (non è spoiler se accade nei primi 90 secondi di film). Dico che è inutile sottolinearli perché cose simili ormai sono all’ordine del giorno, non una peculiarità di questo film in particolare (sebbene qui abbondino più del solito), ma questi due o tre valgono da esempio per tanti altri.

    There is no try, just do it. Meme del video motivazionale di Shia La Beouf che compare a Luke Skywalker come fantasma mentre Luke cerca di sollevare l'X-Wing dalla palude
    Nel film si sentono anche delle frasi familiari come “iniziare ignizione preliminare” e “iniziamo la corsa d’attacco“, frasi prese pari pari dal doppiaggio dell’originale Guerre Stellari del 1977, un simile rispetto delle fonti è quasi comico all’interno di un adattamento come quello di Rogue One (e di Episodio 7 prima di esso) dove vengono meno forse i riferimenti più importanti alla trilogia storica, come il nome di Fener, ma anche i blaster, etc… tutto tranne la Morte Nera però. La Morte Nera, per qualche non ben precisato motivo, può rimanere Morte Nera e non torna ad essere Death Star™, né viene ritradotta più “fedelmente” in Stella della Morte come magari qualche estremista potrebbe esigere. Io propongo Mortestella™, non credo che sfigurerebbe vicino ad altre scelte di adattamento del calibro di “a planet killer” che in Rogue One viene tradotto alla lettera come “un pianeta killer” (e qui forse la parola “distruttore” sarebbe tornata utile per davvero). Non mi resta che da chiedere… a quando “cold” tradotto come “caldo”?

    Certo è facile dire a posteriori che il “pianeta killer” si riferisce alla Morte Nera in quanto piccolo “pianeta” che “uccide”, ma l’originale “planet killer” è un “distruttore di pianeti”, letteralmente un ammazzapianeti e non un “pianeta che ammazza”, tutt’altra cosa. Giusto giusto quelle regole DI BASE dell’inglese che imparano i bambini già dalle elementari insomma, mica chiediamo tanto.

    Scena in Rogue One della Morte Nera che spara il suo raggio della morte sul pianeta Jedha

    Ammazzapianeti-pianetammazza is the new “allacciascarpa-scarpallaccia”

    Ironia a parte, voglio sottolineare che anche “pianeta killer” è comunque funzionale alla trama, è un’alterazione accettabilissima e sicuramente un’ottima scelta sia per il labiale che per i tempi della battuta. Se esagero il tutto è solo per sottolineare quanto sia assurda l’idea stessa di un esasperato rispetto delle fonti a scapito della continuità con un precedente film (quello del 1977) che cronologicamente si pone CINQUE MINUTI DOPO gli eventi di questo Rogue One… quando poi senza criterio si può decidere di ignorare il “sacro testo originale” dicendo ad esempio “un pianeta killer” oppure preservando il nome “Morte Nera” mentre tutti gli altri nomi sono già stati riformati.

    Inoltre è detestabile la svolta anglofona che ha preso l’adattamento della serie da quando è in mano a Cosolo/Disney, un adattamento che non fa alcuno sforzo di amalgamarsi con i doppiaggi precedenti se non in un paio di “copia e incolla” d’ufficio mentre calca la mano con anglicismi superflui e fuori luogo che già ci era toccato sopportare nel genere western con Django Unchained e che in generale dimostrano un’incapacità di discernere tra forestierismi utili o insostituibili e quelli invece superflui o addirittura dannosi nel contesto dell’opera che si traduce/adatta.
    Comunque, da colui che in un western ha il coraggio di proporre “wanted, dead or alive” tradotto alla lettera come “wanted, morto o vivo”,  non risulta difficile pensare che possa aver realmente considerato “un pianeta killer” come la giusta traduzione di “a planet killer”, ma chi può dirlo. Del resto, ho già fornito io stesso un’ottima scusa per salvare la dignità di quella scelta… una critica più magnanima di questa non credo ci possa essere, sarà il periodo di Natale che mi addolcisce.

    Chiudo con una frase di questo Rogue One che trovo molto ironica nel contesto di questo adattamento scriteriato e allo stesso tempo molto significativa:

    “La chiamiamo La Morte Nera, non c’è nome migliore”

    Obama mic-drop meme

    BUON 2017

  • [Italian credits] I diavoli volanti (1939)

    Titoli italiani di I diavoli volanti di Stanlio e Ollio
    Sta per giungere finalmente a conclusione questo terribile 2016, anno infausto che ha falcidiato in maniera impietosa il mondo dell’intrattenimento artistico: arte, musica, cinema, fumetti, nulla è stato risparmiato da lutti e addii.
    Ma ogni morte accompagna una nascita, e se il 2016 è stato un annus horribilis per la qualità degli artisti defunti è stato altresì un annus mirabilis per la qualità degli “anniversari“, che spesso promuovo dal mio sito Lo Zinefilo, coinvolgendo anche altri blogger. Da Yado all’Armata Brancaleone, da Remo Williams ad Allan Quatermain, da Spie come noi al Bond-clone A077, da Aliens a Codice Magnum, da Corto circuito a Cobra, da Chi è sepolto in quella casa? a Il nome della rosa. Passando per i 50 anni di western nostrani come Django e Il buono, il brutto, il cattivo.
    Invece di piangere i molti lutti del 2016, scelgo di festeggiare la fine di questo maledetto anno omaggiando l’anniversario di una nascita: esattamente 75 anni fa, il 29 dicembre 1941, usciva in Italia I diavoli volanti. Visto che in un mercatino ho trovato una VHS Curcio 1992, n. 5 della collana “Il meglio di Stanlio & Ollio”, mi sembra un “segno” evidente che io debba presentare i “crediti” italiani del film.

    L’uscita originale

    Titoli originali di The Flying Deuces, i diavoli volanti23 novembre 1939. Da più di due mesi l’invasione della Polonia da parte di Hitler ha innescato la Seconda guerra mondiale, ma al Rialto di New York gli spettatori assistono a tutt’altro spettacolo: viene proiettato per la prima volta The Flying Deuces.
    I due comici protagonisti già erano stati nella Legione Straniera nel 1931 così spesso si pensa a questo film come a un remake, in realtà pare che sia sì un rifacimento ma del francese L’allegro volo (Adémaï aviateur, 1934) con Fernandel: la rarità di quest’ultimo titolo rende difficile confermare o smentire.
    Il contratto con lo storico Hal Roach è scaduto e la coppia Stan Laurel ed Oliver Hardy passa al produttore Boris Morros, che si avvale della distribuzione della RKO. Morros in seguito si scoprirà essere una spia sovietica, ma intanto è un rinomato musicista che negli anni ’30 ha diretto la Paramount Studio Orchestra: molti pensano che sia merito suo la presenza di due scene musicali storiche nel film in questione.
    Una è quella che vede i due protagonisti in prigione, in attesa di essere fucilati all’alba, e Stan si mette a suonare la rete del materasso come un’arpa eseguendo The World is Waiting for the Sunrise (“Il mondo è in attesa dell’alba”). La seconda è la storica Shine On, Harvest Moon, canzone del 1908 molto in voga all’epoca e che Oliver Hardy canta con la propria voce. Che però nessun italiano ha mai sentito…

    Il mistero della versione italiana

    C’è la guerra quando il film arriva in Italia, con i protagonisti ribattezzati Cric e Croc: esordisce al Corso di Torino il 29 dicembre 1941 con il titolo I diavoli volanti. Arriverà al Lux di Roma il 6 giugno 1945, a guerra finita (almeno per il nostro Paese) e quindi ci si può permettere una ardita “k”: Crik e Crok…
    Stando al sito di Antonio Genna, nel 1939 Mario e Luigi Almirante assegnano ad Alberto Sordi la vittoria del concorso per la nuova voce di Ollio e questi, insieme a Mauro Zambuto, doppia I diavoli volanti già quello stesso anno: visto che Hal Roach non amava l’abitudine italiana di ricantare versioni locali dei brani musicali originali, pare che il produttore impedì la distribuzione nel nostro Paese di alcuni titoli, che riapparvero solo anni dopo.
    Però – aggiungo io – va ricordato che I diavoli volanti non è stato prodotto da Roach, quindi non è chiaro se sia rientrato nel “divieto” del produttore: se dunque Sordi e Zambuto l’hanno doppiato nel ’39… perché esce solo a fine ’41? La scarsità di notizie certe lascia la domanda in sospeso.

    Titolo I diavoli volanti dal trailer italiano dell'epoca

    Dal trailer italiano dell’epoca

    Una curiosità. Dopo aver iniziato a doppiare Ollio, finalmente Alberto Sordi riesce ad ottenere una parte più sostanziosa delle semplici comparsate cinematografiche fatte fino a quel momento, così dal giugno 1942 lo si può sentire “in voce” ne I diavoli volanti e vederlo recitare come co-protagonista in un altro film “aviario” come I tre aquilotti di Mario Mattoli. Dato il periodo e dati i saluti fascisti di cui il film abbonda, non è uno dei titoli di Sordi che vengono presentati nelle retrospettive…

    Il mistero degli asini volanti

    Torino è una città ricca di misteri, e forse il meno noto è quello che unisce due celebri asini volanti. Il primo attraversò piazza Castello nel 1826, sospeso su una corda come attrazione carnascialesca, il secondo, anzi… i secondi volarono cento anni dopo sullo schermo di un cinema di Torino. Erano quelli del testo della canzone al tempo stesso più celebre e più misteriosa del doppiaggio italiano.
    Nella versione italiana de I diavoli volanti il doppiatore Alberto Sordi ricalca perfettamente il labiale e la gestualità di Ollio cantando però una canzone italiana, al posto dell’originale Shine On, Harvest Moon, un brano nostrano riconoscibile in A zonzo del cantante torinese Ernesto Bonino, che proprio nel 1939 iniziava la sua attività: stranamente però la canzone risulta essere del 1942, mentre invece appare già cantata da Ollio almeno nel dicembre 1941. Siamo sicuri che quanto tutte le fonti affermino sia esatto?

    a zonzo, copertina dello spartito dal film I diavoli volantiErnesto Bonino esce fuori spesso nelle cronache cittadine della Torino dell’epoca – la città dove I diavoli volanti esce in anteprima – presentato come grande cantante ed idolo della radio, ma la canzone è scritta da Gino Filippini (musica) e Riccardo Morbelli (parole) e sia lo spartito che il disco a 45 giri riportano chiaramente che il tema è tratto dal film di Laurel ed Hardy… non il contrario!
    La mia personale opinione è che Bonino si sia limitato a cantare una canzone estrapolata dal film – la cui musica Filippini aveva evidentemente già inciso, visto che infatti ricorre spesso nella pellicola italiana come colonna sonora – con parole riscritte da Morbelli. Non è stata A zonzo di Bonino adattata per il film, ma gli asini volanti di Ollio sono stati poi trasformati in una hit di successo.
    Purtroppo l’incredibile silenzio che avvolge qualsiasi questione di doppiaggio e resa italiana lascia spazio solo ad ipotesi e a ricostruzioni appassionate…

    Il mistero di Alberto Sordi

    Per oscuri motivi il noto attore e regista ha dosato con il contagocce le rivelazioni sulla sua lunghissima carriera di doppiatore: è molto facile sentir sbucare la sua voce, anche in piccoli ruoli marginali, in un qualsiasi film straniero uscito in Italia fino agli anni Cinquanta. Vista la grande notorietà di Sordi – a Roma è considerato in pratica un santo! – come mai le notizie del Sordi doppiatore sono rarissime e soprattutto eteree?

    «Sappia che io, effettivamente, a dirla schietta, avrei potuto essere il più grande basso del mondo. Possiedo delle corde vocali che mi consentono di prendere agevolmente il “fa” e scendervi sotto, oltre il “mi” e il “do”»

    i diavoli volanti vhs curcio 1992

    VHS Curcio 1992

    Così raccontava schiettamente Sordi nel 1959 alla rivista “Il Musichiere”, aggiungendo che cantava da sempre, sia per gli amici che per gli spettatori. Tanto che nel novembre 1991 la CGD di Vincenzo Mollica rilascia un cofanetto (in vinile ma è facile siano esistite anche copie per musicassetta) con le canzoni di Alberto Sordi: la prima è ovviamente Guarda gli asini che volano nel ciel.

    «Ho cercato di metter insieme i tasselli di un mosaico attraverso i collezionisti, gli archivi RAI, documenti giornalistici»

    Così Mollica spiega a “La Stampa” (30 novembre 1991) il suo metodo, ma la domanda rimane: il curatore è proprio sicuro che fosse Alberto Sordi a cantare la celebre canzone degli asini volanti?
    La domanda non è oziosa, la differenza di voce tra l’Ollio parlante e l’Ollio cantante è palese, inoltre le note alte stonano con quanto Sordi stesso affermava, cioè di essere un basso.
    Come sempre, la totale inesistenza di fonti certe lascia i dubbi in sospeso: gli asini volanti e chi li ha cantati rimangono uno dei misteri di Torino… (Ok, il doppiaggio è stato fatto a Roma, ma visto che il film è uscito in anteprima a Torino ne ho approfittato per chiudere la frase con enfasi!)

    Una curiosità di doppiaggio

    ritratto di Stanlio e Ollio da una scena di I diavoli volantiPer finire, una piccola discrepanza di doppiaggio. Il film si apre con Stanlio e Ollio in posa per un pittore parigino, un artista ben mediocre che invece di un dipinto o di una semplice caricatura si limita ad un essenziale schizzo a matita. Ricevuto il quadro, Stanlio in italiano se ne esce con «Quello dev’essere un grande artista», guadagnandosi uno sguardo stupito di Ollio: perché?
    La risposta è nel testo originale, dove Stan dice «Jee, that’s real photography!»: l’espressione di Ollio dunque si giustifica perché il suo amico ha scambiato un ritratto a matita per una fotografia.

    Titoli di testa

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    diavolivolanti_c
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    Titoli di coda

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    L.
    P.S.
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  • [Italian credits] Amarti è la mia dannazione (1948)

    amarti_c
    Si avvicina il 25 dicembre e cosa c’è di più natalizio di un vecchio film in bianco e nero? Nulla scalda il cuore di un cinefilo come la fotografia impastata di una vecchia pellicola, con attori vecchi quand’erano giovani, voci italiane dallo spiccato carattere e il calore che scaturisce dall’assenza di colore.
    Di solito trovare i titoli italiani di vecchi film è molto raro, visto che spesso sono reperibili in copie rimasterizzate e quindi con i titoli in lingua originale, ma a forza di frequentare piccoli canali locali si possono avere colpi di fortuna insperati: così questa settimana vi presento un film d’annata come Amarti è la mia dannazione (So Evil My Love, 1948) di Lewis Allen.

    La storia

    amartiNon lasciatevi ingannare dal titolo italiano che ammicca a situazioni romantiche, è un noir duro e puro interpretato da un Ray Milland eccezionale come sempre.
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    Distribuzione

    Per farvi apprezzare la qualità della chicca che vi presento, sottolineo che il film è inedito in home video: dopo la sua uscita nei cinema italiani del 20 maggio 1949, dagli anni Ottanta gira per piccole reti televisive senza mai conoscere alcun altro tipo di distribuzione. Questa condizione di “esclusione” ce l’ha però preservato in pratica identico alla prima uscita italiana.

    «L’appassionante storia di una donna che dopo aver dato tutto, sino a perdersi, all’uomo che ama e dal quale crede di essere amata, si ribella sino ad uccidere di fronte all’improvvisa rivelazione del tradimento»
    da “La Stampa”, 19 maggio 1949

    Il doppiaggio

    Le informazioni sono estrapolate dal sito di Antonio Genna.

    PersonaggioAttoreDoppiatore
    Mark BellisRay MillandGiulio Panicali
    Olivia HarwoodAnn ToddLydia Simoneschi
    Susan CourtneyGeraldine FitzgeraldAndreina Pagnani
    Edgar BellamyRaymond LovellEmilio Cigoli

    La lettera

    Il film appartiene a quella schiera di pellicole in cui la distribuzione italiana ha sovrapposto delle scritte italiane nei momenti in cui sono inquadrate frasi inglesi: in questo caso, come in molti dell’epoca, c’è una lettera in primo piano che la protagonista legge, e la vediamo scritta in italiano.
    Da ragazzino ricordo che tutti i film in bianco e nero che vedevo avevano scritte in italiano: forse la mia memoria esagera, magari non tutti, ma comunque era una pratica ampiamente utilizzata e purtroppo dimenticata. Ci pensa questa rubrica a ricordarla… quando la becca!
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    Per i titoli che seguono ho preferito lasciare il “nero” intorno e il logo di Retecapri, perché graficamente mi sembra troppo delizioso per modificarlo.

    Titoli di testa

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    Titoli di coda

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    P.S.
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